1/ “Un angolo di cielo” blues: ritratto di Pino Daniele, di Walter Gatti 2/ «Potrebbe sembrare un controsenso, ma io credo nella famiglia. Perché se smetti di crederci non vivi più. E poi io non sono uno che consuma l’attimo, ho bisogno di un futuro fatto di certezze». Pino Daniele parla dell’amore 3/ Pino Daniele. L’addio della figlia Sara
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1/ “Un angolo di cielo” blues: ritratto di Pino Daniele, di Walter Gatti
Riprendiamo dal sito Romasette un articolo scritto da Walter Gatti il 7/1/2015. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la loro presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line.
Il Centro culturale Gli scritti (11/1/2015)
Non hai torto né ragione
Se dici che in questa vita
Devi essere un leone
Bisogna vincere la sfiga
Questo mondo è nero è bianco
Pieno di perplessità
E fa’ comodo allo stato
La nostra solidarietà
Signore io ti chiedo
Se c’è
Un angolo di cielo per me
Che vivo una vita sola
Un angolo di cielo era una delle più belle canzoni di Pino Daniele, una di quelle che meglio definiva il suo carattere, il suo essere musicista, il suo esserci, le sue incertezze, la sue perplessità di uomo. In una notte di gennaio il suo cuore s’è fermato e la sua antica cardiopatia l’ha portato via.
Chitarrista noto non solo in Italia, ma in mezzo mondo per via delle molteplici collaborazioni, Pino Daniele – al di là delle celebrazioni commosse più o meno autentiche – è stato uno dei pochi che hanno realmente cambiato la musica italiana. Prima di lui noi italiani avevamo i cantautori (Guccini e De André, De Gregori e Venditti) e avevamo il “progressive rock” (PFM e Orme, Area, Banco e New Trolls) come rappresentanti di una certa nuova musica di qualità capace di uscire dagli standard della musica leggera.
Con lui, miracolosamente partorito da quella Napoli che a metà degli anni ’70 era una delle più feconde fucine di musica incredibilmente contaminata (basti pensare a Napoli Centrale e Osanna), lo scenario italiano si è trasformato d’improvviso. Scrivendo canzoni in napoletano o in un mix italo-partenopeo-inglesizzato, Daniele per oltre un decennio ha inciso una serie di dischi di qualità e di impatto rivoluzionario, lanciando sul mercato album intitolati Nero a metà (1980), Vai mo’ (1981) e Bella ‘mbriana (1982), che costituiscono idealmente un trittico di classe inattaccabile, di energia purissima e di grinta tragico-napoletana.
In quegli anni le sue produzioni facevano da ponte tra tradizione partenopea e sound internazionale; la sua scommessa musicale prendeva l’antico retaggio della canzone popolare della sua terra incrociandolo con il funky, con il blues, con il jazz. Tra Murolo e Pino Daniele c’era più di un punto di contatto emozionale e d’anima, anche se la “confezione musicale” era profondamente differente.
Molto più vicino ai Weather Report e alla fusion che a Mario Merola, l’idea musicale di Pino Daniele – soprattutto agli esordi – era quella di dar voce al malessere, all’ironia e al fatalismo partenopeo all’interno di una confezione scintillante, tremendamente internazionale e tecnicamente impeccabile.
Canzoni come Je so’ pazzo, A me me piace o’ blues, I say I sto ‘cca, Quanno chiove, Yes I know my way, Tutta n’ata storia, Musica musica, Nun me scuccià, hanno fatto scoprire a tutta Italia che era un napoletano, d’improvviso, il top player della musica italiana. Ed a partire da lui, piano-piano, Napoli riuscì a diventare una città di riferimento per tutto il Paese visto che Massimo Troisi (morto anche lui per attacco cardiaco nel ’94) e Diego Armando Maradona (colui che forse è il più grande calciatore di tutti i tempi arriva a Napoli nel 1984) avevano creato con Pino una “trinità” laica tutta napoletana: la città indicata come quella della camorra, dei contrabbandieri e della “monnezza” diventava di colpo una capitale di musica, cinema e sport.
Nei dischi di Pino Daniele, di sicuro sino alla metà degli anni ’80, trionfa la necessità di riscatto di Napoli, dei suoi giovani, di un mondo intero intorno a loro. Per il chitarrista sono anche gli anni di una rabbia giovane, di un fastidio triste, di una voglia di fuga, di battaglia, di ribellione. Il ritornello di Voglio di più dice tutto:
Ma voglio di più
di quello che vedi
Voglio di più
di questi anni amari
sai che non striscerò
per farmi valere
vivrò così cercando un senso anche per te
Con il passare degli anni Pino, sempre più affermato, ha smorzato la rabbia, ingentilito i suoni, smussato le canzoni, addolcito gli arrangiamenti. I suoi tour sono rimasti fantastici esempi di professionalità stilistico-spettacolare, ma i dischi hanno dimenticato il mordente degli anni d’oro. D’altra parte la salute (sempre sul filo del rasoio) ed una serenità familiare che forse prima mancava, gli hanno fatto trovare un equilibrio adulto che forse era irraggiungibile negli anni selvaggi e istintivi del suo arrivo al successo.
L’ho incontrato due volte, per due interviste. L’ho visto in concerto a Milano, all’Olimpico di Roma e nei pressi di Trieste, in tempi per lui molto prolifici. Era sempre sereno, tranquillo, disponibile. Non è mai stato un autore “colto”. Non è mai stato un “poeta”. Soprattutto nella sua fase produttiva più “easy”, più o meno da Mascalzone Latino (1989) in poi, la critica più dotta e a senso unico non gli ha perdonato la gigioneria di certe canzoni facili e banalotte e anche quando diceva cose bellissime, i suoi censori le dimenticavano in fretta, come quando parlava degli occhi dell’amata:
Occhi che sanno cercare
anche quello che non c’è
e ci fanno confessare
tutto quello che vorremmo avere
(Occhi che sanno parlare)
Lo accusavano di essere “troppo poco blues”. La critica banalotta e perditempo non gli ha forse mai perdonato di essere entrato in punta di piedi su palcoscenici prestigiosi, tra cui il Crossroads promosso da Eric Clapton, il più importante cartellone rock-blues del mondo. Di sicuro è stato uno dei primi musicisti italiani a godere autentica stima ovunque, grazie alla sua taciturna gentilezza, ad una versatilità chitarristica di primissimo piano ed alla sua predisposizione a mettere a fattor comune le varie ispirazioni musicali con cui entrava in contatto.
Con Pino Daniele, piaccia o non piaccia, l’Italia ha svecchiato il suo orizzonte, ha scoperto un grande musicista e ha cantato grandissime canzoni. E lui, Pino, ha continuato a modo suo a cercare risposta, sotto svariate forme, a quella necessità di “volere di più”. E chissà mai se quel “di più” fosse “quell’angolo di cielo”, che deve a tutti i costi esserci per chi vive una sola vita:
Signore io ti chiedo se c’è
Un angolo di cielo per me
Che vivo una vita sola
Che vivo una vita sola
Perché mi sento ancora
Perché ti senti ancora
Perché mi sento ancora un diverso
2/ «Potrebbe sembrare un controsenso, ma io credo nella famiglia. Perché se smetti di crederci non vivi più. E poi io non sono uno che consuma l’attimo, ho bisogno di un futuro fatto di certezze». Pino Daniele parla dell’amore
Riprendiamo dal Corriere della sera del 15/3/2014 un brano da un’intervista di Elia Pasquale a Pino Daniele. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line.
Il Centro culturale Gli scritti (11/1/2015)
[…] Un nuovo amore, dopo un legame durato circa 20 anni con la donna che gli ha dato tre figli (ne ha altri due avuti dal precedente matrimonio). «È la seconda separazione? Sono come Enrico VIII», sorride ironico il cantautore per quel suo gusto di sdrammatizzare. Che fa, ritenta? «Sì, dopo due famiglie non smetto di credere nell’amore. Perché se smetti di crederci non vivi più. E poi io non sono uno che consuma l’attimo, ho bisogno di un futuro fatto di certezze. È vero che quando hai a che fare con i sentimenti non esistono sicurezze, però comunque bisogna costruire. Qualcuno mi potrebbe dire: ma a 59 anni, dove vuoi arrivare? Non lo so, sta di fatto che penso sempre al domani».
Riguardo al mondo degli affetti, lei come si definirebbe? «All’antica. E la mia nuova compagna la pensa esattamente come me. Al secondo fallimento matrimoniale potrebbe sembrare un controsenso, ma io credo nella famiglia. Perché sono cresciuto con i valori che mi sono stati tramandati dalla generazione del dopoguerra. E ai miei figli, alle persone che mi sono vicine, io cerco di trasferire quella napoletanità che mi ha dato l’opportunità di respirare quel clima». […]
3/ Pino Daniele. L’addio della figlia Sara
Così Sara Daniele scrive del padre Pino Daniele sul web a commento di una foto il 5/1/2015
Ciao mia grande roccia. Grazie per avermi accompagnato questi 18 anni della mia vita, mi mancherai ogni giorno. Mi mancheranno i tuoi sorrisi, i tuoi consigli, ma soprattutto i tuoi abbracci. Quelli calorosi, avvolgenti e protettivi alla “ci sono io per te”. Anche se adesso starai facendo lo scugnizzo da qualche altra parte, sappi che qui avremo sempre bisogno di te. Adesso suonerai la tua chitarra lassù, e farai sognare gli angeli con la tua musica, esattamente come hai fatto con noi qua. Fai buon viaggio… Ti amo.