David, sentinella di giustizia. Dentro l'opera, di Antonio Paolucci
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Riprendiamo da Luoghi dell’infinito, Supplemento di Avvenire, del giugno 2014 (n. 185) un articolo del prof. Antonio Paolucci. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line.
Il Centro culturale Gli scritti (22/6/2014)
Il David di Michelangelo che i fiorentini videro svelato sulla Piazza della Signoria l’8 settembre dell’anno di Cristo 1504, è la suprema icona della città. Per la prima volta dal tempo dei Greci e dei Romani, un uomo nudo grande cinque volte il vero occupava da protagonista il cuore simbolico di una capitale.
Per capire l’eccezionalità di quella scultura è necessario cominciare da Giorgio Vasari. La prima argomentazione e la più efficace è la sua. Il David – dice il Vasari – è la statua della vittoria. Con quest’opera Michelangelo ha vinto gli antichi. Non ci sono più né Fidia né Policleto. Il David esaurisce l’idea stessa di statua. «E certo chi vede questa non deve curarsi di vedere altra opera di scultura fatta nei nostri tempi o negli altri da qualsivoglia artefice». Così lo storico aretino. Tradotta in formula turistica attuale la sentenza vuol dire: il David è la statua più bella del mondo, non si può essere più bravi di così, non si può non venire a vederla.
Quanto quel giudizio abbia funzionato lo dimostrano le file di turisti perennemente in coda al Museo dell’Accademia, dove il David si trova dal 1873 dopo la sostituzione con una copia sul sagrato di Palazzo Vecchio. In realtà, nel suo veloce sintetico commento, Giorgio Vasari dice una cosa ancora più importante. Dice che il gigante scolpito da Michelangelo è la prima statua “moderna”. Dice che gli Antichi sono stati superati e sconfitti. Dice che la “nostra” storia dell’arte incomincia da qui, dal “colosso” che nel settembre del 1504 i fiorentini videro splendere nella Piazza dei Signori.
Ma perché questa sentenza così perentoria e tuttavia, per molti aspetti, così vera? In cosa consiste la “modernità” del David, la sua discontinuità rispetto al prima, il suo essere, in un certo senso, un’opera d’avanguardia? Io credo che la modernità del David consista nel fatto che per la prima volta i valori spirituali (pensiero, intelletto, volontà, anima, idee) diventano protagonisti esclusivi di una rappresentazione artistica.
Per intendere la rivoluzionaria novità del capolavoro michelangiolesco consideriamo l’iconografia. Nella tradizione fiorentina, e non solo in quella, il David era sempre stato rappresentato in relazione con il suo antagonista Golia e, di norma, al termine del duello vittorioso, con la testa del nemico decollato deposta, come un macabro trofeo, ai suoi piedi.
Michelangelo dimentica le convenzioni consolidate e si inventa un altro David, diverso dalle immagini conosciute. L’eroe, futuro re di Israele, non è rappresentato immediatamente prima del combattimento perché la mano destra non regge la pietra (come spesso sbagliando si è detto) ma l’impugnatura della fionda. Non è neppure collocata ai suoi piedi, come vorrebbe la convenzione iconografica, la testa del nemico sconfitto.
David compirà l’impresa di cui parla il primo libro di Samuele. È pronto al combattimento. Nessuno ci dice, tuttavia, che il duello sta per cominciare. Inizierà fra un attimo oppure fra molto tempo e del resto David – vigile, assorto, in totale tensione dei muscoli, della volontà, dell’intelletto, del cuore – sta così da sempre.
Da sempre è pronto al combattimento e mai ha abbassato la guardia. È giusto dire quindi che il David di Michelangelo non è rappresentato, ma piuttosto “è”. Egli è il gladiatore d’Israele che Dio tiene sotto la sua mano, è la fionda del Signore. Ma egli “è”, allo stesso tempo, la libertà e la dignità di tutti gli uomini che sempre devono essere pronti a combattere tirannia e ingiustizia. David è fiorentino ed è ogni uomo. È del 1504 ed è di ogni tempo.
Questa statua parla di un eroe della Bibbia che ha sconfitto il Male. Ma – per transfert simbolico perfettamente avvertibile – essa allude al Male di oggi. E dice, questa statua, che è irrinunciabile dovere dell’Uomo affrontare con coraggio Golia: il “mostro” Golia che si presenta in modi diversi in ogni epoca della storia, a contrastare il cammino della libertà e della civiltà.
Mai era accaduto prima che i valori ideali, morali e spirituali occupassero e dominassero un’opera d’arte con tanta perentoria evidenza. Ecco perché ha ragione Giorgio Vasari quando afferma che questa è la prima statua moderna. Un’opera d’arte in cui le forme si piegano a significare l’idea, è un’opera d’arte concettuale. È dunque un’opera d’arte oltre che moderna, attuale, fraterna alla nostra sensibilità.