Commossi da una Passione imprevista. Intervista con Carlo Mazzacurati di Paolo Mattei
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Riprendiamo dal sito della rivista 30giorni un’intervista con Carlo Mazzacurati di Paolo Mattei pubblicata sul n. 10/2010. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line.
Il Centro culturale Gli scritti (22/1/2014)
Carlo Mazzacurati regista del
film La Passione [© Fandango]
In un ameno borgo toscano c’è un ex ladro sovrappeso che sbarca il lunario recitando improbabili e incomprensibili monologhi. C’è pure un consumato e ridicolissimo attore che, con la lingua carica del più assurdo e grottesco birignao immaginabile, declama da una televisione locale le previsioni meteorologiche. E poi un famoso regista cinquantenne in crisi creativa, costretto da eventi beffardi, un Venerdì Santo, a mettere in scena con quei due sgangherati commedianti, e con alcuni volenterosi ma imperiti abitanti del posto, una sacra rappresentazione della Passione di Gesù per le vie del paesino. C’è naturalmente anche una piccola folla di spettatori che segue passo passo la rappresentazione, dall’Ultima cena al Golgota. E quando, per un improvviso temporale, una pioggia benefica scende a bagnare il volto affaticato dell’uomo crocifisso, che si spalanca in un sorriso di gratitudine verso il cielo, quella piccola folla che gli era andata dietro dapprima con fastidio, poi con crescente stupore, pietà e tenerezza, fugge stordita lasciandolo con i due ladroni, le donne, Giovanni, il soldato romano e il regista.
Ecco una possibile balbettante descrizione di alcune delle moltissime cose che accadono ne La Passione, l’ultimo film diretto da Carlo Mazzacurati, cinquantaquattrenne regista e sceneggiatore italiano, e interpretato, tra gli altri, da Silvio Orlando – il protagonista in depressione artistica –, Giuseppe Battiston – l’ex ladro –, Corrado Guzzanti – il vanitoso e terribile divo locale -, Kasia Smutniak – la bellissima ragazza dell’Est nella parte di Maria Maddalena – e Stefania Sandrelli, la sindachessa che interpreta Maria.
La pellicola di Mazzacurati mette in scena personaggi del nostro tempo inaspettatamente coinvolti in una vicenda che ruota attorno alla Passione di Gesù: una sacra rappresentazione di paese che a un certo punto li colpisce profondamente. Come colpì gli uomini, le donne e i bambini che duemila anni fa si trovarono per caso sulla strada di quell’uomo, sconosciuto a molti di loro, mentre saliva al Calvario portando la croce.
Abbiamo posto alcune domande al regista.
Come le è venuta in mente una storia del genere?
CARLO MAZZACURATI: È molto semplice. Se non mi fosse capitata una certa cosa nella vita, difficilmente avrei incontrato questa materia. Mi è accaduto personalmente quello che accade al protagonista del film. Non molto tempo fa mi trovavo nel paese in cui sono solito trascorrere una parte dell’anno, il paese di mia madre e di mio nonno, che si trova in Toscana, non lontano dalle zone in cui è stata realizzata la pellicola. Gli abitanti mi chiesero di dar loro una mano ad allestire una sacra rappresentazione, una cosa che non avevo mai fatto prima d’allora… Per la simpatia che mi comunicavano e per il piacere di stare con loro, ho detto di sì. Ho sentito che forse era l’occasione di mettere a disposizione le mie minime capacità in un’avventura di quel tipo. E infatti si trattò di una vera e propria avventura, rocambolesca, ne successero di tutti i colori, al punto che col tempo si tradusse in un racconto che di tanto in tanto mi capitava di ripetere ai miei amici.
Qual è il suo rapporto con la storia di Gesù e del cristianesimo?
Non so risponderle. E se mi fa anche la “domanda fatidica”, davvero non so risponderle. Sono senz’altro cresciuto, come quasi ogni italiano, a contatto col cristianesimo. Ho fatto addirittura il chierichetto da bambino, anche se fui presto mandato via perché in sacrestia feci fare al turibolo un giro completo di trecentosessanta gradi, cercando di imitare un mio amico… Ma io non ero abile come lui, e la cenere e l’incenso si sparsero ingloriosamente sul pavimento. A parte gli scherzi… La verità è che mi sono avvicinato del tutto laicamente alla vicenda raccontata. Poi, mentre filmavamo le scene, sono accadute delle cose che mi hanno fatto stare con le orecchie, gli occhi e il cuore aperti, e quindi… Insomma, qualcosa deve essermi sicuramente capitato, non so spiegarle bene che cosa, non so dirlo con esattezza e razionalità assolute. Mi sono accorto però che la storia, che partiva come una commedia – perché tale è la sua natura di fondo –, a un certo punto imboccava una curva acuta, diventando anche altro. Questo non l’avevo previsto quando descrivevo lo spunto narrativo a Procacci, il produttore della Fandango.
Il film ha commosso moltissimi spettatori, credenti e non…
Di questo sono molto contento, e anch’io sono rimasto emozionato e commosso per questa accoglienza. Quando il film è uscito nelle sale mi sono sorpreso a dialogare con persone con cui non avrei mai immaginato di trovarmi a parlare. Magari è un dialogo che non sempre trova le parole giuste. Ma che sia una cosa buona lo capisci anche solo dagli occhi di chi incontri, o da come uno ti stringe la mano. Ho sentito che il film aveva toccato qualcosa. Ed è stata un’esperienza che ha toccato anche me. Mi è sembrato bello il fatto che, partendo dalle pochissime cose che avevo messo insieme, io abbia così inaspettatamente potuto intravvedere un significato, una bellezza, e, pure, diciamo così, una “sensatezza” in una storia che io stesso non conoscevo, o che conoscevo appena… Anche per me è stato come scoprire qualcosa. Io, in fondo, ho percorso la stessa strada dei personaggi del film, che si ritrovano, un po’ loro malgrado, dentro circostanze impreviste. Accade loro veramente qualcosa di inatteso – di trascendente, ma non nel senso strettamente ortodosso del termine – nelle condizioni più ordinarie della vita: come, molto semplicemente, capita a questo regista, il quale, preso da tutt’altro, con mille altri pensieri e preoccupazioni nella testa, si ritrova improvvisamente a dover dirigere, senza sapere bene come farlo, la rappresentazione della Passione di Gesù con uomini e donne che non sono attori di professione. Questa serie di circostanze ha creato una specie di impasto emotivo che è l’elemento che dà davvero senso a questo lavoro.
Il film è pieno di particolari che spesso provocano suggestioni e riscontri diversi in chi lo guarda…
Secondo me, il regista è come un pescatore che trascina una rete sul fondo del mare: sa solo in parte che cosa catturerà, e sta anche a guardare quello che il caso, l’energia che si è messa in moto, genera. Io sono sicuramente inconsapevole di tante emozioni che il film può provocare. Una cosa di cui sono però sicuro è che a me il cinema piace anche nella misura in cui non svela completamente, ma lascia delle zone di “non detto” in cui ciascuno spettatore possa muoversi con la propria sensibilità.
Una scena particolarmente suggestiva è quella in cui il protagonista, colpito dalla febbre, viene abbandonato dal suo più grande amico di quei giorni: e mentre accade questo, un televisore sullo sfondo trasmette la scena di Marcellino pane e vino in cui i frati cercano angosciati il bambino…
Marcellino pane e vino è uno dei primissimi film che ricordo di aver visto nel cinema parrocchiale in cui andavo da piccolo. Non capii quasi nulla della storia: ero emozionato principalmente dal fatto di vedere un film, e mi colpivano soprattutto i suoni, le voci dei doppiatori, il volto del bambino e quelli dei frati. Quando mi capita di trovarmi da solo, di notte, magari con la febbre, spesso uso come sottofondo sonoro il dvd di un film, perché mi faccia compagnia, probabilmente perché, provando una certa paura infantile della solitudine, sento il bisogno di una presenza che stia con me in quei momenti di fragilità. Anche il protagonista sta cercando qualcosa che gli faccia compagnia. Lui, per venir fuori dai guai, chiede aiuto a chiunque. Allora ho immaginato che, per questa sua debolezza, pure lui, in una notte di febbre, potesse accendere il televisore, anche soltanto per avere una luce là accanto… La sincronia tra la scena di Marcellino che va da Gesù e l’amico che lascia il protagonista è una felice coincidenza, non l’ho calcolata.
Immagine del filmLa Passione, scritto e
diretto da Carlo Mazzacurati [© Fandango]
Anche sul set c’è stata emozione durante la ripresa delle scene della Passione di Gesù?
Sì. Quel clima visivo, quella tensione non li costruisci artificialmente. Faceva molto freddo. A un certo punto è salita la tramontana, che ci ha creato grandi difficoltà. Il vento feroce colpiva le tre croci, e a quell’altezza la sua veemenza si sente molto di più che a terra. Per gli attori era molto difficile stare fermi là sopra. Allora, quel personaggio che si trovava là sopra suo malgrado, con quella purezza che aveva commosso tutti, ha sicuramente inciso nella reazione della massa delle comparse. La folla che osserva la scena è infatti costituita da abitanti del paese, venuti là un po’ curiosi e molto infreddoliti. I loro sguardi sono parte fondamentale della riuscita di quella sequenza. Ci siamo trovati là come se fossimo tutti testimoni di qualcosa di profondamente emozionante che non avevamo calcolato.
Si aspettava che anche le sequenze più gremite, come quelle in cui la folla smarrita e stupita guarda Gesù in croce, risultassero così “vere”?
È stata una grande fortuna… Questo è un mestiere, almeno per come lo facciamo in Italia, in cui tu prepari, costruisci, però poi è sempre influenzato da elementi inattesi. Se li respingi, secondo me non ti apri nemmeno all’eventualità che qualcosa di bello possa accadere, qualcosa che possa dialogare con quanto stai facendo. Io vedo che, nella mia pur contenuta esperienza in questo lavoro, le opere più riuscite sono sempre state quelle in cui l’artificio del mestiere ha dialogato con la forza di qualche fatto imponderabile a cui mi sono dovuto adeguare. Non possiamo controllare tutto. Tu vesti ognuna delle comparse, allestisci, sistemi le luci… Però il momento in cui tutto accade è qualcosa che non hai mai visto finché non accade. Così è lo stato d’animo dei personaggi del film: così inadeguati, ridicoli, umiliati, si ritrovano spettatori di un evento che non è in mano loro. Sono parte di qualcosa che accade a loro, ma che loro non avevano né capito né previsto…
Si piange e si ride insieme… Un bel risultato, vero?
È la cosa più bella che possa capitare a chi fa il mio mestiere. Non lo dico perché sono regista, ma perché credo sia la conseguenza di tante circostanze in cui c’entrano moltissime persone. Davvero un film è un’opera collettiva in cui tantissime persone mettono ciascuna un pezzettino… Come in una grande orchestra. La bellezza della musica è una speranza che in questo caso si è realizzata.
Le sequenze della rappresentazione sacra sembrano esemplate su antiche opere pittoriche. Ci sono riferimenti precisi?
Un film, soprattutto, La ricotta di Pasolini, è stato senz’altro un richiamo imprescindibile. Ma io credo che La Passione stia dentro un altro tempo, un altro momento della storia italiana. Iconograficamente non ha i riferimenti precisissimi – fisici e cromatici – alle opere di Rosso Fiorentino e di Pontormo che Pasolini utilizzava. Nel nostro film direi piuttosto che c’è un’atmosfera che ha a che vedere con i bellissimi cicli della Passione prodotti in Italia tra il Trecento e il Quattrocento, che sono del resto un modello fondamentale per tutta la pittura italiana successiva.