Tornare alle origini significa semplicemente tornare alla Scrittura o riscoprire insieme ad essa anche i Padri della Chiesa? J. Ratzinger e il ritorno alle fonti. Appunti di Andrea Lonardo

- Scritto da Redazione de Gliscritti: 29 /09 /2013 - 14:50 pm | Permalink | Homepage
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Presentiamo sul nostro sito alcuni appunti di Andrea Lonardo sull’articolo di J. Ratzinger, I Padri nella teologia contemporanea, in J. Ratzinger, Natura e compito della teologia. Il teologo nella disputa contemporanea. Storia e dogma, Jaca, Milano, 2005, pp. 143-161. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line. Per ulteriori testi su e di J. Ratzinger-Benedetto XVI, vedi la sezione Bibbia e documenti della Chiesa.

Il Centro culturale Gli scritti (29/9/2013)

Indice

Introduzione

Negli anni del Concilio un ritorno ai Padri della Chiesa sembrava essenziale per un vero rinnovamento della Chiesa:

«Basta ricordare i nomi di Odo Casel, Hugo Rahner, Henri de Lubac e Jean Daniélou per aver di fronte una teologia che si considerava e si considera vicina alla Scrittura perché vicina ai Padri».

Ma oggi

«i Padri sono distanziati, lontani nel tempo, rimane una indefinita impressione di esegesi allegorica, che lascia un gusto cattivo e insieme anche un senso di superiorità, che mostra il distacco dal passato come progresso, che sembra promettere un domani migliore».

J. Ratzinger inizia così la sua riflessione sui Padri della Chiesa problematizzando la questione: come altre volte prende per mano il lettore, facendo emergere innanzitutto le tensioni sottese alla questione che si affronterà.

1/ La questione

«Chi vuole rendersi conto dell'importanza dei Padri della Chiesa per la teologia moderna s'imbatte immediatamente in una strana contraddizione: il movimento di rinnovamento teologico, iniziato in campo cattolico alla fine della prima guerra mondiale, si intese sostanzialmente come ressourcement, cioè come ritorno alle fonti, che si volevano leggere non più soltanto attraverso le lenti della scolastica, ma in se stesse, nella loro propria originarietà e portata. Certo, le fonti, che si trattava di riscoprire, fluivano innanzitutto e prima di tutto nella sacra Scrittura, ma nella ricerca di una forma nuova di rielaborazione teologica e di attuazione ecclesiale dell'intendimento scritturistico ci si imbatté naturalmente nei Padri, cioè nel tempo della Chiesa primitiva, nel quale la linfa della fede scorreva ancora intatta nella sua vitalità originaria. Basta ricordare i nomi di Odo Casel, Hugo Rahner, Henri de Lubac e Jean Daniélou per aver di fronte una teologia che si considerava e si considera vicina alla Scrittura perché vicina ai Padri.

Al momento sembra che questa situazione stia per concludersi. In pochi anni si è formata una nuova coscienza tanto determinata dal senso della pregnanza del momento attuale da farle sembrare in qualche modo romantico il rivolgersi al passato, cosa che poteva andare in tempi poco movimentati, ma in ogni caso non è adatta a noi. Al ressourcement subentra l'aggiornamento, il confronto con l'oggi e il domani, come momento nel quale si deve rendere presente ed operante la teologia. I Padri sono distanziati, lontani nel tempo, rimane una indefinita impressione di esegesi allegorica, che lascia un gusto cattivo e insieme anche un senso di superiorità, che mostra il distacco dal passato come progresso, che sembra promettere un domani migliore»[1].

Ratzinger mostra così subito che la questione dei Padri si pone in maniera problematica nella teologia post-conciliare. Non è più evidente se essi siano o meno decisivi:

«Per la teologia contemporanea hanno dunque importanza i Padri oppure no? Deve essere loro data questa importanza oppure per amore del fatto teologico i Padri si devono rimandare all'ambito strettamente storico, alla pura ricerca del passato, che se riguarda soprattutto l'oggi, certo lo riguarda in maniera mediata? Vedendo le cose più da vicino ci si rende subito conto che questo non è assolutamente un interrogativo retorico, ma piuttosto un problema molto complesso nel quale si concentra tutto il dilemma teologico, la sua tensione tra ressourcement e aggiornamento, tra ritorno alle fonti e responsabilizzazione per il domani prima che per l'oggi. Ovviamente parrebbe molto semplice rispondere: certo, ritorno alle fonti. Ma perché ai Padri? Non basta la Scrittura?».

L’Autore approfondisce il dilemma ricordando come, nel corso della storia della Chiesa, mai si è data opposizione fra Scrittura e fede della Chiesa: i Padri erano sempre stai letti come garanti di un’autentica interpretazione della Scrittura stessa:

«Da un altro, opposto, punto di vista, si potrebbe anche dire viceversa: che per il teologo cattolico questo non costituisce affatto un problema perché la cosa per lui è già risolta da tempo. Il Vaticano I, rifacendosi al concilio di Trento, ha già dichiarato che nelle cose riguardanti la fede e la morale si deve ritenere come vero senso della Scrittura «quello tenuto e che tiene tuttora la santa madre Chiesa, alla quale compete giudicare sul vero senso e sulla retta interpretazione delle sacre Scritture. A nessuno perciò è lecito dare una spiegazione della sacra Scrittura che sia contraria a questo senso o anche all'unanime consenso dei Padri». Il Vaticano II non ha in effetti ripetuto queste affermazioni ma non le ha neppure ritrattate; in ogni caso ne è percepibile una debole eco dove la Dei Verbum, dopo aver approvato la ricerca dei generi letterari e in sostanza l'uso del metodo storico-critico nell'interpretazione della Bibbia, prosegue: «Però, dovendo la sacra Scrittura essere letta e interpretata con l'aiuto dello stesso Spirito mediante il quale è stata scritta, per ricavare con esattezza il senso dei sacri testi, si deve badare con non minore diligenza al contenuto e all'unità di tutta la Scrittura, tenuto debito conto della viva Tradizione di tutta la Chiesa e dell'analogia della fede». La medesima posizione viene sottolineata anche nel capitolo VI della stessa Costituzione, quando si spiega il senso della sacra Scrittura nella vita della Chiesa, in stretto rapporto con la tradizione ecclesiale, in modo speciale quando si dice: «La Sposa del Verbo incarnato, la Chiesa, si preoccupa di raggiungere una intelligenza sempre più profonda delle sacre Scritture, per poter nutrire i suoi figli con le parole divine; perciò a ragione favorisce anche lo studio dei santi Padri dell'Oriente e dell'Occidente e delle sacre Liturgie».

Stando a questo testo pare giustificata l'affermazione che ci sarebbe una quasi dogmatizzazione dell'attualità dei Padri per la teologia cattolica».

Esattamente questa è la questione – suggerisce a questo punto Ratzinger. Ciò che è sempre stato accettato ora non è più evidente: ha senso accogliere ancora l’esegesi patristica, mentre la Chiesa si apre con diritto compiutamente all’esegesi storico-critica?

«Ma con questo il problema è risolto? Si potrebbe piuttosto affermare il contrario: che cioè per la prima volta esso è posto in tutta la sua incisività. Come abbiamo visto nella Dei Verbum del Vaticano II, l'approvazione del metodo storico-critico e l'interpretazione a partire dalla Tradizione e dalla fede della Chiesa sono poste l'una accanto all'altra, ma proprio in questa doppia accettazione si nasconde l'antagonismo fra le due posizioni, che sia in partenza sia nella loro orientazione sono opposte tra loro. Il testo conciliare considera essenza del secondo itinerario l'intelligenza della Scrittura come intima unità in cui l'uno sostiene l'altro, è presente in esso ed il singolo ogni volta può essere letto e spiegato dal tutto. Con questo in pratica viene colta l'idea di fondo dell'esegesi patristica la cui concezione ermeneutica centrale era l'unità, l'unità che è Cristo stesso, il quale compenetra e sostiene tutta la Scrittura. «Leggere la Scrittura alla luce della grazia significa unificarla. Se la si legge in modo carnale, come fanno i giudei, accanto al Nuovo Testamento sta la legge come secondo punto; ma se letta in modo spirituale è Vangelo», così dice M. Pontet in relazione a testi di Agostino e Origene. Però compito dello storico non è dapprima quello di unificare, ma di distinguere; non ricercare quello Spirito che la fede crede operante in tutta la Bibbia, ma interrogare tutti quegli uomini, che a modo loro hanno agito in questo tessuto policromo. Suo compito sarà dunque proprio quello che i padri hanno chiamato «lettura carnale al modo dei giudei» dalla quale mise in guardia Gerolamo dicendo: «Si litteram sequimur, possumus et nos quoque nobis novum dogma componere».

In questo senso pare anche che sia da proibire ogni et-et e che invece sia possibile solo un rigido aut-aut. E ciò da entrambe le parti, poiché anche per lo storico vale il contrario: un'esegesi può essere o solo dogmatica o solo storica, non certo l'una e l'altra. Interpretazione dogmatica, cioè spiegazione di un testo a partire da un dogma, sarebbe per lui precisamente il contrario di spiegazione storica, che non vuole avere altra condizione se non lo stesso testo in esame».

2/ Un abbozzo di risposta: la “paternità” dei padri come interpreti autentici della Scrittura e della rivelazione tutta

Il dilemma posto sui Padri è, in fondo, il grande dilemma della teologia e della fede contemporanee, quello fra la scienza e la fede: sono esse lontane l’una dall’altra o la fede ha bisogno della scienza e la scienza della fede?

«L’interrogativo circa l’attualità dei Padri ci pone dunque di fronte al braccio di ferro della teologia contemporanea impostole dall’essere tesa fra due mondi: quello della fede e quello della scienza. Eppure quanto accade oggi alla teologia non costituisce qualitativamente qualcosa di totalmente nuovo, ma è soltanto un ritorno acuito dell’antico dilemma fra auctoritas e ratio, che ha sempre seguito la sua strada con la gravità che gli è tipica»[2].

Separando Scrittura e Tradizione, Scrittura e Padri, si può arrivare al paradosso di dimenticare che la Tradizione non è altro che interpretazione delle Scritture! La condizione, infatti, che permette un vero amore ai Padri è che essi siano tramite risplendente ad un vero apprezzamento della Scrittura e non dimenticanza di essa:

«Ci si deve infatti domandare innanzitutto se si possa essere testimone della Tradizione in modo diverso da quello di interprete della Scrittura e di ricercatore del suo significato autentico. Forse la saggezza delle formule di Trento e del 1870 si fonda proprio sul far convergere la Tradizione nella spiegazione della Scrittura e nel considerare i Padri come interpreti della Tradizione perché essi sono tramite alla Bibbia»[3].

Se l’esegesi ritiene talvolta di poter fare a meno dei Padri nella comprensione del messaggio biblico, non diversamente avviene dal punto di vista della teologia: anch’essa, infatti, sembra voler qualche volta ridimensionare il ruolo dei Padri:

«L’importanza dei Padri, che dal metodo storico-critico dell’interpretazione della Scrittura abbiamo visto ridotta al minimo, ora è posta in questione anche dal pensiero dogmatico e nel campo della stessa Tradizione»[4].

Questo appare evidente se si considera con attenzione la storia della teologia orientale e la si confronta con quella dell’occidente cristiano:

«Mentre la teologia della Chiesa orientale non cerca altro che essere teologia patristica, l'orientamento della Riforma nei confronti dei Padri è fin dall'inizio discorde ed è rimasto tale fino ad oggi. Melantone ha lottato con vigore per provare che nella Confessio Augustana si riproponeva quell'eredità della Chiesa antica, che era stata tradita dal cattolicesimo medievale. Flaccio Illirico, il primo storico di rilievo della Riforma, lo ha seguito sullo stesso indirizzo, come pure l'opera di Calvino con il suo volgersi ad Agostino in modo radicale. Al contrario la posizione di Lutero nei confronti dei Padri, compreso Agostino, divenne sempre più critica e in lui sembra confermarsi progressivamente la convinzione che il distacco dal Vangelo sia avvenuto molto presto. Basta ricordarne un testo molto indicativo: «Sono convinto di avere io stesso sciupato e perduto molto tempo con Gregorio, Cipriano, Agostino ed Origene. Dato che i Padri ai loro tempi provavano un gusto ed una simpatia straordinari per le allegorie, sono con ciò stesso eliminati e tutti i loro libri diventano bazzecole... La causa di tutto è questa: essi si sono rivolti alle loro incertezze e alle loro proprie convinzioni, non hanno seguito san Paolo che vuole lasciare libertà all'azione interna dello Spirito». A motivo del loro metodo allegorico sembra qui che i Padri siano screditati e il rapporto con loro una perdita di tempo rispetto all'accostamento diretto con la Parola della Scrittura»[5].

D’altro canto l’importanza dei Padri non può dipendere semplicemente dalla loro antichità, perché, da un punto di vista cristiano, antico non vuol dire necessariamente migliore:

«Anche escludendo il fatto che resta difficile dire per quanto tempo nella Chiesa si possa parlare di antichità, s'impone l'interrogativo se per il cristiano il fatto dell'età storica possa essere di per sé un criterio oppure se nella stima per il passato non si ripresenti una categoria fondamentalmente mitica, già espressa in Platone nei concetti di pálai ed arkaîoi, che gli fanno dire degli antichi: «essi erano privilegiati rispetto a noi e stavano più vicino agli dèi». Qui prevale un concetto naturale di antico, per il quale il primitivo in quanto tale è privilegiato, più prossimo al divino. Il passare del tempo sospinge i posteri sempre più lontano dall'origine, cosicché per loro diviene assolutamente necessario custodire l'elemento iniziale che comunica alla loro tarda ora l'annuncio della verità divenuta lontana. Al contrario nell'autocomprensione della teologia cristiana è stata programmatica, attraverso i secoli, una frase quasi incidentale di san Benedetto. Egli dice che sono da chiamare al capitolo monastico sia i giovani che i vecchi, «perché il Signore spesso rivela ad uno più giovane ciò che è meglio». Questo asserto ha reso possibile alla teologia medievale la delimitazione del principio dell'auctoritas e la formulazione dell'attualità della Rivelazione cristiana che non ha solo un pálai, bensì un autentico «oggi» a partire dalla fede nel Pneuma. Certo v'è anche per i cristiani un evento del passato, dell'«antico» che è originario, vincolante, e di conseguenza normativo. Esso però non si definisce in modo naturale, come l'elemento primordiale nel mito, così che quanto più una cosa è antica, tanto più è autentica in sé. Esso si definisce storicamente, è la nuova azione di Dio, che sorpassa ed annulla il mito dell'antico. A ciò si aggiunge la componente di presente già ricordata, la cui unità di tensione con l'origine deve sussistere in modo sempre nuovo. Pertanto è posta una distinzione fondamentale fra concezione mitica di tradizione e concezione cristiano-patristica. Anche se non si deve negare che, malgrado l'opposizione, fra i due esiste una certa analogia. Dobbiamo perciò dire che i Padri non sono ancora definiti semplicemente dal fatto che sono «antichi», e neppure l'essere cronologicamente vicini all'origine del Nuovo Testamento prova abbastanza che essi gli stanno al di dentro. Ed è proprio questo che importa: se la loro primitività cronologica deve avere un significato teologico positivo, questo può derivare soltanto dal fatto che essi in modo speciale appartengono all'evento originario, oppure che gli sono legati in qualche altro modo con una comunanza (Gemeinsamkeit), implicante in sé un significato distinto in senso teologico»[6].

Ci si avvicina, invece, al cuore della questione quando si riflette sul termine stesso di “padre”. Affermare che qualcuno ci è “padre”, implica affermare che noi abbiamo ricevuto la vita dalla sua, che ce ne sentiamo figli. Questo ha una grande rilevanza ecumenica, poiché le diverse comunità cristiane si sono divise esattamente sulla questione di chi siano i “padri” da cui si sente di aver ricevuto la fede evangelica:

«Ora possiamo dire che i Padri sono maestri di teologia della Chiesa non separata, e che la loro teologia è in senso originario «ecumenica», appartenente a tutti. Essi quindi sono «padri» non solo per una parte ma per tutta la Chiesa, indicabili realmente in senso distintivo e peculiare come «padri»»[7].

Saggiamente Ratzinger propone che i Padri siano chiamati tali esattamente perché senza di essi non si sarebbe ciò che noi siamo come figli: esistono figure, infatti, che sono Padri solo di una parte della Chiesa, mentre esistono altri che tutti ritengono essere Padri propri ed, insieme, della fede di tutti:

 «Se [alcuni] possono essere padri solo per una parte, non ci si deve indirizzare a quelli che una volta erano padri per tutti e due [oriente ed occidente]?»[8].

3/ Quattro aspetti della "paternità" dei Padri: la determinazione del Canone, il Simbolo di fede come chiave interpretativa delle Scritture, l’elaborazione sorgiva della liturgia come celebrazione della presenza del Dio nel tempo, la fondazione della teologia come espressione della rivelazione stessa

Ratzinger, a questo punto, mostra come concretamente esista questa “paternità” dei Padri che conserva un senso anche a fianco della “paternità” della Sacra Scrittura, di modo che noi possiamo dirci figli di entrambi. Egli suggerisce che si possano paragonare i Padri alla risposta giusta e bella all’appello che la rivelazione rivolge all’uomo: la Rivelazione ed i Padri si appartengono come Parola e risposta alla Parola stessa. Infatti, noi siamo certamente figli della rivelazione, ma anche dei Padri che sono tali perché inaugurano per noi la via della risposta adeguata:

«Questo criterio si può approfondire ulteriormente e completare a livello contenutistico. Il dato concreto, in cui siamo incappati circa il fatto che la Scritturain qualche modo è sempre letta sulla scorta di determinati «padri», ora dev’essere formalizzato in modo più generale, nel senso cioè che Scrittura e Padri appartengono allo stesso ambito come parola e risposta. Certo, l’una non è l’altra, non hanno la stessa valenza e la stessa forza normativa: al primo posto sta la parola ed al secondo la risposta. Il loro ordine non è invertibile, ma entrambe, per quanto diverse e non confondibili tra loro, non sono però neppure separabili. Infatti solo perché la parola ha trovato risposta è rimasta tale ed effettiva»[9].

La centralità della risposta dei Padri che, in qualche modo, viene ad appartenere allo stesso fondamento che è la rivelazione attestata dalle Scritture può essere sintetizzata in 4 elementi: la determinazione del Canone, l’elaborazione del Simbolo di fede come chiave interpretativa delle Scritture, la costruzione della liturgia come celebrazione della presenza del Dio rivelato nel tempo, la fondazione della teologia come espressione della rivelazione stessa.

3.1/ La determinazione del Canone delle Scritture

Noi non sapremmo cosa è la Scrittura senza i Padri. Sono stati i Padri ad elaborare, con un processo osmotico compiutosi nella lettura liturgica e nella predicazione, il canone delle Scritture, offrendo a tutte le generazioni successive la Bibbia come libro unitario e definito:

«Il canone della Scrittura risale rispettivamente a loro ed alla Chiesa indivisa che essi rappresentano. È opera loro il fatto che proprio questa letteratura, che oggi chiamiamo «Nuovo Testamento», sia stata raccolta fra una pluralità di testimonianze letterarie in circolazione, e che il canone greco della Bibbia ebraica sia stato ordinato come «Antico Testamento» ed insieme con loro e a partire da loro sia stato compreso come «Sacra Scrittura». La costituzione del canone e della Chiesa primitiva sono un unico e identico processo, varia solo il punto di osservazione. Il diventare «canonico» di un libro si fondava sul fatto di essere letto in Chiesa; ciò significava che le numerose Chiese orientali, nelle quali soprattutto dominavano diverse consuetudini di lettura, alla fine accoglievano unitariamente questo libro nei lezionari liturgici. A sua volta il fatto che un libro veniva accettato ed un altro rifiutato presupponeva una precedente decisione, della cui tensione drammatica possiamo a malapena farci un'idea se da una parte leggiamo i vangeli gnostici, che volevano diventare Scrittura, e dall'altra le opere antignostiche dei Padri, nelle quali oggi ci appare chiaramente delineato lo spartiacque, che a quel tempo attraversava la Chiesa proprio nel suo centro ed era riconosciuto, combattuto e sofferto come tale»[10].

La definizione del Canone non sarebbe mai avvenuta senza il travaglio dei Padri nel rispondere alla rivelazione e nel testimoniarla al mondo:

«Questo significa che il canone in quanto canone sarebbe impensabile senza quella tensione spirituale che percepiamo nella teologia patristica. Il canone poggia su quella tensione spirituale ed accoglierlo implica necessariamente accettare quelle decisioni spirituali di fondo, che lo hanno costituito come tale. Parola e risposta si intrecciano così in modo inseparabile, malgrado per i Padri si tratti precisamente di distinguere la propria risposta dalla parola ricevuta, in opposizione alla confusione delle due, tipica della gnosi, rilevabile nella sua forma più classica nella mescolanza fra tradizione ed interpretazione del cosiddetto Vangelo di Tommaso»[11].

3.2/ La Regula fidei, il Credo

I Padri non solo hanno stabilito per sempre il Canone dei libri ispirati, ma hanno anche sintetizzato nel Simbolo di fede ciò che è più bello, nuovo, originale, salvifico dell’intero messaggio biblico, di modo che il Credo non è altro dalle Scritture, ma ne è la chiave che ne schiude il significato: i Padri hanno così creduto e insegnato che nelle Scritture si rivela il mistero del Padre, del Figlio e dello Spirito ed il loro disegno di creazione e salvezza, attraverso l’Incarnazione e poi la vita della Chiesa:

«Nella scelta degli scritti che si dovevano riconoscere come Bibbia la Chiesa primitiva ha applicato un criterio che essa stessa chiamò kanòn tês písteos, regula fidei, regula veritatis. Funzione non certo insignificante di questo canone era condurre alla divisione fra scritti falsi ed autentici della Scrittura ed aiutare così la costituzione del canone «della» Scrittura. La «regula» per parte sua si prolunga in diversi simboli conciliari ed extraconciliari in cui ha trovato stesura vincolante la lotta della Chiesa antica per la distinzione della realtà cristiana. In questo senso la Chiesa patristica, oltre alla costituzione del canone, si caratterizza secondariamente come tempo in cui vennero create le professioni di fede basilari per tutta la cristianità. In quanto questi simboli sono usati come preghiera e la cristianità dichiara la propria fede in Gesù come Uomo e Dio e adora Dio come Uno in Tre Persone, quei Padri sono i suoi Padri»[12].

3.3/ La “forma” liturgica

I Pari della Chiesa sono i nostri Padri, i Padri della Chiesa tutta, non solo per aver donato a tutte le generazioni il Canone ed il Simbolo di fede. Essi hanno anche chiarificato, una volta per sempre, l’essenziale della forma liturgica della celebrazione. Nonostante le infinite modulazioni possibili che questa forma può assumere, è evidente che una è la liturgia, nei suoi elementi essenziali. Sono stati i Padri a determinare questa forma che permette ad ogni comunità nel tempo di celebrare la presenza vivente di Cristo nella storia:

«E questo ci induce ad una terza caratteristica: la Chiesa antica ha creato le forme basilari della liturgia cristiana da considerarsi base permanente ed inevitabile punto di riferimento di ogni rinnovamento della liturgia. Il movimento liturgico, che fra le due guerre mondiali ha portato sia la cristianità cattolica sia quella evangelica ad un nuovo modo di sentire l’essenza e la forma della liturgia cristiana, ha trovato le indicazioni decisive nelle grandi liturgie della Chiesa antica»[13].

3.4/ La teologia patristica all’origine della teologia tutta

Infine, sottolinea Ratzinger, i Padri hanno fondato la teologia e – si porrebbe aggiungere – la catechesi. Comprendendo che non si dà opposizione fra ragione e fede, bensì che la fede esige un continuo approfondimento, hanno reso possibile tutto lo sviluppo successivo del pensiero cristiano. Anche in questo senso i Padri sono i nostri Padri:

«I Padri, concependo la fede come una «philosophia» e ponendola sotto il programma del credo ut intelligam, hanno riconosciuto la responsabilità razionale della fede dando così origine alla teologia, come l'abbiamo intesa fino ad oggi, nonostante tutte le divergenze metodologiche nei particolari. Anche questo orientamento verso la responsabilità razionale non è qualcosa di ovvio: era il presupposto per la sopravvivenza del cristianesimo nel mondo antico, e lo è ancora per la sopravvivenza del cristianesimo oggi e domani. Si è spesso biasimato questo «razionalismo» dei Padri, senza per questo potersi sottrarre alla strada iniziata da loro, come ha ben dimostrato Karl Barth nella sua opera così grandiosa di protesta radicale nei confronti di ogni volontà di fondazione razionale, ed insieme piena di sforzo affascinante per la comprensione profonda di ciò che Dio ha rivelato. In questo senso la teologia per il fatto stesso che esiste sarà sempre debitrice verso i Padri ed avrà sempre nuovi motivi per mettersi alla loro scuola»[14].

Conclusione

Ratzinger sottolinea poi, in conclusione del suo articolo, che proprio questo radicamento nei Padri non solo non esclude ogni sviluppo innovativo successivo, bensì lo esige e lo sostiene perché sia possibile e fiorente. In questo senso cita A. Benoit che afferma:

««Il patrologo è certo uno che studia i primi secoli della Chiesa, dev’essere però anche un uomo che ne prepara il futuro. Questa è comunque la sua vocazione». Infatti: la dimestichezza con i Padri non è un puro lavoro di catalogazione nel museo del passato. I Padri sono il passato comune di tutti i cristiani e nella riscoperta di questa comunanza sta la speranza del futuro della Chiesa ed il compito del suo e del nostro presente»[15].

Note al testo

[1] J. Ratzinger, I Padri nella teologia contemporanea, in J. Ratzinger, Natura e compito della teologia. Il teologo nella disputa contemporanea. Storia e dogma, Jaca, Milano, 2005, pp. 143-146.

[2] J. Ratzinger, I Padri nella teologia contemporanea, in J. Ratzinger, Natura e compito della teologia. Il teologo nella disputa contemporanea. Storia e dogma, Jaca, Milano, 2005, p. 146.

[3] J. Ratzinger, I Padri nella teologia contemporanea, in J. Ratzinger, Natura e compito della teologia. Il teologo nella disputa contemporanea. Storia e dogma, Jaca, Milano, 2005, p. 147.

[4] J. Ratzinger, I Padri nella teologia contemporanea, in J. Ratzinger, Natura e compito della teologia. Il teologo nella disputa contemporanea. Storia e dogma, Jaca, Milano, 2005, pp. 148-149.

[5] J. Ratzinger, I Padri nella teologia contemporanea, in J. Ratzinger, Natura e compito della teologia. Il teologo nella disputa contemporanea. Storia e dogma, Jaca, Milano, 2005, pp. 149-150.

[6] J. Ratzinger, I Padri nella teologia contemporanea, in J. Ratzinger, Natura e compito della teologia. Il teologo nella disputa contemporanea. Storia e dogma, Jaca, Milano, 2005, pp. 153-155.

[7] J. Ratzinger, I Padri nella teologia contemporanea, in J. Ratzinger, Natura e compito della teologia. Il teologo nella disputa contemporanea. Storia e dogma, Jaca, Milano, 2005, p. 156.

[8] J. Ratzinger, I Padri nella teologia contemporanea, in J. Ratzinger, Natura e compito della teologia. Il teologo nella disputa contemporanea. Storia e dogma, Jaca, Milano, 2005, p. 153.

[9] J. Ratzinger, I Padri nella teologia contemporanea, in J. Ratzinger, Natura e compito della teologia. Il teologo nella disputa contemporanea. Storia e dogma, Jaca, Milano, 2005, p. 156.

[10] J. Ratzinger, I Padri nella teologia contemporanea, in J. Ratzinger, Natura e compito della teologia. Il teologo nella disputa contemporanea. Storia e dogma, Jaca, Milano, 2005, pp. 157-158.

[11] J. Ratzinger, I Padri nella teologia contemporanea, in J. Ratzinger, Natura e compito della teologia. Il teologo nella disputa contemporanea. Storia e dogma, Jaca, Milano, 2005, p. 158.

[12] J. Ratzinger, I Padri nella teologia contemporanea, in J. Ratzinger, Natura e compito della teologia. Il teologo nella disputa contemporanea. Storia e dogma, Jaca, Milano, 2005, pp. 158-159.

[13] J. Ratzinger, I Padri nella teologia contemporanea, in J. Ratzinger, Natura e compito della teologia. Il teologo nella disputa contemporanea. Storia e dogma, Jaca, Milano, 2005, p. 159.

[14] J. Ratzinger, I Padri nella teologia contemporanea, in J. Ratzinger, Natura e compito della teologia. Il teologo nella disputa contemporanea. Storia e dogma, Jaca, Milano, 2005, p. 160.

[15] J. Ratzinger, I Padri nella teologia contemporanea, in J. Ratzinger, Natura e compito della teologia. Il teologo nella disputa contemporanea. Storia e dogma, Jaca, Milano, 2005, p. 161.