Collettivo manierista. Alla metà del Cinquecento nell’Oratorio di San Giovanni Decollato si trovarono riuniti grandi interpreti della scuola pittorica romana, di Antonio Paolucci
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Riprendiamo da L’Osservatore Romano del 30/6/2014 un articolo scritto da Antonio Paolucci. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line.
Il Centro culturale Gli scritti (20/7/2014)
A partire dalla metà del Quattrocento, dagli anni di Niccolò V Parentucelli e poi per gran parte del XVI secolo toccando il culmine sotto i pontificati di Leone X e di Clemente VII Medici, i fiorentini sono stati, in Roma, la comunità più potente e più influente. Erano artisti come Michelangelo e come Antonio da Sangallo, banchieri come Bindo Altoviti, operatori finanziari mercanti e mediatori politici come i Gaddi e gli Strozzi.
Come tutte le comunità cristiane presenti a Roma i fiorentini avevano in San Giovanni, sulla riva destra del Tevere, la loro chiesa nazionale e nella Compagnia della Pietà o di San Giovanni Decollato il loro "club" spirituale. Non c'era fiorentino di qualche nome attivo a Roma che non si iscrivesse a quella confraternita. Anche Michelangelo, anche Antonio da Sangallo, anche Giorgio Vasari lo fecero.
La Compagnia di San Giovanni Decollato fondata nel 1488 e oggi, dopo più di cinque secoli, ancora ben viva e attivissima in molte attività benefiche, svolgeva all'epoca un compito quanto mai triste e doloroso; quello di accompagnare al patibolo i condannati a morte. Nella città cristiana il colpevole che la giustizia secolare affidava alla forca, prima di morire, doveva riconciliarsi con Dio e allo stesso tempo con la società che aveva offeso. Era compito dei "confortatori" accompagnare il condannato al patibolo attraverso un percorso spirituale, insieme religioso e psicologico, normato da veri e propri manuali d uso.
La chiesa e l'Oratorio di San Giovanni Decollato si trovano nel cuore di Roma, ai piedi del Campidoglio, lontani dai tradizionali percorsi turistici. Essi sono per lo storico dell'arte non meno che per lo storico della società e della religione, una esperienza straordinaria. Siamo intorno alla metà del XVI secolo. Negli anni fra il 1537 e il 1553 una mano di artisti selezionati da Giorgio Vasari dominus delle commesse pubbliche nella Roma di quegli anni, mise in figura sull'altare e sulle pareti dell'Oratorio di San Giovanni Decollato gli episodi salienti della vita del Precursore. Gli artisti sono i fiorentini Francesco Salviati e Jacopino del Conte, entrambi con un ruolo decisamente prevalente, ma ci sono anche il veneto Battista Franco e il napoletano Pirro Ligorio. La cultura figurativa che, sotto la supervisione del Vasari, esprime questo "collettivo" manierista, è quella che nasce dall'incontro-scontro fra il Raffaello delle Stanze e delle Logge declinato secondo la sofisticata antichizzante eleganza di Perin del Vaga e il Michelangelo della Sistina.
Le pitture parlano delle vittime innocenti della storia sacra; il Cristo prima di tutti, presente nella Deposizione dalla Croce di Jacopino del Conte, la pala che sta sull'altare maggiore, e poi Giovanni il Battista che fu giustiziato di spada per avere rinfacciato al tiranno Erode adulterio e iniquità. I condannati che vedevano queste pitture sapevano che anche Cristo e Giovanni avevano patito la morte cruenta che li aspettava. Sapevano anche che, se morivano in grazia di Dio, il loro giudizio era già avvenuto e per sempre.
Nel chiostro, nel luogo della fossa che, dopo l'esecuzione, accoglieva i corpi dei giustiziati, c'è una lapide che porta una iscrizione commovente: Domine cum veneris iudicare noli nos: "Signore quando verrai non ci giudicare", perché (questo è sottinteso) noi siamo stati già giudicati.
Vale la pena di osservare a una a una le pitture dell'Oratorio perché ci fanno intendere le tante declinazioni stilistiche che si confrontavano nella pittura romana di questi anni. C'è il michelangiolismo un po' enfatico di Battista Franco nell'Arresto del Battista e c'è il gusto scenografico di Pirro Ligorio, il quale tradisce la sua vocazione di architetto degli "effetti speciali" nello scenario antiquario che circonda la Danza di Salomè.
C'è l'eleganza sapientemente bilanciata di Francesco Salviati (un po' Logge di Raffaello, un po' Giorgio Vasari) autore della Visitazione, della Nascita del Battista e forse, almeno in parte, della Decollazione. Sopra tutti spicca il genio estroso di Jacopino del Conte autore della Predica del Battista, del Battesimo nel Giordano, dell'Annuncio a Zaccaria. Ma il suo capolavoro (appena restaurato e molto bene dalla Soprintendenza al Polo Museale di Roma) è la pala d'altare con la Deposizione dalla Croce.
È un quadro tragico e grandioso, giocato in toni di scuro su scuro, acceso tuttavia da fiammate di colori aciduli, irreali, che fanno pensare al protomanierismo fiorentino e al Pontormo della Visitazione di Carmignano. Come aveva bene inteso molti anni fa Federico Zeri, lo spirito contrito, la religiosità dolente, il patetismo espressionista della Controriforma hanno, nell'opera di Jacopino, le loro prime manifestazioni. Ho sempre pensato che questo è il genere di dipinti che deve avere impressionato EI Greco di passaggio per Roma prima di partire per la Spagna.