Quel borgo intorno a San Paolo, di Vincenzo Fiocchi Nicolai
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Riprendiamo da L’Osservatore Romano del 24-25/6/2013 un articolo scritto da Vincenzo Fiocchi Nicolai. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line. Per approfondimenti, vedi la sezione Roma e le sue basiliche.
Il Centro culturale Gli scritti (30/6/2013)
La basilica di San Paolo fuori le Mura sulla via Ostiense è stata oggetto in questi ultimi anni di importanti studi e indagini archeologiche finalizzati a ricostruire l’assetto primitivo dell’edificio paleocristiano, realizzato dagli imperatori Valentiniano II, Teodosio e Arcadio alla fine del IV secolo, edificio che, come è noto, venne quasi completamente distrutto da un incendio nel luglio del 1823. La chiesa fu ricostruita nelle forme e nelle dimensioni della fabbrica antica, ma radicalmente reinventata nella sua struttura interna ed esterna.
Gli scavi condotti dai Musei Vaticani tra il 1998 e il 2006, sotto la direzione di Giorgio Filippi, hanno riportato in luce alcuni settori del transetto originario e soprattutto recuperato - sotto l’altare papale - il sarcofago marmoreo nel quale gli antichi avevano riposto quelli che ritenevano i resti dell’apostolo Paolo.
Al di sotto del piano pavimentale della basilica, le medesime fortunate indagini hanno consentito l’individuazione dell’abside della precedente chiesa che l’imperatore Costantino aveva fatto erigere sul sepolcro del doctor gentium, abside già scoperta durante i lavori ottocenteschi. La chiesa costantiniana era orientata inversamente rispetto all’attuale e risultava di dimensioni assai più piccole: in lunghezza essa era tutta contenuta nella profondità dell’attuale transetto.
Altri studi condotti da ricercatori italiani e stranieri hanno permesso di ricostruire l’assetto architettonico e l’apparato decorativo interno della basilica della fine del IV secolo, valorizzando lo straordinario materiale scultoreo in marmo e le porzioni di affreschi e mosaici che rivestivano le superfici dell’edificio, sopravvissuti all’incendio del 1823; di focalizzare la sua originaria funzione di chiesa funeraria, capace di ospitare oltre seimilacinquecento tombe sotto i piani pavimentali; di analizzare l’eccezionale corpus delle iscrizioni funerarie poste a copertura delle tombe, nell’ottica di una ricostruzione della società che si serviva di questo privilegiato luogo di sepoltura.
L’area esterna alla chiesa fino a oggi non era mai stata oggetto di indagini archeologiche. Le fonti segnalavano in essa la presenza di numerosi edifici: monasteri, abitazioni per i poveri, terme destinate ai pellegrini che frequentavano il santuario, case, impianti produttivi. Intorno alla metà del VI secolo, lo storico Procopio di Cesarea, narrando delle vicende della guerra greco-gotica che aveva funestato Roma per molti anni, ricordava che intorno alla basilica dell’apostolo si era formato un vero quartiere; la chiesa era allora collegata alla città da un lungo portico; questo insieme di costruzioni rendeva il santuario paolino «di non facile accesso» (Bellum Gothicum, II, 4).
Il “borgo” sviluppatosi intorno alla basilica dell’apostolo venne fortificato nella seconda metà del IX secolo da Papa Giovanni VIII (872-882), preoccupato di difendere il luogo dalle incursioni dei saraceni; in una delle porte che si aprivano nelle cortine che circondavano la chiesa si leggeva l’epigrafe che commemorava l’impresa edilizia del Pontefice, definendo il nuovo agglomerato, dal nome del fondatore, Johannipolis.
Solo recentemente sono emerse tracce consistenti di questo borgo, noto anche, nelle testimonianze letterarie medievali, come castrum Sancti Pauli. Nell’estate 2007 l’esigenza di realizzare accanto alla chiesa, lungo il suo lato meridionale, nel luogo fino ad allora occupato dall’Orto dell’abbazia benedettina, un edificio funzionale all’accoglienza dei pellegrini, aveva indotto i Musei Vaticani a eseguire alcuni sondaggi archeologici preventivi. L’importanza delle strutture rinvenute consigliò subito l’estensione delle ricerche in tutta l’area. Sono state condotte dai Musei Vaticani in collaborazione con il Pontificio Istituto di Archeologia cristiana, sotto la direzione di Giorgio Filippi e di Lucrezia Spera, e si sono protratte fino al 2009.
A pochi metri dal muro perimetrale sud della chiesa sono venuti alla luce resti murari da riferire probabilmente a uno dei pauperibus habitacula che il pontefice Simmaco (498-514) aveva fatto costruire per il ricovero degli indigenti che affollavano il santuario (Liber pontificalis, LIII). Una fistula plumbea recante l’iscrizione a rilievo Pe(r)t(inentia) S(an)c(t)i Pauli, introdotta da una croce, è stata recuperata in una canaletta idrica collegata ai resti murari: essa attesta che il complesso paolino era agli inizi del VI secolo regolarmente approvvigionato d’acqua attraverso un sistema di condotte a uso esclusivo del santuario.
Gli scavi hanno anche rivelato che nell’VIII secolo l’area era occupata da importanti costruzioni pertinenti al monastero fatto edificare da Papa Gregorio II (715-731) in sostituzione di due più antichi cenobi esistenti nella zona: quello femminile di Santo Stefano, attestato già all’epoca di Gregorio Magno, e un altro maschile dedicato a San Cesario. Le strutture emerse definiscono ambienti di particolare ampiezza: una sala fornita di pozzo e un lungo corridoio, presumibilmente vani di servizio.
Di notevole rilievo è da considerarsi la scoperta, nel settore prossimo all’atrio della basilica, di un lungo e monumentale portico di età altomedievale, con ogni probabilità il rifacimento della porticus tardo-antica menzionata da Procopio, la quale, dunque, almeno nell’VIII secolo, proseguiva anche a sud della chiesa. Il largo ambiente coperto doveva svolgere la funzione, comune nei grandi santuari cristiani, di luogo di passaggio e ricovero dei pellegrini.
Altre importanti strutture possono essere riferite a ulteriori costruzioni altomedievali che fiancheggiavano il lato meridionale della chiesa tra il portico e il monastero, nonché a una piccola, interessantissima, torre campanaria, verosimilmente ricollegabile all’attività edilizia di Papa Adriano I (772-795), documentata a San Paolo dalle fonti letterarie (Liber pontificalis, XCVII).
Le ultime fasi di vita attestate nell’area registrano la riconversione del sito a uso agricolo (l’orto dei monaci), in connessione con l’abbandono del monastero altomedievale e la ricostruzione del nuovo cenobio nel luogo attuale.
Qualifica il quadro dei ritrovamenti anche la grande quantità di testimonianze relative alle varie attività di cantiere che nel medioevo si sono succedute nel sito, tra le quali si segnalano bacini, circolari o quadrangolari, per la miscelazione della malta. Le procedure costruttive si evidenziano anche nella valutazione delle tipologie delle strutture murarie portate alla luce, caratterizzate dal reimpiego generalizzato di materiali antichi, tufi, mattoni, blocchi di travertino, marmi spesso scolpiti.
Dal 27 giugno prossimo questo importante complesso archeologico sarà reso visitabile, in un allestimento ancora provvisorio, grazie all’impegno dell’amministrazione della basilica di San Paolo e, in particolare, degli arcipreti succedutisi dal 2007, i cardinali Andrea Cordero Lanza di Montezemolo, Francesco Monterisi e James Harvey, e al generoso contributo dei Patrons of the Arts in the Vatican Museums. Per la sistemazione museale dell’area e il restauro delle strutture murarie ci si è avvalsi della collaborazione della Scuola - diretta da Giovanni Carbonara - di specializzazione in Beni architettonici e del paesaggio dell’università di RomaLa Sapienza. Tutto il lavoro è stato coordinato dal direttore dei Musei Vaticani, Antonio Paolucci.
Come si diceva, l’antica basilica ostiense andò disgraziatamente a fuoco nella notte del 15 luglio del 1823. Al Papa benedettino morente Pio VII, che aveva a lungo risieduto a San Paolo, non si ebbe il coraggio di comunicare la tragica notizia. La ricostruzione fu piuttosto complessa e coinvolse l’intero mondo dell’epoca; a essa contribuirono anche credenti di altre religioni: il viceré d’Egitto Muhammad Alì Pascià donò pregiate colonne di alabastro da utilizzare nella nuova fabbrica.
Gli archeologi hanno ormai potuto appurare che nel rifacimento ottocentesco dell’edificio fu inglobata, specialmente nella zona del transetto, gran parte dei muri perimetrali originari. Sarebbe auspicio della comunità scientifica poter rimettere in luce questi preziosi resti della basilica “dei tre imperatori”, così come completare le indagini della chiesa costantiniana e dello spazio circostante la tomba di Paolo. Nella stessa area archeologica di nuova musealizzazione tutte le murature proseguono oltre il perimetro dell’edificio moderno, configurando un insieme di costruzioni molto più ricco e articolato. La complessa storia di San Paolo ha dunque ancora molto da rivelare.