Il potere necessario: come nacque il potere temporale della Chiesa?, di Andrea Lonardo
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Riprendiamo sul nostro sito il testo di una relazione di Andrea Lonardo tenuta nel Salone di Costantino presso il Museo Storico Vaticano nel Palazzo di San Giovanni in Laterano il 22/6/2013 per presentare il volume Andrea Lonardo, Il potere necessario. I vescovi di Roma e il governo temporale da Sabiniano a Zaccaria (604-752), Antonianum, Roma, nel contesto dell'incontro “Costantino Imperatore e l’Arcibasilica del Laterano. A millesettecento anni dall’Editto di Milano” che ha visto anche le relazioni di mons. Pietro Amato, curator del Museo stesso e di p. Pietro Messa, preside della Scuola Superiore di Studi Medievali e Francescani della Pontificia Università Antonianum. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line.
Il Centro culturale Gli scritti (30/6/2013)
N.B. Una sintesi della relazione stessa è stata pubblicata a p. 4 de L'Osservatore Romano del 28/6/2013: Osservatore Romano con articolo Andrea Lonardo Potere necessario
Se la Donazione di Costantino è un falso, come mai allora il vescovo di Roma venne in possesso del potere temporale? Che tale passaggio sia avvenuto gradatamente è manifesto anzitutto dall'impossibilità di individuare una datazione precisa di tale transizione.
Gli storici, alla ricerca del momento fondativo di tale potere, hanno suggerito che la svolta decisiva sia avvenuta nel 680, oppure nel 726 o nel 732/33, oppure nel 751, o ancora nel 754. Il 680 è l'anno in cui venne stipulata una pace con i longobardi, con un conseguente calo dell’organico militare imperiale presente in Italia e con la concessione al pontefice da parte della res publica del diritto di coniare monete. Nel 726 e nel 732/33 Roma rifiutò l'aumento del censo imperiale e Costantinopoli, come contromossa, distaccò dal pontefice le diocesi del sud della penisola integrandole pienamente nella cultura bizantina). Il 751 è l'anno in cui Ravenna cadde nelle mani dei longobardi e non ci fu, in conseguenza, più un esarca a rappresentare il potere imperiale in Italia. Nel 754 papa Stefano II si recò a piedi a Reims a chiedere l'appoggio della corte franca dopo che il re longobardo si era rifiutato di restituire le terre sottratte all'impero. Ognuna di queste date è importante, nessuna di per sé decisiva.
Come manca un preciso riferimento cronologico così non esiste un nome dell'incipiente potere temporale della Chiesa di Roma. Lidia Capo ha scritto che «un nome ufficiale è semplicemente mancato»: i termini Stato della Chiesa, res publica Sancti Petri, patrimonium Petri sono tutti moderni.
In questo volgere di anni il pontefice continuò ad essere ordinato vescovo di Roma, solo all'arrivo di un documento emanato da Ravenna o Costantinopoli: senza tale iussio non era lecito procedere dopo l'elezione alla consacrazione, poiché Roma era città imperiale e il papa suddito dell'imperatore.
Non solo, ma Roma continuò a celebrare un cerimoniale che manifestava piena dipendenza da Costantinopoli, come appare dall'erezione della Colonna di Foca, l'ultimo monumento imperiale nei Fori romani, o come è evidente nell'accoglienza delle ciocche dei capelli degli imperatori o delle loro immagini nella chiesa di Santa Maria al Palatino, luogo che rappresentava il potere imperiale in Roma.
Costante era l’invocazione di aiuto economico e militare rivolta dall'urbe all'imperatore – si pensi a quando sotto papa Giovanni VI (701-705), nel momento in cui il duca longobardo giunse fino a Sora, il Liber pontificalis afferma che nullus extitisset qui ei potuisset resistere per descrivere la lontananza del potere imperiale.
L'appartenenza di Roma all'impero è attestata soprattutto dal viaggio che l'imperatore Costante II compì per combattere i longobardi, raggiungendo infine Roma nel 663. Nell'urbe dimorò 13 giorni, precisamente nel Palazzo del Palatino, ancora custodito dai suoi ufficiali: fu l'ultima residenza di un imperatore nell'antica capitale prima del “trasferimento” dell'impero in occidente, quando Carlo Magno divenne il nuovo imperator romanorum.
L'imperatore di Costantinopoli si riteneva ancora arbitro supremo non solo delle questioni civili, ma anche di quelle religiose, pretendendo di dettare legge anche al papa di Roma. Alla metà del VII secolo Martino I e Massimo il Confessore pagarono con l'esilio la loro difesa della duplice volontà umana e divina del Cristo, perché l'imperatore era invece monotelita. Martino I venne addirittura preso prigioniero dai soldati imperiali mentre si era fatto distendere su di un lettuccio dinanzi all'altare di San Giovanni in Laterano – poiché era malato – illudendosi che questo lo avrebbe salvato.
Dopo le lotte per i canoni del Sinodo Quinisesto, si giunse alla crisi iconoclasta. Roma si trovò a difendere le immagini contro l'imperatore ed il papa Costantino dovette recarsi, costretto dai soldati bizantini, a Costantinopoli nel 710 mentre gli armati mettevano a morte il consiglio di reggenza della Chiesa di Roma. Alcuni anni più tardi il Liber pontificalis racconta che per ben cinque volte le milizie imperiali cercarono di uccidere papa Gregorio II che difendeva le icone.
Ma questi erano gli ultimi sussulti del moribondo governo imperiale di Roma. Costantinopoli doveva, infatti, fare fronte all'avanzata araba che non concedeva tregua. La città sul Bosforo venne assediata per quattro lunghi anni, dal 674 al 678 e, successivamente, nel 717. Lì si arrestò l’ondata musulmana che era sembrata fino a quel momento invincibile. La conseguenza di quegli eventi fu che le energie dell'impero dovettero essere impiegate su quel fronte, per la sopravvivenza stessa di Costantinopoli.
È ben per questo che, quando i longobardi ripresero a premere per un maggiore dominio sulla penisola, solo il pontefice, con la sua autorità morale e sempre più temporale, si levò contro di essi. Roma era ormai legata a Ravenna solo da una stretta lingua di territorio che era ancora in potere imperiale: è quella che gli storici moderni chiamano “corridoio bizantino”, percorso da un arteria che, tramite Perugia, raggiungeva Ravenna e l'Adriatico. A nord di esso era ormai saldamente insediato il regno longobardo, mentre a sud vi era il ducato di Spoleto. Con azioni successive i longobardi presero - e poi restituirono per intervento dei pontefici - Cuma, Sutri, Narni, Perugia, Sora, Cesena, Ravenna. Era evidente la finalità delle diverse azioni: il re longobardo intendeva divenire il nuovo protettore di Roma, sostituendosi all'imperatore ed unificando la penisola sotto il suo governo.
Roma intrattenne buoni rapporti con il mondo longobardo, al punto che il vescovo di Pavia ottenne il privilegio di dipendere direttamente dal vescovo di Roma e non da quello di Milano. L'influsso romano si fece sentire anche nell'elaborazione del diritto longobardo. Ma Roma rifiutò la prospettiva longobarda, difese la tradizione latino-imperale e volle conservare la memoria di un’unità ideale dell'impero che vantava un'orizzonte universale e non quello più ristretto di un regno come quello longobardo. Nel vuoto di potere creatosi per la debolezza in occidente dell'impero, il pontefice si levò più volte ad ostacolare le mire espansionistiche longobarde.
Nel frattempo, cresceva il suo ruolo amministrativo e politico su Roma ed il Lazio. Il Liber pontificalis ricorda più volte che il pontefice provvedeva certamente al sostegno economico della vita della Chiesa nelle quattro parti rivolte a clero, monasteriis, diaconiae et mansionaribus – Jean Durliat ha mostrato in maniera definitiva come monasteriis e diaconiae siano da intendersi come due dativi, ai monasteri ed alla diaconia, poiché non sono mai esistiti in quel tempo dei monasteria diaconiae.
Ma il vescovo di Roma, come garante e sempre più come effettivo responsabile dell'amministrazione dell'urbe, gestiva ormai anche la vita temporale della città. A lui facevano capo il sistema fiscale e la distribuzione degli stipendi statali (come appare nel caso dell'assedio dei militari bizantini al patriarchio lateranense sotto papa Severino nell'anno 640, posto in atto per avere in maniera irregolare la paga per il servizio svolto alla città), così come la cura dell'intero apparato amministrativo (Paolo Radiciotti ha dimostrato nei suoi studi come si sia passati dalla corsiva nova tardo-imperiale alla curiale romana medioevale in un continuum mai interrotto delle forme di scrittura dell'amministrazione romana), così come la trasformazione degli edifici dell'urbe (si pensi alla trasformazione del Pantheon in chiesa), così come infine per il restauro degli acquedotti che venivano sabotati durante gli assedi e per il consolidamento della cinta muraria dell'urbe e delle altre città del Lazio.
Un grande passo fu compiuto dal pontefice, quando, non essendo più sufficiente opporsi alle reiterate avanzate longobarde, si rivolse infine ai franchi. Sono gli eventi che segnarono la nascita dell'Europa: il viaggio di Stefano II a Reims è un evento decisivo nella storia non solo di Roma, ma dell'Europa intera e del suo sviluppo storico e culturale.
Proprio il Liber pontificalis è la testimonianza emblematica di quell'evoluzione che portò il pontefice ad assumere una responsabilità temporale. Quel libro mai concluso, perché aggiornato “ad ogni morte di papa” - ma anche prima della morte stessa del pontefice poiché Beda il Venerabile utilizzò nel 725 una copia della biografia di Gregorio II cui mancava ancora la conclusione – divenne di biografia in biografia un documento “diplomatico”, nel senso moderno della parola. La curia romana lo aggiornava evidentemente perché fosse inviato nei diversi regni con l'intento di presentare fuori di Roma le vicende dell'urbe – interessantissime in questo senso sono le interpolazioni anti-longobarde nelle vite di Gregorio III e Zaccaria che vennero aggiunte solo durante il pontificato di Stefano II.
Di un potere temporale necessario del vescovo di Roma si tratta dunque, anche se l'aggettivo ha bisogno di precisazioni. La sua necessità non è teologica, non derivando ovviamente in maniera diretta dalla rivelazione. Fu piuttosto un potere necessario storicamente, quando la Chiesa di Roma si trovò a far fronte in un momento difficilissimo all'impossibilità bizantina di provvedere agli avvenimenti che riguardavano il centro Italia. La sede romana accrebbe in maniera graduale la sua responsabilità temporale, attenta – per utilizzare una terminologia moderna - ai “segni dei tempi”. Se fu provvidenziale la fine di quel potere temporale nel 1870, altrettanto si deve probabilmente dire del suo inizio.
La Donatio costantiniana non deve essere vista allora come un documento scritto per accreditare alla sede di Roma un potere che non le competeva – ed, infatti, la Donatio non venne mai utilizzata in questo senso mentre tale potere andava sviluppandosi – bensì piuttosto come un testimone che attesta la consapevolezza che quel potere temporale era ormai un dato di fatto.