In principio un solo uomo, di Fiorenzo Facchini
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1/ In principio un solo uomo, di Fiorenzo Facchini
Riprendiamo da Avvenire del 18/10/2013 un articolo scritto da Fiorenzo Facchini. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line. Per approfondimenti, cfr. la sotto-sezione L'uomo e le sue origini nella sezione Scienza e fede.
Il Centro culturale Gli scritti (27/10/2013)
Le uscite dell’uomo dall’Africa per portarsi negli altri continenti sono state più di una, ma la prima e forse più importante per la diffusione nell’Europa e in Asia è avvenuta intorno a 1,8 milioni di anni fa e la Georgia, nel Caucaso, rappresenta il territorio che ha fornito delle tracce che si rivelano sempre più ricche e interessanti. Si tratta di ominidi di piccole dimensioni, accompagnati da cultura su ciottolo.
I reperti presentano delle affinità con quelli più antichi del genere «Homo dell’Africa«, con aspetti intermedi tra «Homo habilis /rudolfensis» e «Homo erectus». Furono denominati «Homo georgicus».
Alcune somiglianze con «Homo erectus» hanno indotto a chiamarli «Homo erectus georgicus». Quello che più colpisce sono le dimensioni piccole del cranio (capacità di 600 cc) e del corpo, mentre l’associazione di culture litiche sul ciottolo depongono decisamente sul carattere umano degli ominidi di Dmanisi.
La rivista “Science” ha dato ieri notizia di un nuovo studio del paleoantropologo David Lordkipanidze (che aveva diretto gli scavi del sito ed eseguito le prime ricerche) e altri autori. Sono confermati aspetti di «Homo habilis», come appunto la piccola capacità cranica, la faccia alta, la grossa mandibola, e anche caratteri tipici di «Homo erectus», come le spesse arcate sopraorbitarie.
Gli autori, comparando le caratteristiche morfologiche osservate con altri reperti del genere «Homo», propendono a riferire a una medesima specie sia le forme attribuite a «Homo habilis» di due milioni e mezzo di anni fa, che quelle di «Homo erectus» di 1,8 milioni di anni fa. E quindi ad ammettere un unico ceppo alle origini dell’umanità.
Tali specie, comunemente riconosciute, sarebbero quindi da interpretare più come sottospecie che come entità distinte. Dunque i primi rappresentanti del genere «Homo» appartenevano a una medesima specie? È una conclusione che si accorderebbe con quanto alcuni paleoantropologi, tra cui Jelinek, Ferembach, Coppens hanno sostenuto per l’umanità fossile delle origini. Le variazioni nel tempo sarebbero da vedere più come stadi morfologici che come vere specie, biologicamente intese.
Effettivamente il concetto biologico di specie, come gruppi di popolazioni caratterizzate dalla interfecondità, è di difficile applicazione all’umanità fossile, anche se alcuni autori tendono a enfatizzare le differenze morfologiche e vedono più specie non solo in senso diacronico, nel corso del tempo, ma anche nella medesima epoca.
In ogni caso a favorire l’unicità della specie umana, forse anche in senso diacronico, potrebbe essere il singolare rapporto con l’ambiente e la comunicazione tra i gruppi umani che si realizza con la cultura. La cultura rappresenta un fattore che si oppone all’isolamento necessario alla formazione di nuove specie. La identificazione di specie nell’uomo fossile resta ardua e sempre discutibile. Forse è più interessante domandarsi se si può riconoscere il livello umano in ominidi che appaiono piuttosto diversi dall’uomo di oggi.
Ma a questo riguardo il criterio decisivo più che quello morfologico dovrebbe essere quello culturale, come notava Jean Piveteau. Quando troviamo dei segni di un comportamento che si può ritenere umano, come può essere anche la lavorazione sistematica e progettuale della pietra, possiamo riconoscere la presenza dell’uomo, quale che sia la sua taglia corporea. Del resto, l’uomo di Flores, a Giava, vissuto tra 70.000 e 15.000 anni fa, viene visto come ultimo rappresentante dei Pitecantropi di Giava, nonostante le sue dimensioni decisamente piccole.
Per un ominide di Dmanisi c’è poi un aspetto molto singolare che può deporre per la sua identità umana. Un individuo adulto possedeva un solo dente al momento della morte ed è sopravvissuto a lungo nonostante la quasi totale assenza di denti, presumibilmente per la solidarietà del suo gruppo. Un segno di comportamento etico che affonda le sue radici alle origini dell’umanità.
2/ Un'unica specie umana. Facchini: "l'importante per identificare l'umanità è il dato culturale". Un’intervista di Chiara Santomiero a Fiorenzo Facchini
Riprendiamo dal sito Aleteia.org un’intervista di Chiara Santomiero a Fiorenzo Facchini pubblicata il 21/10/2013. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line. Per approfondimenti, cfr. la sotto-sezione L'uomo e le sue origini nella sezione Scienza e fede.
Il Centro culturale Gli scritti (27/10/2013)
L’uomo si è evoluto da un’unica specie: la conclusione si basa sull'analisi dei resti di un ominide scoperto a Dmanisi in Georgia e vissuto 1,8 milioni di anni fa. Lo studio pubblicato da Science è stato condotto dal gruppo coordinato dal paleoantropologo David Lordkipanidze, del Museo Nazionale Georgiano a Tbilisi, e ha messo in evidenza come nel fossile rinvenuto si trovino insieme caratteristiche fisiche appartenenti ad ominidi scoperti in Africa e datati circa 2,4 milioni di anni fa, insieme ad altri scoperti in Asia e in Europa e risalenti a un periodo compreso fra 1,8 e 1,2 milioni di anni fa.
È stato rilevato, ad esempio, che la mascella è come quella dell’Homo habilis, mentre le pronunciate arcate sopraccigliari sono dell’Homo erectus. Non di diverse specie umane, quindi, si tratterebbe, ma di semplice variazione di tratti fisici all'interno della stessa specie. Questo studio, come è stato affermato, riscrive la storia dell'evoluzione umana? Ne abbiamo parlato con mons. Fiorenzo Facchini, paleontropologo dell'Università di Bologna.
Cosa ci dice questo studio?
Facchini: Si tratta dello studio di un reperto che era stato trovato nel 2005 e che è il più completo tra quelli più antichi in quanto è datato un milione e 800 mila anni fa. Fornisce elementi molto interessanti perché presenta caratteristiche che lo avvicinano sia all'Homo habilis sia a quelle successive. Gli autori ritengono che sia questa forma georgiana – in particolare il cranio n. 5 con mandibola – che quelle più antiche rinvenute in Africa appartengano a un'unica specie. Non ritengo sia del tutto appropriato l'uso del termine "specie" perché è difficile individuare una specie in senso biologico – cioè una popolazione che ammette l'interfecondità - in un fossile. Ma si può parlare di un'unica radice, un unico ceppo dell'umanità. D'altra parte l'orientamento che ipotizzava l'esistenza di due o tre ceppi umani distinti in Africa e in Asia è stato da tempo superato proprio grazie al ritrovamento di reperti come quello georgiano che mostrano le affinità tra i vari ominidi.
Quali sono allora le conseguenze di questo studio?
Facchini: Non va enfatizzato. Nella paleontropologia la variabilità nelle popolazioni a volte viene accentuata così da parlare di specie diverse ma in realtà la variabilità all'interno della stessa popolazione a volte può essere maggiore che tra specie diverse. Questo studio conferma che la variabilità morfologica non va sottolineata e deve essere interpretata come quella che viene registrata nella popolazione umana di oggi. Lo studio può servire ad aggiustare il tiro: se qualcuno propendeva per il polifiletismo – cioè l'esistenza di più ceppi dell'umanità e più linee evolutive – questo studio è un argomento che rafforza l'orientamento, peraltro già diffuso, verso il monofiletismo, cioè l'esistenza di un' unica linea evolutiva. Si tratta di una ulteriore conferma all'idea di un unico ceppo umano affermata sia in paleontologia che in genetica.
La domanda più importante rimane però, come lei ha scritto, a quale stadio dell'evoluzione appare l'uomo in quanto tale, se a quello dell'homo habilis, erectus o altro. Questo studio aiuta?
Facchini: L'identificazione delle caratteristiche umane nell'ominide di Dmanisi può aiutarci ma se non ci si ferma al solo dato morfologico. L'importante è il dato culturale; se non ci fossero segni di psichismo umano inteso come capacità progettuale e di simbolizzazione, avrei dei dubbi ma sia per i reperti umani di un milione e 800 mila anni fa che per quelli di oltre due milioni ci sono documenti culturali che accompagnano il semplice tratto morfologico e questo è importante per identificare le radici dell'umanità.