1/ I luoghi di Tommaso Moro (Thomas More) a Londra, di Andrea Lonardo 2/ «Non vi fu mai eretico che disse solo menzogne»: Tommaso Moro nella riflessione di G.K. Chesterton, di Andrea Lonardo 3/ I primi anni della riforma anglicana ed i cattolici inglesi da Enrico VIII ad Elisabetta I, di Andrea Lonardo 4/ I martiri cattolici della riforma anglicana sotto Enrico VIII ed Elisabetta I 5/ Le ultime parole di San John Plessington furono: «Dio benedica il Re e la sua famiglia e voglia concedere a Sua Maestà un prospero regno in questa vita e una corona di gloria nell’altra. Dio conceda pace ai suoi sudditi consentendo loro di vivere e di morire nella vera fede, nella speranza e nella carità». L’omelia di Paolo VI

- Scritto da Redazione de Gliscritti: 19 /05 /2013 - 12:18 pm | Permalink | Homepage
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Riprendiamo sul nostro sito alcuni appunti di Andrea Lonardo, unitamente ad altri testi che aiutano ad illuminare il contesto del martirio di Tommaso Moro e di coloro che lo seguiranno. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la loro presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line. Per approfondimenti, vedi la sezione Storia e filosofia e Cristianesimo, ecumenismo e religioni.

Il Centro culturale Gli scritti (19/5/2013)

Indice

1/ I luoghi di Tommaso Moro (Thomas More) a Londra. Breve nota di Andrea Lonardo

1.1/ Nascita e giovinezza

Si ritiene abitualmente – ma non v’è certezza di questo – che Tommaso Moro sia nato nella casa paterna in Milk Street, vicino St. Paul’s Cathedral. Qui Sir John More, suo padre, visse la maggior parte della sua vita. Tommaso era il secondo dei sette figli di John ed Agnes e nacque il 7/2/1477.

La parrocchia della famiglia, dove egli si recava in da bambino è vicina all’abitazione: è la chiesa di St. Lawrence Jewry – il secondo nome le deriva dall’essere vicina alla Jewry, cioè al quartiere abitato a quel tempo dagli ebrei. John, padre di Thomas More, è sepolto in questa chiesa, nella Lady Chapel.

Non lontano è la Guildhall dove Tommaso Moro lavorò come undersheriff (vice-sceriffo). Apparteneva anche alla Gilda che si incontrava regolarmente nell’edificio, la Mercer’s Guild.

È noto che frequentò la Certosa – Charterhouse – negli anni fra il 1499 ed il 1503, durante gli studi e forse vi abitò. Studiò presso Lincoln’s Inn, una delle migliori e più antiche scuole di giurisprudenza londinesi.

1.2/ La maturità

Tommaso Moro esercitò il suo ministero di Lord Cancelliere in Westminster. Nella Houses of Parliament – che fu il Palazzo Reale fino ai tempi di Enrico VIII, mentre Edoardo VI dispose che fosse invece utilizzata per le sedute del Parlamento a partire dal 1547 - Moro è raffigurato come Speaker of the House, mentre difende la libertà della House of Commons. Nella Central Lobby è raffigurato insieme a Erasmo da Rotterdam mentre visita il principe Enrico.

In quei tempi il Parlamento si riuniva nella Chapter House di Westminster Abbey e lì, a partire dal 1504, Moro svolse il suo servizio. L’Abbazia fu soppressa da Enrico VIII nel 1540, quando incamerò nei beni dello Stato tutti i monasteri del regno, espellendone i monaci. Westminster Abbey è dedicata a San Pietro, mentre Eastminster è dedicata a San Paolo.

Precedentemente Moro aveva esercitato, mentre progrediva nella sua carriera, il ruolo di paggio dell’arcivescovo e Lord Cancelliere Morton presso Lambeth Palace.

In Lambeth Palace venne prima interrogato, dopo essere stato pubblicamente posto sotto accusa da Enrico VIII, dall’arcivescovo Thomas Cranmer, da Thomas Cromwell, da Sir Thomas Audely e dall’abate William Benson. Si ritiene ciò sia avvenuto in quella che oggi è chiamata la Guard Room.

Il processo vero e proprio si svolse invece nella Westminster Hall il 1° luglio 1535.

Chlesea Old Church

Negli anni del suo servizio da Cancelliere Moro visse con la sua famiglia nel quartiere di Chelsea. Frequentava Chelsea Old Church, nella quale, sebbene rovinata dai bombardamenti, si è conservata proprio la cappella laterale che egli fece erigere nel 1528. Qui è sepolta la prima moglie di Moro, Jane, insieme alla figlia Margaret. La chiesa si trova in fondo ad Old Church Street, vicino al fiume tra i ponti Battersea Bridge e Albert Bridge. L’indirizzo dell’Ufficio parrocchiale è 64 Cheyne Walk, SW3 5LT – per approfondimenti, cfr. il sito www.chelseaoldchurch.org.uk.

Chelsea Old Church

Nonostante fosse la seconda autorità dello Stato dopo il re, Moro amava cantare nel coro parrocchiale e passare per i banchi per raccogliere in semplicità le offerte dei fedeli.

Dove sorge ora la Crosby Hall sorgeva un tempo la casa dove i More vivevano. Presso la Chelsea Old Library è esposta una copia eseguita nel 1593 da Rowland Lockey del distrutto quadro di famiglia dei Moro dipinto da Hans Holbein il giovane.

Moro serviva il re presso il castello di Windsor, il luogo che Enrico VIII aveva terminato di erigere e nel quale venne anche sepolto. Il quadro di Holbein che ritraeva Moro e la sua famiglia era un tempo esposto a Windsor. Si ritiene che Windsor sia il luogo dove sia nata la democrazia inglese, cioè il luogo dove re Giovanni firmò la Magna Carta (Magna Charta Libertatum) nel 1215, quel documento che difendeva anche la libertà della Chiesa e che Moro ricordò al re in occasione del suo processo.

Moro doveva spesso recarsi anche presso Hampton Court per incontrare il re Enrco VIII e l’arcivescovo di York Wolsey che vi risiedeva dal 1514. Erasmo da Rotterdam regalò a Moro un suo ritratto in segno di amicizia, ritratto che è conservato oggi in Hampton Court.

Moro amava recarsi in pellegrinaggio in luoghi mariani, come presso Our Lady of Willesden dove fece l’ultimo pellegrinaggio prima del martirio e dal quale scrisse domenica 5 aprile le ultime lettere prima di essere portato prigioniero alla Tower of London. Venerava anche l’immagine un tempo detta di Our lady of Pew che si trovava allora in Westminster Abbey è che è ora presso Westminster cathedral nella cappella che ricorda il martirio di Moro – la statua è nota ora come Our Lady of Westminster.

Moro si recò spesso in pellegrinaggio anche a Canterbury, per venerare il santo di cui portava il nome, Thomas Becket. Tre anni dopo la morte di Moro il re Enrico VIII fece distruggere la tomba di Becket a Canterbury. Oggi un cero brilla perpetuamente nel luogo dove si ritiene che sorgesse il sepolcro di San Tommaso Becket.

1.3/ I luoghi del martirio

La torre di Londra dove Moro fu imprigionato

Una volta che Tommaso Moro venne arrestato, fu incarcerato nella Torre di Londra (Tower of London). Si ritiene abitualmente che la cella di Moro fosse al piano terra della Bell tower, dove fu recluso dal 17/4/1534 al 6/7/1535. Una tradizione più antica pone invece la cella di Moro nella Beauchamp tower.

Abitualmente i condannati a morte venivano impiccati al Tyburn che sorgeva dove oggi è Marble Arch – lo ricorda una lapide. I condannati – molti cattolici subirono questa pena – venivano appesi alla corda e quando stavano per morire squartati pubblicamente.

Tower Hill, il sito delle decapitazioni

I nobili, però, venivano decapitati presso la Torre di Londra. Questa fu la sorte di Tommaso Moro. Gli venne tagliata la testa presso Tower Hill, appena fuori la Torre di Londra. Una lapide ricorda il luogo dove il boia eseguiva la sentenza. Nello stesso luogo venne decapitato l’arcivescovo John Fischer, colpevole di non avere assentito, come Moro, alle decisioni del re Enrico VIII.

Tower Hill, la lapide che ricorda i martiri

L’arcivescovo Fisher venne sepolto nella chiesa di All Hallows che è nei pressi della Torre di Londra. Si ritiene che Margaret Roper (la figlia che Moro chiamava Meg e che aveva sposato William Roper) si trovasse in questa chiesa a pregare in attesa dell’esecuzione capitale di Tommaso Moro.

All Hallows by the Tower

Moro venne sepolto presso la chiesa di St. Peter ad vincula, all’interno della Torre di Londra, in una fossa comune. Nella cripta di St. Peter lo ricorda un busto ed un’iscrizione.

St. Dustan a Canterbury, Cappella Roper 
che conserva la reliquia del capo di Tommaso Moro

La reliquia del suo capo è custodita, invece, nella chiesa di St. Dustan’s a Canterbury, nella cripta della famiglia Roper. Lo ricorda un’iscrizione che è nella chiesa stessa, sopra la cripta sepolcrale stessa che non è visitabile.

St. Dustan a Canterbury, Cappella Roper 
che conserva la reliquia del capo di Tommaso Moro

2/ «Non vi fu mai eretico che disse solo menzogne»: Tommaso Moro nella riflessione di G.K. Chesterton. Breve nota di Andrea Lonardo

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«La maggior parte [dei martiri dei primi secoli] non morì tanto per non aver venerato Mercurio, Venere, o qualche altro personaggio leggendario che probabilmente non è mai esistito, oppure Moloc o Priapo che vogliamo sperare non siano mai esistiti. La maggior parte di loro morì per aver rifiutato di venerare una persona realmente esistente; persona che loro erano sì disposti ad obbedire, ma non a venerare. Il martirio più comune si riferisce alla questione dell’incenso offerto al cospetto della statua del divino Augusto, l’immagine sacra dell’imperatore. Non che fosse un demonio da distruggere: era semplicemente un despota che non poteva essere considerato una divinità. Ecco il caso che si avvicina così tanto al problema concreto di Tommaso Moro, e che si avvicina ancor di più alla venerazione che oggi viene data allo Stato»[1].

G.K. Chesterton riflette così sul motivo reale che portò Tommaso Moro al martirio. Il Cancelliere del regno inglese non si oppose nemmeno apertamente al re Enrico VIII, ma quest’ultimo non tollerò nemmeno il suo silenzio, poiché pretendeva un ossequio esplicito.

Chesterton presenta la fede di Moro nel suo equilibrio e denuncia come “settoriale” la fede di chi lo condusse a morte e spiega:

«L’intelligenza di Moro era un diamante che poteva tagliare il vetro, e tagliando cose che sembravano tutte egualmente trasparenti, scopriva esservi alcune meno solide e meno poliedriche. In quanto le eresie di un certo rilievo sembrano veramente molto chiare: come il calvinismo allora e il comunismo oggi. Sembrano persino, a volte, corrispondere a verità, e, talvolta, sono vere, nel senso limitato in cui una verità non è la Verità. Sono, allo stesso tempo, più sottili e più fragili del diamante. In quanto l’eresia non è semplicemente una menzogna, come ricordava lo stesso Tommaso Moro: «Non vi fu mai eretico che disse solo menzogne». L’eresia è quella verità che trascura tutte le altre verità. Un’intelligenza come quella di Moro era piena di luce come una casa fatta di vetrate, ma con vetrate che guardano in tutte le direzioni e da tutti i lati. Possiamo dire che come il gioiello ha molti lati, così quell’uomo aveva molti aspetti, nessuno dei quali era una maschera»[2].

La monarchia medioevale, tanto disprezzata perché faceva riferimento alla Legge divina, in realtà non avrebbe mai preteso un ossequio assoluto, proprio perché si riteneva legata ad una legge che la superava. È, invece, a partire dall’età moderna che il potere richiede un ossequio assoluto:

«Tommaso Moro è morto come un traditore per aver sfidato la monarchia assolutistica, cioè quella monarchia che si considera l’assoluto. Era disposto, e anche convinto, a rispettarla come una realtà relativa, non assoluta. L’eresia che colpiva i suoi tempi si chiamava monarchia per diritto divino. In quella forma è oggi considerata come una superstizione superata, ma sta riapparendo come una nuova forma di superstizione: la dittatura per diritto divino. Ma la maggior parte della gente la considera ancora come una cosa vecchia, e quasi tutti la ritengono molto più antica di quanto in realtà sia. Una delle difficoltà maggiori, oggigiorno, è spiegare alle persone che questa idea non è nata nel medioevo o nell’antichità. La gente sa che i controlli costituzionali nei confronti dei re sono stati incrementati da due secoli, circa, a questa parte; non si rende conto che potevano sussistere anche altri tipi di controlli; e, con il cambiamento di scenario, quei controlli non sono facilmente descrivibili o immaginabili. Ma è certo che per la maggior parte degli uomini medioevali il re governava sub deo et lege; cioè «soggetto a Dio e alla legge», e inoltre inserito in un ambiente che gli imponeva di regnare «soggetto a quelle regole morali proprie di tutte le istituzioni». I re venivano scomunicati, deposti, assassinati, trattati in tutte le maniere concepibili e inconcepibili; ma nessuno riteneva che tutto lo Stato dovesse soccombere con il re, oppure che solo il re avesse l’autorità massima. Lo Stato non aveva un potere così assoluto sugli individui, anche se poteva mandarli al rogo, così come oggi li può mandare talvolta alla scuola elementare. C’era un luogo in cui ci si poteva rifugiare, il quale veniva comunemente considerato sacro. In poche parole, pur con delle modalità che potrebbero apparirci stravaganti e oscure, vi era una possibilità di evasione verso l’alto. C’erano limiti per Cesare, e c’era la libertà con Dio»[3].

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3/ I primi anni della riforma anglicana ed i cattolici inglesi da Enrico VIII d Elisabetta I. Breve nota di Andrea Lonardo[4]

I/ Enrico VIII e la Chiesa

Solo a mo’ di schizzo si può dire che lo scisma anglicano nacque, ma non si consumò ancora totalmente, sotto Enrico VIII. Il re aveva una preparazione teologica. Si era schierato contro Lutero, scrivendo l’Assertio septem sacramentorum a confutazione della Cattività babilonese luterana, cosa che aveva meritato al re il titolo di defensor fidei da parte di Papa Leone X.

Determinante nella rottura con Roma fu la sua pretesa di dichiarare nullo il matrimonio con Caterina d’Aragona che non gli dava figli maschi. Enrico VIII aveva ottenuto una precedente dispensa per sposarla, poiché essa era già stata data in moglie a suo fratello Arturo, morto all’età di 14 anni. Caterina aveva dato al re 5 figli, ma di essi era sopravvissuta solo Maria, la futura regina.

Enrico VIII fu tradito dalla sua sensualità, oltre che dal desiderio di avere un erede maschio. Quando Anne Boleyn, Anna Bolena, dama di corte, gli rivelò che gli si sarebbe concessa solo se egli l’avesse sposata, Enrico VIII chiese la nullità del matrimonio con Caterina e, per ottenerla, si rivolse, offrendo denaro, a diverse università chiedendo che dichiarassero la nullità del suo matrimonio (fu consultato anche Lutero che si pronunciò per la validità del matrimonio).

Mentre il papa Clemente VII tentennava, Enrico VIII si fece dichiarare protettore e capo supremo della Chiesa inglese e del suo clero, anche se solo in quantum per Christi legem licet, ed il parlamento vietò qualsiasi appello a Roma.

Il 23 maggio 1531 il compiacente arcivescovo di Canterbury Cranmer dichiarò invalido il matrimonio. Il papa intervenne nel 1533 esigendo che Enrico VIII lasciasse Anna Bolena che il re aveva già segretamente sposato nel gennaio del 1531.

Alla questione matrimoniale Enrico VIII fece seguire altri atti di rottura. Innanzitutto nel 1534 fece promulgare al Parlamento il Succession Act che obbligava al riconoscimento dei figli nati dal matrimonio con Anna Bolena ed, inoltre, un atto che dichiarava che il termine di eretico non poteva essere attribuito a chi negava i diritti primaziali del vescovo di Roma.

Con il successivo Atto di supremazia ( 3 novembre 1534) si giunse a dichiarare che il re era il “solo capo supremo sulla terra della chiesa d’Inghilterra”, obbligando tutto il clero ad un giuramento in merito.

Prime vittime dell’Atto di supremazia furono tre sacerdoti certosini, Giovanni Houghton, Agostino Webster e Roberto Lawrence, che furono impiccati al Tyburn insieme all’erudito Riccardo Reynolds (4 maggio 1535) per essersi rifiutati di sottoscriverlo.

Il 22 giugno fu decapitato il vescovo di Rochester Giovanni Fischer ed il 6 luglio Tommaso Moro, anch’essi per essersi rifiutati di prestare il giuramento.

A Roma il cardinale Reginald Pole scrisse nel 1538 il trattato Difesa dell’unità della Chiesa, contro l’Atto di supremazia ed anche questa volta Enrico VIII reagì facendo giustiziare la madre del Pole, Margherita.

La reazione popolare si scatenò, però, solo quando il re, negli anni 1535/36, su suggerimento del lord cancelliere Cromwell, decise di ordinare una visita rivolta a tutti monasteri ed i conventi del regno, per espropriare i loro beni e giungere in breve alla loro soppressione – la visita è nota come Valor ecclesiasticus. Per primi furono soppressi 291 piccoli conventi, ma contro questi soprusi si levò un movimento popolare che vi si oppose, sia perché il sentire del popolo inglese era profondamente cattolico, sia perché la soppressione di tali monasteri indeboliva anche economicamente gli abitati vicini ai conventi stessi.

Questo movimento si concretizzò nel cosiddetto Pellegrinaggio di grazia guidato da Roberto Aske: gli aderenti a questa contestazione dichiararono che l’abolizione dei monasteri si sarebbe risolta nella rovina della religione in Inghilterra. Il Pellegrinaggio di grazia marciò con 9000 uomini alla volta di York e fece rientrare monaci e suore nei conventi dai quali erano stati espulsi.

Il re finse di trattare con gli aderenti al Pellegrinaggio, ma poi lo represse sanguinosamente, facendo giustiziare, insieme ai capi della ribellione, Robert Aske.

Tra il 1537 ed il 1540 fu la volta della soppressione dei conventi maggiori, fra i quali quelli degli ordini mendicanti (ad esempio, i francescani): i beni vennero “spontaneamente” trasferiti al re.

Il clima che venne a crearsi è ben visibile dai resti delle abbazie che Enrico VIII fece distruggere per asportarne i materiali di costruzione, una volta che ne ebbe cacciato i monaci.

Ad esempio, a Canterbury, la grande abbazia costruita dai primi monaci giunti in Inghilterra inviati da San Gregorio Magno, St. Augustine’s Abbey, venne smantellata nel 1541, demolendone il tetto e le mura per ricavarne materiale da costruzione, così come avvenne per tutte le abbazie del regno.

I resti di St. Augustine Abbey dopo la distruzione di Enrico VIII

Un museo presso St. Augustine’s Abbey presenta ancora oggi come l’antichissimo edificio venne distrutto – ne restano oggi solo le fondazioni ed in alzato uno dei muraglioni laterali. Anche la sepoltura di Thomas Becket, che si trovava invece all’interno della cattedrale di Canterbury, venne distrutta contestualmente alla demolizione dell’abbazia – nel 1538, esattamente tre anni dopo l’uccisione di Tommaso Moro, mentre le sue ossa furono disperse sempre per volontà del re. Il luogo dove si presume che Becket fosse sepolto è ora indicato da un lume che arde perennemente nella cattedrale di Canterbury.

Nel Museo di St. Augustine Abbey

Fra le poche abbazie che si salvarono l’esempio più importante è Westminster Abbey a Londra. Enrico VIII non la depredò, ma, una volta cacciati via i monaci, la trasformò in cattedrale con un vescovo ed un decano. I monaci tornarono durante il breve regno di Maria la cattolica per esserne definitivamente allontanati da Elisabetta I che la trasformò in Chiesa collegiata di San Pietro.

Nel Museo di St. Augustine Abbey

Per quel che riguarda la dottrina, ad eccezione della questione del primato papale, Enrico VIII si mantenne sostanzialmente ancora nel solco della tradizione cattolica. Solo in un primo momento il re si avvicinò alle tesi protestanti, probabilmente perché sperava un aiuto da parte dei principi tedeschi perché fosse scongiurata la convocazione di un Concilio da parte del Papa che lo avrebbe potuto contrastare.

Nei Dieci articoli di fede che egli fece redigere nel 1536, ad esempio, si parlava solo di tre sacramenti (Battesimo, Eucarestia e Penitenza), si ammetteva il culto dei santi e la venerazione delle immagini, ma sottolineandone i pericoli, si accettava la preghiera per i defunti ma si negava il Purgatorio.

Una volta, però, che il pericolo di un Concilio si allontanò, Enrico VIII emise documenti che obbligavano l’intero regno a mantenersi lontano dalle posizioni protestanti. L’Institution of a Christian man (noto anche come Bishop’s Book), come un grande catechismo svolgeva le parti consuete della fede cristiana (Credo, Sacramenti, Comandamenti, Padre nostro), aggiungendo i quattro sacramenti di cui non si parlava dei Dieci articoli, e trattava anche dell’Ave Maria.

Ma è soprattutto con i Sei articoli del 1539 che il re condannò tutti coloro che negavano la transustanziazione o si opponevano alla validità del celibato ecclesiastico, dei voti monastici e della confessione sacramentale. Anche il rifiuto della Messa privata fu interdetto.

La persecuzione religiosa che si era abbattuta sui cattolici fedeli al papa si abbatté ora sui protestanti: il lord cancelliere Cromwell venne decapitato, Roberto Barnes che era discepolo della dottrina luterana della giustificazione ed era stato richiamato da Cromwell, venne bruciato come eretico nel 1540 e Frith, il capo del disciolto gruppo teologico favorevole alle innovazioni che si era creato al Cardinal’s College di Oxford, venne giustiziato per le sue dottrine sul Purgatorio e l’Eucarestia. Alcuni vescovi di tendenze protestanti furono obbligati dal re a rassegnare le dimissioni.

Insomma, in apparenza tutto restò cattolico, ad eccezione dell’obbedienza al Papa, ma una trasformazione della fede era già stato introdotta dal re più in profondità. Mentre la legge reale provvedeva ancora a suppliziare insieme ai cattolici anche gli eretici protestanti, furono Latimer, Fox, Tyndale a portare avanti le idee del protestantesimo che ebbero così una prima diffusione.

Dinanzi a questi eventi, la maggior parte dei fedeli che avevano ancora un animo cattolico si mantennero, nel complesso, prudenti, nella speranza che, alla morte del re, tutto sarebbe tornato alla normalità.

II/ Edoardo VI, Maria la Cattolica e la Chiesa

Alla morte di Enrico VIII – avvenuta nel 1547 – erede al trono era Edoardo VI che aveva 9 anni. Di fatto governò in sua vece il duca di Sommerset, zio del sovrano, che era di idee marcatamente protestanti.

Il duca favorì un ampio ingresso delle idee protestanti nella Chiesa inglese. Per questo ingresso massiccio scelse non tanto la via non delle grandi affermazioni dogmatiche, quanto piuttosto quella della prassi liturgica. Dopo l’introduzione della comunione sotto le due specie, passò a combattere la dottrina cattolica dell’Eucarestia e la prospettiva sacrificale della Messa.

Nel 1548 venne prescritto un nuovo specifico rito per la comunione. Nel 1549 venne imposto il Common Prayer Book, noto anche come The Book of Common Prayer, che modificava l’intero sistema liturgico. Erano previsti in esso solo due sacramenti, il battesimo e la Cena - così era chiamata l’Eucarestia. Nel rito dell’eucarestia scompariva ogni riferimento al sacrifico eucaristico e ogni accenno alla presenza reale di Cristo. La messa quotidiana venne sostituita da una Lettura feriale della Parola.

Quando nel 1550 venne introdotto il nuovo Rito di ordinazione esso, a differenza dei rituali protestanti, conteneva sì il triplice grado dei vescovi, dei presbiteri e dei diaconi, ma le preghiere di consacrazione erano state totalmente modificate rispetto a quelle originarie cattoliche. Scomparvero anche l’unzione degli infermi e l’unzione battesimale.

La partecipazione alla liturgia celebrata con il nuovo rito divenne obbligatoria. Non ci furono esecuzioni capitali, ma essere sorpresi a celebrare con il rito cattolico era punito la prima volta con sei mesi di carcere, la seconda con un anno e la terza con l’ergastolo.

Alla fine del regno di Edoardo VI furono anche introdotti i cambiamenti esplicitamente dogmatici attraverso i 42 articoli redatti da Cranmer, ma fu la liturgia a veicolare il cambiamento.

Senza una liturgia chiaramente cattolica, non fu più possibile conservare la fede cattolica del popolo. La perdita fu così grave che gli anni di regno di Maria la Cattolica – con gli interventi del cardinale Pole, che fu l’ultimo arcivescovo cattolico di Canterbury proprio durante il suo regno - non riuscirono a neutralizzarla.

Maria la Cattolica, figlia di Enrico VIII e Caterina d’Aragona, regnò solo per un quinquennio (1553-1558) e lottò per riportare alla fede cattolica il regno. Fece giustiziare Cranmer (1556) e molti oppositori della restaurazione cattolica – per la precisione quasi 280 persone vennero condannate a morte. Ma tutto fu inutile.

III/ Elisabetta I e la Chiesa

Elisabetta I (1558-1603) aprì la strada alla definitiva affermazione della teologia calvinista all’interno dell’anglicanesimo ed ancor più dette stabilità all’intera Chiesa anglicana che da quel momento non fu più in discussione in Inghilterra rispetto alla Chiesa cattolica.

Elisabetta era figlia di Anna Bolena e, anche se governò in una prima parte del suo lungo regno con prudenza, impose immediatamente la sua linea religiosa con l’Atto di supremazia e con l’Atto di uniformità (1559) che rimisero in vigore le leggi ecclesiastiche di Enrico VIII e di Edoardo VI, così come ripresentò il Prayer Book nella sua seconda edizione.

Per quel che riguarda l’Atto di supremazia la regina attenuò lievemente l’espressione attribuita al regnante che da “capo supremo” divenne “reggitore supremo” della Chiesa inglese, ma il giuramento di obbedienza all’Atto – il regnante doveva essere riconosciuto autorità suprema della Chiesa inglese e non il pontefice – divenne obbligatorio senza eccezioni. Alcune pene vennero ridotte – ad esempio la pena di morte per la fedeltà al papa comminata solo alla seconda volta del delitto.

Per quel che riguarda l’Atto di uniformità, tutti furono da quel momento obbligati alle forme liturgiche ed alla struttura della Chiesa anglicana di cui la regina era reggitrice. La grande confusione che si era creata sorto Edoardo VI, con parrocchie confinanti che celebravano l’una alla maniera anglicana su tradizione cattolica, l’altra con liturgie di stampo calvinista che prevedevano unicamente la Cena del Signore senza alcun valore sacramentale, scomparve, almeno formalmente. Erano ammessi solo sacerdoti che accettavano la gerarchia anglicana con vescovi, preti e diaconi e la liturgia del Prayer Book. Contestualmente 15 dei 16 vescovi cattolici promossi da Maria la Cattolica vennero rimossi.

La partecipazione alla messa anglicana venne resa obbligatoria con una multa di 12 pence per ogni assenza. L’obbligo di partecipare alla liturgia anglicana valeva, ovviamente, anche per i cristiani protestanti di confessioni diverse da quella anglicana: vigeva cioè il divieto anche del luteranesimo e del calvinismo. I pochi monasteri che erano stati rifondati sotto Maria la Cattolica vennero nuovamente sciolti.

Ma il periodo delle persecuzioni più dure si ebbe quando il pontefice Pio V scomunicò la regina il 25 febbraio 1570. Da quel momento le pene vennero ulteriormente inasprite: dal 1581 vennero puniti con la morte anche la sola celebrazione della messa cattolica, l’amministrazione di sacramenti cattolici ed anche l’ospitalità fornita a preti cattolici. Coloro che desideravano rimanere cattolici vennero detti ricusanti.

Nella seconda parte del regno di Elisabetta vennero così giustiziati 124 sacerdoti e 61 laici, condannati per il solo fatto di essere cattolici. Le pene, nella regione londinese, venivano eseguite preso il Tyburn, che sorgeva dove è ora Marble Arch a Londra: i condannati venivano impiccati e, prima di spirare, scuoiati e squartati pubblicamente[5].

Per avere salva la vita in un contesto così oppressivo alcuni dei ricusanti non si rifiutarono di ottemperare all’obbligo di partecipare alla liturgia domenicale anglicana, ma rimasero cattolici in segreto. Molti furono i cattolici che riuscirono così a sottrarsi ai rischi ed alle pene che conseguivano al proclamarsi pubblicamente fedeli al papa.

Si ritiene, ad esempio, che William Shakespeare sia stato un cattolico ricusante l’anglicanesimo in segreto e certamente lo furono il padre John e la sorella Susan (vedi su questo Shakespeare era cattolico? I "ricusanti" durante il regno di Elisabetta I).

Nacquero allora istituzioni cattoliche per la formazione di sacerdoti inglesi che accettassero di rischiare la vita per essere inviato in segreto nel regno per portare la comunione cattolica ai fedeli che in segreto lo desideravano. A Roma il Venerabile Collegio inglese assolse a questo compito e ben 40 dei suoi alunni, diventati preti, vennero poi giustiziati in Inghilterra una volta scoperti.

Il seminario di Douai, sul continente, assolse allo stesso compito

Elisabetta I volle anche visite episcopali nelle parrocchie del regno, a partire dal 1568, per la rimozione di qualsiasi elemento che ricordasse il passato cattolico e gli ecclesiastici vennero rigidamente sorvegliati tramite l’istituzione di churchwarden, custodi della chiesa.

Anche la Scozia fu obbligata al culto anglicano, dopo l’abdicazione forzata, ma non immeritata, della regina Maria Stuarda che era cattolica. Dopo la sua rinuncia al trono (1567) 4 sacerdoti furono uccisi per aver celebrato la messa cattolica e l’ultimo arcivescovo di Saint Andrews, Giovanni Hamilton, fu impiccato il 5 aprile 1571. Quando il figlio di Maria Stuarda, Giacomo VI, giunse al trono, pur essendosi precedentemente professato cattolico, condusse poi una politica di inasprimento delle misure anti-cattoliche.

Solo il popolo irlandese rimase fieramente cattolico e la fedeltà alla fede dei padri divenne simbolo di lotta contro l’Inghilterra. Sebbene l’aristocrazia cattolica venisse quasi totalmente sterminata e sostituita con proprietari terrieri inglesi, il popolo, pur terribilmente depauperato, si mantenne fedele alla Chiesa cattolica.

Con Elisabetta I si può ritenere concluso il passaggio del regno inglese alla nuova fede anglicana, sebbene la nuova versione ufficiale della Bibbia venne redatta solo sotto Giacomo I, nel 1611.

IV/ Dopo Elisabetta I

L’affermazione del calvinismo raggiunse il suo apice con il governo di Oliver Cromwell (morto nel 1658). Con lui salirono al potere quelli che nei manuali di storia sono chiamati i “puritani”: essi sono in realtà i calvinisti inglesi.

Con il termine “puritano” si intendeva indicare il desiderio di purificare la fede da tutto ciò che non si riteneva provenisse dal vangelo e precisamente le forme ecclesiastiche dell’anglicanesimo, per giungere ad un cristianesimo di tipo calvinista, alieno da ogni forma sacramentale.

I puritani vennero perseguitati dagli anglicani – è nota l’espressione del re Giacono I che si espresse dicendo: No bishop, no king, cioè il rifiuto del vescovo equivale (in futuro) al rifiuto del re. Da questa persecuzione nacque l’emigrazione dei puritani verso l’Olanda ed il New England – famosa è la partenza dei cosiddetti Padri pellegrini che nel 1620 salparono con la Mayflower e raggiunsero il futuro Massachusett, dando vita ad uno dei nuclei sorgivi dei successivi Stati Uniti d’America.

I puritani, però, assunsero il potere con la vittoria di Oliver Cromwell. Quest’ultimo si mise allora a perseguitare le comunità cristiane di stampo diverso da quella puritana. Feroci, in particolare, furono le persecuzioni dei cattolici in Irlanda: non solo moltissime persone vennero uccise (tristemente celebri sono i massacri di Drogheda e di Wexford), ma si ridusse anche ad un estrema povertà l’intera popolazione dell’isola, trasferendone i beni a nuovi proprietari terrieri inglesi di fede puritana. Tutte le terre di proprietà di cattolici furono confiscate: con l’Act for the Settlement of Ireland 1652, oltre alla confisca delle proprietà cattoliche, la professione di fede cattolica venne messa fuori legge e vennero poste taglie sui preti.

Sotto Cromwell, che divenne Lord cancelliere, venne dichiarata la Repubblica, ma, in realtà, al sovrano si era sostituita la sua figura con un ruolo quasi dittatoriale. Con il ritorno del re Giacomo II la Chiesa anglicana riprese il suo posto, con il ritorno dei vescovi diocesani di fede anglicana – la gerarchia anglicana era stata quasi totalmente azzerata sotto Cromwell[6]. Ma sempre più si trovarono a confrontarsi due correnti dentro l’unica Chiesa anglicana, la cosiddetta High Church, più fedele ad una liturgia di stampo cattolico, e la Low Church, più fedele ad una liturgia di stampo calvinista.

4/ I martiri cattolici della riforma anglicana sotto Enrico VIII, Edoardo VI ed Elisabetta I

I/ I quaranta martiri di Inghilterra e Galles (si celebra il 25 ottobre)

(da Alban Butler, I santi secondo il calendario. Settembre e ottobre, Ed. Corriere della sera, Milano, 2007, pp. 686-693)

Nel corso dell'anno ricorrono due feste in cui si celebrano gruppi di martiri inglesi e gallesi, il 4 maggio e il 25 ottobre. La prima di queste ricorrenze commemora un gran numero di martiri beatificati nel corso dei secoli da diversi papi (gli ultimi da papa Giovanni Paolo II nel 1987). La festa di oggi è invece più specifica ed è dedicata a quaranta martiri canonizzati nel 1970 da papa Paolo VI. Del gruppo fanno parte tredici preti secolari, dieci gesuiti, tre benedettini, tre certosini, due francescani, una brigidina, un frate agostiniano e sette laici, tre donne e quattro uomini. Dal momento che, oltre alla presente commemorazione di gruppo, ciascuno di loro ha una festa propria, il racconto delle loro vite si trova sotto quelle date.

Il seguente elenco riporta i loro nomi, il luogo e l'anno del martirio e la data della loro festa individuale:

Cognome Nome Luogo Anno Giorno Mese
Giovanni Almond Tyburn 1612 3 dic.
Edmondo Arrowsmith Lancaster 1628 28 ago.
Ambrogio Barlow Lancaster 1641 10 set.
Giovanni Boste Durham 1594 24 lug.
Alessandro Briant Tyburn 1581 1 dic.
Edmondo Campion Tyburn 1581 1 dic.
Margherita Clitherow York 1586 25 mar.
Filippo Evans Cardiff 1679 2 lug.
Tommaso Garnet Tyburn 1608 23 giu.
Edmondo Gennings Londra 1591 10 dic.
Riccardo Gwyn Wreham 1584 15 ott.
Giovanni Houghton Tyburn 1535 4 mag.
Filippo Howard morto in prigione 1595 19 ott.
Giovanni Jones Londra 1598 12 lug.
Giovanni Kemble Hereford 1679 22 ago.
Luca Kirby Tyburn 1582 30 mag.
Roberto Lawrence Tyburn 1535 4 mag.
Davide Lewis Usk 1679 27 ago.
Anna Line Tyburn 1601 27 feb.
Giovanni Lloyd Cardiff 1679 22 lug.
Cutberto Mayne Launceston 1577 30 nov.
Enrico Morse Tyburn 1645 1 feb.
Nicola Owen Londra 1606 22 mar.
Giovanni Paine Chelmsford 1582 10 dic.
Polidoro Plasden Tyburn 1591 2 apr.
Giovanni Plessington Chester 1679 19 lug.
Riccardo Reynolds Tyburn 1535 11 mag.
Giovanni Rigby Southwark 1600 21 giu.
Giovanni Roberts Tyburn 1610 10 dic.
Albano Roe Tyburn 1642 21 gen.
Rodolfo Sherwin Tyburn 1581 1 dic.
Roberto SouthweIl Tyburn 1595 21 feb.
Giovanni Southworth Tyburn 1654 28 giu.
Giovanni Stone Canterbury 1539 12 mag.
Giovanni Wall Worcester 1679 26 ago.
Enrico Walpole York 1595 7 apr.
Margherita Ward Tyburn 1588 30 ago.
Agostina Webster Tyburn 1535 4 mag.
Swithun Wells Londra 1591 10 dic.
Eustachio White Tyburn 1591 10 dic.

Il primo di questi martiri fu giustiziato nel 1535 per essersi rifiutato di riconoscere Enrico VIII come capo supremo della Chiesa d'Inghilterra, l'ultimo nel 1679 in conseguenza del cosiddetto complotto papista. Le accuse contro di loro andavano dal negare la supremazia regale all'essere preti ordinati all'estero e svolgere il ministero in Inghilterra, dall'aver promosso conversioni alla fede cattolica all'aver dato rifugio a preti in fuga dalle autorità; nel corso degli anni la legislazione subì varie modifiche e così l'atteggiamento dello stato verso i cattolici, con alternanza di periodi relativamente tranquilli e momenti di intensa attività anti-cattolica. In questo luogo, dunque, ne offriremo un breve quadro storico, seguito dall'indicazione di alcuni aspetti della venerazione dei Quaranta Martiri.

Nel 1534 il Parlamento inglese approvò l'Atto di Supremazia, col quale si riconosceva che Enrico VIII era il «capo supremo della Chiesa d'Inghilterra» e questo portò alla morte del primo martire tra quelli sopra menzionati, avvenuta l'anno successivo.

Non si ebbero invece esecuzioni di quanti rimasero fedeli all'antica confessione durante il regno di Edoardo VI (1547-1553), mentre nel regno di Maria I (1553-1558) toccò ai riformatori essere perseguitati, dal momento che la regina ristabilì il cattolicesimo e cercò di liberare il paese dall'eresia. Tra il gennaio del 1555 e la sua morte nel novembre del 1558, quasi duecentottanta protestanti, la maggioranza dei quali semplici laici, furono messi a morte per le loro convinzioni religiose, con una percentuale di esecuzioni per motivi religiosi mai raggiunta in Inghilterra, né prima né dopo.

L'ascesa al trono di Elisabetta I nel 1558 portò il ritorno al protestantesimo: i primi atti del Parlamento nel 1559 ripristinarono la supremazia regia sulla Chiesa d'Inghilterra e poi dichiararono criminosa l'affermazione dell'autorità del papa o il rifiuto di partecipare alla liturgia anglicana. Per i primi dodici anni del regno, tuttavia, ci fu una persecuzione leggera, perché il governo probabilmente confidava che la vecchia Chiesa, privata di vescovi e sacerdoti, si sarebbe sgretolata progressivamente. Il passaggio a un anti-cattolicesimo più aspro avvenne in seguito alla rivolta del 1569, promossa nel nord da parecchi membri della nobiltà e che aveva tra i propri scopi quello di ripristinare la fede cattolica, al complotto Ridolfi del 1571 (imprudentemente sostenuto dal papa), che mirava a deporre la regina, e all'infelice scomunica che papa S. Pio V (30 apr.) lanciò a Elisabetta nel 1570 - infelice perché tecnicamente, dispensando i cattolici inglesi dall'obbligo di obbedire alla regina e ordinando loro di prendere iniziative per deporla, li rese tutti traditori. Anche se poi si fecero tentativi per ridurre la portata della bolla papale, affermando che questa non aveva valore operativo in Inghilterra, il danno era ormai stato fatto.

Le leggi che seguirono, nel 1571, 1581 e 1585, resero sempre più difficile la pratica della fede cattolica e, tra le altre cose, parificarono al tradimento della patria la negazione di un qualsiasi titolo della regina, il far tornare qualcuno nella Chiesa cattolica, o l'essere prete in Inghilterra se si era stati ordinati all'estero dopo il 1559, o anche nascondere e aiutare un prete nella suddetta situazione. Venti dei Quaranta Martiri morirono per queste leggi sotto il regno di Elisabetta: nel complesso, tra il 1570 e la morte della regina nel 1603, patirono il martirio quasi centonovanta persone. Una ragione ulteriore dell'inasprimento anti-cattolico dopo il 1570 è da cercarsi nella fondazione sul continente di collegi destinati a preparare sacerdoti per l'opera missionaria in Inghilterra e in Galles.

Il primo di questi fu eretto dal futuro cardinale Allen nel 1568 a Douai nelle Fiandre. La sua intenzione era di offrire un'istruzione cattolica ai giovani perché, come laici, potessero meglio difendere e parlare in favore della vecchia fede. Ma il collegio (e altri simili a questo, fondati a Roma, Valladolid e Siviglia) divenne celebre soprattutto per i sacerdoti che formò, noti come "preti del seminario".

Il primo di essi arrivò in Inghilterra nel 1574, seguito poi da un flusso continuo: alla fine del regno di Elisabetta erano stati ordinati qualcosa come ottocento preti, la metà circa dei quali aveva prestato servizio in un momento o in un altro in quella che divenne nota come la "missione inglese".

Per giunta, dal 1580 cominciò ad apparire una nuova congregazione sacerdotale, i gesuiti: anche se durante il regno di Elisabetta non ve ne furono mai contemporaneamente in Inghilterra più di una dozzina, la loro presenza, unita a quella dei preti del seminario, fece svanire le speranze del governo sulla rapida scomparsa del cattolicesimo.

Uno dei primi sacerdoti di Douai, p. Enrico Shaw, scrisse al cardinale Allen dall'Inghilterra nel 1575: «Il numero dei cattolici è in continua crescita tanto che [lord Burghley, il primo ministro] ha ammesso in privato a un suo amico che per un cattolico presente in Inghilterra all'inizio del regno, ce ne sono adesso, lui lo sapeva per certo, dieci» (McGrath). Pur ammettendo una certa esagerazione nei dati, il contributo dei nuovi chierici stava cominciando a diventare determinante e si sarebbe poi rivelato essenziale per la sopravvivenza dell'antica confessione.

La maggior parte dei preti di seminario che patirono il martirio fu condannata in base all'atto del 1585, chiamato "Atto contro gesuiti, preti del seminario e altre simili persone disobbedienti", con il quale si comandò che tutti i sacerdoti ordinati all'estero dopo il 1559 lasciassero l'Inghilterra e il Galles nel giro di quaranta giorni, pena la condanna per alto tradimento. Per di più, chiunque dopo quel periodo di tempo avesse dato asilo o aiutato un prete che doveva lasciare il paese, sarebbe stato soggetto anch'egli alla pena capitale.

La particolare severità di questo provvedimento risiedeva nel far condannare sacerdoti che in realtà non avevano preso parte ad attività proditorie: per quanto essi si guardassero dal lasciarsi coinvolgere in questioni politiche ed evitassero qualsiasi legame con complotti contro la regina, la loro semplice permanenza nel paese era di per sé motivo sufficiente di condanna. Delle centoquarantasei persone messe a morte per motivi religiosi tra il 1585 e il 1603, centoventitre furono condannate sulla base di questo decreto.

È d'altra parte corretto analizzare anche la prospettiva del governo. Senza dubbio alcuni ministri erano mossi da un puro odio del cattolicesimo ed erano intenzionati a utilizzare qualunque pretesto pur di impedire ai sacerdoti cattolici di rafforzare la loro presenza, ma anche un altro fattore era presente. Benché i singoli preti e la stragrande maggioranza dei cattolici inglesi fossero sudditi leali della regina, c'erano sul continente persone che tramavano realmente contro di lei, compresi il papa, Filippo II di Spagna e un piccolo gruppo di cattolici esiliati. Papa S. Pio V, come già ricordato, sostenne il complotto Ridolfi: il suo successore, Gregorio XIII, appoggiò la spedizione spagnola che nel 1579 invase l'Irlanda; Sisto V incoraggiò Filippo II nei suoi piani di invasione con l'Armada del 1588. Il cardinale Allen, da parte sua, esortava i propri compatrioti ad abbandonare la regina e unirsi agli aggressori spagnoli.

La riforma cattolica stava diffondendosi in Europa e combatteva, spesso concretamente, il protestantesimo; il governo inglese fu quindi ingiusto e sleale nel trattare i preti missionari come traditori nel senso comune del termine, ma, come McGrath argomenta, «è del tutto irragionevole pensare che si potesse comportare considerando singolarmente le attività dei sacerdoti, a prescindere cioè dalla situazione politica generale [...] c'era sempre il pericolo che, nel caso un'invasione avesse riportato un primo successo, i preti fossero subito incalzati a esortare tutti i cattolici a sostenere il nemico».

La legislazione promulgata nel regno di Elisabetta rimase in vigore durante tutta la dinastia degli Stuart, suoi successori, ma fu sporadico che una persecuzione giungesse fino a fare dei martiri. Mentre si contarono ventiquattro esecuzioni tra il 1604 e il 1618, se ne ebbero solo due da allora al 1641; nove persone furono poi martirizzate nel 1642, ma ancora solo due nel periodo del Commonwealth, tra il 1649 e il 1660. Nel 1679, infine, morirono in diciotto per la fede cattolica e altri tre l'anno successivo, ma tutti a causa del complotto papista, tramato da Tito Oates e che fu all'origine di uno di quei rigurgiti di nazionalismo anticattolico destinati a verificarsi occasionalmente in Inghilterra fino al XIX secolo. Questi furono gli ultimi martiri uccisi in Inghilterra e Galles (con l'eccezione del vescovo irlandese S. Oliviero Plunkett, 1 luglio, giustiziato a Tyburn nel 1681): la persecuzione continuò, ma sotto forme diverse, come quella della sovra-tassazione, dell'esclusione dalle cariche pubbliche e dalle università, e di una serie di altre restrizioni legali. Le leggi più severe non furono sempre applicate in pieno e il cattolicesimo sopravvisse sufficientemente forte da conoscere una rinascita alla fine del XVIII secolo.

I collegi del continente continuarono a inviare preti in Inghilterra e Galles e a educare i figli di cattolici benestanti; il seminario di Douai rimase attivo finché la Rivoluzione francese non lo costrinse a chiudere e a trasferire le proprie attività in due collegi inglesi, a Ushaw, vicino a Durham, e a Ware, nello Hertfordshire.

La venerazione per i martiri del periodo della riforma cominciò molto presto. Papa Gregorio XIII (1572-1585) concesse che i giustiziati fossero raffigurati negli affreschi delle pareti del Collegio Inglese a Roma, insieme a S. Albano e a S. Tommaso di Canterbury, mentre nel 1642 papa Urbano VIII aprì un'inchiesta con l'intenzione di canonizzare alcuni di questi martiri. La guerra civile inglese impedì all'inchiesta di giungere a termine e ufficialmente non si fece più nulla fino al 1874, quando il cardinale Manning inviò a Roma un elenco di trecentosessanta nomi per una possibile beatificazione.

Nel 1895 papa Leone XIII aveva confermato il culto di sessantatre beati tratti dalla lista, e nel 1929, ne furono beatificati altri centotrentasei. È tra questi che nel 1970 sono stati scelti i quaranta della canonizzazione e il criterio seguito fu semplice: dovevano essere beati, ben conosciuti e già oggetto di venerazione da parte dei cattolici inglesi. Altri ottantacinque della lista di Manning sono stati beatificati nel 1987. La devozione verso questi martiri crebbe negli anni '60 e '70 del XX secolo, tanto che molte chiese e scuole hanno preso il nome da loro (soprattutto nelle diocesi settentrionali, dove le tradizioni di coloro che si opposero al protestantesimo erano state più forti).

Oggi quella devozione, nonostante la beatificazione del 1987, pare in declino; ciò può essere in parte il risultato della riforma liturgica del Vaticano II; può anche dipendere dal fatto che l'indagine storica cattolica ha spostato la propria attenzione dai martiri ai sacerdoti e laici che mantennero vivo il cattolicesimo in modo meno eroico, ma ugualmente importante, di fronte a una persecuzione e una continua discriminazione che richiesero pazienza e perseveranza di alto livello.

Ma il declino della venerazione dei martiri potrebbe anche essere la conseguenza del pur benvenuto progresso dell'ecumenismo; se così fosse sarebbe un peccato, perché il vero ecumenismo deve riconoscere i fattori che hanno dato forma a ciascuna delle confessioni cristiane presenti nel paese e desiderare onorare, oltre che perdonare, il passato. Il commento che il concilio britannico delle Chiese fece al tempo della canonizzazione dei Quaranta nel 1970 è a questo proposito pertinente: «La tradizione dei martiri è una di quelle in cui tutti siamo stati formati e da cui tutti dobbiamo trarre forza, anche attraverso le frontiere ecumeniche». Nel 1987, quando il papa ha beatificato ottantasette martiri, l'arcivescovo di Canterbury, dr. Runcie, disse: «Queste beatificazioni spingeranno i cristiani di Inghilterra, Galles e Scozia a incamminarsi sul sentiero della riconciliazione e della riunificazione con maggiore comprensione ed efficacia [...] Oggi possiamo commemorare la loro eroica testimonianza cristiana e deplorare l'intolleranza dell'epoca che ha incrinato le convinzioni cristiane».

La tradizione dei martiri celebrati oggi è molto ricca. Oltre all'eroismo dei singoli che hanno preferito morire piuttosto che rinunciare alla propria fede, essa riporta storie di inseguimenti e di fughe miracolose, di case sicure e di nascondigli per sacerdoti, di Messe celebrate di nascosto con la perenne paura che qualcuno bussasse alla porta e col timore della conseguente tortura e probabile morte; narra tradimenti, ma anche intense amicizie. Esiste anche la tradizione dei collegi all'estero, tenuta viva oggi a Roma e a Valladolid, e che vede in primo piano Douai, Alma Mater di così tanti martiri e così determinante per la sopravvivenza del cattolicesimo inglese.

Marble Arch

Infine, bisogna fare un accenno a Tyburn, la piazza delle esecuzioni di Londra, nei pressi dell'attuale Marble Arch, dove morirono diciannove dei Quaranta Martiri. Nel 1901 il cardinale Vaughan, egli stesso membro di una delle famiglie che si opposero al protestantesimo, vi fondò accanto un convento delle adoratrici del Sacro Cuore di Montmartre, distrutto da un bombardamento del 1944. L'attuale cripta dei Martiri, ricostruita nel 1959, è diventata nuovamente un luogo di pellegrinaggio e la vita nascosta di preghiera e di adorazione condotta dalle suore è sicuramente l'omaggio più appropriato all'essenza del cattolicesimo per la quale i Quaranta Martiri morirono.

Lapide che ricorda dove sorgeva il Tyburn per le impiccagioni

II/ Beati Martiri d’Inghilterra e del Galles (1535-1680) (si celebra il 4 maggio)

(da Alban Butler, I santi secondo il calendario. Maggio e giugno, Ed. Corriere della sera, Milano, 2006, pp. 50-54)

La festa di oggi si distingue da quella del 25 ottobre che commemora i Quaranta Martiri d’Inghilterra e del Galles, canonizzati da Paolo VI nel 1970, perché quella odierna ha un carattere più generale e include non solo quelli beatificati da Giovanni Paolo II nel 1987 ma anche tutti quelli, circa duecento, beatificati in pecedenza da altri papi. Nel corso della presente voce viene fornito uno schema con i nomi principali e le date.

I primi martiri di questo periodo furono certosini a Londra e altrove, messi a morte nel 1535 prima dei SS. Giovanni Fisher e Tommaso Moro (22 giugno). Al pari di altri furono vittime di una legge, introdotta allora, che accusava di alto tradimento chi negasse che «il re era l’unico capo supremo, sulla terra, della Chiesa d’Inghilterra». Ciò non solo ratificava il rifiuto del primato del papa quale successore di Pietro ma contraddiceva anche (come disse Tommaso Moro durante il suo processo) le dichiarazioni dei concili e l’antico credo della Chiesa. Questo avveniva in seguito alla legislazione che aveva dichiarato offesa capitale il rifiuto o la negazione della validità del matrimonio di Enrico VIII con l’amante Anna Bolena, mentre era ancora in vita la moglie legittima Caterina d’Aragona.

Elisabetta I, nel suo primo anno di regno (1559), si attenne al concetto di tradimento con l’Atto di Uniformità, che dichiarava alto tradimento la triplice negazione dell’autorità spirituale della regina (dal 1563 si passò a due volte). Un’ulteriore legge del 1571 includeva l’accusa di “parole sediziose” contro la regina, e nel 1581 divenne tradimento riconciliare o riconciliarsi con la Chiesa cattolica, e anche indurre altri a riconciliarsi.

Quattro anni dopo (1585) un’altra legge considerò alto tradimento il fatto che un cattolico inglese ordinato prete all’estero dopo la data del 24 giugno 1559 rientrasse e rimanesse nel regno e la medesima legge perseguiva chiunque ospitasse o assistesse quel prete.

Non meno di settantacinque degli ottantacinque martiri beatificati nel 1987 furono condannati in base a questa legge. La pena per un prete era l’impiccagione, l’essere sventrato e infine squartato; per un laico era “solo” l’impiccagione. Quando si aprì la caccia ai preti, i rifugi segreti approntati da S. Nicola Owen e altri offrirono spesso possibilità di salvezza; chi dava rifugio ai ricercati metteva però a rischio la propria vita. La volontà dei sovrani era decisiva nel definire la natura e la pena dei cosiddetti crimini ed è giusto notare che durante i primi dodici anni del regno di Elisabetta I non ci furono condanne a morte; fu la scomunica lanciata da papa S. Pio V (30 aprile) contro la regina nel 1570 che spinse il governo a essere sempre più intransigente con i cattolici.

Tra il 1570 e il 1578 ne furono martirizzati otto; seguirono tre anni di tregua, ma dal 1581 al 1603 non ci fu anno senza l’esecuzione di molti martiri, la maggior parte dei quali fu messa a morte per il semplice status di prete.

Durante i primi sedici anni del regno di Giacomo I (1603-1625) ci furono più di venti martiri, ma nessuno tra il 1619 e il 1625. Nel frattempo le severe leggi del “rifiuto” contro chi non accettava di ricevere i sacramenti nella locale Chiesa d’Inghilterra imponevano pesanti tasse sulle proprietà dei cattolici. Esse tuttavia in molte regioni non venivano applicate alla lettera e nella stessa Londra le condizioni erano cambiate.

I matrimoni sia di Carlo I (1625-1649) che di Carlo II (1660-1685) portarono a una riduzione delle violenze e a persecuzioni più sporadiche dei cattolici sotto gli Stuart, mentre la necessità di promuovere buone relazioni con le potenze cattoliche straniere indussero il governo a consentire che le cappelle delle ambasciate fossero aperte al culto cattolico.

Alcune di esse, tra cui Warwick Street e Maiden Lane, sono ancora oggi funzionanti come chiese cattoliche. Le persecuzioni ripresero vigore in periodi critici come quelli delle presunte sedizioni (ad esempio la “congiura delle polveri” e la “congiura papista“). Qualche volta queste persecuzioni erano estremamente violente e portavano ad esecuzioni capitali, altre volte erano meno palesi ma certo non meno repressive.

Durante la guerra civile (1642-1652) molti cattolici in vista si schierarono a sostegno del re Carlo I, divenendo ancor più invisi a Cromwell e ai suoi seguaci; solo i cattolici soffrirono il martirio nei periodi del Commonwealth e del Protettorato (1649-1660). Al tempo della restaurazione degli Stuart la lealtà cattolica non fu premiata in termini legislativi, e la cosa divenne evidente con l’ultima esplosione di persecuzione causata dalla cosiddetta congiura di Titus Oates (“congiura papista”) del 1678.

I martiri inglesi della Riforma furono venerati privatamente, spesso fin dal tempo della loro morte, ma il riconoscimento ufficiale venne quando papa Gregorio XIII (1572-1585) permise che le effigi dei martiri fossero incluse nella serie di affreschi dipinti da Circignani nel Collegio inglese a Roma, fondato dal papa stesso. Questi affreschi raffigurano i martiri inglesi: S. Albano, S. Bonifacio, S. Edmondo, S. Elfego, S. Tommaso di Canterbury e altri che diedero la vita per Cristo e sono venerati come martiri dalla Chiesa.

Il gesto era una chiara e autorevole indicazione che i morti inglesi della Riforma dovevano essere considerati con lo stesso titolo. Nel 1642 Urbano VIII, figura importante nella storia delle canonizzazioni, iniziò un’inchiesta formale, poi accantonata a causa della guerra civile. Durante il XVIII secolo il vescovo Challoner (1691-1781) mantenne viva la memoria dei martiri scrivendo Memoirs of Missionary Priests (1741), mentre in altri circoli l’interesse cattolico tendeva a scemare: si vedeva con sospetto ogni atteggiamento che generasse “entusiasmo”, e si dava maggior valore al fatto di vivere in pace con i protestanti, da buoni vicini.

Solo nel 1874 furono fatti i successivi passi ufficiali per promuovere la causa dei martiri; negoziazioni iniziali sui vari Relief Acts e Catholic Emancipation (1829), per non parlare delle violenze anti-cattoliche che scatenarono le rivolte di Gordon (1780) e accompagnarono la restaurazione della gerarchia (1850), sembravano sconsigliare qualsiasi passo ulteriore.

Il card. Manning iniziò il processo ordinario mandando a Roma una lista di trecentosessanta nomi per la beatificazione. Dodici anni dopo la Santa Sede, avendo vagliato attentamente le prove, riconobbe che Gregorio XIII ne aveva beatificati quarantaquattro, il cui culto fu allora confermato da Leone XIII. I quarantaquattro casi furono riesaminati per informazioni più accurate.

Dei duecentocinquantatre casi pendenti altre centotrentasei beatificazioni furono accordate da Pio XI nel 1929. Rimanevano centosedici nomi della lista di Manning, alla quale furono aggiunti duecentoquarantadue nomi nel 1889, tra cui il francescano Matteo Atkinson, morto nel castello di Hurst, non più tardi del 1729, dopo trent’anni di prigionia.

Nel 1960 il cardinale Godfrey fece una petizione alla Santa Sede perché si procedesse a canonizzare un numero selezionato di martiri che già erano stati beatificati, e che erano conosciuti e radicati nella devozione dei fedeli. La canonizzazione dei Quaranta Martiri nel 1970 fu il primo risultato raggiunto; dalla stessa lista furono presi in esame gli ottantacinque fedeli beatificati poi nel 1987.

La Santa Sede esaminò attentamente le molte istanze ammettendo solamente quelle di coloro che avevano sofferto per motivi religiosi e non politici. Quelli ricordati nella festa di oggi includono uomini e donne, preti e laici, ricchi e poveri in egual misura, che esercitavano professioni e appartenevano a ceti sociali diversi e venivano da varie regioni dell’Inghilterra e del Galles. Possono apparire meno attraenti o carismatici di alcuni dei Quaranta, ma sono allo stesso modo degni di venerazione perché anch’essi diedero la loro vita per Cristo.

Nel considerare la sopravvivenza del cattolicesimo in Inghilterra durante i lunghi “tempi di pena” si deve notare primariamente che il lealismo, continuo e degno di lode, è stato vitale per prevenire una sua vera e propria scomparsa, come nei paesi scandinavi. Inoltre la testimonianza dei martiri è stata capitale, come in altri luoghi o in altri periodi della storia; nel II secolo Tertulliano definì il sangue dei martiri il seme dei cristiani (spesso si usava l’espressione «il seme della Chiesa») e la stessa importanza ha rivestito durante la predicazione missionaria o per il radicamento della fede nelle culture più compatte e impermeabili al Vangelo.

Nei tempi moderni, per esempio, Francia, Cina, Giappone, Vietnam, Uganda, Spagna, Inghilterra e Irlanda hanno dato i natali a molti martiri. La persecuzione in Inghilterra fu opera del governo dietro impulso e con la complicità di membri della Chiesa nazionale e spesso, comprensibilmente, sono stati fatti paragoni con l’opposta persecuzione sorta durante il regno della regina Maria la Cattolica. Questa si sviluppò principalmente nella regione di Londra e nell’Essex e fu di breve durata ma violentissima; pochi o nessuno vogliono oggi difendere una politica che portò ai roghi di Smithfield e all’uccisione di duecentosettantotto persone, più di quanti – cattolici – morirono durante la persecuzione di Elisabetta I.

Ma l’asprezza delle relazioni sociali era una nota diffusa e «la legge inglese dal XI al XVIII secolo mise insieme più di duecento capi d’accusa degni della pena capitale, che andavano dall’alto tradimento al furto di una proprietà del valore di pochi scellini [...] Furono poi ridotti a quattro nel 1861» (D.R. Campion, Capital Punishment in N.C.E., 3, p. 80). La vita umana sembrava aver poco valore; molti assistevano alle pubbliche esecuzioni come se fossero spettacoli e tutti i tipi di pena inflitti tra il X e il XVII secolo erano molto più severi di quelli dei nostri giorni, dove la raccapricciante barbarie dei regimi Tudor è stata eguagliata solo dalle dittature (sia di destra che di sinistra).

Nell’odierno clima ecumenico è da accogliersi con gioia il commento dell’Assemblea di Lambeth del 1970; «La tradizione del martirio deve essere condivisa da tutti e da essa tutti debbono attingere forza, superando i confini ecumenici». Nei 1987 il dottor Runcie, arcivescovo di Canterbury, espresse la speranza che «queste beatificazioni spingano tutti i cristiani di Inghilterra, Galles e Scozia a perseguire strade di riconciliazione e riunificazione con maggior efficacia e comprensione reciproca[...] Oggi possiamo celebrate la loro eroica testimonianza cristiana e deplorare l’intolleranza dell’età che ha incrinato le convinzioni cristiane».

Tra coloro che sono commemorati in questa data troviamo Giorgio Haydock, prete, e i suoi compagni, messi a morte a Tyburn nel 1584; Ugo Taylor, prete del seminario ucciso a York nel 1585. Il giorno successivo a questa esecuzione (27 novembre) subì la stessa sorte Marmaduke Bowes, «un onesto gentiluomo benvoluto da tutti» che per qualche tempo partecipò al culto protestante pur rimanendo cattolico nel suo cuore e fu impiccato perché aveva dato rifugio a Ugo Taylor. La sua temporanea riluttanza a rivelare la propria fede non lo priva della corona del martirio. Nell’attuale revisione del concetto di abiura, si riconosce che proprio coloro che in apparenza furono meno eroici contribuirono non poco alla sopravvivenza del cattolicesimo in Inghilterra e nel Galles.

5/ Le ultime parole di San John Plessington furono: «Dio benedica il Re e la sua famiglia e voglia concedere a Sua Maestà un prospero regno in questa vita e una corona di gloria nell’altra. Dio conceda pace ai suoi sudditi consentendo loro di vivere e di morire nella vera fede, nella speranza e nella carità». L’omelia di Paolo VI nella canonizzazione dei 40 martiri dell’Inghilterra e del Galles

Riprendiamo sul nostro sito l'omelia tenuta da papa Paolo VI nella canonizzazione dei 40 martiri dell’Inghilterra e del Galles, celebrata il 25/10/1970. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line.

Il Centro culturale Gli scritti (7/5/2013)

N.B. de Gli scritti.
L’omelia di Paolo VI rende evidente che nella Chiesa cattolica nessuno può essere detto martire se non ha amato i suoi persecutori. Per questo la proclamazione del martirio di persone condannate dalla Chiesa anglicana non è un gesto contrario all’ecumenismo.

We extend Our greeting first of all to Our venerable brother Cardinal John Carmel Heenan, Archbishop of Westminster, who is present here today. Together with him We greet Our brother bishops of England and Wales and of all the other countries, those who have come here for this great ceremony. We extend Our greeting also to the English priests, religious, students and faithful. We are filled with joy and happiness to have them near Us today; for us-they represent all English Catholics scattered throughout the world. Thanks to them we are celebrating Christ’s glory made manifest in the holy Martyrs, whom We have just canonized, with such keen and brotherly feelings that We are able to experience in a very special spiritual way the mystery of the oneness and love of .the Church. We offer you our greetings, brothers, sons and daughters; We thank you and We bless you.
While We are particularly pleased to note the presence of the official representative of the Archbishop of Canterbury, the Reverend Doctor Harry Smythe, We also extend Our respectful and affectionate greeting to all the members of the Anglican Church who have likewise come to take part in this ceremony. We indeed feel very close to them. We would like them to read in Our heart the humility, the gratitude and the hope with which We welcome them. We wish also to greet the authorities and those personages who have come here to represent Great Britain, and together with them all the other representatives of other countries and other religions. With all Our heart We welcome them, as we celebrate the freedom and the fortitude of men who had, at the same time, spiritual faith and loyal respect for the sovereignty of civil society.

STORICO EVENTO PER LA CHIESA UNIVERSALE

La solenne canonizzazione dei 40 Martiri dell’Inghilterra e del Galles da Noi or ora compiuta, ci offre la gradita opportunità di parlarvi, seppur brevemente, sul significato della loro esistenza e sulla importanza the la loro vita e la loro morte hanno avuto e continuano ad avere non solo per la Chiesa in Inghilterra e nel Galles, ma anche per la Chiesa Universale, per ciascuno di noi, e per ogni uomo di buona volontà.
Il nostro tempo ha bisogno di Santi, e in special modo dell’esempio di coloro che hanno dato il supremo testimonio del loro amore per Cristo e la sua Chiesa: «nessuno ha un amore più grande di colui che dà la vita per i propri amici» (Io. l5, l3). Queste parole del Divino Maestro, che si riferiscono in prima istanza al sacrificio che Egli stesso compì sulla croce offrendosi per la salvezza di tutta l’umanità, valgono pure per la grande ed eletta schiera dei martiri di tutti i tempi, dalle prime persecuzioni della Chiesa nascente fino a quelle – forse più nascoste ma non meno crudeli - dei nostri giorni. La Chiesa di Cristo è nata dal sacrificio di Cristo sulla Croce ed essa continua a crescere e svilupparsi in virtù dell’amore eroico dei suoi figli più autentici. «Semen est sanguis christianorum» (TERTULL., Apologet., 50; PL l, 534). Come l’effusione del sangue di Cristo, così l’oblazione che i martiri fanno della loro vita diventa in virtù della loro unione col Sacrificio di Cristo una sorgente di vita e di fertilità spirituale per la Chiesa e per il mondo intero. «Perciò - ci ricorda la Costituzione Lumen gentium (Lumen gentium, 42) – il martirio, col quale il discepolo è reso simile al Maestro che liberamente accetta la morte per la salute del mondo, e a Lui si conforma nell’effusione del sangue, è stimato dalla Chiesa dono insigne e suprema prova di carità».
Molto si è detto e si è scritto su quell’essere misterioso che è l’uomo : sulle risorse del suo ingegno, capace di penetrare nei segreti dell’universo e di assoggettare le cose materiali utilizzandole ai suoi scopi; sulla grandezza dello spirito umano che si manifesta nelle ammirevoli opere della scienza e dell’arte; sulla sua nobiltà e la sua debolezza; sui suoi trionfi e le sue miserie. Ma ciò che caratterizza l’uomo, ciò che vi è di più intimo nel suo essere e nella sua personalità, è la capacità di amare, di amare fino in fondo, di donarsi con quell’amore che è più forte della morte e che si prolunga nell’eternità.

IL SACRIFICIO NELL’AMORE PIÙ ALTO

Il martirio dei cristiani è l’espressione ed il segno più sublime di questo amore, non solo perché il martire rimane fedele al suo amore fino all’effusione del proprio sangue, ma anche perché questo sacrificio viene compiuto per l’amore più alto e nobile che possa esistere, ossia per amore di Colui che ci ha creati e redenti, che ci ama come Egli solo sa amare, e attende da noi una risposta di totale e incondizionata donazione, cioè un amore degno del nostro Dio.
Nella sua lunga e gloriosa storia, la Gran Bretagna, isola di santi, ha dato al mondo molti uomini e donne che hanno amato Dio con questo amore schietto e leale: per questo siamo lieti di aver potuto annoverare oggi 40 altri figli di questa nobile terra fra coloro che la Chiesa pubblicamente riconosce come Santi, proponendoli con ciò alla venerazione dei suoi fedeli, e perché questi ritraggano dalle loro esistenze un vivido esempio.
A chi legge commosso ed ammirato gli atti del loro martirio, risulta chiaro, vorremmo dire evidente, che essi sono i degni emuli dei più grandi martiri dei tempi passati, a motivo della grande umiltà, intrepidità, semplicità e serenità, con le quali essi accettarono la loro sentenza e la loro morte, anzi, più ancora con un gaudio spirituale e con una carità ammirevole e radiosa.
È proprio questo atteggiamento profondo e spirituale che accomuna ed unisce questi uomini e donne, i quali d’altronde erano molto diversi fra loro per tutto ciò che può differenziare un gruppo così folto di persone, ossia l’età e il sesso, la cultura e l’educazione, lo stato e condizione sociale di vita, il carattere e il temperamento, le disposizioni naturali e soprannaturali, le esterne circostanze della loro esistenza. Abbiamo infatti fra i 40 Santi Martiri dei sacerdoti secolari e regolari, abbiamo dei religiosi di vari Ordini e di rango diverso, abbiamo dei laici, uomini di nobilissima discendenza come pure di condizione modesta, abbiamo delle donne che erano sposate e madri di famiglia: ciò che li unisce tutti è quell’atteggiamento interiore di fedeltà inconcussa alla chiamata di Dio che chiese a loro, come risposta di amore, il sacrificio della vita stessa.
E la risposta dei martiri fu unanime: «Non posso fare a meno di ripetervi che muoio per Dio e a motivo della mia religione; - così diceva il Santo Philip Evans - e mi ritengo così felice che se mai potessi avere molte altre vite, sarei dispostissimo a sacrificarle tutte per una causa tanto nobile».

LEALTÀ E FEDELTÀ

E, come d’altronde numerosi altri, il Santo Philip Howard conte di Arundel asseriva egli pure: «Mi rincresce di avere soltanto una vita da offrire per questa nobile causa». E la Santa Margaret Clitherow con una commovente semplicità espresse sinteticamente il senso della sua vita e della sua morte: «Muoio per amore del mio Signore Gesù». «Che piccola cosa è questa, se confrontata con la morte ben più crudele che Cristo ha sofferto per me», così esclamava il Santo Alban Roe.
Come molti loro connazionali che morirono in circostanze analoghe, questi quaranta uomini e donne dell’Inghilterra e del Galles volevano essere e furono fino in fondo leali verso la loro patria che essi amavano con tutto il cuore; essi volevano essere e furono di fatto fedeli sudditi del potere reale che tutti - senza eccezione alcuna - riconobbero, fino alla loro morte, come legittimo in tutto ciò che appartiene all’ordine civile e politico. Ma fu proprio questo il dramma dell’esistenza di questi Martiri, e cioè che la loro onesta e sincera lealtà verso l’autorità civile venne a trovarsi in contrasto con la fedeltà verso Dio e con ciò che, secondo i dettami della loro coscienza illuminata dalla fede cattolica, sapevano coinvolgere le verità rivelate, specialmente sulla S. Eucaristia e sulle inalienabili prerogative del successore di Pietro, che, per volere di Dio, è il Pastore universale della Chiesa di Cristo. Posti dinanzi alla scelta di rimanere saldi nella loro fede e quindi di morire per essa, ovvero di aver salva la vita rinnegando la prima, essi, senza un attimo di esitazione, e con una forza veramente soprannaturale, si schierarono dalla parte di Dio e gioiosamente affrontarono il martirio. Ma talmente grande era il loro spirito, talmente nobili erano i loro sentimenti, talmente cristiana era l’ispirazione della loro esistenza, che molti di essi morirono pregando per la loro patria tanto amata, per il Re o per la Regina, e persino per coloro che erano stati i diretti responsabili della loro cattura, dei loro tormenti, e delle circostanze ignominiose della loro morte atroce.
Le ultime parole e l’ultima preghiera del Santo John Plessington furono appunto queste: «Dio benedica il Re e la sua famiglia e voglia concedere a Sua Maestà un prospero regno in questa vita e una corona di gloria nell’altra. Dio conceda pace ai suoi sudditi consentendo loro di vivere e di morire nella vera fede, nella speranza e nella carità»
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«POSSANO TUTTI OTTENERE LA SALVEZZA»

Così il Santo Alban Roe, poco prima dell’impiccagione, pregò: «Perdona, o mio Dio, le mie innumerevoli offese, come io perdono i miei persecutori», e, come lui, il Santo Thomas Garnet che - dopo aver singolarmente nominato e perdonato coloro che lo avevano tradito, arrestato e condannato - supplicò Dio dicendo: «Possano tutti ottenere la salvezza e con me raggiungere il cielo».
Leggendo gli atti del loro martirio e meditando il ricco materiale raccolto con tanta cura sulle circostanze storiche della loro vita e del loro martirio, rimaniamo colpiti soprattutto da ciò che inequivocabilmente e luminosamente rifulge nella loro esistenza; esso, per la sua stessa natura, è tale da trascendere i secoli, e quindi da rimanere sempre pienamente attuale e, specie ai nostri giorni, di importanza capitale. Ci riferiamo al fatto che questi eroici figli e figlie dell’Inghilterra e del Galles presero la loro fede veramente sul serio: ciò significa che essi l’accettarono come l’unica norma della loro vita e di tutta la loro condotta, ritraendone una grande serenità ed una profonda gioia spirituale. Con una freschezza e spontaneità non priva di quel prezioso dono che è l’umore tipicamente proprio della loro gente, con un attaccamento al loro dovere schivo da ogni ostentazione, e con la schiettezza tipica di coloro che vivono con convinzioni profonde e ben radicate, questi Santi Martiri sono un esempio raggiante del cristiano che veramente vive la sua consacrazione battesimale, cresce in quella vita che nel sacramento dell’iniziazione gli è stata data e che quello della confermazione ha rinvigorito, in modo tale che la religione non è per lui un fattore marginale, bensì l’essenza stessa di tutto il suo essere ed agire, facendo sì che la carità divina diviene la forza ispiratrice, fattiva ed operante di una esistenza, tutta protesa verso l’unione di amore con Dio e con tutti gli uomini di buona volontà, che troverà la sua pienezza nell’eternità.

La Chiesa e il mondo di oggi hanno sommamente bisogno di tali uomini e donne, di ogni condizione me stato di vita, sacerdoti, religiosi e laici, perché solo persone di tale statura e di tale santità saranno capaci di cambiare il nostro mondo tormentato e di ridargli, insieme alla pace, quell’orientamento spirituale e veramente cristiano a cui ogni uomo intimamente anela - anche talvolta senza esserne conscio - e di cui tutti abbiamo tanto bisogno.
Salga a Dio la nostra gratitudine per aver voluto, nella sua provvida bontà, suscitare questi Santi Martiri, l’operosità e il sacrificio dei quali hanno contribuito alla conservazione della fede cattolica nell’Inghilterra e nel Galles.
Continui il Signore a suscitare nella Chiesa dei laici, religiosi e sacerdoti che siano degni emuli di questi araldi della fede.
Voglia Dio, nel suo amore, che anche oggi fioriscano e si sviluppino dei centri di studio, di formazione e di preghiera, atti, nelle condizioni di oggi, a preparare dei santi sacerdoti e missionari quali furono, in quei tempi, i Venerabili Collegi di Roma e Valladolid e i gloriosi Seminari di St. Omer e Douai, dalle file dei quali uscirono appunto molti dei Quaranta Martiri, perché come uno di essi, una grande personalità, il Santo Edmondo Campion, diceva: «Questa Chiesa non si indebolirà mai fino a quando vi saranno sacerdoti e pastori ad attendere al loro gregge».
Voglia il Signore concederci la grazia che in questi tempi di indifferentismo religioso e di materialismo teorico e pratico sempre più imperversante, l’esempio e la intercessione dei Santi Quaranta Martiri ci confortino nella fede, rinsaldino il nostro autentico amore per Dio, per la sua Chiesa e per gli uomini tutti.

PER L’UNITA DEI CRISTIANI

May the blood of these Martyrs be able to heal the great wound inflicted upon God’s Church by reason of the separation of the Anglican Church from the Catholic Church. Is it not one-these Martyrs say to us-the Church founded by Christ- Is not this their witness - Their devotion to their nation gives us the assurance that on the day when-God willing-the unity of the faith and of Christian life is restored, no offence will be inflicted on the honour and sovereignty of a great country such as England. There will be no seeking to lessen the legitimate prestige and the worthy patrimony of piety and usage proper to the Anglican Church when the Roman Catholic Church - this humble “Servant of the Servants of God” - is able to embrace her ever beloved Sister in the one authentic communion of the family of Christ: a communion of origin and of faith, a communion of priesthood and of rule, a communion of the Saints in the freedom and love of the Spirit of Jesus.
Perhaps We shall have to go on, waiting and watching in prayer, in order to deserve that blessed day. But already We are strengthened in this hope by the heavenly friendship of the Forty Martyrs of England and Wales who are canonized today. Amen.

Note al testo

[1] G.K. Chesterton, Perché sono cattolico (e altri scritti), Gribaudi, Milano, 2002, pp. 117-118.

[2] G.K. Chesterton, Perché sono cattolico (e altri scritti), Gribaudi, Milano, 2002, p. 115.

[3] G.K. Chesterton, Perché sono cattolico (e altri scritti), Gribaudi, Milano, 2002, pp. 116-117.

[4] Per approfondimenti, vedi , E. Iserloh, La Riforma protestante, in H. Jedin (a cura di), Storia della chiesa, VI, pp. 394-408; 621-623; D. MacCulloch, Riforma, Carocci, 2010.

[5] Ricerche moderne ipotizzano che anche Giordano Bruno – presente a Londra verso la fine del regno di Elisabetta I presso l’ambasciatore di Francia Castelnau – abbia lavorato come “spia” per fare arrestare e giustiziare preti cattolici ricusanti. Cfr. su questo Oltre il triste rogo. La querelle su Giordano Bruno: due articoli di Corrado Augias e Pierluigi Panza.

[6] Cfr. su questo, D. MacCulloch, Riforma, Carocci, 2010, pp. 670-671.