1/ La Prefazione di Edoardo Nesi a L’esorcista di Peter Blatty 2/ “L’esorcista” compie 40 anni. L’autore: «Scrissi quel film per parlare della fede»… con una breve nota introduttiva di Andrea Lonardo
Gli scritti (31/1/2015)
Breve nota di Andrea Lonardo
«Vi sono due errori, uguali e opposti, nei quali la nostra razza può cadere nei riguardi dei Diavoli. Uno è quello di non credere alla loro esistenza. L'altro, di credervi, e di sentire per essi un interesse eccessivo e non sano. I Diavoli sono contenti d'ambedue gli errori e salutano con la stessa gioia il materialista e il mago» - così il grande C.S. Lewis (Le lettere di Berlicche, Jaca, Milano, 1990, p. 3).
Ed è detto tutto: la serenità cristiana non deriva dal dimenticare che il male esiste, quanto dal sapere che Cristo è ben più forte di lui.
In ogni brano evangelico emerge insieme l’esistenza del Maligno e la sua sconfitta, poiché niente è più grande della misericordia di Dio, anzi il suo potere è infinitamente più grande, onnipotente.
Ogni volta che la liturgia ci chiede di commentare un brano come Mc 1,21-28 (IV domenica anno B) siamo chiamati ad annunciare lo squallore del Maligno, che non ama al mondo alcuna creatura, perché pur essendo stato creato per amare come ogni angelo, ha rinnegato il suo essere persona ed è divenuto frigido e gelido, ma siamo ancor più chiamati ad annunciare che il Signore è il grande esorcista, è Colui che è talmente “persona” da essere capace di strappare all’odio ognuno dei suoi, tutti noi.
Pazzesco è che pochi si rendano conto che i vecchi “nazisti”, così come i nuovi – vedi i terroristi dell’Islamic state – compiano i loro gesti omicidi e necrofili non per ragioni politiche o sociali, ma perché hanno fatto spazio progressivamente nella loro vita alla tentazione demoniaca, invece di abbandonarsi al Signore della vita.
Come i bambini, come figli di Dio, dinanzi al pensiero del male, noi dobbiamo invece pregare, dire il Padre nostro, recitare l’Ave Maria: è questo che sempre riporta la nostra vita a quella pace che il Signore ha voluto donarci e donarci per sempre, in ogni situazione. Riscoprendo sempre di nuovo la nostra condizione di figli ed invocando sempre di nuovo l’aiuto per vivere nell’abbraccio che protegge, sappiamo che saremo sempre “liberati dal male”.
Per approfondimenti rimandiamo a Primo incontro? Con i demòni, di Andrea Lonardo e La mia prova dell’esistenza di Dio, di Andrea Lonardo.
1/ La Prefazione di Edoardo Nesi a L’esorcista di Peter Blatty
Riprendiamo sul nostro sito la Prefazione, di Edoardo Nesi a L’esorcista di Peter Blatty (originale 1971), Fazi editore, Roma, 2009, pp. 5-12. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line.
Il Centro culturale Gli scritti (31/1/2015)
Questo libro fa paura. Quella paura da bambini che ti fa tenere la luce accesa in camera un po’ più a lungo e ti obbliga a tenerne conto. Quella paura strisciante che prima ti consiglia, poi ti invita e alla fine ti obbliga ad alzarti dal letto perché tanto non riuscirai ad addormentarti, non con le pagine dell’Esorcista vive e vivide dentro di te.
Quella paura nerissima che ti costringe ad accendere la televisione e però nessuna trasmissione, nessun canale riesce a toglierti dalla testa quello che hai appena letto, e così devi assolutamente fare qualcosa, ma poiché è notte e non c’è più niente che devi fare allora vai in bagno, e ti tagli le unghie, e ti lavi i piedi, e rimani immobile a guardar fuori dalla finestra per lunghi minuti vuoti e ti chiedi se basterà una doccia per lavar via l’agitazione, o un bagno caldo per affogarla.
Era dai tempi di Aspettando Godot, che lessi tutto di seguito prima d’andare a letto per poi passare la notte sveglio ad attendere l’alba, vittima e preda dell’incubo di Beckett, che non mi capitava di dover ammettere a me stesso di aver paura di andare a dormire, nella mia camera buia.
Non sono sicuro di riuscire a capire o a spiegare il perché, ma in qualche modo sento, anzi so, che la paura che provoca L’esorcista nasce a un livello così profondo da non consentirmi nessuna distanza, nessun possibile sollievo, nessuna assuefazione: è come se questo straordinario romanzo riuscisse in qualche modo a infiltrarsi fino al nucleo segreto, alla tana nella quale si rannicchia di notte la mia anima.
Perché la verità è che non sto semplicemente leggendo un libro. Non sto imparando nulla e non mi sto divertendo. È un’esperienza del tutto diversa, percorrere le pagine dell’Esorcista. Vuol dire trovarsi a tu per tu con il Male.
Uno dei caratteri fondamentali di questo romanzo unico è che il lettore non viene terrorizzato da un assassino o da un serial killer. Non è uno spregevole poltergeist o un fantasma o un vampiro a tormentarlo, e nemmeno un mostro orrendo, o un alieno, o uno dei meravigliosi mostri alieni di Lovecraft.
Perché il protagonista del libro è il Demonio. Satana. Il Diavolo.
E per qualcuno è troppo. Conosco persone, grandi e piccine, che mi hanno detto di aver trovato divertente il film L’esorcista, di aver riso nelle scene più forti e di non aver provato nessuna paura, insomma: e questo racconta molto più di loro che del film, perché evidentemente preferiscono negare se stesse e la loro sensibilità pur di non accettare il nucleo innominabile che sta al centro della storia e che forse è davvero troppo terribile per essere riconosciuto e accettato, e cioè l’idea che il Maligno possa esistere, prima di tutto, e prendersi poi l’anima di un’innocente.
Il libro che avete tra le mani (e cioè il romanzo L’esorcista di William Peter Blatty, dal quale venne tratto il film dall’omonimo titolo, diretto da William Friedkin), pur nella sua altissima ambizione di raccontare nientemeno che la possessione diabolica, compie il miracolo di riuscire a rivolgersi al grande pubblico con quella benedetta semplicità d’approccio e di lingua e di costruzione letteraria che è rara quanto la vigogna e come lei preziosissima, soprattutto se coniugata a un argomento così alto, così profondo, così delicato; ed è probabilmente questa la ragione del suo grande successo editoriale, finora oscurato in Italia dal successo planetario del film.
È un libro importante, L’esorcista. Perché Blatty – autore dalla carriera eccentrica, che prima aveva firmato solo commedie divertenti per il cinema insieme a un mostro sacro del genere come Blake Edwards –, pur non essendo uno dei grandi virtuosi come Pynchon o De Lillo, affronta un tema come la possessione diabolica riuscendo a costruire una robustissima e appassionante concatenazione di avvenimenti che ricorda i migliori thriller, tratteggia divertito personaggi credibili e mai banali e mostra fin dall’inizio, con grande semplicità, umanità e sincera partecipazione, il nostro rapporto con il sacro: riaffermando l’importanza del lavoro di scavo che a volte riesce a compiere la letteratura nella ricerca della comprensione della nostra interiorità, del nostro rapporto con la paura e con la colpa, con Dio e col Maligno.
Lungamente pensata, inattaccabile da ogni punto di vista, la trama del romanzo rappresenta il suo assoluto punto di forza, assecondata com’è da uno stile preciso e discreto e da un registro di scrittura che non pretende mai di imporsi sull’argomento “radioattivo” che sta affrontando.
Valga per tutte la sottile eleganza con cui avvengono le prime manifestazioni del Diavolo. Fin da subito iniziano a ripetersi nella storia, quasi in sottofondo, certi segni minimi, sommessi, infinitamente subdoli perché inspiegabili eppure anche dimenticabili, d’importanza e forza sempre crescente: si comincia col rumore delle zampe di topi che corrono in soffitta, e certi strani sordi colpi notturni, come di passi; poi Regan che va a dormire dalla mamma perché dice che il suo letto si muove; poi i mobili che, senza che nessuno li veda, si spostano nella camera della bambina; poi le orribili profanazioni delle immagini sacre nella chiesa vicino alla casa; poi il freddo costante dentro la camera della bambina, nonostante i termosifoni funzionino perfettamente; poi le parolacce orribili che Regan urla al medico mentre la visita – parolacce che non può conoscere; e poi la terribile profezia lanciata all’astronauta, la sera della festa, e la terrificante pisciata sul pavimento davanti agli ospiti.
E tu pensi che, certo, è così che succede. Come una malattia. Come se anche al demonio occorresse tempo per infestare un’anima, e ogni giorno l’infezione fosse più forte e ogni giorno presentasse un sintomo nuovo e orribile: ed è così che, pian piano, noi lettori facciamo conoscenza con una malvagità infinita e potentissima e incontrollabile che agisce sulle persone e le cose con una forza selvaggia, con un’oscena determinazione ad apparire e manifestarsi perché quello e soltanto quello sembra volere; una malvagità che ci convince perché fa compiere alla bambina atti innominabili, così orribili da sconvolgerci, ancora oggi.
E mentre si legge, avvinghiati alle pagine, si diventa vittime di un meccanismo perfetto e poderoso che fa dipanare la storia in un lento, inesorabile crescendo che non ci lascia nessun punto di riferimento: non c’è niente di ovvio, niente di telefonato, niente di già letto nella catena di eventi che ci porta infine davanti all’incubo, all’orrore supremo. Per quanto si cerchi di non precipitare nella storia, non ci si riesce. Siamo in una carrozza coi vetri oscurati, e corriamo nella notte, senza sapere dove stiamo andando.
Dice giustamente Blatty che non ha mai considerato L’esorcista una storia horror, e credo abbia ragione. Perché il pilastro portante sia della letteratura sia del cinema horror è l’idea trita e ritrita che l’Orrore venga da dentro di noi: che sia la personificazione delle nostre paure, del nostro odio, della nostra rabbia, e che prima o poi verrà a cercarci per fare i conti. Un semplice problema psicanalitico, insomma: un mostro nato dal pensiero, una semplice materializzazione dei nostri sentimenti più neri, delle nostre colpe.
In questo libro, invece, l’Orrore esiste di per sé, ed è il Male Supremo, e sta in una bella casa borghese di Georgetown, a Washington D.C., vicino alla Casa Bianca, e agli psicanalisti strizza le palle e se ne infischia altamente della logica e della razionalità, dell’intransigente ateismo della madre della bambina, delle indagini della polizia e delle diagnosi dei medici.
L’Orrore esiste e infesta un’innocente, una bambina, ed è questa sua casualità, ed è il fatto che possa colpire qualcuno che è senza colpa a turbarci più di ogni altra cosa.
Dopo le prime manifestazioni della possessione Regan viene portata da uno psicanalista, che durante la visita sostiene che la piccola è certamente vittima di un caso di sdoppiamento di personalità, e decide di ipnotizzarla. Dice, alla bambina ipnotizzata, che se è ipnotizzata lei è ipnotizzata anche la creatura dentro di lei. E all’inizio il demonio risponde alle domande dello psicanalista come se davvero fosse ipnotizzato.
Afferma di odiare Regan, e di volerla uccidere, e poi inizia a ringhiare e afferra i testicoli del medico e prende a stringere: e al di là del fatto che in quel momento non si può non provare almeno un briciolo di simpatia per il Demonio, rimane dentro di noi l’oscena certezza che in questo romanzo magistrale l’orrore sia, molto semplicemente, qualcosa di reale, qualcosa che esiste proprio accanto alle nostre vite cieche, ignorato, dimenticato, e possa prendere da un momento all’altro chiunque di noi, buono o cattivo che sia, vecchio o giovane, ateo o credente.
Senza una ragione, senza una colpa. E senza toccare gli altri.
È una delle grandi finezze di questo romanzo il fatto che, escluso il regista ubriacone che viene ritrovato con la testa girata all’indietro in fondo alla scalinata sulla quale si affaccia la camera di Regan – scena che il film ha così indelebilmente impresso nelle nostre menti –, nessuno degli altri personaggi del libro venga minacciato personalmente dal demonio: non lo è la madre, o l’assistente, o le persone di servizio, o il poliziotto, e nemmeno padre Karras.
Il Diavolo vuole la bambina, e non può non meravigliarci pensare come, paradossalmente, di fronte a un orrore così grande, per ognuno degli altri personaggi esclusa la madre sarebbe perfettamente possibile ignorarlo, il Demonio; far finta che non ci sia, e continuare a pensare che la bambina sia semplicemente vittima di una forma rara e potente di sdoppiamento di personalità, e continuare a vivere normalmente. Perché il Demonio esiste, sì, ma rimane lì dov’è, incistato nella cameretta della bambina, dentro la bambina.
C’è, nel film di Friedkin, un’inquadratura perfetta, che è poi diventata l’immagine della locandina del film e la copertina del libro, nella quale un raggio di luce parte dalla cameretta di Regan e illumina tutto il cancello e il giardinetto e accoglie l’anziano esorcista, padre Merrin, quando, finalmente, arriva alla casa: ed è probabilmente la prima volta in vita nostra che ci troviamo davanti a un’opera in cui l’Orrore è simboleggiato dalla luce. Nel libro questa immagine non c’è; ma all’arrivo di Merrin (che ha, dice Blatty, «una voce gentile, raffinata, ma piena come un raccolto abbondante», la storia acquisisce istantaneamente un peso diverso e maggiore, il suo passo rallenta e la scrittura si irrobustisce, mentre comprendiamo che tutto l’orrore e la pena e la compassione che abbiamo provato fino a quel momento – perché la bravura di Blatty sta anche nel suo raccontare una possessione che sembra andare e venire, e che non ci consente mai di smettere di provare compassione per Regan; mai di pensare che lei sia solo il diavolo e non una ragazzina di undici anni orrendamente seviziata, ridotta in fin di vita dalla forza della possessione – è solo una piccola parte di un orrore incommensurabilmente più grande, e noto.
«Mentirà per confonderci», dice padre Merrin a padre Karras mentre si preparano ad affrontare il demonio, «ma alla menzogna unirà la verità per attaccarci, per colpirci».
«Questa volta perderai!», dice il demone a Merrin, e finalmente si comprende che non è la bambina che vuole; che Regan e il suo infinito dolore e la sua infinita tragedia non erano che un’esca per attirarlo nella battaglia finale, perché in realtà il Diavolo vuole Merrin, il vecchio, malato esorcista che l’ha già sconfitto una volta e che all’inizio del libro vediamo in Iraq a esaminare reperti archeologici antichissimi e tuttavia già contaminati dalla presenza del Male.
Perché se esiste Satana, allora esiste anche Dio.
È un libro profondamente religioso, questo, perché sia l’esorcista giovane – il padre Karras la cui fede traballa fin dall’inizio della storia e viene poi scossa dall’aver abbandonato la madre e dalla sua morte solitaria, con la radio accesa, e nessuno che se ne accorga per giorni – sia l’esorcista anziano combattono il demonio da preti e non da uomini, con l’aiuto della fede e delle parole, pronunciando riti antichi in cui si ascolta tutta la forza di un Dio ben lontano da quello misericordioso che conosciamo dai Vangeli, e molto più vicino, invece, al Dio antico e lontano del Vecchio Testamento. [N.B. de Gli scritti: si ascolta la forza di un Dio che è misericordioso e onnipotente contro il male, il Dio dell’Antico Testamento che si manifesta pienamente negli esorcismi misericordiosi di Gesù].
Ci sarebbe da parlare a lungo di tanti punti fondamentali del romanzo, primo tra tutti l’estenuante ricerca dei segni della possessione che Karras compie tentando disperatamente di non credere che una possessione ci sia; ci sarebbe da raccontare il terrore puro che si prova a rileggere la trascrizione delle parole pronunciate al contrario dal demonio, quando ci si sente come se stessimo gettando l’occhio dentro l’abisso; da citare parola per parola la meravigliosa solennità delle formule dell’esorcismo, la nobiltà di padre Merrin e il suo coraggio sovrumano, le sue mani tremanti che prendono le pastiglie di nitroglicerina, la sua silenziosa morte fuoriscena.
E mi piacerebbe dire della sottigliezza del demone e della virulenza delle sue bugie vere, della fede che torna dentro Karras e lo spinge all’estremo sacrificio di sé, dello splendore dell’idea che, pur essendo soltanto uomini, si possa parlare in nome di Dio.
Del fatto che, in sostanza, l’esorcismo consiste nel dire al Demonio che deve andarsene dal corpo della bambina, e che dunque l’arma più potente del mondo, quella che può sconfiggere persino il maligno, è un’arma che abbiamo tutti: la parola.
Ma a questo punto è bene che mi cheti, che mi fermi nella scrittura, o questa prefazione potrebbe continuare per decine e decine di pagine, tanto è ricco questo libro straordinario e tanto, si sarà capito, m’è piaciuto.
Così ora vi saluto, cari lettori, vi abbraccio tutti e vi consiglio – davvero, senza scherzi – di leggerlo durante il giorno. Perché questo libro fa paura. Davvero.
2/ “L’esorcista” compie 40 anni. L’autore: «Scrissi quel film per parlare della fede»
Riprendiamo dal sito della rivista Tempi un articolo redazionale pubblicato l’1/11/2015. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line.
Il Centro culturale Gli scritti (31/1/2015)
William Peter Blatty si racconta al Washington Post. E spiega perché ha chiesto al Vaticano di togliere le insegne cattoliche alla “sua” Georgetown University: ha invitato il ministro della Sanità di Obama
L’esorcista compie 40 anni e il Washington Post ha pubblicato per l’occasione una sorprendente intervista di Dan Zak a William Peter Blatty, «creatore del film più spaventoso di sempre». Un film horror che però in realtà, come rivela lo stesso Blatty nel colloquio con Zak, «parla più del mistero e del potere della fede che della profanazione di una ragazzina dodicenne da parte delle forze del male».
IL SUCCESSO INASPETTATO. William Peter Blatty, ora 85enne, faceva in realtà lo sceneggiatore di commedie (è suo il celebre Uno sparo nel buio con Peter Sellers) quando, rimasto temporaneamente senza lavoro, «nell’estate del 1969, in una casetta nei pressi del Lago Tahoe, cominciò a far ticchettare le dita sulla sua Ibm Selectric». Impiegò nove mesi di totale isolamento e lavoro notturno per scrivere il testo che lo renderà famoso in tutto il mondo come il padre di un genere cinematografico. Uscito negli Stati Uniti nel 1971, il libro registrò un successo inaspettato per l’autore, rimanendo in testa alle classifiche per oltre un anno, e in seguito «Blatty scrisse e produsse il film di William Friedkin, che esordì nelle sale il giorno dopo il Natale del 1973 e mandò il paese in isteria collettiva».
«UN PROGETTO APOSTOLICO». Oggi, mentre l’Amc Loews Georgetown di Washington dedica un’intera settimana alla celebrazione del quarantesimo anniversario di quell’evento, Blatty spiega che secondo lui una delle ragioni che hanno reso immortale la sua opera è che «mostra che la tomba non significa oblio. C’è qualcosa dopo la morte. “Non sono sicuro di cosa ci sia, ma non è l’oblio”». E se è vero che dal quel Natale del 1973 a questa parte L’esorcista è diventato uno dei film più copiati della storia del cinema, sicuramente creare una corrente horror non era l’intento originario di Blatty, che al Washington Post rivela di essersi ispirato a un caso di possessione avvenuto nel Maryland di cui aveva sentito parlare durante una lezione di teologia alla Georgetown University per realizzare un «progetto puramente apostolico». Infatti, aggiunge, «l’oscenità, l’occulto, la suspense erano solo espedienti al servizio della condivisione della fede».
LA PETIZIONE. Blatty, annota l’intervistatore Dan Zak, «è un uomo capace di ridere fino alle lacrime e annunciare un istante dopo che questi “potrebbero essere gli ultimi giorni”. Un uomo che dice, dopo un sorso di caffè con dolcificante, “è un mondo caduto” come se stesse discorrendo del meteo». È stato proprio Blatty, ricorda il Washington Post, a inviare al Vaticano la clamorosa petizione corredata da migliaia di firme per chiedere alla Chiesa cattolica di revocare alla Georgetown University – proprio l’ateneo frequentato e tanto amato dallo stesso Blatty – il diritto di esporre le insegne dei gesuiti che l’hanno governata per oltre due secoli.
LA “GOCCIA” SEBELIUS. «Bill, perché vuoi punire la scuola che ami, la scuola che con la sua borsa di studio ti ha salvato da un’infanzia di povertà a New York, la scuola che ha reso possibile la vita che stai vivendo, che ha cementato la tua fede?», domanda Zak, che poi descrive la scena: «“Quando ami veramente qualcuno che pensi abbia bisogno di riabilitazione, fai tutto il possibile per fargli fare riabilitazione”, risponde Blatty. L’ultima goccia, dice, è stato l’invito della Georgetown a Kathleen Sebelius, segretario del Dipartimento della Sanità, per un convegno a maggio dello scorso anno. Sebelius sostiene il diritto all’aborto, e l’aborto è la questione che più di tutte infiamma i nervi di Blatty. Lui descrive, con la voce tremante, una particolare procedura abortiva. Poi fa una pausa. La sua voce ora è quasi un sussurro: “Questo è demoniaco”».