Un piccolo contributo per il Sinodo che si apre, di Andrea Lonardo
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Il Centro culturale Gli scritti (3/10/2014)
Di cosa hanno bisogno le nuove generazioni per divenire mariti e mogli e padri e madri e vedere i figli dei loro figli?
Il mio sguardo si volge al futuro, ai bambini ed ai giovani, ai catecumeni adulti ed ai bambini battezzandi che stanno crescendo per prepararsi a vivere. Il mio punto di vista è ristretto e per il servizio che svolgo obbligato, occupandomi di Iniziazione cristiana e, quindi, dell’inizio della fede.
Io ho il desiderio che il Sinodo parli di loro, con loro e per loro. Non solo per loro, ma che pensi anche a loro. In una struggente canzone Niccolò Fabi, scrivendo in prima persona, afferma di essere
«orfano di origine e di storia
e di una chiara traiettoria,
orfano di valide occasioni
del palpitare di un'idea con grandi ali
di cibo sano e sane discussioni
delle storie, degli anziani, cordoni ombelicali
orfano di tempo e silenzio
dell'illusione e della sua disillusione
di uno slancio che ci porti verso l'alto
di una cometa da seguire, un maestro d'ascoltare».
Vorrei che il Sinodo si occupasse innanzitutto di questo. Vorrei che sapesse comunicare ai bambini ed ai giovani che vale la pena sposarsi e generare figli.
Che li aiutasse proprio perché hanno paura di questo. Hanno paura e per questo potrebbero non sposarsi mai e non divenire mai padri e madri – è la questione del futuro di tante nostre nazioni. È evidente che esiste nelle giovani generazioni una grande paura delle promesse, delle scelte, del divenire sposi e del divenire genitori.
Io lo posso testimoniare anche dal mio ristretto punto di vista: molti dei catecumeni adulti sono conviventi e molti bambini e ragazzi dell’Iniziazione cristiana crescono sentendosi dire che è meglio non sposarsi, che è meglio non assumersi la responsabilità di diventare genitori.
Si noti bene - non dobbiamo mai stancarci di ripeterlo con papa Francesco – non si tratta qui di questioni moralistiche, si tratta piuttosto della bellezza di una vita che esce dal narcisismo e scopre la bellezza dell’amore.
Il mio parroco estremamente aperto, quando ero felicemente vice-parroco, spiazzava i giovani fidanzati che partecipavano al corso di preparazione al matrimonio, dicendo che chi si sposava dopo aver convissuto si separava poi negli anni in percentuale in misura maggiore di chi si sposava senza aver prima convissuto – il dato è reale.
E proseguiva spiegando loro - che restavano ad occhi aperti - che il matrimonio non è questione di conoscenza dell’altro o di scelta della persona giusta, altrimenti i conviventi giunti al matrimonio avrebbero poi avuto di conseguenza dei matrimoni felicissimi.
Cosa mostra oggi ai giovani che vale la pena sposarsi e che la promessa di un amore eterno non delude? È veramente diverso sposarsi o avere relazioni affettive senza alcuna promessa? O l’una cosa vale l’altra ed allora è meglio lasciar perdere il matrimonio, perché ne conseguono solo oneri, ma nessun centuplo quaggiù? Frequente è ormai la battuta – me la si passi, perché non vuole irridere contro qualcuno, ma solo testimoniare dello scarso interesse che sembra riscuotere oggi il tema del matrimonio – “Nessuno vuole più sposarsi, tranne i preti ed i gay”. Anche il numero dei separati risposati – di coloro che hanno celebrato almeno un matrimonio, anche se solo civile - è destinato a diminuire rispetto al numero crescente dei conviventi di ogni età.
Vorrei non solo porre tale questione che a me sembra decisiva, ma anche aggiungere qualche notazione evangelicamente positiva e carica di passione e gioia. Sono colpito dal fatto che ogni volta che si pone ai bambini ed ai ragazzi la questione del loro futuro affettivo, si crea un evidente interesse.
Se non li si tratta da bambini in modo infantile e si dice loro: “Quando i vostri genitori avevano la vostra età non sapevano che vi avrebbero avuto come figli, non immaginavano neanche la bellezza di sposarsi e di farvi nascere, pur con mille fatiche. E voi, quanti figli avrete?”, ecco che improvvisamente si accorgono che vanno alle elementari non tanto per avere un buon voto, ma per divenire uomini.
Quando si riflette con ragazze e ragazzi adolescenti e si dice loro: “Pensate, fra una decina d’anni nel vostro grembo porterete un bambino e sarete forti e generose; e voi ragazzi, sarete i padri di questi bambini e insegnerete loro il bene e il male e la gioia di vivere; e insieme uomini e donne camminerete insieme nell’amore con i vostri piccoli”, ecco che ragazzi anche lontani dalla fede, immediatamente si sentono presi sul serio e si accorgono di esser liberi perché il loro domani non è ancora scritto e non sanno ancora se diverranno mariti e mogli e padri e madri.
Come parlare oggi della bellezza di una promessa? E della grazia che la sostiene? E dei figli dei figli che nasceranno? Come parlare loro non con astratte argomentazioni teologiche o filosofico-moralistiche, ma con immagini tratte dalla vita, con testimonianze che toccano i cuori, perché le giovani generazioni sentano che lì c’è bellezza, che lì c’è vita, che lì soffia lo Spirito del Signore.
Vorrei che il Sinodo non si preoccupasse innanzitutto di chi ha fatto già le sue scelte, ma che, prima ancora, volgesse il suo sguardo a chi si sta preparando a farle. Desidero un Sinodo che sia profetico, che dica una parola che prepari i tempi che verranno.
La mia sensazione è che questo sguardo libero possa poi aiutare a vedere con maggiore serenità anche la condizione di chi ha tentato e non è riuscito. Sarà allora importante la domanda come far sì che egli viva comunque per testimoniare alle nuove generazioni che vale la pena credere nel matrimonio e cercare di non ricadere negli errori – ed anche nei peccati – delle generazioni precedenti. Saranno poi i giovani a riuscire e a cadere ancora. Ma, intanto, servono testimoni che indichino loro il cammino.