La proposta di Legge sull’omofobia vista dal punto di vista educativo proprio dei genitori e del sistema scolastico, di Giovanni Amico
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Gli scritti (25/872013)
Così inizia il testo originario della Proposta di legge Scalfarotto (e altri) in tema di omofobia (nella prima versione presentata in aula il 9 luglio 2013 nell’ALLEGATO 3 al resoconto della seduta Martedì 9 luglio 2013:
Disposizioni in materia di contrasto dell’omofobia e della transfobia.
TESTO UNIFICATO ADOTTATO COME TESTO BASE
Norme in materia di discriminazioni motivate dall’orientamento sessuale o dall’identità di genere.
Art. 1
(Orientamento sessuale e identità di genere).
Ai fini della legge penale si intende per:
a) «Orientamento sessuale» l’attrazione nei confronti di una persona dello stesso sesso, di sesso opposto o di entrambi i sessi;
b) «Identità di genere» la percezione che una persona ha di sé come appartenente al genere femminile o maschile, anche se opposto al proprio sesso biologico.
L’ambiguità del Progetto di legge emerge tutta già in questo primo articolo. Il testo proposto, infatti, pretende di entrare subito nel merito della “percezione che una persona ha di sé”, desiderando evidentemente far entrare surrettiziamente questa nozione non giuridica nella legislazione italiana.
Quello che una legge sul tema dovrebbe specificare, invece, non è chi "si sente cosa" o cosa “non si sente", ma piuttosto quale tipo di "discriminazione" debba essere considerata punibile e quale non debba esserlo. Si sanno, infatti, delle “discriminazioni” - dal latino discrimen – che sussistono in presenza di un maschio ed una femmina o in assenza di una famiglia composta da un maschio ed una femmina (o, almeno, la questione è se, nel caso dovesse mutare l’orientamento della nazione in merito, se si debba continuare a prevedere la libertà di espressione pubblica di coloro che non sono d’accordo).
E, conseguentemente, come si dovrà comportare il giudice quando laici, ebrei, musulmani, buddisti (sono note le posizione in merito espresse da liberi pensatori laici, dal rabbino capo di Roma, dal Dalai Lama e dall’insegnamento ortodosso musulmano) e talvolta anche cristiani, continueranno non solo a pensare mentalmente ad una “discriminazione”, ma anche ad insegnarla ai bambini, a sottolineare in pubblico la bellezza del rapporto uomo-donna senza bisogno di ricorrere al termine heterosexual pride. Tale espressione non ha senso esattamente perché tale realtà emerge dalla vita stessa e non da un’ideologia elaborata a tavolino. Da che mondo è mondo ogni uomo riceve la propria vita da un uomo e da una donna, e così avviene anche per un omosessuale.
Ovviamente è giusto che lo Stato si impegni, mentre afferma pubblicamente la grandezza e la priorità della famiglia composta da un uomo e da una donna, a battersi al contempo perché nessuna persona sia offesa o trattata con disprezzo, né tanto meno violenza, se ha una relazione con una persona dello stesso sesso.
Ma certamente mantenendo fermo nel proprio ordinamento che esiste un "discrimine" che è pubblico e non privato fra le due situazioni. Di tale “discrimine” la manifestazione più evidente è la possibilità fisica di generare figli e quella giuridica di averne per altre vie, possibilità che deve essere riservata alla famiglia costituita da un uomo e da una donna.
Un esempio molto importante può sintetizzare la questione: un insegnante, sia esso laico, ebreo, buddista, musulmano o cristiano - ma la cosa non ha alcuna rilevanza - avrà il diritto di insegnare nella scuola pubblica ai bambini la bellezza del matrimonio tra un uomo ed una donna, oppure ne sarà interdetto perché, proponendo loro la famiglia, opererà una "discriminazione"?
La questione si pone esattamente dinanzi ad ogni percorso educativo – è questa la dimensione che intendiamo sottolineare come la più rilevante -, dinanzi cioè alla trasmissione di un’immagine della vita quando l’uomo è ancora “bambino”, quando cioè non ha ancora problemi espliciti di orientamento sessuale, esattamente perché in crescita.
Tale questione educativa è pubblica e non privata. Si può e si deve anzi continuare a proporre una tale prospettiva ai piccoli che crescono, oppure tale orientamento è "discriminante" e si dovrebbe piuttosto tacere dinanzi ai bambini o limitarsi a proporre loro diverse "possibilità" equivalenti?
Certo ogni genitore ed ogni educatore è chiamato ad amare i figli sempre e comunque, qualsiasi orientamento essi manifestino un giorno, ma dopo avergli prima proposto con chiarezza una visione su tale questione proprio perché egli arrivi a maturare la sua identità sessuale e relazionale.
Così si potrebbe sintetizzare quello che è, a nostro avviso, il punto nodale della questione: la legge italiana permetterà ad un insegnante di scuola pubblica di proporre una visione chiara della famiglia ad un bambino negli anni della formazione? Se questo venisse interdetto, il danno educativo sarebbe enorme.