La scelta di accogliere. [Nenni, De Gasperi, Bonomi, Saragat, Calamandrei, Giangiacomo Feltrinelli, il generale Bencivenga, rifugiati nel Seminario Maggiore di Roma durante l’occupazione nazista negli anni 1943-1944], di Carlo Badalà
Riprendiamo sul nostro sito alcuni brani da C. Badalà, La scelta di accogliere. I rifugiati al Laterano: l’attività del Pontificio Seminario romano maggiore e il ruolo della Santa Sede, in Ricerche per la storia religiosa di Roma, 12 (2009), pp. 287-360. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line. Solo alcune note del testo sono state inserite on-line. Cfr. su questo stesso sito anche 4 giugno 1944, Roma è salva: il senso della neutralità di Pio XII (di A.L.), con notizie su Giuliano Vassalli e Pio XII. Sul nazismo, vedi anche la sezione Voci dalla Shoah e l'articolo La strada per Dachau dei cattolici tedeschi. Cronaca della persecuzione nazista, di Carlo Cardia [Chiese e nazismo], oltre che la sezione Storia e filosofia.
Il Centro culturale Gli scritti (8/12/2013)
Il carcere di via Tasso, come appare oggi: a pochi passi dal Seminario Romano Maggiore
pp. 292-293
Il numero dei rifugiati in Seminario raggiunse ben presto una quantità rilevante, soprattutto dopo la metà di ottobre, comprendendo persone di varie età e categorie, che si sentivano in pericolo e che, con motivazioni diverse, chiedevano protezione al riparo dello stemma pontificio.
La presentazione (scritta o verbale) da parte di un sacerdote, spesso un alto prelato, o di una personalità autorevole era abitualmente necessaria per essere accolti tra gli ospiti del Seminario. Il senatore Domenico Bartolini, ministro delle finanze del governo Badoglio, arrivò tra i primi, accompagnato da don Mario Di Sora, parroco di Santa Maria in Domnica alla Navicella. I politici dei partiti antifascisti invece, in genere, venivano inviati al Seminario da monsignor Pietro Barbieri, la cui abitazione in via Cernaia 14, presso i padri Maristi, era divenuta rapidamente un luogo di accoglienza temporanea e di riunioni clandestine. Meuccio Ruini, ad esempio, riferisce di essere stato accolto al Laterano per iniziativa di Barbieri e con il consenso del Vaticano; anche Pietro Nenni proveniva dall'abitazione di Barbieri. Il presidente del Comitato di liberazione nazionale, Ivanoe Bonomi, fu ospitato dapprima, dal 21 al 24 ottobre 1943, in un appartamento situato nell'area extra territoriale lateranense, adiacente alla cappella Corsini della basilica di San Giovanni, nel quale abitava la madre di monsignor Ronca; non sopportando l'isolamento, però, preferì lasciare quasi subito quel rifugio. Tuttavia pochi giorni dopo, il 7 novembre, tornò al Laterano, questa volta in Seminario, sapendo che lì non sarebbe stato isolato ma avrebbe trovato altri uomini politici. Bonomi specifica di essere stato esortato a mettersi al sicuro anche dalla Segreteria di Stato. Diverso è invece il caso di Alcide De Gasperi, che trovò accoglienza dapprima presso i responsabili di organismi che avevano sede nel Palazzo lateranense: il verbita tedesco padre Michael Schulien, direttore scientifico del Museo missionario etnologico, e Carmine Caiola, direttore amministrativo dei Musei lateranensi. Tuttavia, Caiola non aveva previamente avvertito le competenti autorità vaticane e perciò «si trovò in imbarazzo e ricorse a mons. Ronca perché lo accogliesse in Seminario».
Alla luce della documentazione e dei testi citati, è evidente che la Santa Sede conosceva almeno dal mese di ottobre 1943 l'attività di accoglienza svolta dal Seminario; in alcuni casi, anzi, proprio dal Vaticano erano state inviate persone affinché fossero ospitate. Si può essere certi che ne fosse a conoscenza anche il papa, poiché gliene avevano sicuramente fatto giungere notizia le personalità menzionate nel promemoria citato: il nipote Carlo Pacelli, che ricopriva la carica di Consigliere generale dello Stato della Città del Vaticano, il sostituto della Segreteria di Stato monsignor Montini, il cardinale vicario Marchetti Selvaggiani, il cardinale Nicola Canali, presidente della Pontificia Commissione per lo Stato della Città del Vaticano, l'ingegner Enrico Galeazzi, persona tra le più vicine a Pio XII fin da prima dell'elezione al soglio pontificio.
pp. 302-310
I rifugiati
«Io non ho e non ho mai avuto un elenco delle personalità che in quel periodo ospitammo nei locali del Pontificio Seminario Romano Maggiore» dichiarò Ronca nel 1964. Un elenco completo in effetti non esiste, ma ve ne sono alcuni risalenti ai primi mesi dell'occupazione tedesca, mentre non risultano nell'archivio del Seminario liste posteriori all'inizio di febbraio del 1944.
La documentazione non consente di stabilire il numero dei rifugiati nel Seminario romano se non con approssimazione. Palazzini ritiene che fossero circa duecento: se si intende il numero massimo di presenze ad una certa data, è certamente attendibile; se invece si considera il totale delle persone che vi hanno trascorso un periodo, lungo o breve, nei mesi dell'occupazione tedesca, il numero dovrebbe essere più elevato. Oltre al Seminario, vi erano persone rifugiate anche negli altri edifici dell'area extraterritoriale: il Pontificio Ateneo lateranense, il palazzo dei canonici di San Giovanni, il convento dei penitenzieri della basilica (i frati francescani addetti ai confessionali) e il convento dei passionisti alla Scala Santa. Secondo i calcoli di Palazzini, comprendendo anche tali edifici, il numero dei rifugiati nella zona del Laterano ammontava a circa ottocento, ma talvolta giunse a superare i mille. Si tratta di una cifra molto elevata, sulla cui esattezza è impossibile compiere verifiche.
Molti nomi di persone rifugiate sono stati già pubblicati da Venier e da Palazzini; pertanto, in questo paragrafo l'attenzione verrà dedicata piuttosto ad individuare le principali categorie nelle quali è possibile raggruppare coloro che vennero accolti, facendo qualche nome solo a titolo di esempio.
Un gruppo molto numeroso (oltre cinquanta persone, su circa duecento rifugiati dei quali sono noti i nomi) è costituito dai giovani, non di rado studenti universitari, dei quali spesso è indicato l'anno di nascita (generalmente compreso tra il 1921 e il 1925). Si tratta, per la maggior parte, di persone che intendevano sottrarsi al servizio militare nelle forze armate fasciste che la Repubblica sociale italiana tentava di organizzare e, in minor misura, di giovani ebrei, che dopo la razzia tedesca del 16 ottobre 1943 erano consapevoli di rischiare la deportazione.
Cospicuo è anche il numero dei militari, comprendente ufficiali di vari gradi, dai tenenti ai generali: anch'essi non intendevano prendere le armi agli ordini della nuova entità statale fascista. I nomi più illustri sono quelli dell'ammiraglio Angelo Iachino, già comandante in capo delle forze navali italiane dal dicembre del 1940 all'aprile del 1943, e del generale Giovanni Zanghieri, già comandante del II corpo d'armata (che aveva combattuto in Russia dal giugno del 1942 al maggio del 1943).
L'accoglienza dei militari e dei giovani renitenti alla leva "repubblichina" dovette far sorgere qualche obiezione o difficoltà di ordine morale, se a distanza di molti anni alcuni dei responsabili del Seminario ritennero ancora necessario soffermarvisi. Al riguardo Ronca osserva:
Non si trattava di cooperare ad una fuga dal proprio dovere, di tendere una mano ad una debolezza umana, che sembrava rasentare i limiti della viltà. Per la maggior parte, soprattutto degli ufficiali, si trattava invece di un caso di coscienza: non la paura della deportazione, ma il rispetto, la fedeltà al proprio giuramento, l'adesione al governo legittimo. Per questo si può affermare che l'azione della Chiesa, lungi dall'infirmare le proprie tradizioni di lealtà alla coscienza e all'autorità costituita, ne è una ulteriore testimonianza.
Palazzini si esprime in modo ancor più deciso: «La resistenza passiva [...] ad un governo illegittimo, quale era la Repubblica di Salò, tenuto in pugno da un esercito usurpatore, eticamente era legittima ed in alcuni casi per alcune persone (ad es. funzionari dello Stato, ufficiali dell'esercito, ecc.) era anche doverosa».
Oltre ai militari, vi sono, per motivi analoghi (essenzialmente il rifiuto di mettersi al servizio del nuovo governo fascista repubblicano) anche diplomatici e alti funzionari statali, insieme a impiegati ministeriali. Nel paragrafo precedente sono già stati citati i nomi di due importanti esponenti di tali categorie, Gino Buti, già ambasciatore a Parigi, e Alfonso Gaetani, già prefetto di Firenze.
Un'altra categoria è quella dei professionisti, soprattutto avvocati e ingegneri. Tuttavia, non essendo generalmente specificata la loro età e in mancanza di altre indicazioni, è difficile ricostruire i motivi per i quali scelsero di cercare rifugio; per i più giovani potrebbero essere stati gli stessi delle categorie precedenti: evitare la chiamata alle armi, o ad altri servizi, della Repubblica sociale italiana. Solo in alcuni casi la ragione che li portò a nascondersi al Laterano è evidente, poiché accanto al nome vi è l'indicazione «israelita» o «ebreo».
Sono presenti anche un importante industriale, il senatore Leopoldo Parodi Delfino, e l'amministratore delegato di una nota impresa romana come la Pantanella, Gino Cohen; nel maggio del 1944, poco prima della liberazione di Roma, viene accolto anche il giovanissimo Giangiacomo Feltrinelli, erede di una vasta fortuna basata su grandi imprese e finanza. Non mancano alcuni commercianti, quasi tutti ebrei.
Un piccolo ma qualificato gruppo è quello dei docenti ed ex docenti universitari, alcuni dei quali ebrei: spiccano i nomi del filosofo del diritto Giorgio Del Vecchio, del geografo Roberto Almagià, del matematico Federico Enriquez, del radiologo Luigi Turano, dei giuristi Emilio Albertario (professore di diritto romano) e Paolo Biscaretti di Ruffia (docente di diritto costituzionale). «L'Osservatore Romano» all'inizio del 1944 reca in prima pagina un articolo di Del Vecchio, siglato soltanto con le iniziali: un caso singolare di pubblicazione sul quotidiano vaticano di uno scritto il cui autore era rifugiato, per sfuggire alle persecuzioni razziali, in un edificio sotto la sovranità della Santa Sede.
Tra i giovani e i militari, o talora senza alcuna qualifica, compaiono alcuni appartenenti alle più note famiglie principesche romane: Colonna, Massimo Lancellotti, Odescalchi, Torlonia. Molti di costoro risultano presentati dal giovane conte Rizzardi, il parente del papa citato nel paragrafo precedente.
Gli ebrei rifugiati in Seminario sono segnalati specificamente negli elenchi soltanto in una decina di casi, mentre per altre persone, pure certamente ebree, è indicata solo la professione; è il caso, tra gli altri, dei fratelli Paolo e Massimo Padovani e di Raniero Panzieri (poi divenuto un teorico del marxismo e un dirigente del Partito socialista), qualificati soltanto come studenti; Panzieri già dal 1940 era stato ammesso tra gli alunni del Pontificium Institutum utriusque iuris del Pontificio Ateneo lateranense, consentendogli così di seguire studi universitari, a lui preclusi nelle facoltà italiane dalle leggi razziali. Secondo un elenco consultato da Venier, i rifugiati ebrei erano in totale quarantotto[1]. Uno dei politici rifugiati, Soleri, ne parla come di un gruppo numeroso: «Gli Ebrei hanno ricevuto dal Vaticano il più fraterno aiuto e assistenza, e molti ne sono qui rifugiati». Erano presenti anche alcune donne ebree, come ricorda Michael Tagliacozzo:
Riguardo le donne ospitate nel Seminario, oltre la moglie del professore [Del Vecchio], v'era la moglie di Simone Piperno; la giovane dottoressa (di cui non seppi il nome e che mi portò la notizia dello sbarco a Anzio - Nettuno mentre ero a letto colpito da bronchite), studentessa in medicina, in fase di perfezionamento pressola Clinica neuropsichiatrica dell'Università di Roma; la moglie e le due figlie di Salvatore Tesoro. Inoltre, ospitata presso un religioso della canonica, vi era la madre di Mario Frankfurter.
Infine, i due gruppi più noti. Il primo è costituito da quattro ministri del governo Badoglio che, non essendo stati invitati a seguire il re e il capo del governo nella fuga a Brindisi nella notte tra l'8 e il 9 settembre 1943, erano rimasti a Roma, in una situazione per loro molto pericolosa, mentre i tedeschi prendevano il controllo della città; formalmente rimasero in carica fino al febbraio 1944, anche se ormai privi della possibilità di esercitare i rispettivi compiti di governo. Si tratta di Umberto Ricci, ministro dell'interno; Leonardo Severi, ministro dell'educazione nazionale; Domenico Bartolini, ministro delle finanze; Giovanni Acanfora, ministro degli scambi e delle valute (e già direttore generale della Banca d'Italia dal maggio del 1940 al 26 luglio 1943). Vi era anche il figlio di un altro ministro, il giovane Eugenio De Courten, il cui padre Raffaele era ammiraglio e riuniva le cariche, di ministro e capo di stato maggiore della Marina. Il secondo gruppo include invece i principali esponenti politici antifascisti, compresa la maggior parte dei componenti del Comitato di liberazione nazionale, il massimo organo politico clandestino esistente nell'Italia non ancora liberata: a quelli già citati nei paragrafi precedenti - Bonomi (presidente del Comitato), Ruini, Nenni, De Gasperi, Soleri (questi ultimi due rimasero in Seminario solo fino ai primi di febbraio) - vanno aggiunti Alessandro Casati, arrivato in Seminario il 7 novembre 1943 insieme a Bonomi, Alberto Bergamini, giunto il 3 febbraio 1944, e Giuseppe Saragat, presente dall'inizio di aprile del 1944[2]. Gli ultimi due erano evasi: Bergamini[3] dall'edificio presso San Gregorio al Celio dove erano rinchiuse (anche se con agi impensabili in una normale prigione) molte personalità, e Saragat[4] il 24 gennaio dal carcere di Regina Coeli, insieme a Sandro Pertini.
Risultano rappresentati quattro dei sei partiti che costituivano il Comitato di liberazione nazionale: democratico cristiano (De Gasperi), socialista (Nenni e Saragat), liberale (Casati e Soleri) e democratico del lavoro (Bonomi e Ruini). Mancano i dirigenti comunisti e azionisti, che preferivano non rifugiarsi in istituti religiosi. Molti dei politici antifascisti nascosti in Seminario divennero ministri del governo che si formò subito dopo la liberazione di Roma, nel giugno 1944, ad iniziare da Bonomi che fu nominato presidente del Consiglio, mentre Casati divenne ministro della difesa e Ruini, De Gasperi e Saragat ministri senza portafoglio.
Non mancano persone la cui presenza appare sorprendente: tra novembre e dicembre del 1943 infatti furono accolti nella zona extraterritoriale del Laterano - in un edificio diverso dal Seminario - anche la figlia, il genero e i nipoti del maresciallo Rodolfo Graziani, ministro della difesa del governo fascista; vi rimasero fino all'arrivo a Roma delle truppe angloamericane. Inoltre, secondo le memorie di un ex rifugiato, era nascosto nel Seminario romano anche un giovane ufficiale dell'esercito tedesco, Norbert von Trauttmansdorff, di famiglia aristocratica austriaca, che aveva disertato dopo che il suo reparto era stato quasi interamente annientato da un bombardamento.
Col trascorrere dei mesi, l'ospitalità viene concessa anche ad altre persone. In mancanza di elenchi posteriori all'inizio di febbraio, si possono menzionare solo coloro della cui presenza al Laterano esistono notizie sicure. La personalità più importante è il generale Roberto Bencivenga, incaricato dal governo regio nel febbraio del 1944 di coordinare le forze del Fronte clandestino di resistenza operanti a Roma. Fu accolto a causa di circostanze impreviste: recatosi in Seminario per incontrare Bonomi, il generale uscendo scivolò sul marmo del pavimento e si ruppe un femore. Poiché non era possibile farlo ricoverare in ospedale senza rischiare che fosse catturato dalla polizia o dai tedeschi, il rettore decise di farlo restare. Bencivenga fu operato in Seminario e poi venne seguito nella convalescenza da vari medici, rimanendo al Laterano fino alla liberazione di Roma[5].
Il 20 maggio 1944 trovò ospitalità anche Franco Calamandrei, unico comunista del quale sia nota la presenza in Seminario; partigiano dei Gruppi di azione patriottica (GAP), il 23 marzo, aveva partecipato all'attentato in via Rasella contro un reparto germanico. E da supporre che, al momento dell'ingresso, i responsabili ecclesiastici ignorassero la sua partecipazione a quell'azione, in seguito alla quale i tedeschi attuarono per rappresaglia la strage delle Fosse Ardeatine.
Negli ultimi giorni prima della liberazione di Roma vennero accolti in edifici dell'area lateranense anche alcuni familiari del maresciallo Pietro Badoglio, anche se sembra che tra questi non vi fosse la figlia, contrariamente a quanto affermato da vari autori. Così, sia pure per pochi giorni, si giunse alla paradossale situazione di avere tra i rifugiati sia i parenti di un maresciallo d'Italia, capo del governo regio di Salerno che combatteva accanto agli angloamericani, sia i parenti di un altro maresciallo d'Italia, ministro della difesa nazionale nel governo repubblicano fascista di Salò, che combatteva insieme ai tedeschi.
Infine, nelle ultime ore prima dell'ingresso a Roma delle forza alleate, si diressero verso i cancelli dell'area extraterritoriale anche alcune persone appena uscite dal vicino carcere tedesco di via Tasso. Coloro che non erano stati caricati sugli autocarri per essere trasferiti al Nord (alcuni dei quali vennero fucilati dai tedeschi alla Storta, come Buozzi) si trovarono infatti inaspettatamente liberi la mattina del 4 giugno 1944. Alcuni andarono verso le loro case, altri si recarono al Laterano, sapendo che lì si trovava il generale Bencivenga e confidando di poter ricevere aiuto e accoglienza: tra costoro il generale Angelo Odone, che portava i segni evidenti delle torture subite fino al giorno prima.
Note al testo
[1] VENIER, Il clero romano. II, p. 1323. M. Tagliacozzo ha stilato un elenco (non pubblicato, che mi ha cortesemente inviato) di 55 ebrei rifugiati in vari edifici dell'area lateranense. In ASSR, SU 16B è conservato anche un foglio con il titolo «Certificati di Battesimo» e l'indicazione di cinque nomi di rifugiati ebrei, con i relativi dati personali (luogo e data di nascita, indirizzo, nomi dei genitori). Uno dei cinque rifugiati il cui nome è indicato nel documento, Michele Tagliacozzo, assicura di non averne mai saputo nulla (comunicazione scritta del 25 agosto 2007); probabilmente si tratta, come suggerisce lo stesso Tagliacozzo, di un progetto di preparazione di falsi certificati di battesimo, eventualmente da esibire in caso di perquisizione. L’ex rifugiato aggiunge: «Debbo precisare che nessuna pressione o propaganda di abiura ci fu fatta durante la permanenza nel rifugio lateranense e neppure a liberazione avvenuta. Fummo trattati con rispetto e con sentimenti di solidarietà» (lettera di M. Tagliacozzo, 9 settembre 2007).
[2] La notizia che tra i rifugiati vi fosse anche Giuliano Vassalli, pubblicata in Cattolici, Chiesa, Resistenza. I testimoni, a cura di W.E. CRIVELLIN, Bologna, il Mulino, 2000, p. 405 (intervista di Claudia Franceschini a Franco Nobili), non risulta da alcun'altra fonte ed è smentita fermamente dall'interessato, che non si è mai neppure recato al Laterano durante i mesi dell'occupazione tedesca di Roma (lettera di G. Vassalli del 14 novembre 2006). Nobili ha precisato di non aver mai avuto contatti diretti con i rifugiati al Laterano e di essersi basato - riguardo alla presenza di Vassalli - su informazioni riferite da altri, evidentemente in quel caso inesatte o da lui ricordate in modo impreciso (colloquio con F. Nobili, 13 aprile 2007).
[3] Cfr. BONOMI, Diario di un anno, p. 146.
[4] Ibid., p. 173: fu Nenni a chiedere ospitalità per Saragat, come ricorda anche Ronca (in «Capitolium» XXXIX (1964), p. 403). Secondo Ruini però l'ingresso avvenne «ad insaputa del rettore, che se ne dolse perché doveva richiedere il superiore assenso ma accettò il nuovo ospite» (RUINI, Ricordi, p. 84).
[5] L’episodio è ricordato da Ronca nella sua testimonianza al processo contro il maresciallo Graziani (Il processo Graziani, vol. II, Il testimoniale e gli incidenti procedurali, Roma, Ruffolo, 1950, p. 184). Cfr. VENIER, Il clero romano, II, p. 1325; P. GABELLINI, Roma nell’ora della Resistenza (settembre 1943 – giugno 1944) e l’opera del Seminario romano maggiore, Città di Castello, Tibergraph, 1992, pp. 35-36; PALAZZINI, Il clero e l’occupazione, p. 33. Secondo Palazzini, Bencivenga dopo aver parlato con Bonomi si trattenne la notte in Seminario e l’incidente avvenne il mattino successivo (colloquio con P. Palazzini, 20 maggio 1994). Bencivenga nella sua testimonianza al processo contro Graziani colloca l'episodio «poco dopo il fatto della bomba di via Rasella» (che avvenne il 23 marzo) e subito dopo afferma che andò al Laterano il 24 marzo; ricorda anche che i medici che lo curarono in Seminario erano il professor Puccinelli e il professor Giangrassi (Processo Graziani, voI. II, p. 144).