Lo ius primae noctis? Non è mai esistito. Molti degli stereotipi legati al Medioevo sono un’invenzione dei secoli successivi. Nelle testimonianze letterarie e artistiche dell’epoca non se ne trova traccia, di Alessandro Barbero
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Riprendiamo da La Stampa del 28.8.13 un articolo scritto da Alessandro Barbero. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line.
Il Centro culturale Gli scritti (8/9/2013)
In uno dei primi capitoli di 1984, George Orwell descrive la reinvenzione della storia sotto il regime del Grande Fratello. Al popolo si insegna che nel brutto, lontano passato esistevano creature malvagie chiamate i capitalisti, che opprimevano il popolo con le pretese più infami. «C’era anche una cosa chiamata lo ius primae noctis, che probabilmente non si menzionava nei libri di testo per bambini. Era la legge per cui ogni capitalista aveva il diritto di andare a letto con qualunque donna che lavorasse nelle sue fabbriche».
Il procedimento immaginato da Orwell, creare un’immagine tenebrosa del passato allo scopo di esaltare il presente, è stato praticato davvero in Europa, dal Rinascimento fino all’Ottocento: vittima designata, il Medioevo. Umanisti e artisti rinascimentali orgogliosi della loro nuova cultura, riformatori del XVIII secolo in lotta contro il feudalesimo, positivisti dell’Ottocento intenti a celebrare il progresso e combattere la superstizione, si sono trovati tutti d’accordo a dipingere con le tinte più nere il millennio medievale.
Sono nate così alcune istantanee, chiamiamole così, che tutti visualizziamo facilmente, tanto sono inseparabili dall’immagine popolare del Medioevo. Le folle atterrite che riempiono le chiese negli ultimi giorni prima dell’anno Mille, nella certezza che il mondo sta per finire; i dotti, in realtà ignorantissimi, che credono che la Terra sia piatta, o comunque non osano insegnare il contrario per paura di essere puniti dalla Chiesa; e naturalmente lo ius primae noctis evocato da Orwell, la legge infame per cui il signore del villaggio ha diritto alla verginità di tutte le ragazze, e biecamente riscuote quel che gli è dovuto la sera di ogni festa di nozze.
Lo storico si sente un po’ un guastafeste quando, dopo lunghe e accurate verifiche, gli tocca sentenziare che tutte queste immagini così pittoresche sono false, e che nulla di tutto ciò è mai accaduto davvero.
Eppure è proprio così: se si va a controllare si scopre, con non poco stupore, che di queste cose nel Medioevo non si parlava affatto, e che sono tutte state inventate dopo. I terrori dell’anno Mille? Ma il 31 dicembre 999 il papa Silvestro II su richiesta dell’abate di Fulda confermò i privilegi di quel grande monastero, per lui e per i suoi successori, a patto che in futuro ogni abate, quando veniva eletto dai monaci, si facesse consacrare dal Papa: quei due, almeno, non credevano che il mondo stesse per finire.
La terra era piatta? Ma ogni imperatore medievale si faceva raffigurare con in mano il simbolo del suo potere sul mondo: un globo sormontato dalla croce.
E lo ius primae noctis? Ecco, qui la storia è un poco più complessa. Anche quello, beninteso, non lo incontriamo mai, se lo cerchiamo dove ci aspetteremmo di trovarlo. Il Medioevo ci ha lasciato un’infinità di novelle come quelle del Boccaccio, in cui si parla di sesso con grande franchezza, con realismo e critica sociale, in cui si mettono in scena mariti gelosi e potenti dissoluti, si evocano situazioni scabrose e beffe riuscite attorno al tema di sesso e potere: ma non c’è nemmeno un autore medievale che abbia pensato di trarre profitto da uno spunto così succulento come lo ius primae noctis, di cui oggi sceneggiatori del cinema e autori di romanzi storici si servono continuamente.
Il Medioevo ci ha lasciato un’infinità di lagnanze dei contadini contro i loro signori, lunghi elenchi di usi e abusi, resoconti di rivolte e memoriali di avvocati; conosciamo dettagliatamente gli innumerevoli obblighi, imposte e gabelle di cui i contadini si lamentavano e che cercavano di far abolire: un obbligo come lo ius primae noctis non è mai menzionato.
E dunque, quand’è che si comincia a parlarne? Questo diritto imbarazzante comincia a essere citato alla fine del Medioevo, e poi è evocato sempre più spesso a partire dal Cinquecento, secondo uno schema preciso e che è sempre il medesimo: come qualcosa che capitava ai brutti vecchi tempi.
Nel Medioevo molte città sono state fondate da gruppi di contadini che in protesta contro i loro signori si sono riuniti, hanno abbandonato i villaggi e edificato un nuovo luogo in cui abitare liberi. In Italia questo fenomeno si è verificato particolarmente spesso in Piemonte: sono nate così Cuneo, Alessandria, Cherasco e tanti altri centri minori.
Ebbene, proprio in queste città, nel Rinascimento, gli eruditi locali che a distanza di secoli rievocano quelle origini si divertono a immaginare quanto dovevano essere cattivi quegli antichi signori: ai loro sudditi imponevano ogni sorta di angherie. È qui, nella fantasia di eruditi creduloni che descrivono un passato leggendario, che comincia a circolare questa storia incredibile: quel passato era così barbaro che i signori pretendevano addirittura di godersi le spose dei loro servi nella notte delle nozze.
Il Medioevo, insomma, prima di finire ha fatto in tempo a inventare lo ius primae noctis, ma non come una pratica reale; bensì come una leggenda associata a un lontano passato. Oppure, in alternativa, come qualcosa che esiste tra i selvaggi, e che ne dimostra l’inferiorità rispetto a noi, cristiani e civilizzati.
Il Quattro e Cinquecento sono l’epoca delle scoperte geografiche: portoghesi e spagnoli si spingono nell’oceano, circumnavigano l’Africa, scoprono le Americhe. Ovunque i conquistadores riferiscono di aver trovato popolazioni selvagge, barbare, incivili: è logico, bisogna pur giustificare il fatto di averle ridotte in schiavitù. E ovunque, dalle Canarie al Messico, navigatori e conquistatori, per convincere il pubblico che quei popoli sono davvero dei selvaggi, raccontano che son gente senza pudore e senza onore, e praticano usanze ignobili: quando si sposa una ragazza, il capo del villaggio ha diritto a giacere con lei prima del marito. Decisamente è una fortuna che siano arrivati gli Europei a civilizzarli.
Lo ius primae noctis, insomma, è lo stigma dell’altro. Non esiste nessuna testimonianza di qualcuno che affermi di vivere in una società in cui quell’usanza è praticata, e di trovarla normale. Tutti quelli che ne parlano, dalla fine del Medioevo in poi, la associano a un’alterità barbarica, all’esotismo dei nuovi mondi, o a quell’altro esotismo, di gran fascino, che è l’esotismo del passato.
Ed è il motivo per cui da queste leggende è così difficile liberarsi. Non importa se da cent’anni nessuno storico serio le ripete più, e se grandi studiosi come Jacques Le Goff hanno insistito tutta la vita a parlare della luce del Medioevo. Nel nostro immaginario è troppo forte il piacere di credere che in passato c’è stata un’epoca tenebrosa, ma che noi ne siamo usciti, e siamo migliori di quelli che vivevano allora.