Egoaltruismo. Ecco come Philippe Kourilsky ha ribaltato la morale comune per combattere il darwinismo sociale del liberismo e la sua “falsa filantropia”, di Fabio Gambaro
Riprendiamo da La Repubblica del 19/5/2014 un’intervista di Fabio Gambaro a Philippe Kourilsky. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line.
Il Centro culturale Gli scritti (4/5/2014)
N.B. de Gli scritti: riprendiamo sul nostro sito questa intervista non perché condividiamo pienamente i suoi contenuti, bensì per le interessanti questioni che solleva.
L’altruismo è la deliberata attenzione prestata da un individuo alle libertà individuali dell’altro, con la deliberata intenzione di difenderle e svilupparle ulteriormente. Philippe Kourilsky definisce così il centro di una riflessione teorica che, prendendo le mosse dall’ambito della scienza, ha investito il terreno della filosofia, dell’economia e della politica. La novità di questa riflessione — che si è concretizzata nelle pagine del Manifesto dell’altruismo, cui oggi viene ad aggiungersi Il tempo dell’altruismo (Codice, pagg. 150, euro 17, trad. di Cristina Romano, con un’introduzione di Amartya Sen) — è racchiusa nell’aggettivo “deliberata”. L’attenzione e l’intenzione devono essere volontarie e soprattutto razionali, totalmente scevre da ogni impulso di generosità o tensione emotiva: l’altruismo deve essere un puro atto dettato da considerazioni intellettuali, un altruismo “scientifico”.
Professore d’immunologia molecolare al Collège de France, membro dell’Accademia delle Scienze e presidente onorario dell’Institut Pasteur, Kourilsky ricorda che, di fronte alle immense sfide che ci attendono, non ci si salva mai da soli, motivo per cui l’altruismo diventa un principio indispensabile e irrinunciabile. La sua è una difesa intelligente e appassionata di una prospettiva fondata sulla cooperazione solidaristica, che vuole rimettere in discussione l’individualismo degli ultimi decenni. Un individualismo egoisticamente aggressivo frutto di una visione del pensiero liberale sottratta a ogni progettualità collettiva e abbandonata alla tirannide del darwinismo sociale. Per questo nella tensione critica tra l’io e gli altri, Kourilsky fa dell’altruismo un imperativo categorico, un dovere etico, la cui attuazione non si risolva solo in atti di generosità. Per l’immunologo, solo ripartendo da un altruismo razionale, scientifico e anaffettivo, sarà possibile non farsi travolgere dalle minacce economiche, sociali ed ecologiche prodotte dalla crisi. Come Amartya Sen o Joseph Stiglitz, egli ricorda che l’economia non può fare a meno di una dimensione etica e invoca un “liberalismo altruista” in grado di superare la competizione a tutti i costi, la centralità dell’homo oeconomicus e la redditività come metro di ogni relazione umana. Lo studioso, che viaggia di continuo tra Parigi e Singapore, dove ha creato un istituto internazionale di ricerca sull’immunologia, è oggi alla Fiera del libro di Torino, dove partecipa a un dibattito su questi temi.
«Per Auguste Comte», spiega, «l’altruismo è una forma d’amore disinteressato capace d’investire l’ambito della morale come quello della politica. Tale concezione dell’altruismo fa però appello alla generosità, all’empatia e più in generale ai sentimenti. Io invece difendo una definizione razionale, che, a prescindere da ogni sentimento, fa dell’altruismo un dovere per ogni individuo».
L’altruismo un dovere?
«La nostra libertà dipende sempre dalla libertà degli altri. Non solo perché la libertà di ciascuno è limitata da quella altrui, ma soprattutto perché la libertà degli altri contribuisce a costruire la nostra libertà. Senza la libertà di chi ci sta attorno, la nostra libertà non esiste. A che serve essere liberi di comprare il pane se non c’è un panettiere che è libero di sfornarlo? Se la mia libertà dipende da quella degli altri, è mio interesse contribuire alla libertà altrui. È, appunto, un dovere».
Quindi l’altruismo è cosa diversa dalla generosità?
«La generosità è sempre discrezionale. Si colloca nell’ambito delle libertà. L’altruismo è dovere accompagnato dal criterio della proporzione. Se le mie libertà sono più sviluppate di quelle di un altro, il mio dovere d’altruismo dovrà essere sviluppato di conseguenza».
Perché diffidare della generosità?
«L’economia ultraliberale fa appello alla generosità per ridimensionare lo stato sociale. La usa come un alibi. Ma non si può fondare un sistema sociale sulla generosità individuale, dato che questa è sempre variabile e dipendente dall’emotività. Si parla spesso della generosità di Bill Gates che ha finanziato campagne di vaccinazione. Ma se Bill Gates, come François Pinault, avesse investito in opere di artisti contemporanei, cosa sarebbe successo ai bambini senza le vaccinazioni? La generosità è un atto nobile, ma è una libertà che possiamo scegliere di esercitare o meno. Per costruire un sistema solido occorre fare appello all’altruismo, un dovere che, lontano da ogni sentimentalismo, nasce da un’analisi razionale della realtà e delle nostre relazioni con gli altri».
Fare appello all’altruismo significa sottolineare l’importanza della responsabilità individuale?
«Certo. Quando si parla della libertà come costruzione sociale, si pensa di solito alla società che crea lo spazio e le condizioni della libertà di ciascuno. È invece importante sottolineare la partecipazione di ogni individuo che deve assumersi le proprie responsabilità. Ognuno deve essere capace di valutare da solo il proprio grado d’altruismo. Più c’è libertà, più è necessaria la responsabilità».
Lei auspica l’avvento di un “liberalismo altruista” in opposizione all’ultraliberalismo darwiniano.
«La nozione di libertà che fonda il liberalismo non contempla il dovere dell’altruismo. Ed è molto grave. Negli ultimi due secoli, questo vizio di fondo è stato in parte mascherato dalla presenza della cultura religiosa, che si è fatta carico dell’attenzione agli altri. Un individualismo fattosi più aggressivo va messo in relazione al venir meno dell’influenza religiosa. Oggi viviamo in una realtà molto più laica. Ed è solo un bene. Ma la conseguenza è che l’attenzione per gli altri è diminuita. È necessario che liberalismo integri l’altruismo. L’homo oeconomicus che pensa solo alla redditività immediata e alla relazione costi/benefici non può continuare ad essere il centro della nostra visione del mondo».
La crisi contribuisce a rimettere in discussione il dogma ultraliberale?
«Può favorire una presa di coscienza, ma anche spingere a una concorrenza sfrenata. Inoltre di fronte alle incertezze della democrazia, c’è il rischio che l’esempio cinese — un sistema non democratico ma vincente sul piano economico — possa essere percepito come un modello da imitare».
Ma come convincere gli scettici della necessità di un atteggiamento altruistico?
«Razionalmente, se non si adotta una politica altruistica, capace d’immaginare una cooperazione responsabile, rischiamo di trovarci di fronte a problemi insormontabili. E tutti ne subiremo le conseguenze, compresi coloro che finora si sono illusi di essere al riparo dai problemi altrui. Purtroppo l’argomento più efficace per molti resta la paura, il che ci fa uscire dall’ambito della riflessione razionale».