Banali e melense: le lettere di Himmler alla moglie, di Riccardo De Benedetti
Riprendiamo da Avvenire del 6/6/2014 un articolo di Riccardo De Benedetti. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line.
Il Centro culturale Gli scritti (15/6/2014)
Un altro capitolo della banalità del male? Non proprio. Heinrich Himmler fu uno dei più grandi criminali del direttivo nazionalsocialista. Sul banco degli imputati a Norimberga, in questo volume, annotata con dati di contesto, possiamo leggere la corrispondenza tra lui e sua moglie, Marga Siegroth.
Toni, registri comunicativi e lessico familiare ordinari, melensi, piccolo-borghesi, gozzaniani, quasi, messi al servizio della carneficina, che non viene mai menzionata, ma occhieggia qua e là, come richiamo al dovere, ai compiti, al servizio svolto per la nazione e il popolo tedesco con la dedizione che si conviene a chi li ha così introiettati da non sentire alcuna necessità di chiamarli per nome. È il sottofondo necessario e indispensabile di qualsiasi adesione, di qualsiasi appartenenza agli scopi salvifici delle ideologie novecentesche.
Per quanto alti siano gli ideali per i quali si possa spendere una vita, e qui sono criminali, per quanto vasta sia l’utopia per la quale si sacrifica l’oggi, e qui è miserabile, sempre le prestazioni umane hanno bisogno di mantenersi un retroterra familiare e quotidiano nel quale rifugiarsi dopo una visita ad Auschwitz o dopo aver passato in rassegna i battaglione delle SS in Europa orientale. È una sorta di scarico, un po’ come fanno gli atleti il giorno dopo una gara impegnativa, per impedire che i muscoli, nell’allentarsi della tensione, non riescano ad assorbire le tossine prodotte. Così l’organizzatore dei campi di sterminio e della persecuzione degli ebrei scrive alla moglie banalissime lettere nelle quali si occupa dell’educazione della figlia Gudrun e del figlio adottivo Gerhard; dove passa in rassegna le necessità minute di un matrimonio duraturo ma non del tutto convincente.
Si potrebbe annotare moltissimo di questa interessantissima documentazione, curata da Katrin Himmler, politologa e pronipote di Heinrich, e Michael Wildt, professore di Storia tedesca all’Università Humboldt di Berlino, soprattutto sugli intrecci tra legge morale e dovere nazionale e gli esiti non previsti del loro vuoto formalismo, eredità imbarazzante del kantismo più rigido e illuministico quando si tratta di discutere il «come è stato possibile» del nazismo.
Senza riaprire la discussione sulle note tesi di Hannah Arendt, una considerazione la si può fare su quanto l’ideologia nazionalsocialista comporti di alterazione della realtà. Si tratta dei due figli illegittimi di Himmler, avuti dalla relazione con una sua segretaria, Hedwig Potthast. Himmler, infatti, sosteneva l’«Ordine sulla procreazione dei figli» che legittimava la filiazione illegittima, permetteva di contrarre seconde nozze mantenendo alla prima moglie tutti i suoi diritti, insomma, una doppia famiglia. Se Gerda Bormann, altra moglie famosa dell’alta gerarchia nazista, accettò, non così fece Marga che subì la teoria dei «figli per la Germania» come un’umiliazione. E qui la quotidianità criminale di Himmler mostra la sua continuità col profondo stravolgimento della natura dell’umano imposto dall’ideologia nazista.
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Heinrich Himmler, Il diario segreto. Attraverso le lettere alla moglie, Newton Compton.