Anche l’hacker ha un’anima. Foto “taggate”, tweets, streaming e post: un gergo che dice come il web stia cambiando le nostre esistenze. Ma resta una richiesta di senso. La riflessione di padre Spadaro a «Torino Spiritualità», di Antonio Spadaro
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Riprendiamo da Avvenire del 25/9/2013 un testo di Antonio Spadaro. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line.
Il Centro culturale Gli scritti (6/10/2013)
Come tutti ben sappiamo ormai la Rete tiene traccia e memoria di noi. Le foto 'taggate', 'geolocalizzate', collocate nel tempo esatto in cui sono state condivise sono l’album fotografico live della nostra vita; i nostri tweets o gli updates dello stato su Facebook e i post dei nostri blog conservano i nostri pensieri, ma anche i nostri stati emotivi; le librerie on line e gli altri negozi tengono traccia dei nostri gusti, delle nostre scelte, dei nostri acquisti e a volte anche dei commenti; i video su YouTube costruiscono per frammenti il film della nostra vita fatto dai nostri video e da quelli che ci piacciono.
Infatti lo streaming della nostra vita non è fatto solo di ciò che immettiamo in Rete ma anche di ciò che 'gradiamo', da ciò che ci piace, e che segnaliamo agli altri anche grazie al pulsante like ai nostri followers e ai nostri friends.
L’esperienza condivisa sui social networks è l’opposto di ciò che accadeva ai tempi di Robert Musil che scriveva: «La probabilità di apprendere dal giornale una vicenda straordinaria è molto maggiore di quella di viverla personalmente». Oggi invece i social network offrono l’opportunità di rendere più significativa l’esperienza vissuta soggettivamente proprio grazie alla pubblicazione e alla condivisione in una rete di relazioni. Le notizie dei giornali sono invece irrelate a me e dunque, in un certo senso, finiscono per essere percepite come meno 'straordinarie' o comunque meno interessanti. La rete è una opportunità perché narrare in ogni caso è restituire i soggetti della conoscenza alla densità simbolica ed esperienziale del mondo. E oggi è molto alimentato il bisogno di narrazione all’interno di legami e relazioni. La narrazione di rete può essere, sì, individualistica e autoreferenziale, ma può essere anche polifonica e aperta. Interessante a questo proposito la possibilità di aggregare materiali condivisi su differenti social networks su una piattaforma come Storify che permette l’interconnessione con Twitter, Facebook, Flickr, Youtube,… e le apre alla condivisione. Alla base è la consapevolezza che ciascuno di noi è un living link. L’interattività è la cifra radicale di questo lifestreaming.
Allora qual è la grande sfida? Trovare «un centro di gravità permanente che non costringa a cambiare continuamente idea sulle cose, sulla gente», cantava Franco Battiato nel lontano 1982. Una grande sfida riguarda l’esperienza dell’interiorità che l’uomo di oggi, specialmente se giovane, è in grado di compiere. L’uomo che ha una certa abitudine all’esperienza di internet infatti appare più pronto all’interazione che all’interiorizzazione. E generalmente 'interiorità' è sinonimo di profondità, mentre 'interattività' è spesso sinonimo di superficialità. Saremo condannati alla superficialità? È possibile coniugare profondità e interattività? La sfida è di grande portata. Certamente occorre salvaguardare spazi che permettano all’interiorità di svilupparsi senza interferenze o 'rumori' che distraggano l’uomo dalle sue domande radicali e dal suo bisogno di silenzio e di meditazione.
Tuttavia possiamo constatare che l’uomo di oggi, abituato all’interattività, interiorizza le esperienze se è in grado di tessere con esse una relazione viva e non puramente passiva, recettiva. L’uomo di oggi ritiene valide le esperienze nelle quali è richiesta la sua 'partecipazione' e il suo coinvolgimento. In generale, se l’oggetto di conoscenza non viene tradotto in esperienza di azione da parte del soggetto conoscente, esso gli rimane estraneo, non significativo e diventa banale, estraneo. Aveva ragione Gianbattista Vico quando formulava la linea guida della 'scienza nuova': verum ipsum factum: «la verità è nello stesso fare». È possibile davvero conoscere un oggetto solo da parte di chi ha contribuito a costruirlo, a farlo e vi riconosca gli effetti e le impronte della propria azione. Nel web inteso come luogo antropologico non ci sono 'profondità' da esplorare ma 'nodi' da navigare e connettere tra di loro in maniera fitta. Ciò che appare 'superficiale' è solamente il procedere in modo, magari inatteso e non previsto, da un nodo all’altro. La spiritualità dell’uomo contemporaneo è molto sensibile a queste esperienze. Alessandro Baricco ha descritto questa mutazione in atto nella cultura del mondo occidentale in un saggio dal significativo titolo di I barbari.
All’immagine romantica dell’uomo colto, chino sul libro nella penombra di un salotto con le finestre chiuse, si sostituisce quella del surfer che pattina sul pelo dell’acqua all’inseguimento del senso là dove è vivo in superficie. Dunque: «la superficie al posto della profondità, la velocità al posto della riflessione, le sequenze al posto dell’analisi, il surf al posto dell’approfondimento, la comunicazione al posto dell’espressione, il multitasking al posto della specializzazione».
Quale sarà dunque la spiritualità dei 'barbari', la spiritualità di quei nativi digitali il cui modus cogitandi è in fase di 'mutazione' a causa del loro abitare nell’ambiente digitale?
Italo Calvino in un saggio dal titolo Cibernetica e fantasmi notava che il pensiero «fino a ieri ci appariva come qualcosa di fluido, evocava in noi immagini lineari come un fiume che scorre o un filo che si dipana, oppure immagini gassose, come una specie di nuvola, tant’è vero che veniva spesso chiamato 'lo spirito'». Ecco, per Calvino oggi i cervelli elettronici sono già in grado di «fornirci un modello teorico convincente per i processi più complessi della nostra memoria, delle nostre associazioni mentali, della nostra immaginazione, della nostra coscienza». Calvino ha ragione? La sua tesi è sensata? Se ne potrebbe discutere, forse anche alla luce di quella che Raimondo Lullo chiamava ars magna e che poi Leibniz chiamò ars combinatoria. E tuttavia ciò che distingue l’uomo dalla macchina ordinatrice (ordinateur) è proprio il disordine.
Ciò che la macchina non produce è il disordine. La macchina ordina. Quindi occorre non lamentarci troppo del disordine perché qui c’è l’eccezione logica dell’uomo sulla macchina. Anzi: il nativo digitale spirituale forse è proprio una sorta di hacker, colui che vive la spiritualità come hacking interiore, cioè qualcosa che rompe il sistema e che ne cambia le regole, le visioni abituali, le logiche automatiche, ponendo la domanda di senso e aprendo il nostro sistema operativo interiore chiuso e spesso considerato come autosufficiente alla trascendenza.