I gatti “rotti” e il mal di gola. Vita da papà I e II, di Federico Girelli
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Riprendiamo sul nostro sito due brevi testi scritti da Federico Girelli il 19/4/2013 ed il 30/10/2009 per il sito dell’Associazione persone down disponibile al link http://www.siblings.it/esperienze/Girelli_Gatti%20rotti-BIS.pdf. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line.
Il Centro culturale Gli scritti (26/5/2013)
Vita da papà II, di Federico Girelli (19 aprile 2013)
Questa mattina, mentre tenevo in braccio in terrazzo mia figlia Dora (di due mesi), ho visto passare un gatto nel giardino e mi è venuto in mente un episodio accaduto quando Leonardo, il fratello maggiore di Dora (che oggi ha quattro anni), avrà avuto più o meno due anni e mezzo.
Leonardo, mia moglie Benedetta ed io eravamo andati a casa di mia sorella Raffaella per salutare i cuginetti di Leonardo Federico e Chiara, figli appunto di Raffaella.
In giardino accovacciati sopra un automobile vediamo due gatti; Leonardo li osserva e poi dice: «Ciao gatto!».
Non avendo ovviamente ricevuto alcuna risposta, mi chiede: «Non parla il gatto?».
Ed io: «No, i gatti non parlano…».
Leonardo: «Sono rotti i gatti?».
Io: «No, non sono rotti; sono diversi, comunicano magari in modo diverso anche se non parlano.
Anche gli altri animali non parlano: la mucca, le galline, il cavallo, l’asinello non parlano, ma non sono rotti; sono semplicemente diversi dalle persone e comunicano a modo loro».
Leonardo prende atto di quanto detto dal papà e poi conclude il pomeriggio giocando serenamente con i cuginetti.
Il giorno dopo, come spesso capita, andiamo a trovare l’altra mia sorella, Maria Claudia di trentaquattro anni (oggi trentacinque) con la sindrome di Down, e dopo i primi saluti e i soliti convenevoli Leonardo mi chiede: «Non parla la zia Claudia?».
Ed io, un po’ preso alla sprovvista: «No, Claudia non parla…».
Leonardo: «Sta male la zia Claudia?».
Io: «Ecco, non direi proprio che sta benissimo, però no, non sta male…».
Leonardo (indicando la sua gola): «Ha il mal di gola la zia Claudia? Ha male qui?».
Io: «No, non ha il mal di gola; Claudia non parla, è fatta così. Quando era piccola diceva qualche parola, poi ha smesso di dire anche quelle. Questo non vuol dire che tu non ci possa parlare: Maria Claudia ti ascolta e capisce quello che le dici. Se qualcuno non parla o non risponde non vuol dire necessariamente che non capisce i discorsi degli altri. Anche Claudia in qualche modo comunica, ma senza parlare».
Anche questa volta Leonardo prende atto della risposta paterna.
È stata la prima volta in cui Leonardo, come dire, ha verbalizzato la disabilità di Maria Claudia; osservandolo credo che una qualche consapevolezza della specialità della zia l’avesse maturata già da qualche tempo, ma quella è stata la prima volta in cui mi ha rivolto direttamente una domanda sul punto.
Da questi suoi primi interrogativi sulla capacità di esprimersi a parole mi pare di notare, in ogni modo, una sua chiara distinzione fra il regno animale e quello umano.
I gatti che non parlano «sono rotti», non funzionano, sono percepiti come automi, sono cioè assimilabili a dei pupazzi, a dei giocattoli. Ben diverso, a fronte del medesimo “malfunzionamento”, è l’approccio nei confronti della zia: se non parla è perché «sta male».
Francamente mi ha colpito (sarà forse perché sono il papà) la scelta (e la capacità) di Leonardo di predicare differentemente l’afasia dei gatti e della zia.
Chissà ancor’oggi che cosa pensa nella sua testolina e chissà come lo spiegherebbe alla sua sorellina Dora, che inizia adesso a guardare il mondo con i suoi occhioni azzurri, che prima o poi le disveleranno una zia, che non parla, ancorché non abbia «il mal di gola»…
Vita da papà I, di Federico Girelli (30 ottobre 2009)
L’8 marzo 2009 è nato Leonardo: sono diventato papà. Incredibile. Quelle responsabilità, che durante la gravidanza si profilavano vaghe all’orizzonte, quella notte, gravi, dense, si sono materializzate. Rammento l’emozione indescrivibile al momento della nascita di mio figlio, cui è seguita una sensazione di sostanziale inadeguatezza di fronte ad un evento, una persona, che avrebbe da subito e per sempre cambiato la mia (la nostra) vita.
Ricordo l’esperta naturalezza dell’ostetrica che lavava (e poi vestiva) Leonardo appena nato: io la osservavo e guardavo Leonardo, intuendo, ma senza ancora comprendere appieno, che sul pianeta c’era un essere umano in più e che questo fatto miracoloso in primis riguardava me.
Poi l’ostetrica mi ha dato Leonardo in braccio: l’idea di “aver fatto il passo più lungo della gamba” è divenuta nitida nella mia mente. Nondimeno, mentre cantavo per tranquillizzarlo (il ragazzo, anche se era appena arrivato, si faceva sentire eccome) e, incerto, timoroso di fargli male, lo cullavo, mi accorgevo che un qualche misterioso meccanismo si era attivato; al di là di tutte le mie sensazioni, idee, stati d’animo, di fatto, nella concretezza di quei primi incredibili momenti, questa cosa del papà stava piano piano funzionando; insomma, davvero stavo cullando il mio (il nostro) bambino, lo facevo con gusto e non mi sembrava (nonostante gli strilli) di andare particolarmente male.
Circa mia moglie, posso dire solo questo: dopo essere stato al suo fianco durante il travaglio ed il parto ed aver visto “in azione” lei ed il personale sanitario (tutto al femminile), che l’assisteva, mi sono convinto della netta superiorità della donna sull’uomo.
Leonardo dalla parte del papà ha tre zii : Giovanni (quarantuno anni, da anni vive per conto suo); Raffaella (trentanove anni, sposata con Francesco: hanno due figli, Federico e Chiara); Maria Claudia (trentadue anni con Sindrome di Down, vive con i nostri genitori).
Maria Claudia non parla, non legge, non fa tante cose ed invero nemmeno è una persona lamentosa. Se si lamenta vuol dire che sta davvero male.
Un giorno, quando Leonardo aveva un mese e mezzo circa, Maria Claudia si sente male di stomaco al centro della ASL che frequenta la mattina: avvisano i miei genitori, che, però, non si trovavano a Roma. Mi telefona mio padre per dirmi se fossi vicino casa, ma io ero all'università e non potevo liberarmi. In ogni modo di Claudia (che nel frattempo era stata riaccompagnata a casa) si prende cura la persona che vive lì a casa sua e dei miei genitori sotto la supervisione di mia zia, che è medico. Nulla di grave; si tratta di una forma virale che colpisce lo stomaco: comporta vomito, dolori, etc. e soprattutto è piuttosto contagiosa (probabilmente Claudia l'ha presa da papà che l'ha presa dalla nipotina Chiara).
In serata, tornando a casa, passo da Maria Claudia (abitiamo vicini): Claudia piangeva, si lamentava. Sono rimasto un po' con lei........ la malattia, però, è molto contagiosa. Se me la prendo io, poco male; se però la trasmettessi a Leonardo, che ha appena un mese e mezzo, per lui sarebbe un problema piuttosto serio.
Vado a casa mia, convinto di dover tutelare la salute di mio figlio, ma con un gran senso di colpa per non essere rimasto più a lungo vicino a mia sorella (disabile), proprio quando stava male. L'indomani alla fine della giornata ripasso dai miei per sapere di Claudia: mi dicono che va meglio, ma di non andare da lei perché non debbo espormi al possibile contagio. Anche dopo qualche giorno sono tornato da Claudia, ormai quasi rimessa.
Che dire? Leonardo o Claudia? Claudia o Leonardo? Sembrerà l'uovo di Colombo: Leonardo e Claudia. Certo, nei limiti del possibile e del ragionevole.
Leonardo, che ora ha quasi otto mesi, guarda sempre la zia con simpatia e curiosità: speriamo che continui così.