Quante battaglie nel nome delle crociate. In origine il termine indicava pellegrini e guerrieri diretti in Terra Santa. Nel tempo la dimensione economica e politica divenne predominante, di Franco Cardini
Riprendiamo da Luoghi dell’Infinito, supplemento di Avvenire, n. 130 del giugno 2009, pp. 14-17, un articolo di Franco Cardini. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line.
Il Centro culturale Gli scritti (21/5/2014)
Che cosa racchiude il mito della crociata, capace di suscitare ancora oggi - o forse di suscitare di nuovo, dopo un lungo silenzio - passioni tanto contrastanti? Nel 2000, l'anno del Giubileo, destarono commozione e fecero anche scandalo le "scuse" della Chiesa al genere umano - come i media definirono, frettolosamente, il documento redatto da una commissione di teologi Memoria e riconciliazione: la Chiesa e le colpe del passato - mentre un anno più tardi, all'indomani dell'11 settembre del 2001, ci fu chi parlò di "nuove crociate". Per stigmatizzarle o, invece, auspicarle.
La parola latina cruciata emerge nell'uso corrente in modo sporadico nel corso del Duecento, riferita a spedizioni contro gli eretici (i catari della Francia meridionale), ma si afferma solo nel Quattrocento con riferimento anche alle spedizioni contro i musulmani. In seguito scompare dall'uso - mentre le guerre contro gli ottomani vengono bandite sulla base di "sante leghe" tra Stati cristiani - per riaffiorare e imporsi definitivamente nel Settecento, in un contesto prevalentemente polemico (è il caso dell'Histoire des croisades pubblicata nel 1753 da Voltaire).
Se per aspettare il termine "crociata" bisogna giungere almeno al Duecento, i "crociati" li incontriamo ben prima. Le cronache della Prima crociata (1096-1099), redatte per la maggior parte tra la fine dell'XI secolo e l'inizio del XII, per parlare dei guerrieri e dei pellegrini che parteciparono a quella strana spedizione conclusasi con la conquista cristiano-occidentale di Gerusalemme usano l'espressione cruce signati ("marcati dal segno della croce"): con chiaro riferimento ai simboli che i pellegrini usavano portare sulle loro vesti o sul copricapo e che indicavano la meta del viaggio (ad esempio, la conchiglia per Santiago de Compostela in Galizia).
La croce era quindi, semplicemente, il segno del voto di raggiungere i luoghi santi di Palestina. Per indicare quelli che oggi chiamiamo "crociati", le fonti latine usarono a lungo altri termini: anzitutto peregrini. Quando si trattò di definire le due spedizioni militari organizzate nel XII secolo dai regnanti europei (la "seconda" e la "terza" crociata) - e in seguito quelle indette e legittimate da un bando pontificio e che si susseguirono ben al di là del XIII secolo per soccorrere la Terra Santa crociata o per recuperarla dopo la sua caduta in mani nemiche - i termini usati furono dapprima iter ("spedizione militare"), via Hierosolymitana o peregrinatio ("pellegrinaggio"). Ad essi fecero seguito auxilium e succursus - con specifica allusione al carattere urgente e difensivo - e infine passagium, con riferimento al viaggio per mare: un termine che, anche per il valore fortemente simbolico ed evocativo, ebbe grande successo e si affermò nel tessuto semantico-gnomico di alcuni idiomi volgari.
Questo passagium poteva a sua volta essere particulare, se organizzato e condotto per iniziativa di singoli o di gruppi con scopi anche specifici, ma giudicati congrui con il fine ultimo della liberazione di Gerusalemme, o invece generale, universale, se bandito dall'autorità pontificia e ritenuto doveroso per tutti i cristiani. Essi erano chiamati a ottemperarvi con il diretto impegno militare oppure con varie forme di contributo finanziario: decime, elemosine, somme corrisposte a titolo penitenziale o sotto forma di lascito testamentario.
Attorno alla metà del Duecento canonisti come Enrico di Susa (meglio conosciuto come "cardinale Ostiense") o Sinibaldo Fieschi imposero le espressioni crux transmarina e crux cismarina per indicare, rispettivamente, le spedizioni dirette alla riconquista della Terra Santa o più in generale quelle contro i musulmani e i pagani (comprese quindi le crociate in Spagna e nel Nordest europeo contro slavi e balti), ma anche quelle contro gli eretici (casi tipici e paradigmatici la cosiddetta "crociata degli albigesi" e più tardi, nel primo Quattrocento, quella contro gli hussiti) o contro i nemici politici del papato (come gli Svevi o gli Aragonesi nel Duecento e i ghibellini italici nel secolo successivo) e addirittura contro forze considerate asociali e pericolose per la cristianità (come gli Stedinger, i contadini ribelli all'arcivescovo di Brema contro i quali papa Gregorio IX emanò nel 1233 la bolla Vox in Rama, o nel Trecento le compagnie di ventura).
Nel XII secolo le spedizioni crociate erano state iniziativa dei sovrani europei, ma quando, a cominciare da Innocenzo III, i papi se ne assunsero con sistematica energia la guida rivendicando per sé il diritto esclusivo di bandirle - anche perché ai crociati andava l'indulgenza plenaria - divennero una straordinaria macchina di pressione e di gestione giuridica, militare e finanziaria della cristianità. Soprattutto a causa di un formidabile strumento: la dottrina del voto, che da un lato consentiva di comminare la scomunica - con risultati che erano in pratica la perdita dei diritti civili - a chi una volta proferita solenne promessa di partire per la crociata ne ritardasse o ne evitasse l'adempimento, dall'altro permetteva di commutarne l'obiettivo disponendo che il voto di partecipare a una certa impresa potesse venir cambiato nel versamento d'una certa somma di denaro o nella partecipazione a una spedizione canonicamente dichiarata di pari valore.
Gli abusi e le distorsioni cui questa pratica giuridica dette adito, sommati alla petulanza e all'arroganza della predicazione crociata affidata soprattutto agli Ordini mendicanti, finirono per suscitare voci di stanchezza, d'opposizione e addirittura di scandalizzata denuncia. Va tuttavia notato che tali voci, salvo rare eccezioni, non si opponevano alla crociata in quanto guerra contro gli infedeli: al contrario, inveivano contro la pratica di mettere troppo spesso in secondo piano l'originario scopo della spedizione, ossia la difesa o il recupero del Santo Sepolcro, sostituendovi fini d'altro genere politicamente o economicamente più convenienti alla Curia pontificia.
A ogni modo, le crociate non furono mai interpretate come guerre di missione e tanto meno come guerre di religione, per quanto potessero verificarsi episodi di massacri o di conversioni estorte sotto la minaccia della morte. Nessun teologo e nessun canonista sostenne mai formalmente che il fine ultimo della spedizione militare fosse la conversione degli infedeli, né che fosse legittimo sopprimere l'infedele in quanto tale. Anche l'espressione sanctum bellum, talora usata per definire la crociata, deve correttamente essere intesa come "guerra che ha come oggetto un territorio che, come tutto quanto pertiene a Dio, è di per sé sanctum": cioè, appunto, la Terra Sancta. Grave equivoco è stato l'interpretare tale espressione nel senso di "guerra che santifica chi la fa". Nessun atto santifica automaticamente chi lo compie: la santità è esclusivamente l'esercizio eroico delle virtù cristiane, obiettivo che naturalmente è possibile, per quanto arduo, perseguire anche durante una guerra.
La crociata è insomma una e al tempo stesso molteplice; conosce una legislazione coerente e rigorosa, ma si articola in una pluralità di casi diversi fra loro e muta di volta in volta sia per gli obiettivi che si prefigge, sia per l'epoca e le circostanze in cui viene bandita. È una realtà proteiforme all'interno della cristianità: uno strumento giuridico-politico e un'idea-forza, una fonte inesauribile di metafore, un mito, un oggetto infinito di apologie, di condanne, di polemiche e di malintesi capace di riproporsi in situazioni diverse e soggetto a impensati ritorni.