Magmatica resurrezione. Il colossale bronzo dell’Aula Nervi è l’opera contemporanea più vista al mondo. Pericle Fazzini abbatte le barriere tra arte sacra e arte profana, di Davide Rondoni

- Scritto da Redazione de Gliscritti: 08 /12 /2013 - 14:24 pm | Permalink | Homepage
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Riprendiamo da I luoghi dell’Infinito di Avvenire (numero di gennaio 2013, p. 55) un articolo scritto da Davide Rondoni. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line.

Il Centro culturale Gli scritti (8/12/2013)

Un tal Capoferri fu assistente di Lotto nella creazione delle magnetiche tarsie di Bergamo. E ne ebbe le mani avvelenate. Le sostanze, le colle e chissà cos'altro in quelle operazioni gliele seccarono. Ne morì. Ci sono artisti la cui morte è venuta loro incontro da dentro l'opera. E questo è avvenuto per l'opera d'arte contemporanea probabilmente più vista al mondo, la Resurrezione di Pericle Fazzini, in Aula Nervi in Vaticano. Non c'è chi, per quanto di sfuggita infinitamente replicato in video, non abbia visto il potente grido o rigurgito - o come chiamarlo - di vita e oltrevita o materia fusa e incandescente. Estremo tentativo di dar forma alla vittoria sulla morte mentre il match è in corso e si compie. Il nome dell'artista è però ignoto ai più, come accadeva per le grandi opere delle cattedrali medievali.

Mentre lavorava al grande corpo-bozza del monumentale affresco in bronzo, e avendo deciso di conformarlo in polistirolo per meglio fondere torsioni, curvature e slanci, ecco lì Fazzini incontrò le esalazioni che lo avvelenarono. Il fuoco e quel materiale bruciavano i respiri, i sospiri. Era già avanti con gli anni, non se ne curò o non seppe. A noi resta da contemplare il paradosso dell'opera d'arte contemporanea più vista al mondo: una Resurrezione che chiese la vita del suo visionario faber. Una maledizione? O uno speciale stigma, un sigillo il cui significato è difficile se non si guarda l'arazzo del vivente da dietro, dove i fili corrono e si intrecciano in figure diverse dal disegno che appare? Come se ogni gloria e nome d'artista bruciasse in quei respiri rubati. Ogni vanità. Del resto era capitato anche al Buonarroti, che dipinse l'altra opera più nota al mondo posta in Vaticano - ne ebbe un surplus di umiltà, di quasi sconforto e riduzione in poltiglia del sentimento di sé, testimoniato nei meravigliosi distrutti sonetti e frammenti dove il Più Grande dice d'esser niente e poi niente.

L’avventura della Resurrezione fu ardua. E nel pieno di un tempo in cui gli artisti - anche grandissimi - si accanivano sul tema della Croce. Come se lei, la Resurrezione, non fosse possibile ritrarla. Dieci anni passarono dalla commissione del 1965 voluta da Paolo VI alla realizzazione del bozzetto e altri due alla posa. L’artista scrisse che il suo Cristo risorge «con impeto e pacatezza», come quello di Piero della Francesca, «dalla bomba nucleare: un'atroce esplosione, un vortice di violenza e di energia». E confessa: «Mi sono buttato nella Resurrezione con una forza che non dipendeva più da me [...]. Una grande preghiera conscia e inconscia». Anche così, con le parole, Pericle Fazzini coglie il punto in cui l'arte contemporanea come l'antica sfuggono a qualsiasi faticosa e inutile distinzione in "sacra" e non. Vivendo di quel che Charles Baudelaire chiama "ardente singhiozzo".