Governi 1984-2014, nuovo Concordato, riforma della legislazione ecclesiastica, di Carlo Cardia
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Riprendiamo sul nostro sito per gentile concessione il testo della relazione tenuta da Carlo Cardia il 12 febbraio 2014, nella sede del Senato - Palazzo Giustiniani. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line.
Il Centro culturale Gli scritti (23/2/2014)
SOMMARIO
- 1. LA SPINTA RIFORMATRICE ORIGINARIA E LE DIVEERSE FASI DEI TRENTA ANNI
- 2. LA STAGIONE DELLE INTESE
- 3. QUALCHE MOMENTO DI CRISI
- 4. GLI ANNI DELL’INCERTEZZA
- 5. PROGRESSI COLLATERALI E PROBLEMI DELL’INTERCULTURALITA’
LA SPINTA RIFORMATRICE ORIGINARIA E LE DIVEERSE FASI DEI TRENTA ANNI
Per scansione cronologica, i trent’anni che ci separano dal 1984 possono dividersi in tre fasi. Nella prima, dal 1984 al 2001, si sprigiona (diciamo così) una forte spinta riformatrice che punta a un progetto ambizioso: la riforma del Concordato, le prime Intese con i culti valdese, ebraico, avventista, pentecostale, battista, la presentazione del Disegno di legge sulla libertà religiosa che dovrebbe attuare gli articoli 7 e 8 della Costituzione, adeguare la legislazione alle Carte internazionali dei diritti umani. Un’opera di grande impegno, degna dei momenti migliori della nostra storia nazionale, portata avanti dai Governi d’ogni colore o tendenza. E’ il frutto del Governo di Bettino Craxi che firma il nuovo Concordato, l’Intesa con i Valdesi, pone le basi per le trattative con l’Unione delle Comunità Ebraiche e altre confessioni.
Nel secondo periodo, dal 2001 al 2008, la spinta riformatrice si affievolisce, è meno produttiva, mentre la politica, i partiti ormai diversi rispetto alla Prima Repubblica, sono più distaccati, danno per scontati i rapporti con le Chiese, ma avvertono le prime fibrillazioni sul problema dell’immigrazione (questione diversa, ma non lontana dalla nostra) che investe alcune tematiche religiose e alimenta sotterranee diffidenze. Prosegue l’iter del Disegno sulla libertà religiosa, ma con minore convinzione, sono approvati accordi di attuazione del Concordato; ma subiscono un freno le Intese con culti acattolici siglate dalle Confessioni che incontrano una sorta di ostruzionismo endo-governativo che cela altri obiettivi e intendimenti.
Infine, gli anni che dal 2008 giungono fino a noi, registrano una linea piatta un po’ su tutto l’orizzonte: del Disegno di legge sulla libertà religiosa non si parla più, non si segnalano iniziative di qualche importanza. Con un’eccezione, allo scadere dell’ultima legislatura, quando le Intese con 5 confessioni ferme per anni, ottengono una accelerazione improvvisa e divengono legge: si potrebbe dire, un frutto poco conosciuto delle larghe Intese.
Quindi diverse fasi, segnate da una decrescente produttività, e una certa preoccupazione perché il panorama religioso nazionale sta cambiando, con vistose modifiche: l’immigrazione incide sul quadro generale, radica nel tessuto civile alcune macro-minoranze che non hanno precedenti nella nostra storia. Alla presenza di oltre 800.000 persone che fanno riferimento alla Chiesa ortodossa romena e alla consistenza delle comunità islamiche misurabile in oltre un milione di persone, si aggiungono comunità ortodosse di varia denominazione, russa, albanese, moldava, di altri Paesi dell’Europa orientale, e poi significative comunità di buddisti, induisti, altri gruppi minori, alcuni dei quali giunti al traguardo dell’intesa ex articolo 8 della Costituzione. Senza che ce ne accorgiamo, il nostro caleidoscopio riflette un microcosmo delle maggiori religioni del mondo. Vedremo, c’è una relazione sorprendente tra la riforma del Concordato, i principi ispiratori, il rispetto del pluralismo religioso.
LA STAGIONE DELLE INTESE
La revisione del Concordato si realizza nel mezzo dell’evoluzione culturale e civile del secondo Novecento. E’ stata l’approdo di un processo riformatore realizzatosi in Italia negli anni ’60 e ’70, con leggi fondamentali in materia di diritto di famiglia, rapporto tra scuola e religione, assistenza e sanità, disciplina militare, etc. Queste riforme s’ispirano ai principi di laicità e libertà religiosa, e rendono più agevole la scrittura del Concordato dal 1976. Ma la riforma concordataria è anche l’inizio di un processo più ampio che deve dare piena legittimazione, con debito di risarcimento per i torti e persecuzioni subiti in passato, alle altre confessioni, in primo luogo l’ebraica, con la stipulazione delle Intese ex art. 8 Costituzione.
La stagione delle Intese, del primo decennio dopo il 1984, ha visto i governi di ogni colore o tendenza convinti sostenitori della riforma generale della legislazione ecclesiastica, eliminando le ultime diffidenze di chi temeva il doppio binario del privilegio per la Chiesa cattolica e di una libertà sottostimata per gli altri culti. A fugare questa preoccupazione sono state due scelte, operate nel 1984 e confermate sino ad oggi. La griglia delle tematiche del Concordato e quella delle Intese è stata impostata su un piano di sostanziale omogeneità, in modo da non creare serie differenze tra i contenuti dei diversi patti, bensì una convergenza, a volte una vera interdipendenza.
Quindi, diritti di libertà religiosa, presenza della religione nella scuola, rilevanza civile del matrimonio, assistenza religiosa nelle strutture obbliganti, libertà per gli enti ecclesiastici, rapporti finanziari tra Stato e Chiesa, ogni innovazione è stata estesa a chiunque l’abbia chiesta. Di più, il sistema del finanziamento delle confessioni (il concetto di ‘autofinanziamento’ mi sembra ambiguo), è stato concepito e attuato in modo paritario per i culti.
Va dato atto con piacere a confessioni che avevano criticato aspramente il meccanismo dell’8 per mille di avere con il tempo liberamente chiesto di aderirvi per ogni sua parte; ai governi di avere accettato le richieste confessionali anche modificando Intese precedenti. L’interdipendenza dei meccanismi di finanziamento comporta un vantaggio, perché in caso di modifiche (qualche miglioramento è possibile, forse auspicabile) devono essere accettate da tutti gli interlocutori.
L’altra scelta che ha garantito l’omogeneità dell’orizzonte riformatore è stata di vincolare il più possibile il testo delle leggi al contenuto delle Intese sottoscritte. Ciò ha evitato contenziosi senza fine sulle discrasie tra i testi, ha permesso di assicurare al testo pattuito una immediata traduzione normativa. A questa scelta è rivolta una critica, per le c.d. Intese-fotocopia, nel senso che si somigliano molto, a volte hanno clausole del tutto eguali. Ma questa critica, senza volerlo, contiene un elogio al legislatore: perché le differenze tra le Intese vi sono e sono significative; ma dove la disciplina è eguale la sua automatica normatività garantisce i culti contro velate diseguaglianze di trattamento.
Sull’onda di questa apertura riformatrice si registrano i risultati più cospicui della riforma della legislazione ecclesiastica nei primi quindici anni, senza differenza di colore dei governi: le Intese concordatarie sull’insegnamento della religione nella scuola, e sui titoli accademici pontifici (1994), sull’assistenza religiosa alla Polizia di Stato (1999 – sulla quale mi sembra ci sia stato di recente qualche problema), sul Regolamento per la legge 222/1985, sui beni culturali (1996, le 6 Intese con confessioni acattoliche elaborate e tradotte in Legge, l’avvio di altre 5 Intese nel periodo 2007 – 2012), l’avvio dell’iter per la legge organica sulla libertà religiosa, altre cose minori.
QUALCHE MOMENTO DI CRISI
Prima di passare agli anni dell’incertezza, è giusto chiedersi se ci sono stati momenti di crisi, in tutti questi anni, per il Concordato e le Intese. Crisi vere, di sistema, o ricorsi giudiziali importanti non si registrano, tranne che in un caso, nel 1987-89 per l’insegnamento religioso nella scuola. Fu crisi vera non tanto per l’intervento dei livelli giurisdizionali di Consiglio di Stato e Corte costituzionale, che risolsero presto la questione, confermando il testo pattizio e garantendo la facoltatività dell’insegnamento, quanto perché – Gennaro Acquaviva e Francesco Margiotta Broglio lo ricorderanno - riaffiorò per l’occasione un sentimento anticoncordatario endemico in alcune pieghe della società che era stato contenuto, in parte superato con la riforma del 1984.
Oggi quella crisi è un lontano ricordo, ma è stata aspra, ed è stata superata anche con dei paradossi, molto italiani. La controversia si è talmente ricomposta che anche il partito della sinistra che aveva osteggiato l’Intesa sulla scuola ha finito per inserire in ruolo gli insegnanti di religione, andando oltre (non contro) le previsioni concordatarie. Lo stesso partito ha elaborato e fatto approvare la legge sul sistema scolastico integrato nel cui ambito le scuole paritarie ottengono dignitosa collocazione. Scelte che possono o meno condividersi, ma che fanno riflettere sull’alternanza ondivaga con cui certi sentimenti (favorevoli o ostili, ideologici o pragmatici) affiorano, si spengono, riemergono, in una temperie politica che però non perde di vista l’essenziale.
Il secondo paradosso riguarda la formazione degli insegnanti di religione, e lo dico con simpatia, perché sono da sempre un convinto fautore dell’insegnamento religioso e ho partecipato a diversi incontri con gli insegnanti. Ho già ricordato un’altra volta alla Camera dei Deputati che sull’insegnamento religioso nella scuola vi fu un esplicito sottolineato consenso di Enrico Berlinguer, soprattutto con riferimento ai valori etici di cui questo insegnamento è portatore.
Il problema si può sintetizzare così: bisogna che insegnino più religione, perché i ragazzi che vengono all’Università a volte sembrano saper poco o nulla, di Vecchio e Nuovo Testamento, di sacramenti, di Chiesa, e via di seguito. Io devo fare qualche lezione di recupero prima di svolgere il corso istituzionale, perché gli studenti familiarizzino con i concetti base della materia religiosa. So bene che gli insegnanti di religione vivono difficoltà ambientali, e che le carenze della scuola non esistono soltanto per la religione (la storia, ad esempio, è spesso un oggetto misterioso), però si deve fare di più per il ruolo che i valori etici e religiosi possono svolgere nella formazione dei giovani. Se la CEI e la scuola potessero fare qualcosa in questo senso, sarebbe molto positivo.
Un altro momento critico è stato quello dell’8 per mille, sul quale si riversarono critiche dure e aspre. Però, lo dicevo prima, il tempo è stato galantuomo, non soltanto tutte le confessioni hanno accettato e aderito al sistema dei due flussi finanziari, ma il meccanismo stesso è stato poi preso a modello per il 5 per mille per le Onlus, annunciato con il 2 per mille per il finanziamento della politica, e ripreso da alcuni Paesi europei nella propria legislazione ecclesiastica.
Vorrei dire però che, certamente, si possono rivedere e migliorare anche scelte che riguardano i rapporti con le Chiese, e anche l’8 per mille può essere perfezionato (per esempio, rapportando il livello della spartizione alla linea di evoluzione del gettito IRPEF), ma senza ricorrere a visioni apocalittiche che non hanno più alcuna ragion d’essere. A volte nei momenti di polemica sembra che stia per crollare tutto, si invocano i grandi principi anche per questioni del tutto minori. E’ un po’ nel DNA del nostro Paese, ma occorre un po’ di saggezza e tener presente la base forte di collaborazione che esiste tra Stato e Chiese, che garantisce da stravolgimenti laicisti o confessionali, e non è più tempo per contrapposizioni.
GLI ANNI DELL’INCERTEZZA
Quando cambia il clima, e quando si attenua la spinta riformatrice in questi trenta anni. La risposta non è facile, ma certamente il punto di riferimento è il disegno di legge sulla libertà religiosa, in cantiere dal 1987, ma già preannunciato in sede di revisione del Concordato come obiettivo e coronamento della riforma complessiva della legislazione ecclesiastica. Con questa legge si abroga la Legge del 1929 sui ‘culti ammessi’, si regolano i diritti delle confessioni di fatto e di quelle riconosciute, si tracciano le procedure per realizzare le Intese. E’ un obiettivo strategico, condiviso dai diversi governi. Si pensi solo che la prima elaborazione del testo avviene durante il Governo De Mita, il Disegno di legge viene presentato dal Governo Prodi del 1997, poi dal Governo Berlusconi del 2002.
Non voglio dilungarmi in analisi tecniche dell’iter legislativo, che ad un certo punto sembra in dirittura d’arrivo perché per due volte tra il 2002 il 2006 la Commissione parlamentare competente approva un testo che potrebbe essere definitivo, ma poi non se ne fa niente. Inoltre, in questi anni, segnali negativi di diversa natura rallentano il processo riformatore. La Commissione bilaterale italo-vaticana per la riforma dell’assistenza religiosa alle Forze Armate non conclude i suoi lavori, e si lascia temporaneamente in vigore la normativa esistente. Nuove Intese ex art. 8 Cost. non vengono presentate dal governo in Parlamento; e altre intese concordatarie relative alla assistenza religiosa negli ospedali e nelle carceri, si arenano non si sa perché.
Le ragioni di queste interruzioni, o scivolamenti senza costrutto, possono essere diverse, ma cerco di riassumerle in due punti. Certo, è venuta meno come si diceva un tempo la spinta propulsiva per una riforma che si avverte come non più urgente, anche perché le innovazioni precedenti hanno inciso notevolmente creando un clima positivo tra Stato e confessioni.
Per l’assistenza religiosa alle Forze Armate, bisogna registrare una sorta di gossip che forse ha influito sul rinvio della riforma, un gossip che ha messo in giro la voce che qualcuno volesse togliere le stellette e i gradi ai cappellani militari. Ma è una voce infondata, destituita di ogni fondamento. Non soltanto è un dovere dello Stato garantire l’assistenza religiosa alle Forze Armate, ma è giusto rendere onore agli Ordinari e ai cappellani militari per la preziosa funzione spirituale che svolgono e per la loro condivisione anche dei momenti più difficili delle missioni di pace dei nostri militari nel mondo.
Così come è doverosa l’assistenza spirituale nelle carceri, ma occorre rendere onore ai cappellani per la preziosa funzione religiosa e sociale che svolgono in una fase così ardua per i problemi che affliggono gravemente (e che conosciamo tutti) la popolazione carceraria. Per questa ragione, forse occorre un nuovo impegno delle Parti per le riforme dell’assistenza religiosa come previsto dall’art. 11 del Concordato.
Tuttavia, c’è un’altra ragione che frena la produttività legislativa. L’Italia comincia a vivere i problemi e le tensioni dell’interculturalità connessi al fenomeno immigratorio in piena espansione dagli anni ’90 ad oggi. Affiorano così timori e diffidenze verso costumi e tradizioni lontane dalle nostre e s’offuscano alcune nostre convinzioni di base: si insinua una lettura nuova, quasi pessimistica, del pluralismo confessionale, con il risultato di frenare sia pure in modo indiretto le riforme in corso, anche quelle vicine al traguardo.
Propongo due esempi concreti per evitare analisi ideologiche. Quello più importante. Quando la legge sulla libertà religiosa, nella XIV legislatura (2002), è ripresentata in Parlamento il clima è diverso. Alcune norme in tema di diritti di libertà, finora accettate pacificamente, sono rilette e interpretate alla luce dei rischi che si temono per tradizioni lontane dalla nostra in materia di libertà matrimoniale, diritto di famiglia, condizione della donna, via di seguito. Si teme che si apra la strada alla costruzione delle moschee (dimenticando che la libertà di culto è per tutti), che si legittimi la poligamia (che non c’entra nulla con la legislazione ecclesiastica), si ha paura di una eccessiva tolleranza per Imam che vengono dall’estero, etc. Insinuatesi queste paure, il resto segue, anche le norme più innocenti presentano ombre, il problema delle Intese offre un’altra visuale. Si dice apertamente che occorre essere prudenti nell’approvare nuove Intese perché prima o poi verrebbe il turno di una Intesa con l’Islam, e ciò basta per radicare un elemento di paralisi politica che mette d’accordo tacitamente anche forze politiche di diversa natura.
PROGRESSI COLLATERALI E PROBLEMI DELL’INTERCULTURALITA’
Questa è la situazione nella quale, senza accorgercene, ci troviamo oggi. Naturalmente, non mancano progressi collaterali: la Chiesa ortodossa romena ottiene il riconoscimento, è quasi pronta a presentare la domanda di Intesa, e ciò potrà avvenire anche per la Chiesa ortodossa russa. Ma non dobbiamo dimenticare che spesso gli ortodossi celebrano il culto nelle Chiese messe a disposizioni dalla CEI, o da singoli vescovi, sulla base di una concezione ecumenica molto bella e positiva. La questione dell’immigrazione è all’origine della elaborazione della Carta dei valori della cittadinanza e dell’integrazione del 2007-2008 ad opera di Giuliano Amato e nei primi tentativi di aggregazione delle comunità islamiche.
Per il resto, le grandi scelte sono rinviate, soprattutto quella di giungere alla legge organica sulla libertà religiosa la cui mancanza lascia aperte diverse questioni.
Possiamo dire insomma che la questione della multiculturalità ha innescato preoccupazioni e paure che hanno frenato il resto. Non posso affrontare in questa sede i suoi diversi aspetti, ma posso segnalare che i principi della riforma del Concordato a trenta anni di distanza meritano una celebrazione, ma meriterebbe di più che si giungesse davvero al termine della riforma generale della legislazione ecclesiastica, che era sin dall’inizio il vero obiettivo dei primi passi compiuti sin dal 1976.
La prima sottolineatura riguarda la legge sulla libertà religiosa di cui si continua a parlare, e su cui stano lavorando gruppi interdisciplinari qualificati per giungere ad un nuovo testo da proporre. Occorre evitare il rischio di voler risolvere all’interno di questa ipotetica legge tutte le problematiche e le specificazioni connesse alla interculturalità. Noi siamo fortunatamente (e per ragioni precise) un Paese che ha una laicità positiva, accogliente, non fa le guerre al velo, o ai simboli religiosi, ma tutti li difende e li difende bene come s’è visto a Strasburgo nel caso del crocifisso, e dunque non presenta ostilità pregiudiziali per questa o quella religione o tradizione.
Non c’è bisogno di inserire in una legge generale tutte quelle micro-questioni che devono essere risolte sulla base di principi ordinamentali, e di quella saggezza che non è mai venuta meno nella nostra cultura giuridica: vorrebbe dire ricercare un perfezionismo inutile, forse dannoso.
Dobbiamo poi sapere che la specifica questione dell’Islam non si risolverà fino a quando le comunità musulmane non riusciranno ad aggregarsi in modo limpido e consistente da poter aspirare al riconoscimento civile e poter fruire delle possibilità costituzionali previste per le confessioni. Ma questo processo aggregativo non è facile; non lo è per la storia dell’Islam, per la molteplicità di gruppi e comunità islamiche presenti in Italia, per una loro quasi innata tendenza autonomista, da ultimo per il fatto che ad agevolare l’aggregazione occorrerebbe l’impegno delle istituzioni pubbliche.
Un tentativo, per la verità, è stato fatto subito dopo la Carta dei valori, quando si giunse, oltre ad una importane dichiarazione d’intenti tra le principali organizzazioni islamiche, quasi alla bozza di Statuto di una Federazione Islamica Italiana moderata che aveva tra i suoi scopi anche quello di giungere ad una Intesa ex articolo 8 della Costituzione. Ma era troppo presto rispetto ai tempi di maturazione dell’Islam e della società italiana. Tanto che, finito il momento magico, tutto è rimasto come prima, ciascuna comunità ha proseguito della propria evoluzione e nel far crescere la propria organizzazione.
Le carenze, e le diffidenze, che ho citato possono essere superate se si tiene fermo il rigoroso rispetto della libertà religiosa di tutti e dei diritti umani degli appartenenti a qualunque confessione religiosa, e questi principi di stretta derivazione costituzionale sono stati alla base della revisione del Concordato e delle altre riforme realizzate nel corso dei trenta anni appena compiuti.
Il processo riformatore, è il caso di ribadirlo, è stato realizzato con una condivisione ampia, che ha superato quasi sempre i confini delle maggioranze politiche e governative, e questo è un patrimonio che può essere prezioso per raggiungere nuovi traguardi.