La forza della non violenza, di Martin Luther King
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Riprendiamo dal sito Giovani e missione la traduzione del Discorso pronunciato di Martin Luther King il 4 giugno 1957, all'Università della California, a Berkeley. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line.
Il Centro culturale Gli scritti (28/7/2013)
"La libertà non è mai volontariamente concessa dall'oppressore: dev'essere rivendicata dagli oppressi. La libertà è sempre costata cara. La storia è opportuna testimone di come la libertà sia stata raramente conquistata senza sacrificio e abnegazione".
Fin dall'inizio c'era una filosofia alla base del boicottaggio di Montgomery, la filosofia della resistenza non violenta. C'era sempre il problema di spiegare questo metodo perché all'inizio per gran parte della gente essa non aveva senso. Dovevamo ricorrere ai nostri incontri di massa per spiegare la non violenza a una comunità di persone che non avevano mai sentito parlare di questa filosofia e che in molti casi non l'avevano in simpatia. Organizzavamo incontri due volte alla settimana, il lunedì e il giovedì, e tenemmo un seminario sulla non violenza e sul cambiamento sociale. Dovevamo far comprendere che la resistenza non violenta non è un metodo di comportamento per i codardi. Funziona davvero. Non è un metodo passivo, inerte, per gente mortificata e compiacente. L'oppositore non violento si oppone semplicemente al male che gli sta di fronte come fa l'oppositore violento, ma si oppone senza ricorrere alla violenza. Questo è un metodo di non aggressione fisica, ma di forte aggressione spirituale.
Non per umiliare, ma per conquistare a sé
Un'altra cosa che dovevamo fare comprendere era il fatto che l'oppositore non violento non cerca di umiliare o di sconfiggere l'avversario, ma di conquistarne l'amicizia e la comprensione. Questo era un appello che dovevamo sempre tenere ben presente alla gente, cioè che il proposito non è quello di sconfiggere la comunità bianca, non di umiliarla, ma di conquistare l'amicizia di tutte quelle persone che avevano perpetrato questo sistema nel passato. Il fine e le conseguenze della violenza sono l'astio. Le conseguenze della non violenza sono la riconciliazione e la costruzione di una comunità unita nell'amore. Il boicottaggio non è mai un fine in se stesso. È semplicemente un mezzo per risvegliare nell'oppressore un senso di vergogna, ma il suo fine è la riconciliazione, il suo fine è la redenzione.
Poi dovevamo far comprendere che l'oppositore non violento cerca di attaccare il male del sistema piuttosto che gli individui che sono intrappolati nel sistema. È questo il motivo per cui io dico a volte che la lotta, al Sud, non è tanto un provocare tensione tra bianchi e negri. La lotta è piuttosto tra giustizia ed ingiustizia, tra le forze dell'oscurità e le forze della luce. E se ci sarà una vittoria non sarà solo una vittoria per 50.000 negri. Ma sarà una vittoria per la giustizia, una vittoria per la buona volontà, una vittoria per la democrazia.
Un'altra cosa fondamentale che dovevamo spiegare era il fatto che la resistenza non violenta è anche una questione interna personale. Non solo rifugge dalla violenza esteriore o dalla violenza fisica esteriore, ma anche dalla violenza interna dello spirito. Perciò, al centro del nostro movimento, stava la filosofia dell'amore; la convinzione che il solo modo per riuscire a cambiare infine l'umanità e per avanzare verso la società che tutti noi desideriamo si trova nel porre l'amore al centro della nostra vita. Le persone mi chiedevano fin dall'inizio: che cosa intendi con la parola amore, e com'è che ci chiedi di amare quelle persone che cercano di distruggerci e quelle persone che sono contro di noi? Come fai ad amarle? E io dovevo spiegare sin dall'inizio che l'amore, nel suo significato più elevato, non ha niente a che fare con i sentimenti e nemmeno con gli affetti.
La lingua greca si serve di tre parole per indicare amore. Parla di eros. Eros è una sorta di amore estetico. È giunto a significare per noi una sorta di amore romantico, che si presenta in tutta la sua bellezza. Ma quando parliamo di amare quelli che ci combattono non parliamo di eros. La lingua greca parla di philia, che è una sorta di amore reciproco tra amici intimi. Questo è un amore vitale e prezioso. Ma quando diciamo di amare quelli che ti combattono e coloro che cercano di sopraffarti non parliamo né di eros né di philia. La lingua greca ci offre un'altra parola e questa è agape. Agape rappresenta una buona volontà intelligente, creativa e redentrice, verso tutti gli uomini. I teologi della Bibbia dicono che è l'amore di Dio che opera nella mente dell'uomo. È un amore traboccante, che non chiede nulla in cambio. E quando giungi a un simile amore incominci ad amare gli uomini non in base al loro aspetto, non perché fanno cose che ci affascinano, ma perché Dio li ama e quindi amiamo la persona che compie un'azione ingiusta odiando l'azione che la persona compie. È questo il tipo di amore che sta al centro del movimento che stiamo cercando di portare avanti nel Sud di questo paese: agape.
Sono perfettamente consapevole del fatto che ci sono persone che credono in un Dio personale, ma penso che ogni persona che crede nella resistenza non violenta creda in qualche modo che l'universo sia dalla parte della giustizia. Che c'è qualcosa che si manifesta nell'universo, che se ne parli come di un processo inconscio, o che se ne parli come di un motore immobile, o ancora che se ne parli come di un Dio personale. C'è qualcosa nell'universo che si manifesta a favore della giustizia, e perciò noi, a Montgomery, sentivamo di avere un'amicizia cosmica. E questa era una delle cose che teneva insieme la gente: la certezza che l'universo è dalla parte della giustizia.
Voglia Dio che gli uomini e le donne di tutto il mondo lottino contro i sistemi malvagi con l'amore nei loro cuori e con un'intelligente buona volontà. Agape ci dice di procedere con saggio autocontrollo e saggia ragionevolezza, e di non rinunciare a procedere. In America abbiamo la grande opportunità di costruire una grande nazione, una nazione nella quale uomini e donne vivano insieme come fratelli e rispettino la dignità e il valore di ogni singolo essere umano. Dobbiamo procedere verso questa meta. So che ci sono persone che dicono che dobbiamo andarci piano. Scrivono lettere a quelli del Nord e si appellano ai bianchi di buona volontà e ai negri, e gli dicono: vacci piano, stai accelerando troppo. Dicono che dobbiamo adottare una politica di moderazione. Ora, se moderazione significa andare avanti con ferma decisione e calma razionalità, allora la moderazione è la grande virtù che tutti gli uomini di buona volontà dovrebbero cercare di raggiungere nelle tensioni di questo periodo di transizione. Ma se moderazione significa andarci piano nel procedere verso la giustizia e arrendersi alle manie ed ai capricci dei guardiani di un mortifero status quo, allora la moderazione è un tragico vizio che tutti gli uomini di buona volontà dovrebbero condannare. Dobbiamo continuare ad andare avanti. È in gioco il rispetto di noi stessi; è in gioco il prestigio stesso della nazione. I diritti civili sono una questione morale eterna, che potrebbero benissimo determinare il destino della nostra civiltà nella lotta ideologica contro il comunismo. Dobbiamo andare avanti con saggio discernimento ed amore, e con la necessaria disciplina e dignità.
La psicologia moderna ha un termine che probabilmente è utilizzato più di qualunque altro. È il termine «disadattato». Ora tutti noi dovremmo cercare di vivere una vita non disadattata, per evitare personalità nevrotiche e schizofreniche. Ma ci sono certe cose nel nostro ordine sociale per le quali chiedo a voi di essere dei disadattati. Non intendo adattarmi alla segregazione e alla discriminazione. Non intendo adattarmi alle regole della violenza di massa. Non intendo adattarmi ai tragici effetti dei metodi della violenza fisica e alla tragedia del militarismo. Vi chiedo di essere dei disadattati nei confronti di queste cose. Vi chiedo di essere dei disadattati come Amos, che nel mezzo delle ingiustizie dei suoi giorni reagì con parole la cui eco è risuonata nelle generazioni: «Lasciate che il discernimento scorra come un torrente e l'onestà come un fiume possente». Disadattati come Abramo Lincoln, che ebbe questa visione: che una nazione metà libera e metà schiava non avrebbe potuto continuare ad esistere. Disadattati come Jefferson, che nel mezzo di un'epoca che si era adattata alla schiavitù, in modo sorprendente ebbe il coraggio di gridare: «Tutti gli uomini sono stati creati uguali e sono stati dotati dal loro Creatore di certi diritti inalienabili, tra i quali la vita, la libertà e il perseguimento della felicità». Disadattati come Gesù di Nazareth, che fece il sogno della paternità di Dio e della fratellanza dell'uomo. Voglia Dio che saremo così disadattati da essere in grado di uscire allo scoperto e cambiare questo nostro mondo e questa nostra civiltà. Ed allora saremo in grado di allontanarci dalla buia e desolata notte della crudeltà dell'uomo verso l'uomo, verso la luminosa e sfolgorante luce della libertà e della giustizia.