Still life: un capolavoro, forse il film dell’anno 2013. «La qualità della nostra società si giudica dal valore che assegna ai suoi membri più deboli e chi è più debole di un morto? Il modo in cui trattiamo i defunti è un riflesso del modo in cui la nostra società tratta i vivi».
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Riprendiamo sul nostro sito alcuni testi su Still life, di Uberto Pasolini. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la loro presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line.
Il Centro culturale Gli scritti (5/1/2014)
1/ Note di produzione di "Still Life"
(dal sito http://www.cinemaitaliano.info)
Still life è il secondo lungometraggio diretto da Uberto Pasolini. Produttore di successo di film quali Full Monty ‐ Squattrinati organizzati e Palookaville […] Still life si ispira a persone e fatti reali. Quando lesse di uomini e donne il cui lavoro è organizzare il funerale di persone che muoiono senza lasciare nessuno dietro di sé, Pasolini riconobbe nella loro professione qualcosa di profondo e al tempo stesso di universale. “Rimasi colpito dal pensiero di tante tombe solitarie e di tante funzioni funebri deserte”, spiega. “È un'immagine molto forte. Mi sono messo a riflettere sulla solitudine e sulla morte e sul significato dell'appartenenza a una comunità e di come la consuetudine del buon vicinato sia ormai scomparsa per molti di noi. Mentre scrivevo la sceneggiatura mi sono sentito in colpa di non conoscere i miei vicini di casa e la mia comunità locale. E per la prima volta sono andato alla festa di strada del mio quartiere, sentendo il desiderio di partecipare a quel piccolo tentativo di creare un legame tra vicini”.
Il senso della mancanza di impegno nei confronti della comunità ha alimentato riflessioni più profonde sulla società contemporanea. “Cosa stiamo dicendo del valore che la società attribuisce alla vita dei singoli individui? Come è possibile che tante persone siano dimenticate e muoiano sole?”, continua il cineasta. “La qualità della nostra società si giudica dal valore che assegna ai suoi membri più deboli e chi è più debole di un morto? Il modo in cui trattiamo i defunti è un riflesso del modo in cui la nostra società tratta i vivi. E nella società occidentale a quanto pare è molto facile dimenticare come si onorano i morti. Sono profondamente convinto che il riconoscimento della vita passata di ciascun individuo sia fondamentale per una società che voglia definirsi civile”.
Pasolini ha intessuto queste idee in un film su un funzionario comunale di mezza età, John May, il cui ultimo incarico prima di essere licenziato per esubero consiste nell'organizzare il funerale di un uomo morto in solitudine in un appartamento dirimpetto al suo. Fermamente deciso a rendere il suo ultimo lavoro un successo, John May si mette in viaggio in tutto il paese alla ricerca dei parenti e degli amici del defunto. Nel corso del tragitto, incontra la figlia abbandonata dell'uomo che gli prospetta la possibilità di un futuro di amore e compagnia. La forza della passione di Uberto Pasolini per la storia e i temi trattati gli hanno reso impossibile cedere le redini creative a qualcun altro e dunque, come con Machan, ha deciso di dirigere e scrivere personalmente il film.
“Con Still life, sapevo di voler realizzare un film statico, proprio come allude il titolo. I miei riferimenti visivi sono stati i film di Ozu, con le loro immagini di vita quotidiana di grande quiete e al tempo stesso di immensa potenza”.
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Il cast è guidato da Eddie Marsan, indiscutibilmente uno dei migliori attori caratteristi inglesi, il cui talento è stato riconosciuto da registi acclamati in tutto il mondo e molto diversi tra loro, quali Martin Scorsese, Steven Spielberg, Mike Leigh e JJ Abrams. Pasolini ha scritto il personaggio di John May, il meticoloso e coscienzioso funzionario comunale addetto ai funerali dei morti in solitudine, pensando a Marsan, assolutamente convinto che sarebbe stato in grado di far emergere le complessità del personaggio nella staticità della recitazione.
“La solitudine di John May è intrinseca al film, ma lui non ha percezione del proprio isolamento, non si rende conto che esiste un altro modo di vivere”, afferma Pasolini. “Abbiamo la tendenza a dare per scontato che se noi la pensiamo in un certo modo anche tutti gli altri la pensano allo stesso modo e nel caso della solitudine e dell'isolamento proiettiamo le nostre paure sulle persone che ci circondano. Ci sono persone la cui vita privata appare vuota, che tuttavia hanno un'autosufficienza emotiva e si sentono realizzati in altri ambiti della propria esistenza, per esempio nel lavoro. Di per sé, la vita di John May è piena, piena delle esistenze dimenticate a cui lui si dedica. E benché possiamo non voler vivere la nostra vita nella “immobilità”, è importante che non ci sentiamo lontani da lui. E, ovviamente, proviamo un grande piacere quando, nel corso del film, John inizia ad aprirsi e sperimenta nuovi piatti, si reca in luoghi che non aveva mai visitato, divide una bottiglia con due senzatetto… La maestria e l'umanità di Eddie hanno portato verità nelle azioni e nei piccoli cambiamenti che segnano la vita di John May”.
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Il personaggio di John May presentava una serie di sfide singolari per Marsan sul piano della recitazione. “Sapevo che esistono dei funzionari addetti ai funerali, ma non avevo idea di quanto potessero essere solitari o eccentrici”, continua l'attore. “Lavorano da soli e già questo è piuttosto inconsueto. Eppure sentivo che, malgrado conduca una sua vita solitaria, John May non è solo. È un tipo alquanto singolare, non esprime molte emozioni, quindi era essenziale che io mostrassi i suoi pensieri. È un individuo molto introverso e non è facile interpretarlo perché devi capire che cosa prova e poi non esprimerlo. Ma è questo che lo rende un bel personaggio: è complesso e vero, più di uno che parla con il cuore in mano. È molto coscienzioso, si sente rassicurato e prova piacere nell'occuparsi delle questioni di questi defunti. Ha una vita molto strutturata e quando perde il lavoro viene privato del rifugio che costituiva la sua occupazione ed è costretto ad affrontare la vita a viso aperto. E quando inizia a indagare nel passato del suo vicino di casa morto, comincia ad aprirsi proprio perché quel morto era molto vicino a lui, era il suo dirimpettaio, e l'appartamento a soqquadro di Billy Stoke è l'immagine speculare dell'appartamento di John May, così come la vita disordinata di Billy è l'immagine speculare dell'esistenza ordinata di John e John assume consapevolezza della propria mortalità. La sua ricerca nella vita di Billy lo porta a compiere un viaggio sia psicologico che geografico. E la vita gli dà uno schiaffo in faccia”.
Accanto a Marsan nel ruolo di Kelly c'è Joanne Froggatt. Conosciuta oggi soprattutto per il personaggio di Anna nella serie televisiva di grande successo Downton Abbey, Joanne Froggatt ha catturato l'attenzione di Uberto Pasolini con la sua pluripremiata interpretazione nel film per la televisione In Our Name, in cui veste i panni di una soldatessa che lotta per tornare alla vita civile. “Per il personaggio di Kelly, la figlia del defunto, ho cercato un'attrice in grado di coniugare una vulnerabilità ferita con un senso di ottimismo e di speranza”, dichiara Pasolini. “Nella sua brillante interpretazione in In Our Name, Joanne ha dato prova di forza e fragilità in un personaggio completamente credibile”.
Joanne Froggatt considera Kelly una donna carina e normale. “Ha subito molte ferite in passato e ha sofferto l'abbandono del padre, motivo per cui ha costruito la sua vita intorno ai cani. È un tipo solitario, ma poi conosce John May con cui inizia a costruire un'amicizia”. È stata l'originalità della sceneggiatura di Uberto Pasolini a conquistare Joanne. “L'ho trovata una storia molto insolita e questo mi ha subito attratta perché non mi capita spesso di leggerne. È un racconto molto tenero che tratta di un tema interessante a cui non avevo mai pensato e di cui non avevo mai letto. E quando ho saputo che Eddie avrebbe interpretato il protagonista, il mio desiderio è cresciuto ancora di più perché sono una sua grande ammiratrice”. “Il film tocca una moltitudine di temi, ma in sostanza parla della vita, di come ci relazioniamo con le altre persone e dello sconforto di un'esistenza solitaria”, continua Joanne.
“C'è una tristezza di fondo, ma c'è anche un autentico calore: due estranei possono costruire un legame grazie alla comprensione reciproca e a determinate situazioni. Viene spontaneo immaginare che Kelly e John si sosterranno l'un l'altro e che tra loro inizi un bellissimo rapporto”. […]
Insieme alla scenografa Lisa Marie Hall e alla costumista Pam Downe, Pasolini ha deciso la gamma cromatica del film. “Il film è in parte un percorso di risveglio dei sensi e dunque abbiamo deciso di desaturare il colore all'inizio e di introdurre gradatamente le varie tonalità. Per questo motivo nella prima parte del film ci sono pochissimi colori e prevalgono i grigi, i blu e i marroni pastello e monotoni e mano a mano che la storia procede si inseriscono altri colori. Per quanto riguarda i set, ci sono molte simmetrie tra alcuni degli alloggi che John visita e il suo, per esempio le linee ordinate della biancheria e delle bottiglie nella casa della donna del gatto all'inizio del film sono simili alle linee rette e alla nitidezza del suo appartamento”. […]
2/ da un articolo di Alessandra De Luca su Avvenire del 12/9/2013 (?)
“Nel film – continua il regista – si mescolano lo studio di una realtà sociale precisa, osservata nel sud est di Londra, e l’esigenza molto personale di affrontare la mia personale solitudine. Non vivo sempre con i miei figli e mi capita spesso di rientrare in una casa vuota, senza voci né odori. A differenza di John May, che non avverte la mancanza di qualcosa e vive una vita piena, soddisfatta, io soffro la mia condizione e questa storia mi ha aiutato ad affrontarla”. E conclude Pasolini: “In un’epoca in cui neppure conosciamo i nostri vicini di casa ho voluto sottolineare l’importanza di essere coinvolti nelle vite degli altri, di dedicarsi al prossimo come fa il protagonista del film. Non dovremmo mai perdere l’occasione per offrirci agli altri e arricchirci con quello che le altre persone hanno da offrirci. A differenza di quello che sembrerebbe giudicando dal finale, non credo nel metafisico, ma nello spirito dell’uomo sì, uno spirito che sopravvive nella memoria degli altri”.
3/ Breve nota di Andrea Lonardo
In inglese Still life significa Natura morta: è il titolo scelto da Uberto Pasolini. Eppure John May muore avendo resa significativa la sua vita con il dono di sé. Come nella parabola del chicco di grano che non può portare frutto se non cade in terra e non muore.
È grazie al suo sacrificio che le due figlie di Billy Stoke, così come tutti coloro che Billy ha incontrato ed amato, si incontrano per onorarlo nel giorno del suo funerale. John May paga con la solitudine del proprio funerale il dono che ha fatto a tutti.
Ma ecco che tutti coloro che egli ha onorato improvvisamente vengono per lui, giungono per dirgli il loro grazie, per esprimere quella gratitudine che non hanno potuto manifestare in vita. Certo Uberto Pasolini dichiara di non credere nel metafisico, ma la straordinaria scena finale del film invoca l’esistenza di un “giudizio” ulteriore alla storia, di un momento in cui sia resa giustizia alla bontà degli uomini che è rimasta nascosta, custodita nel segreto.
Una delle antiche, ma mai superate, opere di misericordia è proprio: “Seppellire i morti”. Ed è sulla carità che ogni uomo sarà giudicato.
Anche ai preti capita di accompagnare tanti nell’ultimo tratto di vita, di dare la vita per permettere ad altri di incontrarsi almeno in quel momento (e talvolta anche prima): ebbene proprio questi piccoli e deboli ci accoglieranno un giorno nel regno dei cieli.