Una cultura senza nozione di natura. Un confronto con il pensiero greco, di Riccardo Di Segni
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Mettiamo a disposizione sul nostro sito un testo del Rav Riccardo Di Segni, tratto da Riccardo Di Segni, Le unghie di Adamo. Studi di antropologia ebraica, Guida, Napoli, 1981, pp. 22-25. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto.
Il Centro culturale Gli scritti (5/1/2014)
1. Nella evoluzione del pensiero religioso dei greci, il rapporto con i vari elementi della natura attraversa stadi successivi; dal culto del singolo fenomeno o oggetto naturale (animatismo), al culto di uno spirito immanente al fenomeno, di cui il fenomeno o l'oggetto sono la manifestazione (animismo); fino al culto di divinità dalle caratteristiche precise, concepite come produttrici dell'oggetto o come governatrici del fenomeno; divinità che possono rimanere confinate con le loro prerogative al fenomeno particolare, o estendere la loro sfera d'azione fino ad acquistare caratteri generali, morali e spirituali.
Ritroviamo questo schema evolutivo nel culto dei singoli elementi naturali: il sole, la notte, la luna, la terra, i fiumi, ecc.[1].
Anche l'intera natura, considerata nel suo complesso, viene concepita come creatrice autonoma e quindi come divinità e oggetto di culto. Lo dimostra un interessante documento: l'inno orfico Physeos 'Alla natura'[2]. La natura è qui chiamata «dea, madre di tutto, industre genitrice», «ordinatrice degli dei», «padre di sé stessa e senza padre», «regina di tutto», «nutrice generosa» «di tutto padre e madre, nutrice e alimento», «impulso che dà alle cose la forma», «artefice perfetto plasmatrice feconda», «tonante, la più potente dei re superni».
Lo stesso termine greco con cui è indicata la natura, physis (da phyo = produrre, far nascere, generare) acquista il significato attivo di entità creatrice, di natura come potenza che dà principio.
2. Se si ricercano nell'ebraico biblico dei termini, che corrispondono alla physis greca, intesa come natura creatrice, è possibile constatare come questo concetto è praticamente introvabile. A questa conclusione si giunge esaminando sistematicamente il significato dei vari termini che in qualche modo potrebbero essere vicini al vocabolo greco, specialmente quelli derivati da radici di significato analogo al verbo da cui deriva physis[3].
Dalla radice br' usata in Gn 1:1 per indicare l'azione creatrice divina, deriva un unico sostantivo, berj'àh che è usato soltanto in Nu 16:30, con il significato di cosa nuova, novità.
Dalla radice jld, che più si avvicina al greco phyo con il significato di partorire, creare, fecondare, derivano numerosi sostantivi, (come jéled-figlio; jelíd-nato, figlio; molédeth-origine, progenie, ecc.) nessuno dei quali ha però alcun rapporto con la 'natura' greca.
Dalla radice jtzr che significa formare, dare la forma, creare, riferita specialmente alla lavorazione della argilla, deriva il sostantivo jetzer, con ampio significato, da 'formazione' a 'pensiero' fino all'ebraico rabbinico, dove assume il significato di 'istinto'. Il termine però, se pure corrisponde al significato di physis come temperamento, indole, non assume mai il significato di natura, neppure come 'cosa creata', o 'formata'. Un significato vicino al concetto di 'cosa formata' lo assume un altro termine derivato dalla stessa radice, jetzùr, usato una sola volta, al plurale, in Job 17:7. Qui il significato è però molto incerto e per alcuni significa 'membra', per altri 'pensieri'; ed è in ogni modo forma passiva, cioè qualcosa che è creata, mai creatrice. Da una radice vicina alla precedente e di significato simile, tzwr, deriva tzuràh che significa forma, e che può corrispondere soltanto ad un significato particolare di physis.
Dalla radice qwm, che tra l'altro vuol dire sorgere, esistere, deriva jeqùm, usato tre volte nella Bibbia (Gn 7:4,23; Dt 11:6) con il significato di 'ciò che vive nella terra'.
Mai il termine ha il significato di produttore di vita; ed è inoltre sempre presente in rapporti di dipendenza da Dio, che lo domina distruggendolo.
Di origine discussa è tevèl, forse dalla radice tvl che significa portare, produrre. Il termine indica le terre emerse, il mondo e talvolta gli abitanti delle terre; il termine ha dunque un significato piuttosto diverso da physis come natura, e solo talvolta può essergli simile; inoltre più volte la Bibbia ribadisce il principio secondo il quale è stato Dio a creare il tevèl e che questo gli appartiene (cfr. Jer 10:12; Ps 89:12; 50:12). In ogni modo non è il tevèl che crea, che produce, ma «si riempie» di prodotti (Jes 27:6).
Dalla radice tv', che significa essere immersi, penetrare, o ricevere la forma, come in Prv 8:25: «prima che i monti fossero formati, plasmati (hotbe'ú)», nell'ebraico biblico non deriva un solo sostantivo che significhi natura; solo nell'ebraico postbiblico se ne ricaverà il termine téva', usato anche nell'ebraico moderno come corrispondente vero e proprio della physis greca.
Molto più spesso, invece di indicare 'la natura', l'ebraico biblico ricorre alla elencazione dei vari elementi naturali (cfr. Ps 98), o usa delle frasi come 'la terra e ciò che la riempie' (Jes 34:1), oppure dei termini più generali, come 'olàm, il mondo, l'universo.
Da questa rassegna concludiamo che, se pure nell'ebraico biblico esistono dei termini che molto raramente possono assumere un significato analogo alla physis greca intesa come natura (jeqùm, jetzùr(?)), mai questi termini acquistano il significato di entità attive, creatrici.
3. Questa caratteristica della lingua, che si differenzia nettamente dal concetto greco, potrebbe essere spiegata tenendo presente la rigorosa concezione monoteistica espressa nella Bibbia, per la quale Dio è l'unico creatore e tutti gli elementi della natura sono da Lui creati.
L'idea religiosa ebraica è in netta contrapposizione con l'idea greca, ed è interessante rilevare come la diversità ideologica si traduca anche in diversi modi di espressione linguistica.
È noto che il concetto della creazione del mondo costituisce una delle basi della religione ebraica. La Bibbia inizia proprio con il racconto della creazione, e l'idea è ripetuta con grande frequenza; l'intera tradizione conferma questa concezione e stabilisce di conseguenza un originale sistema di rapporti dell'uomo con il creato[4].
È di particolare interesse citare due esempi di letteratura biblica che esprimono sinteticamente il forte contrasto tra l'idea greca e l'idea ebraica. I testi sono scelti dal libro dei Salmi. Questa scelta non è casuale; gli inni orfici sono stati frequentemente accostati alla poesia religiosa dei Salmi ebraici[5]. Il primo esempio è il Salmo 148. In questo Salmo l'autore invita i vari elementi della natura, che elenca in una lunga successione di versi, a lodare il Signore. «Perché - spiega il salmista ai vv. 5 e 6 - Egli comandò ed essi vennero creati, e li dispose in eterno dando una legge che non si deve trasgredire». Non è quindi la natura dei greci, creatrice, che è oggetto di lode, ma è la natura creata che loda il suo Creatore.
La stessa idea si ritrova nel salmo 96, che contiene una serie di immagini opposte all'inno orfico 9. Nel Salmo 96 i vari elementi del creato, descritti nei versi 11 e 12, gioiscono per l'intervento divino; anche qui, come nel Salmo 148, non sono loro l'oggetto del canto e della lode, ma loro che innalzano canti e lodi a Dio. Nell'inno orfico, come abbiamo visto, era la natura al centro della lode.
Nell'inno orfico, inoltre, la natura viene chiamata «artefice perfetto, la più potente dei re superni». Nel Salmo è invece Dio in posizione di assoluta superiorità rispetto alle altre divinità: «grande e degno di lode, terribile su tutti gli altri dèi; perché gli dèi dei popoli sono idoli ('elilìm), mentre Dio ha fatto i cieli» (vv. 4 e 5).
Nell'inno orfico la natura è rappresentata «sola, sul bel trono onorata». Nel Salmo, invece, davanti a Dio sono «gloria ed onore, forza e gloria nel suo santuario» (v. 6).
Per finire il confronto più interessante. Nell'inno orfico la natura viene chiamata Dike, giustizia (riga 13); nell'immagine greca natura e giustizia si identificano. Il Salmo invece dice: «Dite tra i popoli: il Signore regna, ha reso stabile il mondo ('af tikòn tevèl) che non vacilla, e giudica i popoli con giustizia» (v. 10). Nell'immagine del Salmo l'azione di Dio creatore è affiancata all'azione di Dio operatore di giustizia; la natura non è la giustizia, come nell'inno orfico, ma è la creatura di Dio ed è Dio che agisce con giustizia.
Il concetto di natura avrà una lunga e complessa evoluzione nella storia del pensiero filosofico; ma già nelle lontane origini la posizione ebraica si precisa in termini assolutamente peculiari.
Note al testo
[1] Cfr. Ere, alla voce Nature.
[2] Nella edizione di Faggin, al n. 9(x).
[3] Il significato dei termini segue soprattutto le indicazioni di Mandelkern, V.T. Concordantiae.
[4] Per una sintesi del problema cfr. Toaff, 1974.
[5] Il confronto si è spinto anche nella individuazione di analogie mistiche e recondite, ritenendo possibili per gli inni orfici gli stessi metodi interpretativi che la Qabbalàh applica ai Salmi; cfr. in Faggin, l'introduzione che cita Pico della Mirandola come uno dei primi sostenitori di questa tesi.