Bolaffi: «Serve una Bretton Woods dell’immigrazione», di Diego Motta
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Riprendiamo da Avvenire del 6/1/2015 un’intervista di Diego Motta. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line. Per approfondimenti, vedi la sotto-sezione Immigrazione, accoglienza e integrazione, intercultura nella sezione Carità, giustizia e annunzio.
Il Centro culturale Gli scritti (11/1/2015)
«La situazione è al limite del disastro» ammette Guido Bolaffi, uno dei massimi esperti in materia di flussi migratori, già presidente del Comitato per i minori stranieri non accompagnati e in passato capo del Dipartimento del ministero delle Politiche Sociali. A preoccuparlo non sono solo l’intensificarsi degli sbarchi e la spregiudicatezza incontrollabile dei trafficanti di morte, pronti a modificare rotte e modalità di "ingaggio" per le persone che portano a bordo. «Mi spaventa sempre di più lo squilibrio esistente tra i mezzi messi in movimento da chi scappa da realtà come la guerra e la fame e le risorse di chi prova a governare tutto questo, fossero anche i singoli Stati. La verità è che il mercato sommerso degli schiavi trova da sempre strade clandestine e criminali per arrivare a destinazione» continua Bolaffi.
L’Europa è da tempo sotto accusa per le sue negligenze e, al di là dei proclami, non sembra aver capito concretamente l’emergenza umanitaria in atto sulle coste del Mediterraneo. Cosa servirebbe per arrivare ad una svolta?
L’immigrazione ha assunto dimensioni talmente globali che pensare a una difesa dei singoli Stati è praticamente impossibile. Sarebbe necessaria una "Bretton Woods" dell’immigrazione, una specie di governo mondiale del fenomeno, con un solo decisore in grado di stabilire regole internazionali uguali per tutti, da far rispettare da parte di tutte le singole autorità statuali. Si dovrebbe fare, in questo campo, un po’ come nell’economia: immagini quello che accadrebbe se non ci fosse il Fondo monetario e ogni Paese cercasse di far fronte ai problemi della valuta da solo. Sarebbe un disastro...
Non dovrebbe toccare all’Onu un compito simile?
Le Nazioni Unite non possono farcela, al momento. Alcuni membri permanenti del Consiglio di sicurezza, come la Cina e la Russia, non hanno alcun interesse a intervenire in materia. Per questo, un governo mondiale dell’immigrazione non è ancora maturo. È difficile trovare compromessi nei singoli Paesi, si figuri a livello globale. È da 12 anni che gli Usa combattono per fare una legge sull’immigrazione e non ci riescono, nonostante sia quanto mai urgente, viste le migliaia di minori non accompagnati che arrivano dal Messico.
Torniamo all’Europa e al suo cronico ritardo...
Da noi c’è una lettura del fenomeno migratorio ferma a 50 anni fa, quando era un fatto locale o quasi. Oggi non c’è gara: le organizzazioni del traffico criminale sono talmente più rapide di noi nelle decisioni da prendere che le nostre burocrazie continentali neppure possono pensare di competere. L’obiettivo per Bruxelles deve essere quello di fare meno errori degli altri. L’agenzia Frontex è un modo per fare le nozze coi fichi secchi, visto che è l’appendice di una struttura con dimensioni e risorse limitate. È evidente come occorrano subito più uomini, più forze e più strategie per combattere il traffico clandestino dei migranti.
Come giudica la strategia dell’Italia?
Intanto onore al nostro Paese, perché grazie a Mare Nostrum si sono salvate molte vite umane e si è impedito che nel Mediterraneo morissero molte più persone. Quel che è certo è che la fase transitoria iniziata a novembre e conclusasi a fine anno è servita a ben poco. Con l’anno nuovo, bisognerà tornare a capire chi fa cosa, nelle acque territoriali e non solo.