"La dittatura temeva Dante, i gulag erano come l'Inferno". Kadare racconta l'Albania tra passato e futuro, Un’intervista di Giovanni Cedrone e Liljana Maksuti
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Riprendiamo da La Repubblica del 19/11/2014 un’intervista di Giovanni Cedrone e Liljana Maksuti. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line. Per approfondimenti, cfr. la sotto-sezione Il novecento: il comunismo nella sezione Storia e filosofia.
Il Centro culturale Gli scritti (23/11/2014)
Ismail Kadare ci riceve allo Juvenilja, un elegante locale nel cuore dell’omonimo parco di Tirana, un luogo particolarmente amato dallo scrittore albanese. Un posto amato da Kadare al pari del Cafè Rostand di Parigi, città che lo ha accolto con tutti gli onori quando chiese asilo politico per protestare contro le élite comuniste albanesi ormai al crepuscolo nel lontano 1990.
Nell'ultimo libro, quasi un'autobiografia, racconta gli episodi più significativi della sua vita: un toccante ritratto di sua madre, intime riflessioni su alcuni suoi amici poeti e scrittori come Fred Rreshpja (poeta albanese a suo giudizio autore di “tanti versi brillanti e sorprendenti” ma incapace di trovare il “proprio tempo nel grande tempo del mondo”), l’amicizia con il barone Pierre–Bordeaux Groult, uomo di cultura e direttore di giornale, convinto che il popolo albanese sia “il più europeo tra i popoli balcanici” e della necessità per l’Europa di appoggiare questa nazione “per poter emancipare la penisola balcanica”. E ancora alcune pagine dedicate “alle piccole signorine della letteratura albanese”, scrittrici albanesi di grande talento che cercano di farsi strada tra mille complicazioni nel mondo della letteratura mondiale e a cui Kadare presta grande attenzione. Tante piccole storie che compongono il puzzle della sua vita, sempre raccontate con il suo inconfondibile stile.
Il colloquio è l'occasione per parlare del rapporto tra l'Italia e l'Albania, un rapporto "intimo" che nemmeno l'occupazione italiana del Paese è riuscito a scalfire. Una vicinanza culturale che si manifesta anche nel grande interesse per Dante Alighieri, "più studiato in Albania che in Francia", nonostante fosse temuto dalla dittatura comunista che leggeva nel suo Inferno quasi un richiamo ai "gulag".
Lo scrittore ci riceve nello spazio del caffè riservato a lui. La sensazione è quella di entrare in un posto senza tempo, quasi come fosse uno di quei Café litteraries di Parigi dove amavano passare le loro giornate personaggi come Ernest Hemigway, Pablo Picasso, Jean Paul Sartre o Samuel Beckett. Sono anni che lo scrittore è tra i favoriti per il Nobel per la letteratura, ma anche quest’anno il prestigioso riconoscimento gli è sfuggito. Poco importa per un autore che ha scritto alcune delle pagine più belle della letteratura europea e che con la sua opera ha educato intere generazioni al libero pensiero. Al centro dei suoi pensieri c’è sempre l’Albania, il suo futuro, la speranza che il Paese possa entrare quanto prima nell’Unione europea, “una questione di vita o di morte” secondo Kadare, un passaggio decisivo per lasciarsi alle spalle gli anni difficili della dittatura e quelli altrettanto complicati della transizione, con sullo sfondo la questione del Kosovo che ha inasprito le relazioni con la Serbia, quel vicino con cui ora però è necessario collaborare se l'Albania vuole entrare “nella grande famiglia delle nazioni europee”, come ama ripetere.
La Fiera del libro di Tirana è stata l’occasione per presentare la sua ultima fatica letteraria, Le mattinate al Café Rostand. Di cosa tratta?
E’ un libro scritto di getto con le mie riflessioni. Ci sono alcuni pezzi letterari tratti dai miei appunti, delle sinossi, dei pensieri, delle bozze. Opere che non ho potuto scrivere prima e che non so se avrò tempo di scrivere. E’ difficile dare una definizione di questo libro.
Lei è noto in tutto il mondo per alcune delle pagine più belle della letteratura mondiale del ‘900 e degli ultimi decenni, da Il generale dell’Armata morta a La città di pietra, da La Piramide a La figlia di Agamennone, solo per citarne alcuni. Dove trova l’ispirazione per le sue opere?
Nessuno scrittore risponderà mai a questa domanda con la verità. Questi sono i segreti che appartengono alla grande famiglia degli scrittori. Sappiate che quando uno scrittore parla di queste cose non dice mai la verità, perché, anche volendo, non la possono dire.
Chiedere ad uno scrittore quale tra le sue opere preferisce è un po’ come chiedere ad un genitore qual è il suo figlio prediletto. Ma c’è un’opera alla quale si sente più legato?
Sinceramente non lo so. A volte mi sento più vicina ad una, a volte ad un’altra. Per gli scrittori ci sono opere che hanno uno straordinario successo e altre che hanno meno fortuna. In realtà il libro che mi ha portato più fortuna, uno dei miei primi romanzi, è un libro che apprezzo mediamente. Ovviamente sono riconoscente a questo libro, ma non è lui il migliore che ho scritto.
La storia e la geografia hanno fatto sì che Italia e Albania, collocate al centro del Mediterraneo, abbiano avuto sempre un rapporto molto stretto. Oggi come vengono percepiti l'Italia e gli italiani in Albania?
Il pensiero degli albanesi verso l’Italia è un pensiero molto intimo. L'Italia è un nostro vicino, da più di mille anni è collegata con l’Albania. Io ho da tempo manifestato una certa scontentezza per l'atteggiamento dell'Italia verso l'Albania, non ha avuto una risposta adeguata. Sono due paesi uno di fronte all'altro. Hanno collaborato 100 volte, con principi e con eserciti. Alla fine è successo che gli italiani sono sbarcati in Albania. Per gli italiani era una “unione”, una parte degli albanesi l’ha considerata "occupazione", anche se non mancavano albanesi che la pensavano come gli italiani. La storia è nota. Con il passare del tempo la visione di questa vicinanza è mutata e da parte dell’Italia c'è stata negligenza verso questo Paese vicino. Un Paese che per quattro anni è stato unito all’Italia: Vittorio Emanuele III era “Re d’Italia e d’Albania” e “imperatore d’Etiopia”. Questa complicazione storica avrebbe inevitabilmente creato dei problemi. Io penso che la parte albanese sia stata sempre bendisposta verso la parte italiana. Sottoscrivo questa tesi. Il popolo albanese conosce molto bene la cultura italiana (la pittura, la musica, la letteratura), e una complicazione politica (l’occupazione) non ha modificato questa cosa, cioè l'interesse verso l’Italia. Per esempio Italia e Albania, unite, avevano un Re e quindi un grande poeta ufficiale: questo era Dante Alighieri. Con la dittatura comunista ci si poteva aspettare un raffreddamento dell'attenzione verso Dante. L’Albania è il paese ex comunista dove Dante Alighieri è più studiato. Addirittura Dante Alighieri è più studiato in Albania che in Francia. Questo amore che non cambia per la politica o per un’occupazione è una grande cosa. L’opera completa di Dante Alighieri è stata tradotta tre volte durante il comunismo in Albania. Dante è uno scrittore che ha messo in difficoltà il comunismo. L’Inferno di Dante veniva paragonato ai gulag comunisti e ciò lo rendeva poco gradito ai regimi comunisti, perché l’essenza della sua opera era la punizione del crimine: chi commette il crimine deve pagare. Per questo il comunismo non lo amava. Nonostante questo è stato tradotto in Albania. Io penso che l’Italia avrebbe dovuto essere più attenta verso l'Albania. Doveva aiutarla. Come ha fatto la Francia con l'Algeria, da sempre molto sensibile verso la sua ex colonia, nonostante fosse lontana, in un altro continente e di religione musulmana. Noi abbiamo un'importante comunità albanese in Italia, il Paese con noi si è comportato molto bene. Ma durante il comunismo l’Italia sapeva cosa stava accadendo in Albania, avrebbe dovuto interessarsi molto di più. L’Italia si interessa a Paesi molto lontani come Madagascar, Angola e altri, ma non all’Albania. Io a volte vedo dei documentari italiani sulla Seconda guerra mondiale e in alcuni viene dedicato non più di trenta secondi all’occupazione italiana dell’Albania nel 1939 operata da Mussolini.
All’Académie des sciences morales et politiques di Francia lei ha preso il posto di uno dei massimi esponenti del pensiero liberale del ‘900, Karl Popper. Che effetto le ha fatto sostituire un personaggio così importante? E’ stata una responsabilità?
In primis voglio dire che non la considero una responsabilità. La seconda cosa è che gli scrittori hanno una caratteristica: non vengono eletti dal popolo come i politici. Da questo punto di vista gli scrittori rappresentano se stessi e non hanno nessuna responsabilità, si può dire che uno scrittore è un ‘irresponsabile’. Naturalmente sto scherzando. Sicuramente per me è stato un grande onore essere eletto al suo posto. Karl Popper oltre ad essere un grande filosofo era una persona simpatica, che ho avuto la fortuna di conoscere personalmente. E' stata una coincidenza che io fui eletto proprio al suo posto. Voglio chiarire: i posti nell’istituto francese sono limitati ed è stato un grande onore che l’Albania tramite me abbia avuto un posto in questa sede. In tutto i membri stranieri sono 12: è stata una casualità che sia toccato a me.
Non si può dire che le manchi la modestia…
Non è modestia. Perché chiamarla così? Non accetto il concetto di modestia riferito agli scrittori. In Albania durante il comunismo si utilizzava molto spesso la parola ‘modestia’ riferita ai letterati. Lo Stato voleva gli scrittori sottomessi, con la ‘testa bassa’, e ripeteva in continuazione: “dovete essere modesti”. Quella della ‘modestia’ era una delle direttive principali date da Lenin.
Peter Morgan nel suo libro Ismail Kadarè, The writer and the dictatorship 1957-1990 paragona il suo rapporto con il dittatore albanese Enver Hoxha a quello tra due maestri di scacchi impegnati in una difficile partita. Si riconosce in questo paragone?
Non mi sembra un paragone esatto. Non solo nel mio caso, ma in generale tra uno scrittore e un dittatore non può esserci nessun tipo di legame. L’unico legame tra di loro è solo il fatto che sono tutti e due ‘tiranni’, ma uno vero e l’altro falso. In realtà per uno scrittore il dittatore è un falso tiranno. Lo dico in generale: la coscienza di uno scrittore non lo può accettare. Le racconto due aneddoti sul rapporto tra me e Hoxha: siamo tutti e due della stessa città (Argirocastro, ndr), dello stesso quartiere e addirittura dello stesso vicolo che ha un nome davvero strano: “Vicolo dei pazzi”. Questo è un dato di fatto, lei può verificare se vuole. Durante il regime un giornalista svedese, scherzando, ha scritto: i due albanesi più famosi del mondo provengono dallo stesso vicolo che si chiama “Vicolo dei pazzi”. Una battuta pericolosa per l’epoca. Ma che spiega tanto. Quest’altro episodio è accaduto a mia figlia: lei, genetista, ha partecipato anni fa ad un congresso medico internazionale conclusosi con un ballo come da abitudine. Ballò con uno sconosciuto collega straniero che gli chiese: “Lei da dove viene?”. Mia figlia rispose: “Vengo dall’Albania”. Il tizio si scusò poiché non conosceva nulla dell’Albania. Dopo un po’ aggiunse: “Mi sembra di aver sentito qualcosa. Voi avete avuto nel vostro Paese un dittatore molto feroce”. “Sì”, rispose mia figlia. Lui continuò: “Lo vedi che so qualcosa del tuo Paese? Mi viene persino in mente il suo nome: Ismail Kadarè”. Mia figlia, ridendo, disse: “Questo non può essere vero perché Kadarè è mio padre”. Il seguito si capisce da sé.
Cosa ha significato fare lo scrittore sotto un regime dittatoriale come quello albanese?
Secondo il mio parere non è così inaspettato come può sembrare. La maggior parte dei regimi del mondo è stata, se non proprio dittatoriale, almeno molto dura. La letteratura si è abituata a questo.
L’attuale premier albanese Edi Rama le ha proposto di diventare presidente della Repubblica d’Albania, ma lei ha rifiutato. Perché?
Rama non è stato l’unico a propormi per la presidenza della Repubblica, anche altri me l’hanno proposto. Ormai è diventata un’abitudine. Sapendo che non avrei accettato, per loro era facile farmi questa proposta. Un incarico del genere non è nella mia natura. Lo scrittore non è un essere democratico, lo scrittore è un essere solitario, lavora con la propria testa. Ciò va bene per la letteratura, ma non per la democrazia, io per lo meno la penso così.
Negli ultimi anni la sua produzione letteraria si è concentrata sulle questioni balcaniche, e in particolare sul tema del Kosovo. Il libro Sui crimini nei Balcani racconta con precisione e puntualità la drammatica vicenda del Kosovo che ha avuto come epilogo la nascita dello stato kosovaro. Per chi guarda dall’esterno a quei drammatici avvenimenti è difficile capire come sia potuto maturare tanto odio in quella terra. Lei che risposta si è dato?
E’ vero, è una nostra sfortuna comune. Forse ha le proprie radici in una situazione anomala della penisola balcanica. Tra le tre penisole del sud Europa, quella iberica, quella italiana e i Balcani, i più sfortunati sono stati proprio i Balcani perché, pur facendo parte dell’Europa, per cinque secoli ne sono stati staccati per poi riunirsi a lei come un figlio sconosciuto che torna dalla propria madre. Secondo me tutto ciò ha creato questa anomalia che ci fa vergognare tutti. Un giorno questo odio scomparirà dai Balcani. E’ ineluttabile. La civiltà europea è caduta proprio lì dove era iniziata.
In diversi saggi lei parla a lungo della rivalità serbo-albanese, una rivalità che ha origini antiche e che, come dimostrato da quanto accaduto a Belgrado durante la partita di calcio Serbia-Albania, è ancora lontana dallo spegnersi. Riusciranno queste due nazioni ad avere prima o poi un rapporto di buon vicinato?
Secondo una cultura umanitaria io dovrei rispondere: sì, arriverà quel momento. Sarebbe bello dire così. Ma da un punto di vista ‘irresponsabile’ penso che questo arriverà solo grazie ad una pressione internazionale. Ciò per me è una fortuna. I piccoli Stati non devono diventare servili verso i grandi, ma è opportuno che in alcuni casi obbediscano. Un atteggiamento deciso dell’Europa occidentale sarebbe salutare per tutta la penisola perché l’essenza del problema (che consiste in quel distacco dei Balcani dall’Europa) è il successivo ritorno in Europa. Alcuni pensano che sarebbe un lusso essere europei. Ma per l’Albania entrare in Europa è questione di vita o di morte. Per l’Albania e per tutti i Paesi balcanici. Si salverà il primo che riuscirà a capirlo.
Non trova un paradosso che l’Albania e i Paesi balcanici vogliano entrare in Europa proprio ora che l’Ue sembra in crisi?
Lo so. Ma una crisi continentale è una cosa diversa da una crisi dei Paesi più piccoli. Io, come si dice, non vivo un ‘idillio’ per l’Europa. Io so com’è l’Europa. Ma io difendo sempre la tesi che noi balcanici dobbiamo essere europei con le cose buone e meno buone dell’Europa, perché dobbiamo riconoscere che questa civiltà ha cose buone e meno buone.
In questi ultimi mesi le cronache internazionali sono state riempite dai drammatici fatti del Medio Oriente. L'orrore degli ostaggi decapitati, dei cristiani e degli Yazidi in fuga dalle loro terre, le donne violentate e vendute. Come può difendersi il mondo da questa minaccia?
Ci sono alcuni tipi di minacce da cui il mondo può difendersi solo con una tenacia molto forte, non bisogna essere aggressivi ma bisogna essere decisi nel difendersi. Perché quando due forze si scontrano quella che è più civile è più debole, o, per meglio dire, sembra essere più debole. Il forte, l’incivile, il cattivo comprende la propria “pazzia” come una forza.
A settembre in Kosovo sono state arrestate 15 persone sospettate di terrorismo e di attività legate all'estremismo religioso e al reclutamento di integralisti islamici disposti a combattere a fianco dell'Is e di Al Nusra in Siria e Iraq, mentre solo poche settimane fa scritte inneggianti all'Is sono comparse sui muri di cinta del monastero ortodosso di Visoki Decani nell'Ovest del Kosovo. Crede che il proselitismo dell'estremismo islamico possa esercitare influenza sui giovani del Kosovo e dell’Albania?
Si, credo un’influenza limitata e per un periodo di tempo limitato. Sarà solo un’ondata di passaggio. Un accumulo di incomprensioni. Alcuni offrono la spiegazione del disagio sociale ma io non credo a questo perché le cause sociali vengono ingigantite là dove non si vuole vedere la verità.
Lo scorso 9 novembre tutta l’Europa ha ricordato il 25esimo anniversario del crollo del Muro di Berlino. All’epoca l’Europa si avviava verso la fine della guerra fredda ma oggi con la crisi Ucraina sembra stia riprendendo un processo di allontanamento tra la Russia e l’Occidente. I Paesi dell’Est, soprattutto i Baltici e la Polonia, temono molto l’attivismo del presidente russo Putin. Lei crede che questo possa rappresentare una minaccia per la pace mondiale?
Si, è possibile. Ma dipende dalla strategia della risposta, da come risponderà l’Occidente.
Che idea si è fatto di Putin?
Purtroppo il popolo russo tollera tali leader, perché risvegliano illusioni. Bisogna cercare di capire la Russia: è stata un grande Paese e vuole tornare al grande prestigio del passato. Come mai la Russia vuole riguadagnare il suo antico prestigio? E’ così prezioso? Che senso avrebbe per un paese grande tre volte l’Europa ritornare all’antico prestigio? E’ una sfortuna ‘geografica’. L’umanità deve trovare un modo per evitarlo, è una sublimazione per un paese che è 300 volte più grande di un altro paese.
Qualche mese fa il presidente russo Vladimir Putin ha paragonato la scelta della Crimea di aderire alla Federazione russa alla vicenda che ha portato all'indipendenza del Kosovo. Secondo lei è possibile tracciare un parallelo tra queste due vicende?
Non credo, non si può fare un parallelismo. Il Kosovo è un caso molto chiaro. E’ un popolo continuazione di un altro popolo e della stessa storia. Io non credo che la Crimea sia la continuazione della Russia, è un caso è molto diverso.
Pensa che un giorno il Kosovo possa unirsi all’Albania?
Non è escluso, ma questo non è il programma dell’Albania. Non abbiamo posto tale questione. L’adesione dei Balcani all’Europa è troppo importante. L’Albania e il Kosovo (o l’unione dei due Stati), entrando nella grande famiglia delle Nazioni, troveranno in modo naturale la miglior soluzione. Sinceramente non posso prevedere quale soluzione sarà trovata, ma essendo il Kosovo attaccato all’Albania, avendo la stessa storia, la stessa lingua e una comune morale storica non c’è altra soluzione. Ma questo accadrà quando non sarà così importante.
A giugno l’Albania è diventata ufficialmente uno Stato candidato ad entrare nell’Unione Europea. Lei più volte ha sottolineato in passato l’importanza di questo passaggio e ha raccontato delle resistenze interne che ci sono state sul cammino verso l’Europa dell’Albania. Ci sono ancora queste resistenze?
Sfortunatamente si. Ci sono, ma sono isolate, limitate, sono fuori tempo, senza logica, senza nessuna ragione.
Nel libro Sui Crimini nei Balcani si può leggere anche un importante scambio epistolare tra lei e i più grandi personaggi della storia mondiale recente. Molto toccante la lettera inviata da lei a Papa Giovanni Paolo II, proclamato santo pochi mesi fa. Che ricordo ha di Karol Wojtyla?
Papa Wojtyla era molto vicino all’Albania e a tutti i Balcani per due motivi: in primis perché portava un'aspirazione europea nei Balcani in un universo in cui l’aspirazione europea era vista come nemica. Inoltre portava allo stesso tempo una dissidenza interna al comunismo. Lui comprendeva benissimo i Paesi ex comunisti, questo all’epoca aveva una grande importanza. Papa Wojtyla è profondamente nella nostra memoria.
Papa Francesco ha effettuato il 21 settembre il suo primo viaggio apostolico in Europa proprio in Albania e ha indicato il suo Paese come esempio di pacifica convivenza tra le fedi. Su cosa si basa l’armonia religiosa in Albania?
Questa è una vera e concreta armonia, non una metafora. Non è una visione rosea, ma una realtà. Gli albanesi prima di sposarsi non chiedono la fede religiosa del coniuge, ma la domandano solo dopo il matrimonio. Né sono interessati alla fede religiosa del presidente della Repubblica o del premier. In questi fatti io trovo la concretezza dell’armonia.
Persino negli Stati Uniti la fede dei candidati alla presidenza ha una certa rilevanza in chiave elettorale…
Questo è vero. Per esempio negli anni '30, quando esisteva una forte rivalità politica tra monarchici e repubblicani, nessuno sottolineava che l'avversario del Re fosse un vescovo. Ma ciò non aveva nessuna rilevanza. Fan Noli era il vescovo dell’Albania, era rivale del Re, ma nessuno chiedeva quale fede professasse. Mi sono sempre interessato a Fan Noli, perché lui faceva parte della grande famiglia degli scrittori. Tuttavia la sua carica vescovile non era né la sua forza né la sua debolezza. Fan Noli non ha mai fatto leva sulla religione come strumento per vincere o perdere le sue battaglie politiche.