La terra senza male. Una mostra sulle reducciones, di Andrea Gagliarducci

- Scritto da Redazione de Gliscritti: 09 /06 /2013 - 14:29 pm | Permalink | Homepage
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Riprendiamo sul nostro sito dal sito www.korazym.org un articolo di Andrea Gagliarducci pubblicato il 4 giugno 2013. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line. Per approfondimenti, vedi la sezione Storia e filosofia ed, in particolare:

Il Centro culturale Gli scritti (9/6/2013)

Padre Buenaventura Suarez aveva gli occhi rivolti al cielo, come tutte le persone che hanno un ideale. Per questo, arrivato missionario nelle terre del Guaranì, si procurò legno, ferro, vetro e quant’altro per costruire un osservatorio astronomico. E da lì, con gli occhi rivolti al cielo, fece mappe astrali, disegnò calendari e fece studi che divennero diffusissimi in Europa.

Accadeva anche questo, nelle reducciones dei padri gesuiti in Sudamerica. Vere e proprie comunità, che si sono sviluppate quasi completamente nel territorio che ora corrisponde al Paraguay e parzialmente a Brasile e Argentina. Abbandonate quando poi l’ordine dei gesuiti è stato espulso, sono oggi considerate meraviglie dell’umanità. E vengono ricordate in una mostra presso l’Accademia Reale di Spagna a Roma, tenutasi dal 27 al 31 maggio.

Non erano solo i padri gesuiti ad avere gli occhi rivolti verso il cielo. Anche il popolo guaranì aveva gli occhi rivolti verso il cielo. Nomadi, erano continuamente in cerca della “terra priva di male”, Ywy-mara-ey, una sorta di paradiso terrestre. Ma vivevano praticamente all’età della pietra. Per raggiungere il loro paradiso, sterminavano le tribù con i quali erano in guerra, praticavano il cannibalismo, e vivevano in uno stato di guerra costante e senza progettare il futuro. Non c’erano raccolti, non c’era una semina. C’era il presente, e basta. A loro, i padri gesuiti rivolsero la loro predicazione quando arrivarono in Sudamerica, nel XVII secolo.

Ma la storia delle reducciones non va intesa come una storia di evangelizzazione. Perché i gesuiti, appena arrivati, si guardano bene dal mettere in discussione le tradizioni degli indios. La mostra riproduce documenti che testimoniano l’attenzione dei missionari per il rispetto delle tradizioni della popolazione india.

Anche Propaganda Fide, in una documento del 1659, chiedeva ai padri di guardarsi “da qualsiasi progetto inteso a far abbandonare a quelle popolazioni i loro riti, le loro usanze ed i loro costumi”. Le prime “Riduzioni” erano così molto vaste, costruite in legno e paglia, per lasciare i guaranì il più possibile vicini al loro modo di vivere.

Poi il modello fu modificato, man mano che crebbero le nuove generazioni nate all'interno delle missioni, fino all'adozione della struttura definitiva, che troviamo consolidata a partire dalla fine del XVII secolo. Col tempo cambiò completamente la struttura e la tecnica di costruzione delle chiese, che inizialmente si richiamavano alle abitazioni indigene collettive, e poi furono innovate grazie agli architetti venuti dall’Europa. Questo trasformò completamente l’aspetto delle riduzioni e portò ai risultati che si possono ancora vedere di Trinidad, Sant’Ignazio Minì, Jesus e Sao.

Gradualmente, i padri insegnano un modo diverso di vivere. Per due anni – scrivono – chiudono un occhio “sul sesto e sul nono comandamento”. La poligamia è una pratica diffusa, difficile far comprendere subito il valore della monogamia. E pure l’alcolismo è un’abitudine che è molto difficile far perdere. Così, i padri cominciano semplicemente costruendo le reducciones, villaggi organizzatissimi, che sostituivano la grande capanna comune in cui i guaranì erano soliti dormire e ripararsi. Addirittura, i loro diari raccontano di come fossero preoccupati dall’introdurre la casa singola, che rappresentava poi anche la conquista dell’igiene personale. Pensavano di doverlo fare gradualmente, scrivono. E invece i guaranì guadagnano senza difficoltà le loro abitazioni personali.

E così, i guaranì riescono a trovare quello che cercavano nel cielo. I padri gesuiti predicano la fede in Gesù Cristo, e mettono in piedi un modello di vita che si basa sul Vangelo. In quel Cristo, trovano un po’ il Paradiso in terra. Anche perché il Sudamerica è un posto di avventurieri e approfittatori, che arrivano da ogni parte d’Europa per sfruttarne gli immensi terreni vergini. La schiavitù è quasi un approdo naturale per le popolazioni indigene. Eppure, la Chiesa da almeno un secolo predica i diritti umani e la totale eguaglianza degli abitanti delle “Indie”, bolle ed encicliche papali hanno imposto la liberazione degli schiavi e l’uguaglianza totale di ogni uomo.

Di questo lavoro per lo sviluppo umano integrale, le reducciones sono un esempio. L’alcolismo viene superato con la produzione del mate, la bevanda amarognola che è ancora un simbolo di amicizia e comunità in America Latina (e la giornalista Virginia Bonard non a caso l’ha portata in dono a Papa Francesco al termine della sua prima udienza con i giornalisti).

Pian piano, anche la poligamia viene assorbita, anche grazie a un Papa illuminato, Urbano VII, il quale risponde ai gesuiti che gli chiedono se è lecito permettere agli indigeni di sciogliere il matrimonio e trovarsi una nuova moglie come vorrebbero di assecondare le loro inclinazioni, valutando volta per volta.

L’obiettivo dei gesuiti, più che evangelizzare, era quello di creare una società nuova, senza i vizi della società occidentale. Una utopia costruita con gli occhi rivolti al cielo e con il cuore saldo. Ne viene fuori un modello di società che non è per niente arretrato.

Ogni famiglia dei Guaraní riceveva un appezzamento di terra da coltivare per uso privato denominato nella lingua dei nativi “abani-mbaé” (la terra dell'indio). Due giorni alla settimana erano tuttavia dedicati alla coltivazione del “tuba-mbaé” (la terra di Dio), proprietà comune i cui proventi erano destinati al sostentamento dei poveri e dei malati. I missionari favorirono uno sviluppo progressivo e non traumatico del sistema di vita degli indios che, da cacciatori, divennero agricoltori ed allevatori.

Ma non pochi di loro divennero addirittura esperti artigiani e persino musicisti! Riguardo a questi ultimi, basterà dire che erano in grado di eseguire le più difficili partiture per organo del tempo e che ebbero per maestri figure come Domenico Zipoli (Prato1688 – Córdoba 1726), il celebre compositore toscano fattosi anche lui gesuita e missionario, o padre Antonio Sepp (Caldaro 1655 – San José 1733), il quale arrivò con un carico di strumenti musicali alla reduccion de los Santos Reyes de Yapeyù (che contava 3 mila indios musicisti tra i 30 villaggi che la formavano) e si mise a costruire un organo con pedaliera, per il quale non avendo stagno a sufficienza – utilizzò legno levigato per le canne maggiori.

“Questi indios Paraguaiani – scrive in una lettera riprodotta nella mostra - sono, di natura, come creati per la musica, in modo che apprendono la tecnica di suonare tutti i tipi di strumenti con sorprendente facilità e destrezza e questo in un tempo brevissimo”. E fornisce il nome dei suoi migliori allievi: Ignacio Paica e Gabriel Quirì divennero grandi costruttori ed esecutori di strumenti musicali.

I padri gesuiti furono anche grandi maestri d’artigianato, che veniva portato fuori dalle missioni. Ad esempio, nella chiesa dell’Università Montserrat di Córdoba (la seconda città dell’Argentina), fondata dai Gesuiti nel 1613, si può notare la bellezza delle opere in legno intagliato dagli artigiani indigeni e trasportato per una distanza di 1,600 Km, a dorso di mulo, dalla foresta pluviale fino alla pampa.

Non c’era solo l’Osservatorio astronomico. C’era anche la prima tipografia dell’America Latina, da cui uscirono stampati il martirologio in latino, ma anche opere nella lingua locale. Perché i gesuiti avevano appreso l’idioma locale, impararono a scriverlo traslitterandolo in caratteri latini e insegnarono ai guaranì a scriverlo a loro volta. E questi erano scrittori, stampavano libri. Di tutte le lingue indie, il guaranì è l’unica sopravvissuta: Benedetto XVI l’ha usata nel 2007, salutando un gruppo proveniente dal Paraguay nel messaggio Urbi et Orbi di Natale.

E poi, si sviluppò il commercio e l’agricoltura. Le missioni del Paraguay diventano il complesso agricolo più sviluppato dell’America latina: la raccolta del mais, del grano e del riso vi si alternava anche quattro volte all’anno. Il cotone veniva coltivato in tre varietà e prodotto secondo una media annua di duemila balle di undici chili e mezzo per ogni riduzione. Il vino dei vigneti paraguaiani era esportato a Buenos Aires e in tutta la zona del Plata, e il tabacco locale, oltre a essere anch’esso esportato in quantità, godeva di stima pari a quello dell’Avana.

L’erba mate costituiva la più cospicua fonte di reddito, al punto che un secolo dopo la cacciata dei gesuiti dalle zone che erano state soggette al loro controllo se ne esportavano ancora cinque milioni di chili all’anno. Nel 1695, la sola missione di Santa Rosa produsse 250 quintali di zucchero bianco.

Il sistema di governo era di tipo democratico. La scuola obbligatoria per tutti dai 5 ai 12 anni, mentre in Europa studiare era un lusso. E a chi pensa a un’opera di evangelizzazione coatta, basta far notare che erano solo due i gesuiti presenti in ognuna delle reducciones.

Dopo la cacciata dei Gesuiti, nel 1768, le attività agricole, l'allevamento e l'artigianato furono abbandonate nel giro di una manciata di anni, ed i Guaraní si ridussero ai meno di quarantamila censiti nel 1802. Contrariamente a quel che si crede comunemente, l’indipendenza dei paesi latino-americani non favorì più di tanto la causa delle comunità indigene. Le nuove classi dirigenti erano espressione del ceto medio dei Criollos interessato ad esercitare il commercio e lo sfruttamento delle proprietà senza più obblighi (e vincoli) nei confronti della corona.

Non poche volte si affermarono interessi commerciali stranieri, soprattutto britannici. L’adesione a qualche loggia massonica di importazione, il comando di qualche reparto militare, il nudo possesso dei latifondi si imposero fin da subito come gli unici criteri di selezione delle classi dirigenti delle ex colonie, dando così inizio a quella tormentata vicenda di pronunciamientos militari ecaudillos privi di legittimazione politica e culturale, che ha caratterizzato da sempre la vita politica delle nazioni latino-americane fino alle epoche più recenti. E dire che invece i gesuiti della reducciones si batterono con forza per salvare i guaranì dalla schiavitù.

Tra il 1628 e il 1631 i capi bandeirantes arrivarono a cercare manodopera e fecero diverse incursioni. I gesuiti si attivarono: Antonio Ruiz de Montoya e Francisco Diaz Tano partirono per la Spagna per informare re Filippo IV delle incursioni nelle missioni, e il sovrano permette loro di addestrare i guaranì ad usare armi da fuoco. Dal canto suo, Papa Urbano VII emette una bolla che condanna duramente le bandeiras e il traffico di indigeni.

In Brasile non la presero bene, espulsero i gesuiti dalla nazione e organizzarono altre spedizioni. I missionari crearono un esercito ancora più numeroso, attrezzato ed organizzato. Le forze bandeirantes attaccarono l’11 marzo 1641, nella cosiddetta battaglia di Mbororé, ma si trovarono di fronte un esercito enorme. Si ritirarono definitivamente e la vittoria consolidò le riduzioni gesuite e frenò l’avanzata colonialista portoghese.

Quando nel 1750 il Trattato di Madrid assegnò al Portogallo la gran parte dei territori della República Guaraní, la sopravvivenza stessa delle missioni risultò a rischio come non mai, data la forte influenza sulla politica portoghese esercitata a quel tempo dalla massoneria e da uno dei suoi più significativi esponenti: Sebastião José de Carvalho e Melo, Marchese de Pombal.

Ciò significò l’espulsione della Compagnia di Gesù da tutti i territori di quel vasto impero coloniale che ora comprendeva anche la regione in cui si trovavano le Reducciónes. I cacciatori di schiavi non aspettavano altro: venuta meno, anche formalmente, la protezione del re di Spagna, organizzarono vere e proprie spedizioni militari per cancellare del tutto le missioni e restituire gli indios al loro destino servile.

Alcune spedizioni sarebbero state finanziate da quella “Companhia Geral de Comércio do Grão-Pará e Maranhão” della quale il tanto celebrato filosofo Voltaire fu uno degli azionisti. Il quale si vanterà, nella sua Lettre a Madame la Comtesse de Lutzelbourgdel 12 Aprile 1756, di aver fatto armare lui stesso uno dei quattro vascelli salpati alla volta del Nuovo Mondo per dar man forte nella guerra contro le Reducciónes. Di conseguenza è storicamente corretto affermare che il celebre campione della libertà ricavasse parte della propria ricchezza dallo sfruttamento schiavistico dei Guaraní e che avesse avuto parte attiva nella distruzione delle loro comunità.

C’è tutta questa storia nella mostra organizzata all’Accademia Reale di Spagna. Una mostra nata in occasione del Bicentenario della proclamazione della Repubblica del Paraguay, del 25° anniversario della Canonizzazione di San Roque González de Santa Cruz e il 25° anniversario della visita di Beato Giovanni Paolo II. Una mostra che racconta come un nuovo cristianesimo era nato in Paraguay. E come questo cristianesimo è stato sradicato. Nonostante gli indigeni avessero chiesto - in una commovente lettera al governatore spagnolo riprodotta nel museo – di non essere ceduti ai portoghesi, né agli spagnoli, dei quali non piaceva “il modo di vivere senza solidarietà”. Quella solidarietà che era loro garantita dai padri gesuiti.