Interrogando gli educatori dei pre-adolescenti e degli adolescenti, per allargare la comprensione di ciò che avviene nell’età del cammino della cresima e dei gruppi giovanili in parrocchia (di A.L.)
Interrogando gli educatori dei pre-adolescenti e degli adolescenti, per allargare la comprensione di ciò che avviene nell’età del cammino della cresima e dei gruppi giovanili in parrocchia (di A.L.)
Mi sto divertendo a chiedere a persone che non sono preti quali problemi incontrano nel rapporto con gli adolescenti. Il gran parlare che si fa riguardo all’abbandono dei ragazzi prima o dopo la cresima si confronta troppo poco con le reali problematiche dell’adolescente al di fuori dell’ambiente parrocchiale e, quindi, le risposte sono a volte miopi, proprio perché non si vede l’interezza del problema.
Mi risponde, questa volta, un maestro di tennis, responsabile di un circolo tennis che cerca di promuovere con passione l’attività sportiva:
«I ragazzi abbandonano, in media, l’attività dopo tre anni di frequenza. Dopo tre anni si stufano.
Sei tu che devi portare un “valore aggiunto”. Come maestro di tennis devi toccargli l’anima.
Non basta essere presente, per assicurare il lavoro: devi, invece, portarli dalla tua parte! È questo che io chiedo ai maestri del circolo.
Se un maestro semplicemente “standardizza” il suo lavoro e porta avanti il suo programma, i ragazzi non resteranno.
So bene che li perderei, se non creassi un rapporto personale con loro, perché sono adolescenti e dicono di “no” a tutto. È importante, anche, creare uno spirito di gruppo fra di loro.
Io li vedo due volte a settimana e mi rendo conto che ho un potere enorme, perché sono un soggetto diverso dalla loro famiglia. Sono più libero nel rapporto con loro, rispetto alla relazione che a quell’età, a volte, si è standardizzata in famiglia.
Penso sia molto importante non “infantilizzare” mai. Bisogna chiedere, proporre, esigere. Molti ragazzi lasciano il tennis appena diventano adolescenti, ma il motivo è chiaro: perché è più facile non impegnarsi! Io dico loro: “Dopo tre anni hai appena cominciato a capire cosa è il tennis; è adesso che viene il bello. È superficiale quello che hai fatto fin qui; non sai ancora niente del tennis! È più difficile continuare che lasciar perdere l’attività per non fare niente e bighellonare. Non fare niente è sempre più facile”.
Alcuni maestri mi accusano di “precocizzare” i ragazzi, poiché io mi ispiro ad altri circoli dove hanno dei campioncini. Io ribatto che sono gli altri a mostrarci che i bambini ed i ragazzi possono dare invece molto di più di quello che stanno dando. Il rischio serio è di “infantilizzarli”, non di “precocizzarli”!
Mi dicono che io “fomento” i bambini ed i ragazzi. Io rispondo che è vero! Si vede la passione che ho per il tennis. E cerco di infonderla anche in loro.
Mi sono arrabbiato con un maestro, quando ho sentito un ragazzo che mi diceva: “Il maestro mi ha detto che non sono capace, che non ho voglia, che non mi impegno”. Sono andato dal maestro e gli ho detto: “Io mando via te. Sei tu il maestro. E devi conquistare il ragazzo. Sei tu a non essere capace”.
Se senti i bambini, capisci subito chi sono i maestri migliori».
Il dialogo, per ora, si interrompe qui. Che ci sia qualcosa da imparare anche per la catechesi da testimonianze come questa?
Mi sto divertendo a chiedere a persone che non sono preti quali problemi incontrano nel rapporto con gli adolescenti. Il gran parlare che si fa riguardo all’abbandono dei ragazzi prima o dopo la cresima si confronta troppo poco con le reali problematiche dell’adolescente al di fuori dell’ambiente parrocchiale e, quindi, le risposte sono a volte miopi, proprio perché non si vede l’interezza del problema.
Mi risponde, questa volta, un maestro di tennis, responsabile di un circolo tennis che cerca di promuovere con passione l’attività sportiva:
«I ragazzi abbandonano, in media, l’attività dopo tre anni di frequenza. Dopo tre anni si stufano.
Sei tu che devi portare un “valore aggiunto”. Come maestro di tennis devi toccargli l’anima.
Non basta essere presente, per assicurare il lavoro: devi, invece, portarli dalla tua parte! È questo che io chiedo ai maestri del circolo.
Se un maestro semplicemente “standardizza” il suo lavoro e porta avanti il suo programma, i ragazzi non resteranno.
So bene che li perderei, se non creassi un rapporto personale con loro, perché sono adolescenti e dicono di “no” a tutto. È importante, anche, creare uno spirito di gruppo fra di loro.
Io li vedo due volte a settimana e mi rendo conto che ho un potere enorme, perché sono un soggetto diverso dalla loro famiglia. Sono più libero nel rapporto con loro, rispetto alla relazione che a quell’età, a volte, si è standardizzata in famiglia.
Penso sia molto importante non “infantilizzare” mai. Bisogna chiedere, proporre, esigere. Molti ragazzi lasciano il tennis appena diventano adolescenti, ma il motivo è chiaro: perché è più facile non impegnarsi! Io dico loro: “Dopo tre anni hai appena cominciato a capire cosa è il tennis; è adesso che viene il bello. È superficiale quello che hai fatto fin qui; non sai ancora niente del tennis! È più difficile continuare che lasciar perdere l’attività per non fare niente e bighellonare. Non fare niente è sempre più facile”.
Alcuni maestri mi accusano di “precocizzare” i ragazzi, poiché io mi ispiro ad altri circoli dove hanno dei campioncini. Io ribatto che sono gli altri a mostrarci che i bambini ed i ragazzi possono dare invece molto di più di quello che stanno dando. Il rischio serio è di “infantilizzarli”, non di “precocizzarli”!
Mi dicono che io “fomento” i bambini ed i ragazzi. Io rispondo che è vero! Si vede la passione che ho per il tennis. E cerco di infonderla anche in loro.
Mi sono arrabbiato con un maestro, quando ho sentito un ragazzo che mi diceva: “Il maestro mi ha detto che non sono capace, che non ho voglia, che non mi impegno”. Sono andato dal maestro e gli ho detto: “Io mando via te. Sei tu il maestro. E devi conquistare il ragazzo. Sei tu a non essere capace”.
Se senti i bambini, capisci subito chi sono i maestri migliori».
Il dialogo, per ora, si interrompe qui. Che ci sia qualcosa da imparare anche per la catechesi da testimonianze come questa?