L’antropologia kerygmatica di papa Francesco. Breve nota di Andrea Lonardo
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Il Centro culturale Gli scritti (1/12/2014)
Papa Francesco parla spesso di morale, invitando a convertire il cuore perché si faccia carico delle necessità dei fratelli. Egli afferma con grande profondità che la carità appartiene all’essenza stessa del Vangelo e non è qualcosa che viene solo dopo: senza la carità, senza uno sguardo che si diriga alle periferie, senza il rifiuto di una cultura dello scarto, il vangelo è come sfigurato, meglio, è mutilato in una dimensione essenziale.
Ma questa sua attenzione dipende da uno sguardo di fede sull’uomo. Se l’uomo fosse solo un pugno di polvere, se fosse solo un caso nell’universo, allora per lui varrebbe la legge della selezione naturale che scarta i più deboli perché sopravvivano solo le specie più adatte all’esistenza.
Amare i poveri, amarli di un amore preferenziale, vuol dire avere lo sguardo di Gesù: essi hanno una dignità incomparabile. È un’antropologia kerygmatica quella cui ci invita con sapienza il papa. Non è semplicemente porre l’uomo al centro, ma porlo esattamente perché egli ha una dignità incomparabile. Se l’uomo non fosse a immagine di Dio, allora sarebbe giusto e naturale scartare chi non è adatto alla vita. Parliamo dell’uomo, ma parliamo allora del kerygma sull’uomo: l’uomo è grande, l’uomo è degno, l’uomo è prezioso, perché Dio è Dio e ha voluto e vuole ogni uomo che nasce sulla terra. Esiste la garanzia di un senso della vita umana: questo senso è difeso dalla fede.
Parliamo allora dell’uomo, ci obbliga a farlo la nostra antropologia kerygmatica.