L’IMU (ex ICI) degli altri: giustamente non lo pagano la Caritas, Sant’Egidio, le scuole cattoliche, ma anche la Chiesa valdese, la Comunità ebraica, l’Anffas, Emergency, Amnesty International, l’ARCI, l’ARCIGAY e così via, ovviamente solo per gli edifici che hanno uso non commerciale
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1/ Ici e Chiesa, le parole e i fatti, di Sandro Magister
Riprendiamo dal sito http://chiesa.espresso.repubblica.it/ di Sandro Magister alcuni passaggi di un suo articolo pubblicati il 9/12/2011 e poi ripubblicato in forma lievemente modificata sul sito de L’Espresso il 12/12/2011. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line. Per approfondimenti, cfr. la sezione Solidarietà e sussidiarietà.
Il Centro culturale Gli scritti (14/7/2014)
Un'immagine della manifestazione dell'ARCI a Firenze
per la riconsegna delle chiavi dei circoli, delle case del
popolo e di Sms al prefetto quando si paventò che organizzazioni
come l'ARCI dovessero pagare l'ICI per gli edifici no-profit
Infuria l'attacco contro la Chiesa cattolica che non paga l'Ici [l’articolo è del 2011 e vale, mutatis mutandis, anche per l’IMU]. Ed è vero: per molti suoi immobili la Chiesa non la paga né la deve pagare. Non per un privilegio esclusivo, ma per una legge, la 504 del 30 dicembre 1992 (primo ministro Giuliano Amato), che, se oggi fosse fatta cadere, penalizzerebbe assieme alla Chiesa una schiera nutritissima di altre confessioni religiose, di organizzazioni di volontariato, di fondazioni, di Onlus, di Ong, di Pro loco, di patronati, di enti pubblici territoriali, di aziende sanitarie, di istituti previdenziali, di associazioni sportive dilettantistiche, insomma di enti non commerciali.
La legge esenta tutti questi enti, compresi quelli che compongono la galassia della Chiesa cattolica, dal pagare l'Ici sugli immobili di loro proprietà "destinati esclusivamente allo svolgimento di attività assistenziali, previdenziali, sanitarie, didattiche, ricettive, culturali, ricreative e sportive, nonché delle attività di cui all'articolo 16, lettera a) della legge 20 maggio 1985 n. 222", ovvero le attività di religione o di culto.
Questo vuol dire, ad esempio:
– che una parrocchia di Milano non paga l'Ici per le aule di catechismo e l'oratorio, ma la paga per l'albergo che ha sulle Dolomiti, abbia o no questo al suo interno una cappella.
– che la Caritas di Roma non paga l'Ici per le sue mense per i poveri, né per l'ambulatorio alla Stazione Termini, né per l'ostello nel quale ospita i senza tetto. E ci vuole un bel coraggio a dire che così fa concorrenza sleale a ristoranti, hotel e ospedali.
– che la Chiesa valdese giustamente non paga l'Ici per il suo tempio di Piazza Cavour a Roma, né per le sale di riunione, né per l'adiacente facoltà di teologia. La paga, però, per la libreria che è a fianco del tempio.
– che la comunità ebraica di Roma non paga l'Ici per la Sinagoga, per il Museo, per le scuole. Ma la paga per gli edifici di sua proprietà adibiti ad abitazioni o negozi.
– che l'Anffas, associazione che assiste 30 mila disabili, non paga l'Ici per ciascuno dei suoi oltre mille centri. Ma la paga per gli immobili di sua proprietà dati in affitto.
– che non va pagata l'Ici per l'ex convento che fa da quartier generale della comunità di Sant'Egidio, né per le sue case per anziani. Va pagata invece per il ristorante che la comunità gestisce a Trastevere.
[...]
Come obnubilati dalla febbre della polemica, tutti costoro nemmeno sembrano capire che pretendere che la Chiesacattolica paghi l’ICI anche per gli immobili su cui è esentata – cioè le chiese, i musei, le biblioteche, le scuole, gli oratori, le mense, i centri d’accoglienza, e simili – vuol dire punire l’immenso contributo dato alla vita dell’intera nazione non solo dalla Chiesa stessa ma anche da ebrei e da valdesi, da Caritas e da Emergency, da Telethon e da Amnesty International, insomma da tutti quegli enti non profit per i quali vige l’identica normativa.
Se l’esigenza numero uno dell’Italia è la crescita, tale multiforme, generosa, formidabile offerta di apporti non va penalizzata, ma sostenuta. Le esenzioni dall’ICI previste dalla legge non sono denari in perdita. Sono risorse che ritornano moltiplicate allo Stato e alla società.
L’espresso 12 dicembre 2011 © Riproduzione riservata
2/ «Il nostro futuro nella difesa della scuola paritaria», di Daniel Funaro, consigliere dell'Unione Giovani Ebrei di Italia
Riprendiamo dal sito Moked un post di Daniel Funaro pubblicato il 6/6/2013. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line.
Il Centro culturale Gli scritti (6/7/2014)
Sarei abbastanza curioso di comprendere secondo quale ordine e ragione qualcuno pretenda di scegliere i valori che lo Stato italiano dovrebbe trasmettere a tutti i giovani italiani. Non mi pare che questa classificazione esista per davvero e mi sembra che chi la esplicita abbia scelto un po’ quello che preferiva. Ma in questi ragionamenti faccio davvero fatica a trovarne un senso. A prescindere però da questo, bisogna chiedersi se è davvero compito di uno Stato quello di trasmettere valori, o se forse questo compito non spetti invece ai genitori.
Perché oltre alla volontà di far confusione, ciò di cui si sta parlando è ben altro. Se lo Stato sceglie di non erogare più neanche quel minimo di fondi che destinava alle scuole paritarie queste saranno costrette a chiudere. Creando così un monopolio dell’educazione che, de facto, impedisce a forme alternative di educazione di avere luogo nel Paese.
Nel caso specifico significherebbe che le scuole cattoliche ed ebraiche verrebbero chiuse e così il diritto di scegliere l’educazione che si ritiene più appropriata per i propri figli per molti verrebbe lesa. Una scelta ideologica di questo tipo, come fa a non richiamare il modello dello Stato etico?
Se in un paese in cui esiste la libertà di stampa, lo Stato pone pesanti dazi sull’editoria privata e a rimanere a disposizione saranno soltanto i giornali governativi, vi sentireste realmente liberi? Non credo. Questo è il problema: che una democrazia matura e civile dovrebbe permettere, garantire e addirittura facilitare forme di educazione alternative. Soprattutto quando questo convengono alla collettività sul piano economico.
Perché bisogna essere decisamente miopi per non capire che se in Italia ogni bambino di scuola primaria costa allo Stato settemiladuecento euro circa e quello di scuola paritaria circa novecento, con la chiusura delle paritarie, i bambini saranno costretti ad andare tutti alla statale, con costi maggiori per la casse pubbliche.
Mi dispiace poi che chi sostiene il prima assoluto della scuola statale, in modo neanche tanto corretto, mi attribuisca responsabilità che non mi appartengono, come quelle di disinteressarmi dei giovani ebrei italiani che non frequentano le scuole ebraiche.
Mi pare che qui sia l’esatto contrario. La verità è che il futuro dell’ebraismo dipende dalle nostre scuole e dalle materie ebraiche che i nostri ragazzi hanno la possibilità di studiare. Quanti bambini hanno imparato a leggere lo Shemà, a mangiare kasher o i dettami dello Shabbat sui banchi di scuola? Quante famiglie si sono avvicinate alle mizvot grazie ai loro figli che frequentavano la scuola ebraica.
Un numero imprecisato che dovrebbe farci comprendere che occuparsi dei giovani ebrei significa garantire loro un futuro con un’identità forte con cui vivere nella società italiana. E se poi qualcuno ritiene che questo non sia importante perché la maggioranza degli studenti le scuole ebraiche non le frequenta, beh, del futuro dell’ebraismo italiano non ha capito davvero nulla.