Dinanzi alla violenza in nome di Allah: la grande domanda che l’Islam ha dinanzi a sé alla quale solo gli islamici possono rispondere, di Giovanni Amico
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Mettiamo a disposizione sul nostro sito alcuni appunti di Giovanni Amico. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. Per approfondmenti sull'Islam, vedi la sezione Cristianesimo, ecumenismo e religioni.
Il Centro culturale Gli scritti (10/8/2014)
Il ripetersi di fatti inauditi di violenza in nome di Allah mostra a chiunque sia in buonafede che il problema è costitutivo per l’Islam odierno. Non è sufficiente affermare che sono solo minoranze islamiche che compiono atti efferati: si ammetta pure che solo il 35% dei musulmani sia d’accordo con azioni violente[1], ne consegue che per il restante 65% non sarà sufficiente affermare che ciò non è conforme alla fede islamica, ma si tratterà piuttosto di generare un movimento di opinione che contrasti efficacemente la minoranza violenta[2].
Non spetta a chi non è musulmano risolvere questo problema: dall’esterno si può dare una mano, ma non risolvere i dilemmi interni dell’Islam. Farsi carico della risposta sarebbe dare corpo a quel senso di vittimismo che impedisce ad ognuno, ed in questo caso agli islamici, di prendere su di sé la responsabilità del proprio destino[3].
Il problema, a nostro avviso, è semplice e si può porre in questi termini, per aiutare i musulmani ad affrontarlo. Maometto ha combattuto ben 27 campagne militari ed ha ucciso, Maometto ha decretato lo sterminio di intere tribù nella penisola arabica, la guerra santa è stata fin dall’inizio una guerra di conquista militare per l’espansione dell’Islam che ha portato in pochissimi decenni gli arabi alla conquista del medio oriente, del Nord africa, di parte dell’Europa (Andalusia, Sicilia, Puglia, Garigliano, Saint-Tropez, ecc. ecc.), della penisola anatolica fino alle porte di Costantinopoli (per non parlare dell’avanzata delle armate turche che si sostituirono a quelle arabe a partire dal 1077): l’enunciazione di questi fatti non è un offesa all’Islam, anzi qualsiasi musulmano sarà d’accordo con queste evidenze storiche.
Il problema è piuttosto che i musulmani violenti si richiamano a queste origini dell’Islam. Chiedendo ai loro confratelli di convertirsi al vero Islam hanno gioco facile nel ricordare loro che questa è la storia primitiva della diffusione islamica.
Agli altri musulmani spetta, allora, di mostrare che questi fatti originari erano dovuti ad eventi contingenti e non solo essenziali al vero Islam. Spetta loro mostrare che si può essere islamici e chiedere scusa, come hanno fatto altre religioni come il cristianesimo, degli eventi violenti della propria storia passata.
Se tali fatti originari non hanno più valore per l’oggi, allora sarà possibile rifiutare gli atti violenti odierni dell’Islam. Per proporre un Islam che oggi rinneghi la violenza contro le minoranze, permetta la conversione di un islamico al cristianesimo, si schieri a favore di una vera libertà religiosa, è necessaria una lettura critica della storia islamica.
Altrimenti i violenti avranno vita facile, poiché accuseranno gli islamici moderati di aver abbandonato la fede e di essersi lasciati corrompere dai costumi occidentali. In termini tecnici è in questione un’ermeneutica delle origini, una capacità di lettura critica della nascita e dei primi secoli dell’Islam, che mostri che alcuni eventi violenti originari non siano avvenuti per volontà divina, bensì siano dipesi da scelte contingenti ed opinabili dei primi musulmani.
A noi che non siamo musulmani non è possibile rispondere se può darsi un Islam che rinneghi la violenza delle sue origini, contestualizzandola e ritenendola inessenziale. Non possiamo noi rispondere come si caratterizzerebbe un Islam che accettasse che le scelte di fede sono pienamente libere, che accettasse cioè che come un cristiano può divenire musulmano, così un musulmano può divenire cristiano senza che nessuno eserciti violenza se la sua coscienza lo spinge a questo passo. Non possiamo noi rispondere alla domanda se può esistere un Islam che in uno Stato a maggioranza musulmana conceda ad altre religioni o allo stesso ateismo di predicare liberamente le proprie opinioni.
Però è non solo un nostro diritto, ma anche un nostro dovere porre ai musulmani queste domande, proprio perché vogliamo essere loro amici e non amici di facciata, bensì amici leali e sinceri, liberi come è libero ogni vero amico.
Dalle risposte a queste domande dipende molto della storia futura del mondo e dell’Islam stesso.
Ci piace sottolineare che queste riflessioni non sono suscitate dalla paura di una possibile affermazione planetaria dell’Islam, anzi. La nostra presa di posizione è dettata dalla paura opposta: se la maggioranza silenziosa dell’Islam non si affretterà ad affrontare queste questioni è pensabile piuttosto una scomparsa dell’Islam a livello mondiale. O l’Islam, infatti, sarà capace di mostrare a se stesso che è in grado di maturare una visione serena della modernità, altrimenti crollerà d’improvviso. E crollerà tragicamente dopo aver ingoiato nella sua violenza un numero enorme di musulmani – è evidente agli occhi di chiunque che le vittime musulmane dell’odierna crisi che l’Islam sta attraversando sono in numero infinitamente maggiore delle morti che le minoranze violente islamiche infliggono ai non musulmani.
Fra l’altro numerosi paesi islamici sono possessori di enormi ricchezze: ma per convertire questi beni in scelte educative che si preoccupino della formazione di ragazzi e ragazze islamiche che sappiano guardare in maniera critica alle origini dell’Islam, in vista di una visione dell’Islam adeguata al XXI secolo, serve che per primi i governanti scelgano una visione chiara dell’Islam che intendono proporre.
Note al testo
[1] È inutile nascondersi dietro ad un dito: le minoranze islamiche favorevoli alla violenza non sono l’1% o il 5% della popolazione, ma siamo in presenza di percentuali molto più alte, sebbene alcune statistiche dell’anno in corso comincino a registrare un calo, sebbene ancora contenuto, di tali percentuali.
[2] La totale assenza di manifestazioni contro gli atti efferati compiuti in nome dell’Islam in molti paesi a maggioranza islamica e l’insignificanza di manifestazioni negli altri parla con evidenza dello stato di empasse in cui si trovano i musulmani. Ma ciò che è, a nostra avviso, ben più significativo è la mancanza di una chiara scelta educativa nei confronti delle nuove generazioni – di questo si parlerà oltre.
[3] A nostro avviso, grave è la responsabilità dei media occidentali che sposano e incoraggiano il vittimismo di alcune correnti di opinione musulmane e non le invitano ad una seria assunzione di responsabilità, a partire dalle potenzialità enormi che esse hanno ad esempio a livello economico.