La creazione nei racconti del Vicino Oriente Antico, di Gian Luigi Prato
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Riprendiamo sul nostro sito la trascrizione della relazione tenuta dal prof. Gian Luigi Prato il 15 novembre 2013, nel corso della due giorni La Bibbia: un libro da “mangiare”, I edizione. Creazione: Genesi 1 e 2. Due capitoli capitali. La trascrizione è stata curata per Gli scritti da Giulia Balzerani e non è stata rivista dall’autore. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line. Per i file audio delle diverse relazioni, vai al link La Bibbia: un libro da “mangiare” (I edizione). Creazione: Genesi 1 e 2. Due capitoli capitali: tutti i file audio dei due giorni di incontro. Per la trascrizioni relative, cfr.
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- Creazione e cosmo nel pensiero paolino, di Romano Penna
- Genesi 1 e 2. La creazione nella teologia, fra fede e scienza, di Giulio Maspero
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- Presentare Genesi 1 e 2: Adamo, Eva e la creazione del mondo nell’annuncio della fede e nella catechesi, di Andrea Lonardo
Per approfondimenti su Genesi, vai alla sezione Sacra Scrittura.
Il Centro culturale Gli scritti (2/3/2014)
Introduzione, di Andrea Lonardo
Proseguiamo ora, dopo la preghiera, con la prima relazione. Abbiamo gustato il silenzio. È interessante, ci sono dei momenti in cui ci dà fastidio qualsiasi rumore, e questo è proprio dell’essere uomo, se una persona non riesce a stare in silenzio la sua vita realmente diventa vuota, fa tante cose senza una direzione e senza una prospettiva, perché non sa, non si chiede davanti a Dio qual è la verità, quale la bellezza. Per certi versi ci avrebbe fatto piacere stare ancora in silenzio, ma come dice il Qoelet, c’è un tempo per ogni cosa e in questi incontri dobbiamo approfittare per imparare tante cose. Il primo relatore è il prof. Gianluigi Prato, è stato il mio professore di Antico Testamento, ha studiato sin da giovane in particolare il libro del Siracide, già nel 1975 hascritto un libro dal titolo Il problema della teodicea in Ben Sira. Composizione dei contrari e richiamo alle origini. Il prof. Prato ha pubblicato una miriade di articoli. Recentemente è stato pubblicato usciti due suoi libri, Identità e memoria nell'Israele antico. Storiografia e confronto culturale negli scritti biblici e giudaici, edito da Paideia,e poi in suo onore una miscellanea dal titolo Ricercare la Sapienza di Tutti Gli Antichi», tanto è stimato nell’ambiente accademico. Sul sito www.gliscritti.it, del Centro culturale Gli scritti che ha organizzato questa due giorni sulla Genesi insieme al’Ufficio catechistico, è possibile trovare due testi meno specialistici di questi, uno su Qumran e uno sul Museo egizio di Torino.
Abbiamo chiesto al prof. Gianluigi Prato di spiegarci lo sfondo su cui si stagliano i racconti di Genesi, i racconti di creazione dell’oriente antico, del mondo accadico, del mondo sumerico, per capire i vari modi in cui l’uomo ha cercato delle risposte, per imparare ad avere grande stima di questo mondo.
La creazione nei racconti del Vicino Oriente Antico, di Gianluigi Prato
Il tema che mi è stato affidato è “I racconti di creazione nell’Oriente antico al di fuori della Bibbia”. Io non la finirei più se mi mettessi a raccontare tutti i testi che l’Oriente antico ci ha lasciato in materia di creazione e allora vorrei sintetizzare questo mio intervento facendo innanzitutto cinque premesse:
- I racconti di creazione del vicino Oriente antico, come anche altrove, non si limitano a presentare un atto, o un processo creativo, cioè un primo istante attraverso il quale viene all’esistenza tutto ciò esiste, ma rappresentano un microcosmo in cui è racchiusa la realtà storica. Non narrano dunque l’atto creativo come un colpo di fulmine, ma rappresentano una storia intera. Mentre sul piano filosofico la creazione si fonda su una logica evolutiva - prima si crea, poi viene tutto il resto - il racconto mitico segue una via contraria, nel senso che l’uomo proietta all’indietro ciò che ha vissuto e sperimentato dopo, nel tempo storico. Quindi questo genere di racconto è un riassunto del tempo storico.
- Poiché è una narrazione, il racconto di creazione segue un procedimento cronologico che però, nel suo interno, si presenta come una sequenza di episodi o di segmenti caratterizzati da un prima e un poi. La struttura cronologica resta però secondaria, poiché è solo una necessità espressiva e perciò nell’interpretazione che si vuole ricercare per il racconto, non bisogna chiedersi che cosa significhi in sé ogni singolo momento prescindendo dal resto. Faccio un esempio dalla Bibbia: non ha senso chiedersi se Adamo sia stato creato mortale o immortale, di fatto è uscito fuori mortale, questo vuole dire il racconto. Come sarebbe stato se non avesse mangiato dall’albero non è una domanda pertinente per quanto riguarda l’interpretazione di quel racconto.
- I racconti di creazione vanno considerati nella loro globalità e come tali presentano una situazione unica e irripetibile, pur narrando una storia, restano fuori dalla storia concreta che poi intendono spiegare a loro modo. Partono dalla storia, restano fuori dalla storia e cercano di spiegare la storia, narrano il come e non il perché è nata la storia concreta. In questo senso quindi ci si vuole dire solo una eziologia della storia, cioè una spiegazione delle origini della storia. Eziologia vorrebbe dire causa, ma non è la causa filosofica.
- Una conseguenza di questo loro valore globale è che al loro interno, ogni episodio, pur delimitato in un determinato contenuto, racchiude il significato dell’intero racconto se viene conservato nel suo contesto. Il racconto di creazione è formato da vari episodi, ma ogni episodio singolo racchiude in sé il significato dell’intero racconto. E’ come uno specchio che si spezza e ogni frammento riflette l’intera immagine.
- Essendo impossibile passare qui in rassegna tutti i racconti di creazione del vicino Oriente e della Grecia, possiamo procedere attraverso esempi significativi. Per mostrare che la creazione non si ferma al primo momento del racconto, scelgo di trattare l’episodio successivo, cioè quello del diluvio perché, anche nel racconto del diluvio, è racchiuso il significato dell’intera creazione o, perlomeno, il significato dell’intera storia.
Ho deciso di passare in rassegna tre ambienti: l’Egitto, la Mesopotamiaela Grecia, vedendo quali sono i racconti principali del diluvio in questi tre ambienti.
Il diluvio nel mondo egizio
L’Egitto non ci ha lasciato una narrazione completa della creazione e neppure del diluvio, bisogna mettere insieme vari racconti che si trovano o vari testi che si trovano raffigurati soprattutto nelle tombe dei faraoni. Ce n’è uno che è raffigurato nella tomba di almeno quattro faraoni, Sethi I, Ramses II, III e VI e si intitola il mito della vacca celeste. La civiltà egiziana è iconografica, si capisce tutto dai disegni. L’editore tedesco che ha pubblicato il testo per intero ha intitolato il suo libro: Il mito egiziano della vacca celeste: una eziologia dell’imperfetto. Una eziologia cioè di ciò che è imperfetto, perché questo importa considerare: come viene al mondo la situazione attuale nella sua imperfezione, non nella sua perfezione. Questo testo si divide in quattro parti: innanzitutto c’è la descrizione dell’annientamento del genere umano e poi la ricostruzione del mondo nei suoi vari elementi - cielo, terra, mondo sotterraneo - poi la fondazione di alcune istituzioni e poi alcuni elementi magici, in modo tale che l’individuo attraverso la recitazione di queste formule possa integrarsi nel cosmo, soprattutto nella morte. Il testo serve a questo ultimamente, però rievoca l’atto creativo e soprattutto l’atto ricostruttivo del mondo. A noi interessano quindi particolarmente la prima e la seconda parte.
Il dio Ra, il dio sole è stanco di come vanno le cose, si ritira, convoca altri dei per decidere come annientare l’umanità. Mandano una dea che rappresenta l’occhio di questo dio che va e distrugge l’umanità. Il testo prosegue narrando di un’altra distruzione ottenuta inviando degli schiavi a macinare una certa sostanza rossa (ematite) che poi viene mescolata con della birra in modo da formare un liquido che sembra sangue e questo liquido viene riversato sulla terra e allora viene inviata la dea Hathor a distruggere l’umanità, vede questo sangue, lo beve, si sazia ed evita di distruggere gli uomini. E’ una specie di diluvio dal quale l’umanità si salva. In seguito a questa presunta distruzione il dio Ra sale in cielo, fonda la terra, sistema il mondo, ma è un mondo che vive in un equilibrio precario, perché è frutto di una distruzione non riuscita, c’è sempre la minaccia che il mondo torni nello stato precedente ed ecco allora che bisogna provvedervi, bisogna inventare cioè formule che permettano alla collettività e soprattutto al singolo di sussistere in questo mondo e di poter poi superare il giudizio nell’altro mondo. La formula magica non va intesa in senso deteriore, è uno dei mezzi, anzi il mezzo più efficace per ottenere qualcosa, in questo caso riuscire nella vita e nell’altra vita.
Il diluvio nel mondo sumerico e poi in quello assiro-babilonese
Non mi soffermo oltre su questo mito egiziano perché in realtà i testi mesopotamici sul diluvio sono più vicini alla Bibbia. Ce ne sono diversi, spesso se ne citano solo due, ma sono almeno sei o sette, solo che gli altri sono più frammentari.
Inizio dal mondo sumerico, poi presenterò Gilgamesh e Atrahasis, due miti che inseriscono il diluvio verso la loro conclusione. Abbiamo una tavoletta scritta in accadico, cioè cuneiforme, che parla del diluvio nel mondo sumerico. Purtroppo questa tavoletta è spezzata proprio in cima: le tavolette sono scritte in colonne e poi quando finisce la tavoletta si continua la colonna dall’altro lato in senso contrario, per cui essendo questa tavoletta spezzata in alto, noi abbiamo sei lacune nelle rispettive sei colonne per cui non riusciamo a capire bene l’evoluzione del racconto ma, dalla parte che ci è rimasta, capiamo che gli dei si lamentano per la distruzione dell’umanità - forse c’era stata una discussione precedente ma è una delle lacune che non abbiamo modo di colmare.
Dopo un’altra lacuna si parla di una regalità che scende dal cielo. Si fondano varie città, in particolare cinque città-stato, cinque regni che durano moltissimo e dopo di questo si presenta l’eroe del diluvio sumerico, Ziusudra, che riceve istruzioni da parte del suo dio protettore, che però non gli parla direttamente, ma attraverso una parete. Lui sente queste istruzioni, prepara la nave, poi abbiamo una lacuna e quando riprende il testo abbiamo la descrizione del diluvio che dura 40 giorni, dopodiché l’eroe scende, fa un sacrificio. A questo punto una nuova lacuna ci impedisce di capire come sarà l’assestamento del mondo dopo il diluvio, ma comunque questo eroe viene poi portato nel mondo degli dei. Eccezionalmente costui sopravvive al diluvio, ma non ritorna nel mondo degli uomini, non diventa uomo come gli altri, come invece Noè ma viene elevato tra gli dei, diventa praticamente un dio. Anche qui il diluvio fa parte di una ristrutturazione del cosmo e in questo senso è creativo, perché il cosmo che esce fuori dal diluvio, è il cosmo reale, non è un cosmo perfetto, è il mondo così come esiste e come deve esistere. Il mondo che c’era prima non esiste più perché non deve esistere, perché di fatto il mondo concreto è questo fondato su un certo equilibrio.
L’Epopea di Gilgamesh è un testo molto conosciuto, scritto su dodici tavolette, probabilmente il testo narrativo più lungo scritto in accadico. Queste dodici tavolette sono di epoca neoassira, della prima metà del primo millennio. L’epopea risale a circa mille anni prima come epopea scritta in accadico, dalla cultura assiro-babilonese, ma compone insieme almeno cinque racconti sumerici che erano separati. Si forma così una specie di trama per cui questo eroe Gilgamesh, attraverso varie vicende, viene a sentir raccontare come era avvenuto il diluvio. Dico questo perché forse la parte più saliente è nella fase più antica cioè paleobabilonese, l’epoca di Hammurabi, verso il 1800 a.C..
Il racconto in dodici tavolette è di mille anni dopo e rappresenta un tentativo di spiegare ciò che l’epopea non spiega e lascia come assurdo. Si aggiunge una dodicesima tavoletta in cui si descrive il mondo sotterraneo inteso come lo intendevano allora, non come un paradiso, ma come un mondo oscuro e tenebroso e questo per dare una soluzione finale a tutta l’epopea. L’undicesima tavoletta narra del diluvio. Gilgamesh è tra gli Uruk ma è un uomo un po’ selvaggio, gli viene creato un compagno che lo porta alla civiltà, Enkidu, che lo rende più civile. A un certo punto i due però commettono un grave delitto, uccidono un gigante nell’orto dei cedri. È un grave delitto che provoca in ultima istanza la morte di Enkidu. Gilgamesh si dispera e cerca il perché della morte.
Attraverso varie peripezie incontra una taverniera, Siduri, con la quale conversa e la quale gli dice: “Gilgamesh, la vita che tu cerchi non troverai, perché gli dei quando hanno creato il mondo hanno riservato la vita per sé, la morte hanno decretato per gli uomini”. È interessante il fatto che questa tavoletta è nell’epopea paleobabilonese, ma non è più presente in quella neoassira. Questa taverniera dice a Gilgamesh che c’è un uomo, Utnapishtim, che è sopravvissuto al diluvio e ha raggiunto la sfera divina. Gilgamesh fa di tutto per raggiungere quest’uomo, una cosa impossibile perché bisogna varcare un oceano cosmico.
Gilgamesh si costruisce una barca e naviga con il suo marinaio. Purtroppo siccome è il racconto del diluvio fatto da Utnapishtim non ci viene raccontata la causa del diluvio stesso. Alla riga 14 della Tavola X si dice semplicemente che gli dei decisero di fare il diluvio, senza dire il perché. Comunque il diluvio viene descritto nella maniera tradizionale, anche qui si dice che gli dei decidono di fare il diluvio.
Nell’Epopea di Gilgamesh il dio protettore che è il dio della sapienza Enki, consiglia Utnapishtim attraverso delle canne, un graticcio. Utnapishtim costruisce una nave per salvarsi. Non è propriamente una nave si parla di un cubo, noi pensiamo a una nave con tutti gli animali sopra, in realtà qui si parla di un cubo per dire che c’è un microcosmo umano e animale che sopravvive a quella distruzione. Un microcosmo formato da tutti gli elementi del mondo. Alla fine del diluvio vengono mandati tre animali per vedere se tutto è tornato a posto, come nella Bibbia, solo che in Genesi è diverso, c’è la colomba che è inviata tre volte, mentre qui abbiamo una colomba, una rondine e un corvo e il corvo non ritorna.
Allora Utnapishtim capisce che il diluvio è cessato, fa un sacrificio e poi viene portato tra gli dei. Utnapishtim mette alla prova Gilgamesh per vedere se sa dominare almeno la sua natura umana e invece Gilgamesh si addormenta dando prova di non saper resistere. Quando si risveglia non si ricorda nemmeno quanto ha dormito e l’altro gli dice che è un pover’uomo, gli dice di lavarsi, vestirsi bene e tornare da dove è venuto. La moglie di Utnapishtim dice ma non possiamo donargli nulla? Utnapishtim allora dice a Gilgamesh che gli dona un’erba lontanissima che non è l’erba della eternità o della vita, ma si chiama “uomo torna giovane”, è l’erba che fa diventare sempre giovani, non si parla dell’eternità, ma della fontana della giovinezza, che diverrà poi un motivo medievale.
Gilgamesh raggiunge questa erba, la prende sul fondo di un abisso nel quale si trovava, in mezzo all’acqua. Poi ha sete, posa l’erba per bere alla fontana, arriva un serpente che gliela porta via lasciandolo disperato per aver perso anche questo dono. Il serpente dopo aver mangiato l’erba cambia pelle, ringiovanisce, l’uomo non può farlo. Il messaggio di questo testo è innanzitutto che anche qui il diluvio serve a rifare il mondo, a ristrutturarlo, ma il messaggio dell’intero poema è che l’uomo deve accontentarsi della sua vita civile, deve tornare a casa, vestirsi bene, profumarsi, vivere con la sua famiglia. Lì è il suo destino. Forse questo messaggio non era gradito alle epoche seguenti per cui si è tentato di aggiungere un’altra tavoletta al poema.
Atrahasis è un poema analogo, però ci dice qualcosa di più sulle cause del diluvio. Atrahasis è l’eroe del diluvio, il suo nome (atra-hasîs) vuol dire il sommamente saggio, il sommamente abile. Abbiamo tutto un racconto di creazione, la prima riga inizia dicendo: “Quando gli dei, come gli uomini, o, essendo ancora uomini, sopportavano il duro lavoro…” Si inizia dicendo che gli dei lavoravano e il lavoro era duro e allora vengono creati altri dei per sostituirli in questo duro lavoro. Gli dei della classe superiore, gli Annunaki, si lamentano e quindi vengono creati dei di una classe inferiore, gli Igigi. Dobbiamo pensare a un lavoro duro, in Mesopotamia c’era da scavare per fare canali!
Questi altri dei lavorano per un lungo periodo dopo il quale si lamentano a loro volta e allora viene creato l’uomo. Gli uomini sostituiscono gli dei in questo duro lavoro ma anche loro si lamentano. Gli dei a questo punto decidono di intervenire, non di punire l’umanità, ma di rifarla, e quindi mandano il diluvio che è più o meno come quello descritto in Gilgamesh, solo che qui, per fortuna, Atrahasis sopravvive, viene anche lui elevato alla sfera divina.
Alla fine abbiamo un frammento che ci dice come viene ristrutturato il mondo dal punto di vista della popolazione. Uno dei motivi per cui si manda il diluvio è perché la popolazione cresce, fa troppo rumore e disturba gli dei e perché è troppo numerosa, per cui si creano categorie umane fatte in modo che l’umanità non si moltiplichi più. Si creano allora le donne che non si sposano, le consacrate alla divinità, perché non si sposino e quindi non incrementino la sovrappopolazione. Sembra strano che a quell’epoca esistesse questo problema, ma del resto in Genesi 6,1 si parla di questo “L’uomo cominciò a moltiplicarsi sulla terra” e poi arriva il diluvio.
Il diluvio nel mondo greco
Voglio parlare rapidamente del diluvio in Grecia, perché forse è meno conosciuto, ma è una versione tutta particolare. Anche qui abbiamo vari racconti, ma chi ne ha parlato più sistematicamente è Ovidio nelle sue Metamorfosi, dalle quali ricaviamo che c’è una creazione, con quattro età dell’uomo, poi una corruzione dell’umanità, ci sono i giganti, altri personaggi che hanno un aspetto in qualche modo umano, e poi c’è la causa della distruzione.
Licaone serve a Giove della carne umana, Giove se ne accorge solo dopo averla mangiata e decide di punire tutta l’umanità e manda il diluvio dal quale si salva una coppia formata da Deucalione e Pirra che diventano rispettivamente i capostipite di tutti gli uomini e di tutte le donne. Ciascuno di loro getta dietro di sé delle pietre, tutte le pietre gettate da Deucalione diventano uomini, tutte quelle gettate da Pirra diventano donne (assonanza tra laas, pietra e laos, popolo). Si crea nuovamente l’umanità.
Nelle Metamorfosi si ha un’altra narrazione del diluvio, quella di Filemone e Bauci, questi due vecchi che vivono nella Frigia. Zeus ed Ermes scendono tra gli uomini per vedere se sono ospitali e non trovano ospitalità se non presso questi due vecchietti, così mandano il diluvio salvando soltanto Filemone e Bauci che vengono posti su una montagna dalla quale assistono alla distruzione dell’umanità.
In Grecia ci sono altri racconti del diluvio, ma sostanzialmente qual è il significato di questo evento per i greci? Innanzitutto occorre esaminare le cause scatenanti. Abbiamo visto che, come nel caso di Licaone, il motivo sembra essere banale, ma in realtà si sta parlando della hybris umana, della superbia. Per noi la superbia è un peccato capitale, per la Grecia è un espediente logico per spiegare qualcosa che viene dopo, è intesa come una colpa che fa intervenire gli dei, però in sé non è una colpa vera e propria, è un motivo che scatena qualcosa di successivo, è un motivo necessario, la si inventa appositamente per spiegare ciò che accade dopo.
Il diluvio non è una punizione, tanto è vero che si salvano in molti, tutti quelli che fuggono sui monti. C’è qui una specie di teodicea, si vuol far vedere che gli dei sono giusti nel mandare il diluvio, ma non sono giusti se vogliono distruggere tutta l’umanità, per cui l’umanità può salvarsi se vuole, se è in grado, se riesce a salire sui monti. È una spiegazione che non può essere ridotta all’unità, magari è contraddittoria, ma il mito è fatto apposta per mettere insieme elementi contraddittori.
In conclusione
Il diluvio spiega la creazione, quello che è successo dopo e, soprattutto, il mondo attuale, il mondo nelle sue contraddizioni. In Genesi 8, 20-22, alla fine del diluvio, si dice:
Allora Noè edificò un altare al Signore; prese ogni sorta di animali puri e di uccelli puri e offrì olocausti sull’altare. Il Signore ne odorò il profumo gradito e disse in cuor suo: «Non maledirò più il suolo a causa dell’uomo, perché ogni intento del cuore umano è incline al male fin dall’adolescenza; né colpirò più ogni essere vivente come ho fatto. Finché durerà la terra
Dio dice esattamente quello che aveva detto prima in Gen 6,5-8:
Il Signore vide che la malvagità degli uomini era grande sulla terra e che ogni intimo intento del loro cuore non era altro che male, sempre. E il Signore si pentì di aver fatto l’uomo sulla terra e se ne addolorò in cuor suo. Il Signore disse: «Cancellerò dalla faccia della terra l’uomo che ho creato e, con l’uomo, anche il bestiame e i rettili e gli uccelli del cielo, perché sono pentito di averli fatti». Ma Noè trovò grazia agli occhi del Signore.
Alla fine Dio constata la stessa cosa e se Dio non è contraddittorio, c’è una logica, il diluvio non serve a far diventare l’umanità migliore, né a punirla, ma a ristrutturare una umanità che originariamente era diversa dall’attuale. Il diluvio serve a fondare l’umanità storica con tutte le sue deficienze, le contraddizioni e quindi anche la responsabilità etica certamente, lo dice Dio in Genesi 8,22. L’uomo è fondato su questo equilibrio.
Voglio citare ancora due miti, uno è quello di Adapa, che non è un vero racconto di creazione, che è attestato in quattro tavolette di cui una trovata in Egitto, ad Amarna, scritta in accadico: era un esercizio scolastico, ci sono i puntini rossi dopo le parole per far imparare agli alunni a scrivere, ma il racconto più ampio è nella seconda tavoletta. La prima tavoletta, alla IV riga dice:
A lui [ad Adapa] gli dei sapienza concessero, una vita duratura non concessero.
Questa è la tematica del racconto. Adapa è un uomo qualunque che a un certo punto spezza le ali del vento del sud, è un misfatto grave per cui viene convocato in cielo. Non indaghiamo sulla causalità, che pure avrà un senso. In realtà è una causalità necessaria per andare avanti nel racconto. Adapa deve giustificarsi, ma anche in cielo il suo dio protettore lo avverte di stare attento, perché quando sarà davanti al dio del cielo, Anu, questo gli porrà davanti pane di vita e acqua di vita. Adapa dovrà rifiutare perché è un inganno, si tratta di pane di morte e acqua di morte.
Adapa va davanti ad Anu che gli mette davanti pane di vita e acqua di vita che sono tali realmente. Adapa però istruito dal suo protettore li rifiuta e Anu si mette a ridere e lo respinge sulla terra, dove però diventa sapiente, uno dei sette sapienti del mondo mesopotamico. Qual è il senso del mito? Per qualche motivo l’uomo può raggiungere la sapienza finché vuole, ma non può raggiungere la vita. Un dio che inganna il suo protetto serve a spiegare perché l’uomo conosce, ma non vive. Troviamo la stessa problematica in Genesi 2 e 3. Ci sono due alberi dei quali uno è proibito. Alla fine però da quello proibito l’uomo mangia, l’albero della conoscenza, mentre gli verrà interdetto l’albero della vita. L’uomo anche qui può conoscere quel che vuole, ma non può vivere, è soggetto alla morte. Il mito spiega questo.
C’è una cosmogonia fenicia che sta anche alla base di alcuni brani di Genesi e che inverte le cose, che noi conosciamo tramite un autore che scrive in greco e che racconta di aver tradotto dal fenicio una storia che risalirebbe alla guerra di Troia che per loro era l’antichità somma. Qui abbiamo una creazione in senso contrario, una creazione atea, si procede da una cosmogonia, si mescolano diversi elementi fra di loro, di lì vengono fuori esseri sensibili, poi esseri intellettuali, poi copie di uomini che sono dei benefattori dell’umanità, ognuno inventa qualcosa. Si inventa anche la navigazione, qui il diluvio è interpretato in senso positivo perché nel diluvio si impara a navigare. Questi benefattori che vengono elevati a un piano divino. Gli dei qui sono creati da ultimo, è un processo contrario. Questo vuol dire qualcosa sulla struttura del mondo, gli dei sono benefattori dell’umanità, ma il mondo può esistere senza dei. Questo racconto a suo modo spiega la situazione del mondo attuale come gli altri, anche se segue un procedimento contrario. Questi racconti sono di estrema attualità pur essendo antichissimi, perché il problema del progresso, della sovrappopolazione, della responsabilità etica, sono presenti già allora, seppure in nuce e bisogna svilupparli e capirli nel loro contesto.