Grecia. Le radici classiche e cristiane dell’Europa. Un’omelia di Bartolomeo I, patriarca di Costantinopoli, ed un articolo di Antonia Arslan
Grecia. Le radici classiche e cristiane dell’Europa.
Un’omelia di Bartolomeo I, patriarca di Costantinopoli, ed un articolo di Antonia Arslan
Riprendiamo da Avvenire del 30/3/2009 la traduzione dell’omelia del patriarca di Costantinopoli Bartolomeo I per la festa di san Basilio, san Gregorio il teologo e san Giovanni Crisostomo ed un articolo di Antonia Arslan. Il primo articolo era introdotto da Avvenire con le seguenti parole:
Bartolomeo I (all’anagrafe Dimitrios Archontonis) nasce a Imbro (isola turca all’epoca a larga maggioranza etnica greca) il 29 febbraio 1940. Compie lì gli studi elementari e medi e quelli liceali al Zografeio Lyceum di Istanbul. Entra poi alla facoltà teologica di Chalki-Cosantinopoli per conseguirvi la laurea in teologia. Il 13 agosto 1961 diventa diacono. Dal 1961 al 1963 presta servizio militare con il grado di sottotenente. Dal 1963 al 1968, grazie a borse di studio del patriarcato ecumenico, ottiene diplomi di specializzazione post¬universitarie presso l’istituto orientale dell’università Gregoriana di Roma, l’istituto ecumenico di Bossey in Svizzera e l’università di Monaco di Baviera. Ritornato a Istanbul nel 1968, viene nominato vice¬rettore della facoltà teologica di Chalki. Nel 1969 viene ordinato presbitero. Dopo pochi mesi, il patriarca ecumenico Atenagora di Costantinopoli gli conferisce la carica di archimandrita. Nel 1972, dopo la morte del patriarca Atenagora, diventa patriarca ecumenico Demetrio di Costantinopoli. Il 22 ottobre 1991, dopo la morte del patriarca Demetrio, viene eletto dal santo sinodo arcivescovo di Costantinopoli e patriarca ecumenico. Il testo che pubblichiamo è l’omelia tenuta da Bartolomeo il 30 gennaio scorso, festa dei tre gerarchi san Basilio, san Gregorio il teologo e san Giovanni Crisostomo. La traduzione è di Luigi d’Ayala Valva.
Omelia di Bartolomeo I, patriarca di Costantinopoli, nella festa dei tre gerarchi san Basilio, san Gregorio il teologo e san Giovanni Crisostomo, 30 gennaio 2009.
La Chiesa fin dall’inizio, già dal tempo degli Apostoli – che è sbagliato considerare tutti indistintamente come degli illetterati – ha accolto largamente il benefico influsso delle Lettere e della filosofia greca.
Per esempio, l’apostolo ed evangelista Giovanni il Teologo era un eccellente conoscitore della filosofia pitagorica e aggiornato sul pensiero greco attraverso il grande filosofo ellenistico Filone. La sua teologia del Logos, espressa nel prologo del suo evangelo, presuppone la corrispondente filosofia del Logos di Platone e di Filone.
L’apostolo Paolo aveva un’ottima cultura greca. Gli apostoli Pietro e Andrea avevano una straordinaria perizia nell’uso della lingua greca, come del resto rivelano le due lettere cattoliche del primo.
Lo stesso anche l’evangelista Luca, il quale per di più era anche medico. I primi testi scritti del cristianesimo, che contengono un’esposizione delle parole e delle azioni del Fondatore della nostra fede, dal punto di vista formale sono assolutamente affini a opere come i Memorabili di Senofonte, alle varie raccolte di sentenze dei filosofi greci, e ad altre opere simili. È sufficiente studiare il Nuovo Testamento per constatarlo.
Nell’antichità classica emersero diverse scuole filosofiche: l’Accademia, il Peripato, la Stoà e il Pitagorismo. L’Accademia, cioè Platone, era l’autorità teologica dell’ellenismo illuminato e predicava Dio come la somma idea. Il termine 'teologia' è platonico e si incontra per la prima volta nella Repubblica di Platone.
Il Peripato, cioè Aristotele, predicava come prima scienza la teologia e Dio come la forma (eidos) più alta del Tutto, come l’atto puro, il primo motore immobile. La Stoà, la scuola filosofica stoica, predicava l’unità di Dio e del mondo nella natura e che Dio è la potenza connettiva che pervade tutte le parti, la Ragione (logos) o l’Anima del mondo.
Attraverso Posidonio, poi, anche Seneca predicava che Dio è un Dio personale. Seneca predicava ancora che Dio è Padre e compagno dell’uomo e che l’uomo gli deve esprimere la sua riconoscenza imitandolo e coltivando la bontà. Inoltre la Stoà, cioè la filosofia stoica, sosteneva l’uguaglianza e la fratellanza tra gli uomini e la necessità di una conversione morale attraverso la liberazione dagli impulsi irrazionali e il conseguimento dell’impassibilità (apatheia) e della sapienza.
Il Pitagorismo conciliava scienza e religione. Praticò la vita cenobitica, con lo scopo di coltivare la virtù; insegnava l’astinenza dalla carne e dal vino; respingeva i sacrifici animali; praticava un silenzio filosofico, costumi austeri, comunione dei beni, senso di responsabilità e merito personale, e l’autocontrollo. È noto l’esame di coscienza quotidiano dei Pitagorici: «Che cosa ho omesso? Che cosa ho fatto? A quale mio dovere ho mancato?».
Il Neoplatonismo, attraverso Plotino, predicava l’Uno della divinità e le tre divine Ipostasi, e come più alta destinazione dell’uomo l’unione con Dio, attraverso una faticosa preparazione e ascesi.
In questi ambiti e nei loro insegnamenti si possono discernere in modo seminale numerose verità della teologia cristiana, come anche pratiche che sono state poi messe in atto in modo più perfetto e con un contenuto e uno scopo più profondo e più alto dalla prassi cristiana. Anche per questo non è strano che il cristianesimo abbia attirato a sé molti esponenti della Stoà, del Peripato, dell’Accademia e del Neopitagorismo.
Oltre a questi, vi erano gli Epicurei e gli Scettici, la cui dottrina e prassi però non aveva punti di convergenza con lo spirito cristiano, e per questo la Chiesa mantenne rigidamente le distanze rispetto ad essi. Parallelamente alle 'scuole' intese come correnti filosofiche, c’erano anche le scuole come istituzioni scolastiche.
Una di queste era la famosa Scuola di Atene, la quale formò due dei tre Padri oggi festeggiati, Basilio il Grande e Gregorio il Teologo, ma anche lo scrittore che, sotto il nome di Dionigi l’Aeropagita, è autore dei celebri trattati mistico-teologici, e indirettamente, attraverso il fratello Basilio, il santo Gregorio di Nissa.
La Scuola di Alessandria ci ha dato Giovanni Filopono e i sapienti cristiani di Gaza – città che tanto è martoriata ai nostri giorni. Ad Antiochia c’era la scuola di Libanio, della quale fu allievo, oltre a Basilio e a Gregorio, anche Giovanni Crisostomo. Queste scuole fornirono a insigni uomini di chiesa l’esempio per l’istituzione di analoghe scuole, ovvero oramai istituti cristiani nei quali si insegnava la 'vera filosofia', cioè la teologia.
Così fu creata la scuola teologica di Alessandria ad opera di Panteno, di Clemente Alessandrino e del famoso Origene, il quale in seguito ne creò anche un’altra a Cesarea, avendo come allievi là Gregorio il Taumaturgo, i Cappadoci ed Eusebio di Cesarea. Nella sua seconda fase di fioritura la scuola di Alessandria ci ha dato Atanasio il Grande, Didimo il Cieco, Esichio di Gerusalemme e Cirillo di Alessandria.
Fu anche istituita la scuola di Roma con Giustino e Ippolito, quella di Antiochia con Luciano e Diodoro di Tarso, che ebbe tra i suoi allievi migliori Giovanni Crisostomo e Teodoro di Mopsuestia; un’altra fu fondata a Gaza da parte di Enea di Gaza, e un’altra in Licia da parte di Metodio.
In queste scuole venivano insegnati anche i filosofi antichi – a parte quelli che predicavano l’ateismo – poiché il loro insegnamento era apprezzato come propedeutica a Cristo. Come dice in modo caratteristico Clemente Alessandrino: «La filosofia che prima dell’avvento del Signore era necessaria ai Greci per giungere alla giustizia, adesso diventa utile per giungere al culto di Dio, servendo da propedeutica per coloro che vogliono raggiungere la fede attraverso la dimostrazione razionale. Essa infatti educava la grecità a Cristo, come la Legge gli Ebrei… è per volere divino che è venuta agli uomini» (Stromati I,5,28; 7,37).
Gli scrittori ecclesiastici e i Padri della Chiesa, fino a Fozio il Grande e fino a Nicodemo l’Aghiorita e Nectario di Pentapoli (così che non ci limitiamo a parlare solo degli antichi), hanno tratto grandissimo profitto dal sapere profano, dalla filosofia, dalla letteratura greca e dalla lingua greca, con la sua ricchezza, la sua plasticità, la sua capacità di esprimere concetti elevati ed estremamente sottili, come anche dalla poesia.
I loro testi sono disseminati di frasi, parole, termini ed elementi provenienti da Omero, Sofocle, Euripide, Senofonte, Isocrate, Demostene, Tucidide, Pindaro, Zenone, Eraclito, Platone, Aristotele, Pitagora, Cheremone, Plutarco, Luciano e altri. Alcune volte si possono individuare negli scritti patristici anche delle imitazioni del loro stile.
I poeti ecclesiastici e gli innografi imparano dai poeti antichi, sono ispirati e attingono ampiamente da loro nel metro, nello stile, nelle immagini, nel lirismo, eccetera. Lo stesso anche gli oratori ecclesiastici dagli oratori antichi, e così via.
Tutti questi elementi, come è noto, sono stati assunti come termini filosofici da parte del cristianesimo e sono stati messi a sua disposizione, ed esso li ha santificati e attraverso di essi ha espresso il profondissimo contenuto della sua dottrina.
Perché siamo tutti greci, nella mente e nel cuore, di Antonia Arslan
Avevo tredici anni compiuti da poco, e avevo appena passato l’esame di terza media. Mi godevo le lunghe vacanze estive, leggendo, arrampicandomi sugli alberi, costruendo pupazzi di stoffa (era la grande moda di quell’estate) e giocando a calcio come portiere.
Sapevo che sarei andata al Liceo classico della mia città, ma mi frullava in testa un’idea che mi sembrava molto ardita, di andare a frequentare invece il Liceo presso il famoso Collegio armeno di Venezia. Imparare quella lingua misteriosa, che sentivo risuonare per casa solo quando venivano i parenti dal Libano o dalla Siria, distinguermi dai miei compagni, essere la più originale, che sfida affascinante!
Ma non fu possibile, il collegio armeno era solo maschile. E così, la lingua armena rimase per me un mito inaccessibile: e mi limitai ad ascoltare canzoni, a distinguere qualche lettera dell’alfabeto, a scrivere elenchi di parole con l’aiuto di zia Henriette. Ma il greco, oh il greco mi conquistò subito!
L’alfabeto lo sapevo già, perché lo avevo imparato sul manualetto di astronomia per i bambini di Fede Paronelli, con cui per tutta l’estate precedente, con uno zio un po’ matto, avevamo cercato di capire le costellazioni. Ma la lingua mi avvolse come un manto sontuoso, una gioiosa scoperta.
Amavo tutto di quella fluente meraviglia, giocavo con i verbi, sprofondavo nelle radici, imparavo le declinazioni come un canto armonioso: e nonostante i rimproveri dei miei insegnanti, trovavo il latino molto più rozzo, meno delicato ed espressivo, con meno sfumature di pensiero.
E poi tutto il moderno vocabolario medico, politico e scientifico si apriva come un rebus risolto appena si imparavano le giuste parole greche; da quel tronco fluivano, come da una sorgente inesausta, senso e significato per ogni azione dell’uomo, per ogni riflessione filosofica, per ogni pensiero strutturato, per ogni costruzione di scienza politica, di psicologia, di teologia: per esempio, la consueta parola 'anima' diventava 'psiche', e subito, a parte la psicanalisi, veniva in mente la leggenda di Amore e Psiche, la bellezza dei marmi e le favole antiche.
A questo naturalmente arrivai un po’ alla volta, anche perché ebbi un maestro eccezionale, che ci accompagnò lungo la strada di una cultura assorbita con gioia, con le parole perenni della poesia e della tragedia, magari insegnandoci la struttura del trimetro giambico attraverso una frase di Antigone che non mi è più uscita dalla memoria: «Non sono nata per portare l’odio reciproco, ma l’amore reciproco», che in greco, ovviamente, suona di un’eleganza definitiva.
Ogni versione era una sfida, perché il greco è una lingua fluida e ingannevole, con le sue parole-chiave dai molti significati, per cui è necessario sviluppare una capacità di intuizione veloce, per non uscire di strada e non capire più niente; ed è per questo un ottimo esercizio di svelamento di enigmi, di risoluzione di inganni, come i miti immortali degli dei e degli eroi ancora ci insegnano.
Nessuna cultura occidentale può ancora oggi prescindere dalla grecità, dal patrimonio enorme per lo sviluppo della mente umana che il V secolo ateniese ci ha consegnato in ogni campo, dalla storia all’architettura, dalla scultura alle arti 'minori', alla tragedia: e qui sono presenti alla mente di ognuno, e sono diventati dei simboli eterni, personaggi così potenti e ricchi di senso, come Edipo, Antigone, Ippolito, Ifigenia, Clitennestra, da rappresentare ancor oggi i vertici della riflessione dell’uomo sul suo destino.
Un’omelia di Bartolomeo I, patriarca di Costantinopoli, ed un articolo di Antonia Arslan
Riprendiamo da Avvenire del 30/3/2009 la traduzione dell’omelia del patriarca di Costantinopoli Bartolomeo I per la festa di san Basilio, san Gregorio il teologo e san Giovanni Crisostomo ed un articolo di Antonia Arslan. Il primo articolo era introdotto da Avvenire con le seguenti parole:
Bartolomeo I (all’anagrafe Dimitrios Archontonis) nasce a Imbro (isola turca all’epoca a larga maggioranza etnica greca) il 29 febbraio 1940. Compie lì gli studi elementari e medi e quelli liceali al Zografeio Lyceum di Istanbul. Entra poi alla facoltà teologica di Chalki-Cosantinopoli per conseguirvi la laurea in teologia. Il 13 agosto 1961 diventa diacono. Dal 1961 al 1963 presta servizio militare con il grado di sottotenente. Dal 1963 al 1968, grazie a borse di studio del patriarcato ecumenico, ottiene diplomi di specializzazione post¬universitarie presso l’istituto orientale dell’università Gregoriana di Roma, l’istituto ecumenico di Bossey in Svizzera e l’università di Monaco di Baviera. Ritornato a Istanbul nel 1968, viene nominato vice¬rettore della facoltà teologica di Chalki. Nel 1969 viene ordinato presbitero. Dopo pochi mesi, il patriarca ecumenico Atenagora di Costantinopoli gli conferisce la carica di archimandrita. Nel 1972, dopo la morte del patriarca Atenagora, diventa patriarca ecumenico Demetrio di Costantinopoli. Il 22 ottobre 1991, dopo la morte del patriarca Demetrio, viene eletto dal santo sinodo arcivescovo di Costantinopoli e patriarca ecumenico. Il testo che pubblichiamo è l’omelia tenuta da Bartolomeo il 30 gennaio scorso, festa dei tre gerarchi san Basilio, san Gregorio il teologo e san Giovanni Crisostomo. La traduzione è di Luigi d’Ayala Valva.
Omelia di Bartolomeo I, patriarca di Costantinopoli, nella festa dei tre gerarchi san Basilio, san Gregorio il teologo e san Giovanni Crisostomo, 30 gennaio 2009.
La Chiesa fin dall’inizio, già dal tempo degli Apostoli – che è sbagliato considerare tutti indistintamente come degli illetterati – ha accolto largamente il benefico influsso delle Lettere e della filosofia greca.
Per esempio, l’apostolo ed evangelista Giovanni il Teologo era un eccellente conoscitore della filosofia pitagorica e aggiornato sul pensiero greco attraverso il grande filosofo ellenistico Filone. La sua teologia del Logos, espressa nel prologo del suo evangelo, presuppone la corrispondente filosofia del Logos di Platone e di Filone.
L’apostolo Paolo aveva un’ottima cultura greca. Gli apostoli Pietro e Andrea avevano una straordinaria perizia nell’uso della lingua greca, come del resto rivelano le due lettere cattoliche del primo.
Lo stesso anche l’evangelista Luca, il quale per di più era anche medico. I primi testi scritti del cristianesimo, che contengono un’esposizione delle parole e delle azioni del Fondatore della nostra fede, dal punto di vista formale sono assolutamente affini a opere come i Memorabili di Senofonte, alle varie raccolte di sentenze dei filosofi greci, e ad altre opere simili. È sufficiente studiare il Nuovo Testamento per constatarlo.
Nell’antichità classica emersero diverse scuole filosofiche: l’Accademia, il Peripato, la Stoà e il Pitagorismo. L’Accademia, cioè Platone, era l’autorità teologica dell’ellenismo illuminato e predicava Dio come la somma idea. Il termine 'teologia' è platonico e si incontra per la prima volta nella Repubblica di Platone.
Il Peripato, cioè Aristotele, predicava come prima scienza la teologia e Dio come la forma (eidos) più alta del Tutto, come l’atto puro, il primo motore immobile. La Stoà, la scuola filosofica stoica, predicava l’unità di Dio e del mondo nella natura e che Dio è la potenza connettiva che pervade tutte le parti, la Ragione (logos) o l’Anima del mondo.
Attraverso Posidonio, poi, anche Seneca predicava che Dio è un Dio personale. Seneca predicava ancora che Dio è Padre e compagno dell’uomo e che l’uomo gli deve esprimere la sua riconoscenza imitandolo e coltivando la bontà. Inoltre la Stoà, cioè la filosofia stoica, sosteneva l’uguaglianza e la fratellanza tra gli uomini e la necessità di una conversione morale attraverso la liberazione dagli impulsi irrazionali e il conseguimento dell’impassibilità (apatheia) e della sapienza.
Il Pitagorismo conciliava scienza e religione. Praticò la vita cenobitica, con lo scopo di coltivare la virtù; insegnava l’astinenza dalla carne e dal vino; respingeva i sacrifici animali; praticava un silenzio filosofico, costumi austeri, comunione dei beni, senso di responsabilità e merito personale, e l’autocontrollo. È noto l’esame di coscienza quotidiano dei Pitagorici: «Che cosa ho omesso? Che cosa ho fatto? A quale mio dovere ho mancato?».
Il Neoplatonismo, attraverso Plotino, predicava l’Uno della divinità e le tre divine Ipostasi, e come più alta destinazione dell’uomo l’unione con Dio, attraverso una faticosa preparazione e ascesi.
In questi ambiti e nei loro insegnamenti si possono discernere in modo seminale numerose verità della teologia cristiana, come anche pratiche che sono state poi messe in atto in modo più perfetto e con un contenuto e uno scopo più profondo e più alto dalla prassi cristiana. Anche per questo non è strano che il cristianesimo abbia attirato a sé molti esponenti della Stoà, del Peripato, dell’Accademia e del Neopitagorismo.
Oltre a questi, vi erano gli Epicurei e gli Scettici, la cui dottrina e prassi però non aveva punti di convergenza con lo spirito cristiano, e per questo la Chiesa mantenne rigidamente le distanze rispetto ad essi. Parallelamente alle 'scuole' intese come correnti filosofiche, c’erano anche le scuole come istituzioni scolastiche.
Una di queste era la famosa Scuola di Atene, la quale formò due dei tre Padri oggi festeggiati, Basilio il Grande e Gregorio il Teologo, ma anche lo scrittore che, sotto il nome di Dionigi l’Aeropagita, è autore dei celebri trattati mistico-teologici, e indirettamente, attraverso il fratello Basilio, il santo Gregorio di Nissa.
La Scuola di Alessandria ci ha dato Giovanni Filopono e i sapienti cristiani di Gaza – città che tanto è martoriata ai nostri giorni. Ad Antiochia c’era la scuola di Libanio, della quale fu allievo, oltre a Basilio e a Gregorio, anche Giovanni Crisostomo. Queste scuole fornirono a insigni uomini di chiesa l’esempio per l’istituzione di analoghe scuole, ovvero oramai istituti cristiani nei quali si insegnava la 'vera filosofia', cioè la teologia.
Così fu creata la scuola teologica di Alessandria ad opera di Panteno, di Clemente Alessandrino e del famoso Origene, il quale in seguito ne creò anche un’altra a Cesarea, avendo come allievi là Gregorio il Taumaturgo, i Cappadoci ed Eusebio di Cesarea. Nella sua seconda fase di fioritura la scuola di Alessandria ci ha dato Atanasio il Grande, Didimo il Cieco, Esichio di Gerusalemme e Cirillo di Alessandria.
Fu anche istituita la scuola di Roma con Giustino e Ippolito, quella di Antiochia con Luciano e Diodoro di Tarso, che ebbe tra i suoi allievi migliori Giovanni Crisostomo e Teodoro di Mopsuestia; un’altra fu fondata a Gaza da parte di Enea di Gaza, e un’altra in Licia da parte di Metodio.
In queste scuole venivano insegnati anche i filosofi antichi – a parte quelli che predicavano l’ateismo – poiché il loro insegnamento era apprezzato come propedeutica a Cristo. Come dice in modo caratteristico Clemente Alessandrino: «La filosofia che prima dell’avvento del Signore era necessaria ai Greci per giungere alla giustizia, adesso diventa utile per giungere al culto di Dio, servendo da propedeutica per coloro che vogliono raggiungere la fede attraverso la dimostrazione razionale. Essa infatti educava la grecità a Cristo, come la Legge gli Ebrei… è per volere divino che è venuta agli uomini» (Stromati I,5,28; 7,37).
Gli scrittori ecclesiastici e i Padri della Chiesa, fino a Fozio il Grande e fino a Nicodemo l’Aghiorita e Nectario di Pentapoli (così che non ci limitiamo a parlare solo degli antichi), hanno tratto grandissimo profitto dal sapere profano, dalla filosofia, dalla letteratura greca e dalla lingua greca, con la sua ricchezza, la sua plasticità, la sua capacità di esprimere concetti elevati ed estremamente sottili, come anche dalla poesia.
I loro testi sono disseminati di frasi, parole, termini ed elementi provenienti da Omero, Sofocle, Euripide, Senofonte, Isocrate, Demostene, Tucidide, Pindaro, Zenone, Eraclito, Platone, Aristotele, Pitagora, Cheremone, Plutarco, Luciano e altri. Alcune volte si possono individuare negli scritti patristici anche delle imitazioni del loro stile.
I poeti ecclesiastici e gli innografi imparano dai poeti antichi, sono ispirati e attingono ampiamente da loro nel metro, nello stile, nelle immagini, nel lirismo, eccetera. Lo stesso anche gli oratori ecclesiastici dagli oratori antichi, e così via.
Tutti questi elementi, come è noto, sono stati assunti come termini filosofici da parte del cristianesimo e sono stati messi a sua disposizione, ed esso li ha santificati e attraverso di essi ha espresso il profondissimo contenuto della sua dottrina.
Perché siamo tutti greci, nella mente e nel cuore, di Antonia Arslan
Avevo tredici anni compiuti da poco, e avevo appena passato l’esame di terza media. Mi godevo le lunghe vacanze estive, leggendo, arrampicandomi sugli alberi, costruendo pupazzi di stoffa (era la grande moda di quell’estate) e giocando a calcio come portiere.
Sapevo che sarei andata al Liceo classico della mia città, ma mi frullava in testa un’idea che mi sembrava molto ardita, di andare a frequentare invece il Liceo presso il famoso Collegio armeno di Venezia. Imparare quella lingua misteriosa, che sentivo risuonare per casa solo quando venivano i parenti dal Libano o dalla Siria, distinguermi dai miei compagni, essere la più originale, che sfida affascinante!
Ma non fu possibile, il collegio armeno era solo maschile. E così, la lingua armena rimase per me un mito inaccessibile: e mi limitai ad ascoltare canzoni, a distinguere qualche lettera dell’alfabeto, a scrivere elenchi di parole con l’aiuto di zia Henriette. Ma il greco, oh il greco mi conquistò subito!
L’alfabeto lo sapevo già, perché lo avevo imparato sul manualetto di astronomia per i bambini di Fede Paronelli, con cui per tutta l’estate precedente, con uno zio un po’ matto, avevamo cercato di capire le costellazioni. Ma la lingua mi avvolse come un manto sontuoso, una gioiosa scoperta.
Amavo tutto di quella fluente meraviglia, giocavo con i verbi, sprofondavo nelle radici, imparavo le declinazioni come un canto armonioso: e nonostante i rimproveri dei miei insegnanti, trovavo il latino molto più rozzo, meno delicato ed espressivo, con meno sfumature di pensiero.
E poi tutto il moderno vocabolario medico, politico e scientifico si apriva come un rebus risolto appena si imparavano le giuste parole greche; da quel tronco fluivano, come da una sorgente inesausta, senso e significato per ogni azione dell’uomo, per ogni riflessione filosofica, per ogni pensiero strutturato, per ogni costruzione di scienza politica, di psicologia, di teologia: per esempio, la consueta parola 'anima' diventava 'psiche', e subito, a parte la psicanalisi, veniva in mente la leggenda di Amore e Psiche, la bellezza dei marmi e le favole antiche.
A questo naturalmente arrivai un po’ alla volta, anche perché ebbi un maestro eccezionale, che ci accompagnò lungo la strada di una cultura assorbita con gioia, con le parole perenni della poesia e della tragedia, magari insegnandoci la struttura del trimetro giambico attraverso una frase di Antigone che non mi è più uscita dalla memoria: «Non sono nata per portare l’odio reciproco, ma l’amore reciproco», che in greco, ovviamente, suona di un’eleganza definitiva.
Ogni versione era una sfida, perché il greco è una lingua fluida e ingannevole, con le sue parole-chiave dai molti significati, per cui è necessario sviluppare una capacità di intuizione veloce, per non uscire di strada e non capire più niente; ed è per questo un ottimo esercizio di svelamento di enigmi, di risoluzione di inganni, come i miti immortali degli dei e degli eroi ancora ci insegnano.
Nessuna cultura occidentale può ancora oggi prescindere dalla grecità, dal patrimonio enorme per lo sviluppo della mente umana che il V secolo ateniese ci ha consegnato in ogni campo, dalla storia all’architettura, dalla scultura alle arti 'minori', alla tragedia: e qui sono presenti alla mente di ognuno, e sono diventati dei simboli eterni, personaggi così potenti e ricchi di senso, come Edipo, Antigone, Ippolito, Ifigenia, Clitennestra, da rappresentare ancor oggi i vertici della riflessione dell’uomo sul suo destino.