Philippe Daverio: «Varallo, il teatro dove va in scena la Controriforma», un’intervista a Philippe Daverio di Leonardo Servadio
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Riprendiamo da Avvenire del 12/9/2013 un’intervista a Philippe Daverio di Leonardo Servadio. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line. Sull'arte della controriforma e dell'età barocca, vedi la sezione Arte e fede.
Il Centro culturale Gli scritti (29/9/2013)
«Una formidabile narrazione del mondo concreto, reale, vivo: ben diversa dall’estetica prorompente del Rinascimento». Così Philippe Daverio, studioso e grande comunicatore dell’arte, in merito al Sacro Monte di Varallo. Al convegno interverrà sabato 14 alle 15,30 sul tema Arte: dipingere un volto, restituire vita alla materia, comunicare il bello, unire l’uomo a Dio. «La poetica rinascimentale - dice - si fonda sulle idee astratte e su un rinnovato classicismo. Nelle cappelle del Sacro Monte di Varallo si vuole invece evitare ogni confusione estetizzante e raccontare eventi che possano essere intesi come contemporanei. Di qui il fatto, inaudito all’epoca, di spingersi sino a usare capelli veri per le statue. Ed è il messaggio della Controriforma: non più idee platoniche, associate al monaco agostiniano Martin Lutero, ma un’arte ben comprensibile a chiunque, senza ridondanze o simbolismi, bensì informata della corposa concretezza del dogma».
Ma come, la straordinaria eleganza di certe figurazioni, la maestria di Gaudenzio Ferrari...
«Questa mia non è un’interpretazione poetica da storico dell’arte, bensì una lettura di carattere antropologico. E il quadro è chiaro: 'smettetela di commentare i testi sacri, applicate la lettera del dogma'. Il trionfo della concretezza: è difficile fare pellegrinaggi fino alla Terra Santa? È complicato arrivare fino a Roma? Ecco inventato il pellegrinaggio 'low cost': il popolo potrà salire al Sacro Monte e rivivere la vita di Cristo incontrando a tu per tu statue che rendono con impressionante efficacia le scene evangeliche».
Un momento: Controriforma è anche barocco con le sue forme travolgenti...
«Già, ma questo viene dopo. Col Sacro Monte siamo ai rigori delle origini, nella prima metà del ’500. L’evoluzione barocca avverrà più tardi, quando la fase rigorista sarà finita e si potrà tornare alla lussuosità. Se Sisto V Peretti dal 1585 al 1590 era riuscito a cambiare i connotati di Roma coi suoi imponenti interventi urbanistici, dopo l’intermezzo del durissimo Clemente VIII Aldobrandini, dal 1605 Paolo V fu 'Borghese' di nome e di fatto. Nel 1622 papa Ludovisi, Gregorio XV, fondò la Congregazione 'de Propaganda Fide', per diffondere la fede cattolica nel mondo e contestualmente prese piede un’enfasi nuova su una liturgia dai risvolti fastosi e teatrali: il barocco sorse da questa successione di sensibilità e di comportamenti. In area lombarda il passaggio epocale, dal periodo rigido della prima Controriforma all’insorgere del barocco, è denotato dalla differenza tra Carlo Borromeo, rigoroso, severo, inflessibile, e il nipote Federico, liberale, aperto e propenso al dialogo culturale».
Quindi l’arte è in ogni caso un’espressione precisa dei voleri del committente...
«Chi paga comanda. L’artista dell’epoca ha tutto il mondo ecclesiale che lo osserva e lo segue passo passo. L’arte è strumento di propaganda e non si può sgarrare. Sarà così fino al XIX secolo: l’opera è anzitutto del committente. Unica eccezione: il Caravaggio, che il marchese Giustiniani protesse con convinzione, così concedendogli un’inconsueta libertà espressiva. Per quanto riguarda il Sacro Monte di Varallo invece, Gaudenzio Ferrari non godeva di alcuna autonomia e tutto quello che produsse fu solo ed esclusivamente volto a diffondere il messaggio voluto dai francescani in quel primo periodo controriformista».
E il risultato fu eclatante...
«Nel Sacro Monte di Varallo vediamo quel che all’epoca era paragonabile al Cinemascope di quando io ero giovane: la massmedialità che impatta e coinvolge a tutto tondo. La pittura all’epoca era rivolta alle persone di cultura, mentre la statuaria, con la sua scenograficità immediata dovuta anche al colore, colpiva facilmente l’immaginazione di chiunque. E mentre a Varallo si facevano le statue policrome coi baffi e i capelli veri, a Roma, come imitazione delle opere antiche ritrovate, si scolpiva rigorosamente sul marmo naturale, senza colore: non sapevano che anche le antiche statue greche e romane erano state colorate, ma il tempo le aveva ripulite... ».