E se giungesse il giorno nel quale vite diverse hanno diverso valore? Una recensione di Tommaso Spinelli a La morte moderna di Carl-Henning Wijkmark
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Riprendiamo sul nostro sito una recensione di Tommaso Spinelli a La morte moderna di Carl-Henning Wijkmark.
Il Centro culturale Gli scritti (8/9/2013)
«È vero che, in linea generale, abbiamo dovuto parzialmente ridurre il nostro rispetto per la vita, in particolare nell’assistenza sanitaria. Ma non abbiamo scelta, è diventato troppo costoso per noi».
Siamo in Svezia, dove, in un simposio a porte chiuse, esperti di bioetica, teologi protestanti, politici, discutono del progetto FATER (fase terminale della vita umana). Le domande alle quali i convenuti devono dare risposta riguardano i problemi di una società nella quale il numero degli anziani improduttivi e dei malati gravi è diventato tanto alto da essere ormai - così si afferma nel dibattito - insostenibile economicamente.
“La morte moderna”, scritto nel 1978 da Carl-Henning Wijkmark, ma da poco pubblicato in Italia (Iperborea), è un romanzo che predice come a distanza di anni sarebbero state proposte soluzioni accettabili da un sistema democratico, smascherando così le ipocrisie di un nuovo atteggiamento verso la vita che ammanta di buone intenzioni e spiegazioni plausibili quelle che sono solo le imposizioni del vero potere, quello economico.
Uno dei protagonisti afferma nel romanzo:
«È chiaro che siamo ancora solo all’inizio di un’evoluzione, che va guidata con una campagna di informazione paziente e sofisticata, prima che la soluzione finale possa prendere forma. Soluzione finale che noi del FATER vorremmo definire con la ben nota formula dell’obbligo volontario».
Qual è infatti la soluzione proposta? Convincere mediante la forza di persuasione dei mezzi di informazione che alla fine della fase produttiva della vita, per il bene della società, sarebbe opportuno che le persone anziane o gravemente malate, volontariamente rinunciassero a vivere.
Tutti devono poter avere la sicurezza che, arrivati a un certo stadio di malattia incurabile, di dipendenza o di demenza senile – o ancor meglio prima, a un limite di età prestabilita – la società intervenga somministrando una morte indolore e liberatrice.
I progettisti del nuovo welfare discutono apertamente nel libro la strategia da proporre per ottenere il consenso sociale al progetto di un’eutanasia pianificata e diffusa:
«Se si segue la mia proposta, vale a dire se si toglie il valore umano dalla prima linea e lo si rimpiazza con il valore sociale nei suoi differenti aspetti, ovvero se si segue una strategia di etica utilitarista, si evita questo dilemma. Perché l’intera idea del valore umano assoluto dipende completamente da una concezione cristiana. È basata sulla dottrina cristiana del diritto naturale».
E alcune pagine più avanti si afferma:
«L’etica non deve essere fissa, ma dinamica e flessibile. Il tempo delle norme assolute è passato, quando non c’è più nessun dio che le possa garantire».
E un senso di inquietudine invade il lettore, perché è invitato a pensare: «E se un giorno l’economia dovesse davvero diventare il criterio in base al quale decidere chi può vivere e chi no?», «E se allora l’essere uomo non fosse più l’unico requisito richiesto per avere diritto di vivere?», «E se un giorno si ipotizzasse che degli esseri umani potrebbero, in base alle loro prerogative di medici, politici o giudici, decidere se la vita di un altro essere umano è degna o meno di essere vissuta?».
Ma è solo un attimo, è solo un libro, è solo la Svezia del 1978, tutto questo non succederà mai. Torna in mente, però, in modo spiacevole una frase che Wijkmark mette in bocca ad uno dei protagonisti per evidenziare il rischio di un futuro che ci si prospetta innanzi:
«Il concetto di qualità della vita dovrebbe anche essere interpretato nel senso che vite diverse hanno diverso valore».