Papa Francesco e la catechesi dell’Iniziazione cristiana di bambini e ragazzi: primi appunti, di Andrea Lonardo (parte II)
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Riprendiamo sul nostro sito un articolo di Andrea Lonardo. Per approfondimenti, vedi la sezione Catechesi e pastorale. Per la I parte della riflessione, cfr. Papa Francesco e la catechesi dell’Iniziazione cristiana di bambini e ragazzi: primi appunti, di Andrea Lonardo (parte I).
Il Centro culturale Gli scritti (29/6/2014)
N.B. Questo articolo, come il precedente e come quello che seguirà sulla dimensione mistagogica della catechesi, cerca di rileggere alcune problematiche dell’Iniziazione cristiana di bambini e ragazzi alla luce delle prospettive aperte da papa Francesco. L’ottica è, quindi, forzatamente peculiare nella consapevolezza che il suo magistero è molto più ricco ed articolato[1].
[Continua dopo la I parte]
Un ulteriore elemento del magistero di papa Francesco che illumina la catechesi riguarda la parola che il catechista è chiamato a pronunziare: a noi sembra che le riflessioni dell’Evangelii gaudium (EG 135-159) sull’omelia possano ben essere applicate anche al linguaggio, ai contenuti ed al tono della catechesi.
1/ Una catechesi che parla con il cuore
Papa Francesco ricorda innanzitutto che l’omelia deve essere il dialogo di una madre che parla con i suoi figli. Così deve avvenire anche nella catechesi: «il figlio ha fiducia che tutto quanto gli viene insegnato sarà per il suo bene perché sa di essere amato. Inoltre, la buona madre sa riconoscere tutto ciò che Dio ha seminato in suo figlio, ascolta le sue preoccupazioni e apprende da lui […. ] La predica cristiana, pertanto, trova nel cuore della cultura del popolo una fonte d’acqua viva, sia per saper che cosa deve dire, sia per trovare il modo appropriato di dirlo. Come a tutti noi piace che ci si parli nella nostra lingua materna, così anche nella fede, ci piace che ci si parli in chiave di “cultura materna”, in chiave di dialetto materno (cfr 2 Mac 7,21.27), e il cuore si dispone ad ascoltare meglio. Questa lingua è una tonalità che trasmette coraggio, respiro, forza, impulso» (EG 139).
Anche se dovesse talvolta l’omelia come la catechesi dovessero essere noiosa, i figli percepiscono l’amore con cui una madre offre le sue parole ed il piacere con cui parla loro: questo modo di parlare ecclesiale-materno fa percepire il piacere che il Signore ha di parlare con il suo popolo.
E qui papa Francesco riesce a fare un balzo avanti all’annosa questione se l’omelia – e con essa la catechesi – debba essere biblica o piuttosto dogmatica o ancora morale:
«Un dialogo è molto di più che la comunicazione di una verità. Si realizza per il piacere di parlare e per il bene concreto che si comunica tra coloro che si vogliono bene per mezzo delle parole. È un bene che non consiste in cose, ma nelle stesse persone che scambievolmente si donano nel dialogo. La predicazione puramente moralista o indottrinante, ed anche quella che si trasforma in una lezione di esegesi, riducono questa comunicazione tra i cuori che si dà nell’omelia e che deve avere un carattere quasi sacramentale: “La fede viene dall’ascolto e l’ascolto riguarda la parola di Cristo” (Rm 10,17). Nell’omelia, la verità si accompagna alla bellezza e al bene. Non si tratta di verità astratte o di freddi sillogismi, perché si comunica anche la bellezza delle immagini che il Signore utilizzava per stimolare la pratica del bene. La memoria del popolo fedele, come quella di Maria, deve rimanere traboccante delle meraviglie di Dio. Il suo cuore, aperto alla speranza di una pratica gioiosa e possibile dell’amore che gli è stato annunciato, sente che ogni parola nella Scrittura è anzitutto dono, prima che esigenza» (EG 142).
La catechesi non è né una lezione di esegesi, né una lezione di teologia, né una lezione di morale. Si tratta invece di «parlare con il cuore» (EG 144).
Certo bisogna sforzarsi di capire qual è i messaggio di un testo, per essere servitori della verità: «ma l’obiettivo non è quello di capire tutti i piccoli dettagli di un testo, la cosa più importante è scoprire qual è il messaggio principale, quello che conferisce struttura e unità al testo. Se il predicatore [e il catechista] non compie questo sforzo, è possibile che neppure la sua predicazione abbia unità e ordine» (EG 147).
2/ Una catechesi capace di sintesi e capace di mostrare l’unità di tutta la Scrittura
Papa Francesco sottolinea che l’omelia - e la catechesi, aggiungiamo noi - deve avere una capacità sintetica, evitando di comunicare idee o valori slegati (EG 143).
Pe questo «certamente, per intendere adeguatamente il senso del messaggio centrale di un testo, è necessario porlo in connessione con l’insegnamento di tutta la Bibbia, trasmessa dalla Chiesa. Questo è un principio importante dell’interpretazione biblica, che tiene conto del fatto che lo Spirito Santo non ha ispirato solo una parte, ma l’intera Bibbia, e che in alcune questioni il popolo è cresciuto nella sua comprensione della volontà di Dio a partire dall’esperienza vissuta. In tal modo si evitano interpretazioni sbagliate o parziali, che contraddicono altri insegnamenti della stessa Scrittura. Ma questo non significa indebolire l’accento proprio e specifico del testo che si deve predicare [o su cui si deve fare catechesi, aggiungiamo noi]. Uno dei difetti di una predicazione tediosa e inefficace è proprio quello di non essere in grado di trasmettere la forza propria del testo proclamato» (EG 148).
3/ Una catechesi che sappia illuminare la vita degli uomini ed utilizzi, per questo, immagini familiari
Il papa sottolinea poi che la predicazione deve essere in grado di dare una lettura spirituale del testo (come insegna anche la Dei Verbum). Chi porge all’uomo le parole di Dio deve così ascoltare non solo Dio ma anche l’uomo: «il predicatore [e il catechista, aggiungiamo] deve anche porsi in ascolto del popolo, per scoprire quello che i fedeli hanno bisogno di sentirsi dire. Un predicatore è un contemplativo della Parola ed anche un contemplativo del popolo. In questo modo, egli scopre “le aspirazioni, le ricchezze e i limiti, i modi di pregare, di amare, di considerare la vita e il mondo, che contrassegnano un determinato ambito umano”, prestando attenzione al “popolo concreto al quale si rivolge, se non utilizza la sua lingua, i suoi segni e simboli, se non risponde ai problemi da esso posti”. Si tratta di collegare il messaggio del testo biblico con una situazione umana, con qualcosa che essi vivono, con un’esperienza che ha bisogno della luce della Parola. Questa preoccupazione non risponde a un atteggiamento opportunista o diplomatico, ma è profondamente religiosa e pastorale. In fondo è “una vera sensibilità spirituale per saper leggere negli avvenimenti il messaggio di Dio” e questo è molto di più che trovare qualcosa di interessante da dire. Ciò che si cerca di scoprire è “ciò che il Signore ha da dire in questa circostanza”. Dunque, la preparazione della predicazione si trasforma in un esercizio di discernimento evangelico, nel quale si cerca di riconoscere – alla luce dello Spirito – quell’“‘appello’, che Dio fa risuonare nella stessa situazione storica: anche in essa e attraverso di essa Dio chiama il credente”. In questa ricerca è possibile ricorrere semplicemente a qualche esperienza umana frequente, come la gioia di un nuovo incontro, le delusioni, la paura della solitudine, la compassione per il dolore altrui, l’insicurezza davanti al futuro, la preoccupazione per una persona cara, ecc.; però occorre accrescere la sensibilità per riconoscere ciò che realmente ha a che fare con la loro vita. Ricordiamo che non bisogna mai rispondere a domande che nessuno si pone; neppure è opportuno offrire cronache dell’attualità per suscitare interesse: per questo ci sono già i programmi televisivi. È comunque possibile prendere le mosse da qualche fatto affinché la Parola possa risuonare con forza nel suo invito alla conversione, all’adorazione, ad atteggiamenti concreti di fraternità e di servizio» (EG 154-155).
La catechesi è così invitata a saper utilizzare immagini tratte dalla vita quotidiana, dalla vita degli anziani, delle famiglie, dei giovani, dei poveri, di chi deve fare delle scelte, di chi è chiamato a vivere la propria responsabilmente con fedeltà, nel sacrificio e nella gioia: «una buona omelia [e una buona catechesi, aggiungiamo noi], come mi diceva un vecchio maestro, deve contenere “un’idea, un sentimento, un’immagine”».
4/ Una catechesi che abbia il tono dell’incoraggiamento e della fiducia
Infine papa Francesco sottolinea che la predicazione - e la catechesi, aggiungiamo noi - deve invitare al bene, oltre che denunciare il male: «Altra caratteristica è il linguaggio positivo. Non dice tanto quello che non si deve fare ma piuttosto propone quello che possiamo fare meglio. In ogni caso, se indica qualcosa di negativo, cerca sempre di mostrare anche un valore positivo che attragga, per non fermarsi alla lagnanza, al lamento, alla critica o al rimorso. Inoltre, una predicazione positiva offre sempre speranza, orienta verso il futuro, non ci lascia prigionieri della negatività» (EG 159).
Note al testo
[1] Specificamente su papa Francesco e la catechesi, vedi finora, oltre all’Evangelii gaudium, il Discorso del Santo Padre Francesco ai partecipanti al congresso internazionale sulla catechesi del 27/972013, le catechesi del mercoledì sui Sacramenti, «Le rivoluzioni della storia hanno cambiato i sistemi politici, economici, ma nessuna di esse ha veramente modificato il cuore dell’uomo». La catechesi di papa Francesco in apertura del Convegno della diocesi di Roma 2013 e «Ecco il senso profondo dell’iniziazione cristiana: generare alla fede vuol dire annunziare che non siamo orfani». Il discorso di Papa Francesco al Convegno della diocesi di Roma sull’Iniziazione cristiana. Per una riflessione più organica sul ministero del catechista, cfr. anche Chiamati a servire e ad annunciare. Incontro arcidiocesano di Catechesi. L’allora arcivescovo Jorge Mario Bergoglio parla ai catechisti.