Paolo Sorrentino, La grande bellezza. Appunti di Andrea Lonardo
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Il Centro culturale Gli scritti (12/6/2013)
«A 65 anni non posso più perdere tempo a fare cose che non mi va di fare». Così afferma Jep Gambardella/Toni Servillo nell’ultimo film di Paolo Sorrentino, La grande bellezza, dopo aver fatto l'amore con una donna di nessuna importanza che lo vuole tediare mostrandogli le sue foto.
L'opera affronta di petto la questione del senso della vita. Come affermerà al termine Jep, indeciso da anni se scrivere un nuovo romanzo, ormai pronto per una nuova e forse ultima e definitiva opera: «Il romanzo è solo un trucco per nascondere la morte. Ma prima di essa è la vita. Sotto il bla bla bla, c’è il silenzio, il sentimento, l’emozione e la paura. Ci sono sparuti incostanti sprazzi di bellezza, sotto il bla bla bla».
Il film descrive Roma e la sua bellezza che viene resa in struggenti immagini, ma anche la mediocrità che la contraddistingue: «Roma è l’aurea mediocritas. Solo a Roma si è realizzato il collettivismo puro, il marxismo compiuto, perché tutto è uguale a tutto».
Una parola che risuona continuamente nel film è delusione. In uno scambio lancinante di battute si dice: «La gente ti ha deluso?» «No, io sono stato deludente». Dietro l’apparente bellezza, tutto appare frivolo, ultimamente noioso ed inutile.
Ma, ben al di là di Roma, il film pone la questione se il desiderio struggente di nostalgia che abita ogni uomo - non solo chi giunge a Roma o vi vive - sia verità o inganno.
Nelle prime scene del film, mentre un coro esegue una melodia sacra di rara bellezza cantando dal Fontanone, improvvisamente e senza motivo alcuno un turista giapponese muore di infarto mentre sta scattando foto al panorama.
Una nostalgia d’infanzia si leva nel film, che impietosamente e insieme con compassione – è il paradosso de La grande bellezza – si china sull’uomo. Jep ricorda che fin da piccolo alla domanda «Cosa ti piace?», si poteva rispondere con «La fessa», oppure con «L’odore delle case dei vecchi».
Ed, in effetti, il film procede con stanchi rapporti sessuali senza senso, ma anche con flashback che riportano agli anni dei sogni e dei desideri, presentando donne che facilmente si concedono, ma anche donne (in questo caso la Ferilli) che lottano con la malattia fino a morirne – è lei che a Jep che le dice «È stato bello non fare all'amore. Mi ero dimenticato cosa volesse dire volersi bene» risponde «È stato bello volesse bene».
Il film vibra della consapevolezza del tempo che passa, mentre la morte aleggia sempre sui protagonisti. Una scena mostra un giovane artista che, proseguendo quanto il padre aveva iniziato scattandogli una foto al giorno dalla nascita fino ai 14 anni, espone tutti i giorni della sua vita, ognuno rappresentato da un ritratto fotografico giornaliero. È così possibile raccogliere in un solo unico sguardo il crescere, ma anche l’invecchiare di una persona: è la vita che non si arresta, che trapassa e si avvicina al termine, incurante della vanità di chi la vive.
Anche la sequenza finale è un lungo piano-sequenza girato da una barca lungo il Tevere: la camera curiosa qua e là, sui ponti e sugli argini, mentre la vita scorre.
Apparentemente nella Roma che è «la città che ti fa perdere un sacco di tempo», la Roma che distrae infinite volte dalla realtà delle questioni vere, «non abbiamo altro rimedio che farci compagnia». Anche i funerali sono ritratti come momenti mondani per eccellenza, dove ciò che conta è apparire, anche se il pianto si fa poi reale.
Ma proprio lo scorrere del tempo chiede che si trovi un senso, a differenza dei trenini delle feste, che sono «belli perché non vanno da nessuna parte».
Sorrentino ha il coraggio di chiamare in causa anche la fede cristiana. Al cardinale che dice a Jep: «Roma ha bisogno di bravi scrittori!» lo scrittore risponde secco: «Pensavo avesse più bisogno di preti». Jep insiste affermando: «Avrei bisogno di porle alcune domande da un punto di vista spirituale». Ma la chiesa descritta dal film vive la stessa decadenza che il film denuncia per il jet set, per l'intellighenzia di sinistra, per i vitelloni che popolano Roma, per i turisti che la visitano, tutti immersi impietosamente nella stessa melassa. Il cardinale è preso dall'elaborazione di ricette di cucina, mentre altri ecclesiastici si preoccupano di passatempi nel bosco ed un prete – immagine tristissima – si dondola sull'altalena: mentre il mondo affonda, nella chiesa si pensa a giocare.
Lancinante l'ultima domanda che Jep rivolge all'alto prelato, anche questa senza risposta: «Ma è vero che lei è stato un esorcista?», come a dire «Ma è vero che lei conosce il male, lo ha affrontato e lo ha vinto?». Il termine delusione riappare anche nel dialogo con il cardinale: «Sarebbe molto deludente per me scoprire che non ha alcuna risposta».
Nel finale due immagini si affiancano, quasi a gettare uno spiraglio di luce nel non senso che il film presenta con partecipazione.
Una suora, detta “la santa” custodisce nel silenzio il segreto della sua vita, finché la si vede – in una scena surreale – guidare il volo su Roma dei fenicotteri, «di cui conosce tutti i nomi di battesimo».
Sorrentino ironizza sul suo entourage da corte dei miracoli, ma non su di lei. La riprende mentre sale in ginocchio la Scala Santa per raggiungere in cima il suo amore, il Cristo crocifisso. A Jep che le dice «cercavo la bellezza, ma non l'ho trovata» lei risponde, senza spiegare oltre, «perché le radici sono importanti».
E nella memoria di Jep affiora, in parallelo, la nostalgia di un'altra donna, Elisa. Precedentemente il film l'aveva descritta, quando la notizia della sua morte aveva raggiunto Jep, come una donna che l'aveva sempre amato, anche se era andata in sposa ad un uomo che non aveva mai amato con trasporto.
La grande bellezza, con immagini struggenti in flashback, ricorda il nascere dell'amore fra Jep ed Elisa, lei ventenne, lui diciottenne. Elisa lo vede scampare alla morte: mentre un motoscafo sta per ucciderlo in mare, Jep ha la forza di inabissarsi e di riemergere, una volta scampato il pericolo.
Poi la sera la giovane Elisa gli si avvicina per abbracciarlo, ma non è ancora giunto per lei il momento di fare all'amore. Elisa gli dice «Voglio farti vedere una cosa» e gli mostra i suoi seni, in un momento di grande intimità e tenerezza. Dietro di lei, in parallelo alla scala della “santa”, una scalinata all'aperto ascende con i suoi gradini verso un faro: è l'immagine di una promessa di bellezza che non si estingue nel momento presente, ma che attende come qualcosa che è possibile raggiungere.
Due amori, insomma, due scale da salire, due sprazzi della grande bellezza. Ma Jep 65enne, ormai, vi crede solo in parte: vive la nostalgia di ciò che ha intravisto da giovane, ma il chiacchiericcio sovrasta ormai questa memoria.
Non gli resta che scrivere il suo secondo libro, perché - come si è già detto - «il romanzo è solo un trucco per nascondere la morte. Ma prima di essa è la vita. Sotto il bla bla bla, c’è il silenzio, il sentimento, l’emozione e la paura. Ci sono sparuti incostanti sprazzi di bellezza, sotto il bla bla bla».