Quell’intuizione di Rousseau, di Rémi Brague [«I principi dell'atesimo non procurano agli uomini la morte, ma impediscono loro di nascere»]
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Riprendiamo da L’Osservatore Romano dell’1/7/2013 un testo di Rémi Brague. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line.
Il Centro culturale Gli scritti (7/7/2013)
Non tutti hanno una religione. Di solito si obietta che l’uomo è e resta un animale religioso, che se non ha un Dio, ha un idolo (Scheler), e di conseguenza non ci sarebbero veri atei. Mettiamo da parte questa considerazione a buon mercato, per non renderci il compito troppo facile.
La non-religiosità è il risultato di una situazione tipicamente moderna. Nella modernità l’uomo occidentale ha provato a immaginare una vita senza Dio e in alcuni casi a viverla. Ha cercato di trasformare la celebre formula che per Ugo Grozio era un esperimento intellettuale, etsi deus non daretur, in una regola di vita. E così la religione è diventata un optional.
Il progetto della modernità consisteva nel liberare l’uomo in particolare da due vincoli fondamentali, che avevano segnato ogni cultura precedente. Essi erano di natura cosmologica e teologica. Il vincolo cosmologico risultava nel sentirsi parte dell’ordine del mondo, imitandolo e considerandolo come una garanzia contro il definitivo collasso dell’essere e del bene. Il vincolo teologico consisteva nell’ubbidire alla legge divina.
La religione in questo contesto assumeva il significato suggerito da una delle sue due etimologie: religare. Dal punto di vista della linguistica questa etimologia è alquanto dubbia, molto meno plausibile di religere. Dal punto di vista della storia della sua ricezione, però, è di gran lunga la più interessante e ricca di spunti: la religione è, infatti, un legame. E la recisione di ogni legame avviene in modo radicale quando l’uomo è posto al di sopra di se stesso. Il risultato si è rivelato tuttavia negativo.
Da qui, la mia tesi: la versione ateistica del progetto dell’età moderna è fallito. Noi viviamo nel mezzo di una complessa serie di tentativi di edulcorare questo fatto, mentre non dovremmo nasconderlo e dovremmo ammetterlo onestamente.
Ho accennato a una distinzione tra il progetto della modernità in generale e la sua variante ateistica. Si potrebbe obiettare che quest’ultimo non è ancora completo e tanto meno fallito. L’uomo moderno occidentale è riuscito a creare società che non necessitano di alcun fondamento che vada al di là dell’uomo stesso, società a cui non manca nulla o quasi. Si è dimostrato possibile stabilire un principio di coesistenza pacifica tra gli uomini. Va riconosciuto anche il successo di un certo ateismo metodologico nello studio della natura. È possibile rinunciare alla “Ipotesi Dio” (Laplace) nella spiegazione del mondo. Il che per altro presuppone che l’idea di Dio serva a fornire una spiegazione dell’origine o della struttura del mondo, cosa che contesto.
L’ateismo mostra tutti i suoi limiti dov’è in gioco l’essere dell’uomo, perché non è in grado di rispondere a una domanda fondamentale: quella, appunto, sul valore della vita umana. Finora la si poneva in considerazione della vita dell’individuo, se essa, per dirla con Schopenhauer, «copra i suoi costi» oppure no. Oggi la domanda si è acuita perché si pone su un piano collettivo, ovvero: l’umanità non danneggia forse l’equilibrio degli esseri viventi sulla Terra? Se la presenza dell’umanità comporta costi così alti, non sarebbe meglio che venisse meno?
L’impossibilità di rispondere alla domanda sulla legittimità dell’uomo dipende direttamente dall’esito del progetto di un umanesimo ateo. Se l’uomo dipende solo da se stesso, non abbiamo una sommità da cui si possa prendere una decisione sul valore o sul disvalore dell’uomo. Sartre l’aveva detto: che l’uomo possa legittimamente giudicare se stesso con favore è, per così dire, una sfacciataggine difficile da accettare.
Senza un legame con un essere trascendente che lo ponga nell’essere e lo giustifichi nel suo essere, l’uomo non può continuare a vivere responsabilmente. Una società che si lascia permeare e informare dall’ateismo è destinata semplicemente a scomparire. Nel suo lavoro di critica della religione apparso nel 1927, Freud parlò, come recitava il titolo, del Futuro di un’illusione. Oggi sappiamo che l’ateismo non ha un futuro, poiché compromette il futuro del genere umano.
Già Rousseau l’aveva capito. In un commento alla professione di fede del vicario savoiardo, nell’Emilio, paragona l’ateismo al fanatismo. All’ateismo sono da imputare molte vittime. Esso è sì meno crudele del fanatismo, non fa scorrere come questo il sangue, eppure, silenziosamente, ha un effetto ancora più devastante: «I suoi principi non procurano agli uomini la morte, ma impediscono loro di nascere».
Oggi abbiamo imparato che il giudizio relativamente positivo di Rousseau sull’ateismo, al quale va concessa l’attenuante di una certa ingenuità, vale solo nella sua versione privata. Le efferatezze delle più importanti ideologie atee, cioè dei regimi del XX secolo, hanno infatti di gran lunga superato i peggiori crimini delle religioni. Ciò che non perde di attualità è l’osservazione di Rousseau sull’azione a lungo termine dell’ateismo, che è distruttrice della vita.