Savonarola ed i falò delle vanità: breve nota di A.L.
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Il Centro culturale Gli scritti (10/8/2014)
«Il carnovale seguente, che era costume della città far sopra le piazze alcuni capannucci di stipa et altre legne, e la sera del martedì per antico costume arderle queste con balli amorosi… si condusse a quel luogo tante pitture e sculture ignude molte di mano di Maestri eccellenti, e parimente libri, liuti e canzonieri che fu danno grandissimo, ma particolare della pittura, dove Baccio portò tutto lo studio de' disegni che egli aveva fatto degli ignudi, e lo imitò anche Lorenzo di Credi e molti altri, che avevon nome di piagnoni».
Questo il racconto del falò delle vanità comandato da Girolamo Savonarola il 7 di febbraio del 1497 a Firenze. Vennero date alle fiamme cose peccaminose, libri, gioielli, vestiti, sculture, pitture, strumenti musicali, canzoni profane, specchi, cosmetici. Le intenzioni del Savonarola erano quelle di arrestare la corruzione imperante a Firenze, ma i modi non erano certamente quelli di un paladino delle libertà.
Savonarola non solo predicava contro i lussi - "Tu vorresti roba: vivi secondo Dio e parcamente e non volere le pompe, e le vanità, ed a questo modo, risparmierai ed avrai più roba" (dalle Prediche italiane ai Fiorentini) – e le mondanità del tempo, ma imponeva anche alla città una moralità estremamente stretta che gli derivava dalla sua peculiare interpretazione del cristianesimo. Pochi anni dopo sarà Calvino ad imporre a Ginevra una visione teocratica della società con un bando analogo a quello savonaroliano dei balli, dei giochi, dei passatempi e dei divertimenti che non riteneva adeguati alla sua visione del Vangelo.