1/ Un Canto di Natale, di Charles Dickens. Video della riduzione trasmessa da TV2000 con la recitazione di Giovanni Scifoni e l'introduzione di Andrea Cavallini 2/ Un Canto di Natale, di Charles Dickens. Riduzione e commento di Andrea Cavallini

- Scritto da Redazione de Gliscritti: 23 /12 /2015 - 18:32 pm | Permalink | Homepage
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1/ Un Canto di Natale, di Charles Dickens. Video della riduzione trasmessa da TV2000 con la recitazione di Giovanni Scifoni e l'introduzione di Andrea Cavallini

Riprendiamo sul nostro sito il video di Un canto di Natale di Charles Dickens, trasmesso da TV2000 il 22/12/2015.

Il Centro culturale Gli scritti (23/12/2015)

2/ Un canto di Natale, di Charles Dickens. Riduzione e commento di Andrea Cavallini                   

Andrea Cavallini, vice-parroco della parrocchia di San Saturnino in Roma, ha curato la riduzione di Un canto di Natale, di Charles Dickens - che ripresentiamo sul nostro sito - perché fosse letto in preparazione al Natale 2012. Per questa lettura ha preparato le introduzioni alle diverse strofe che vengono qui pubblicate contestualmente alla riduzione del testo stesso. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line. 

Il Centro culturale Gli scritti (20/5/2013)

Indice

Introduzione generale: Autore e opera

Abbiamo scelto di prepararci al Natale con una delle più famose storie di Natale che siano state scritte: Un canto di Natale[1]. Per due motivi.

Primo perché quest’anno ricorre il bicentenario di Charles Dickens, che è nato nel 1812 ed è morto nel 1870. È uno degli scrittori inglesi più famosi in assoluto, ha scritto Le avventure di Oliver Twist, David Copperfield, Tempi difficili, l’umoristico Il Circolo Pickwick, ecc. Le sue opere si studiano anche a scuola perché Dickens è un grande narratore, autore di storie belle, complicate, piene di intrecci e colpi di scena. Molti romanzi dickensiani sono ambientati nella Londra vittoriana della rivoluzione industriale, e hanno uno sfondo sociale: sono romanzi di denuncia. Tra gli scrittori cattolici è Chesterton ad avere un particolare amore per Dickens, che considera erede dell’antico umorismo cristiano inglese.

Dickens era cristiano, anglicano ovviamente. Già scrittore affermato, nel 1849 scrive per i suoi figli una Vita di nostro Signore, stesa di getto. La scrive non per la pubblicazione ma per lasciare ai figli una memoria di quello che lo scrittore amava raccontare loro a voce. Non c’è nulla di originale né di particolare nell’opera, che è una sorta di riassunto parafrasato del vangelo e di alcuni passi degli Atti degli Apostoli. Ma è degno di nota il fatto che quando si tratta di lasciare qualcosa ai propri figli, qualcosa di importante, Dickens scelga la storia di Gesù. Una storia che vale la pena raccontare. Certo, la religiosità di Dickens è decisamente ottocentesca, quindi, per il nostro sentire, sentimentale e ottimistica. Dickens stesso non sembra essere stato un granché come marito e come padre, la sua stessa vicenda personale era triste. A dodici anni era dovuto andare a lavorare in una fabbrica di lucido da scarpe per pagare i debiti del padre, e le sue storie sono piene di infanzie abbandonate e difficili.

Secondo e più importante motivo, leggiamo Un canto di Natale perché è una storia di Natale, e poi vedremo bene cosa significa. Ovviamente non potremo dare lettura integrale del testo, perché solo la lettura durerebbe più di tre ore. Quindi leggeremo solo dei brani, tagliando in modo impietoso.

Un Canto di Natale è più famoso per le versioni cinematografiche (quella di Walt Disney, quella dei Muppets o l’ultima del 2009 con Jim Carey) che per un contatto diretto con l’originale. La storia è arcinota. Una notte di Natale il ricco e avaro Ebenezer Scrooge ha un incontro ravvicinato con il fantasma del suo vecchio socio in affari morto alcuni anni prima, che gli annuncia l’imminente visita di tre spiriti: lo Spirito del Natale passato, quello del Natale presente, e quello del Natale futuro. Al termine di queste tre visite notturne Scrooge cambia vita e diventa buono e generoso.

Le cinque strofe di cui si compone la storia raccontano ognuna uno di questi incontri: la prima introduce il protagonista e racconta l’incontro col fantasma di Marley, il defunto socio in affari di Ebenezer Scrooge, la seconda la terza e la quarta raccontano ognuna la visita di uno degli Spiriti del Natale, la quinta e ultima racconta l’alba del nuovo giorno e del nuovo uomo.

La cosa interessante è che è una storia scritta apposta per fare quello che stiamo facendo qui, cioè per prepararci al Natale. Correva l’anno 1843, che in Inghilterra vide i primi alberi di Natale e le prime cartoline augurali natalizie. Dickens, che era già conosciuto perché aveva già scritto il Circolo Pickwick, Oliver Twist e altre cose, pubblica una raccolta di cinque racconti natalizi, di cui il primo e più famoso è il nostro Un canto di Natale. La prima edizione era un volume di lusso, con la copertina rossa e gli intarsi dorati, un libro per una serata speciale. L’ideale sarebbe leggerla attorno al camino la sera del 24, per entrare nella notte dell’Incarnazione del Signore. È una storia di fantasmi, e non poteva essere altrimenti. Un po’ c’entra la passione inglese per gli spettri. Nell’introduzione al suo Storie di fantasmi per il dopocena, Jerome scrive che “Ogni volta che cinque o sei persone di lingua inglese si raccolgono intorno a un fuoco, la Vigilia di Natale, incominciano a raccontarsi storie di fantasmi. Ma i fantasmi hanno nella storia un ruolo narrativo ben preciso, che poi vedremo.

Che tipo di opera è Un canto di Natale? Il titolo completo è Un canto di Natale in prosa: è quindi una canzone di Natale, composta come abbiamo detto di 5 strofe, ma in prosa anziché in versi. Dickens recupera un genere letterario dimenticato, perché la caròla era una danza popolare che nel 1843, quando Dickens scrive, era già caduta in disuso. Quindi è una ballata che racconta una storia, e come tutte le ballate è una storia popolare, semplice e dalla morale immediata. Sembra l’apoteosi dei buoni sentimenti e le versioni cinematografiche non aiutano a liberarsi da questa impressione. In realtà c’è molto di più e basta leggere il testo originale per ricavarne un’altra impressione. Proprio perché è popolare e pedagogica, è una storia volutamente sentimentale: non vuole informare sulla vicenda di Ebenezer Scrooge, ma vuole convincere di qualcosa, raccontando la storia del personaggio. È, per usare una parola tecnica, “performativa” cioè vuole provocare nel lettore quello che sta raccontando: ti racconto il cambiamento della vita di un uomo perché avvenga anche in te. Il racconto è sacramentale, mira a generare ciò che racconta, a commuovere raccontando una commozione. Per questo il narratore accompagna spiritualmente il lettore, come i fantasmi accompagnano Scrooge: “si trovò faccia a faccia con il visitatore ultraterreno che le aveva scostate, vicinissimo quanto io a voi, io che, in ispirito, sono al vostro fianco” (Dickens inaugurava anche una nuova forma letteraria, con il narratore onnisciente che si rivolge direttamente ai lettori).

Se consideriamo bene i temi della storia di A Christmas Carol, sono molto seri: si parla di una conversione, di un uomo che cambia vita, del peccato e del pentimento, del giudizio divino sulla vita dell’uomo.

Introduzione alla Strofa prima - Il fantasma di Marley

Dunque, volendo raccontare una conversione, si comincia con la descrizione del vecchio Scrooge: è “chiuso come un’ostrica”, un uomo insensibile alle condizioni atmosferiche, con un perenne gelo interiore indipendentemente dalla temperatura esterna. Scorbutico e duro. È dominato da una passione che oscura tutto il resto: i soldi. Del resto non gliene importa nulla, ha la vista completamente oscurata e non gli interessa altro che i soldi. Ha il cuore di pietra e l’insensibilità fisica è segno dell’insensibilità agli altri. “Non sono affari miei!” è il suo motto. E la sua parola preferita è: sciocchezze! È una sorta di blindatura cinica, messa su dal padrone del suo cuore che non vuole essere disturbato: il cinismo è un sistema di difesa da tutto ciò che gli capita intorno. Il giorno di Natale questo è particolarmente evidente: Scrooge fa sistematicamente finta di niente, mentre tutti vivono in modo speciale.

Come può cambiare un uomo così? Come può passare da avere un cuore di pietra ad avere un cuore di carne? Le occasioni normali non bastano, perché Scrooge è impermeabile alle richieste che gli vengono dalla vita. Nella prima strofa Scrooge riceve quattro richieste: suo nipote lo va a trovare per invitarlo a casa il giorno di Natale, poi due uomini lo cercano per chiedergli della beneficienza, infine un ragazzino gli chiede una moneta, in ultimo il dialogo coll’impiegato, il povero Bob Cratchit, sul giorno di vacanza. Ma non c’è nulla da fare. Quelle richieste che la vita ci fa normalmente a tutti per aiutarci a convertirci, persone che chiedono, che incrociamo, cose che accadono, con Scrooge non funzionano.

Allora, se la vita normale con i suoi naturali meccanismi di decentramento non basta per smuovere Scrooge, c’è bisogno delle truppe speciali. E qui entrano in gioco i fantasmi. Titolo e Sottotitolo insieme recitano: Un canto di Natale in prosa, ovvero Storia di fantasmi per Natale. I fantasmi, gli spiriti, sono centrali nella storia che stiamo per raccontare. In realtà, di fantasma vero e proprio ce n’è uno, quello di Jacob Marley, perché i tre spiriti del Natale non sono anime di defunti, ma spiriti natalizi, come vedremo meglio dopo.

Jacob Marley, era il socio di Scrooge negli affari, morto sette anni prima, proprio in una notte di Natale. Non è una notte normale: i cristiani credevano che, in certi periodi dell’anno (Ognissanti, Natale), il velo che separa la terra dal purgatorio, dal paradiso, e perfino dall’inferno diventa più sottile, e le anime del Purgatorio (fantasmi) e demoni possono essere più facilmente visibili.

I fantasmi sono quelli che dalla vita sono usciti e quindi ora la vedono in modo diverso, più vero. Marley era esattamente come Scrooge, ma una volta morto si rende conto dell’assurdità della sua vita. Il “privilegio” di Scrooge è quello di vedere ciò che normalmente non vedeva e di “essere visitato”. Marley gli svela che in realtà era accanto a lui già prima, ma Scrooge non lo vedeva. Scrooge farebbe volentieri a meno della visita.

Il fantasma di Marley è avvolto da una pesante catena che si trascina appresso, e spiega a Scrooge che la catena se l’è fatta da solo, l’ha forgiata di sua volontà e di sua volontà la indossa. La catena che lo avvinghia è fatta di ciò che ha occupato le sue giornate i suoi pensieri e le sue azioni: forzieri, libri mastri, fatture, cambiali, sacchi di denaro. Le azioni che ha fatto gli restano attaccate addosso per sempre. Ciò a cui sempre ha pensato non può più lasciarlo. Le nostre azioni ci seguono.

Ma il grande cruccio di Marley non è la catena: è di non aver fatto in vita ciò che poteva. È ciò che non ha fatto che soprattutto lo sgomenta: il bene non fatto, la sofferenza di vedere, finalmente, il bene da fare e non avere più la possibilità di farlo. La prima strofa termina con Scrooge che alla finestra vede la notte piena di fantasmi sofferenti perché da vivi non vedevano nulla di ciò che accadeva loro intorno, mentre da morti vedono e non possono più aiutare chi ha bisogno. Ma a Marley viene data, misteriosamente, la possibilità di aiutare Scrooge: e Scrooge ha bisogno, ma non di un aiuto materiale, ha bisogno di essere avvertito, per uscire a sua volta dall’inganno. Ma, qui sta il punto, come il suo socio gli insegna, si esce dall’inganno solo morendo, come è morto Marley. Dunque Scrooge deve in certo modo morire, e deve rinascere. Di questa morte e risurrezione parla la storia.

Strofa Prima (parte prima)

Jacob Marley era morto: per cominciare. Su questo non c'è dubbio. Il registro mortuario recava la firma di Scrooge: e alla Borsa di Londra, la firma di Scrooge, era una garanzia assoluta. Il vecchio Marley era morto quanto un chiodo di porta.

Scrooge e il morto erano stati soci per non so quanti anni. Scrooge ne era l'unico amministratore, l'unico rappresentante legale, l'unico amico, l'unico partecipante alle esequie.

Scrooge non cancellò mai dall'insegna il nome del vecchio Marley. Parecchi anni dopo, sulla porta del negozio, si poteva ancora leggere "Scrooge e Marley".

Oh, ma quant'era avaro quello Scrooge sul lavoro, come spremevano, strappavano, agguantavano, scuoiavano, le mani di quell'avido vecchio peccatore! Duro e tagliente come una pietra focaia da cui nessun acciaio al mondo era mai riuscito a far sprizzare una scintilla di generosità; chiuso, sigillato, solitario come un'ostrica. Il freddo che si portava dentro gli gelava il volto decrepito, gli intirizziva il naso puntuto, gli rendeva grinzose le gote, gli irrigidiva il portamento, gli faceva rossi gli occhi, livide le labbra sottili. Sul capo, sulle sopracciglia e sull'ispido mento gli si depositava una gelida brina. La sua bassa temperatura se la portava sempre addosso;. Nessuno lo fermava mai per strada per dirgli < Caro Scrooge, come va? a quando una sua visita? > Ma che gliene importava a Scrooge! Anzi, ci provava gusto.

Una volta - nel più bel giorno dell'anno, la vigilia di Natale - il vecchio Scrooge era affaccendato nel suo ufficio. L'uscio dell'ufficio era aperto, per dargli modo di tenere d'occhio il suo impiegato il quale, dentro una lugubre cella poco più in là, una sorta di pozzo, era intento a copiare lettere.

Scrooge non aveva per sé che uno stento fuocherello, ma quello del suo impiegato era di tanto più stento da parere un solo misero tizzone. Né c'era modo di alimentarlo, perché il secchio del carbone se lo teneva Scrooge nella sua stanza, e se l'impiegato si azzardava a entrare con la paletta in mano, il padrone lo minacciava subito di licenziamento. E allora l'impiegato si avvolgeva intorno al collo la sua sciarpa bianca e cercava di scaldarsi alla fiamma della candela

< Buon Natale, zio! Dio ti benedica! > esclamò tutto a un tratto una voce piena di allegria. Era quella del nipote di Scrooge, piombato dentro al banco all'improvviso.

< Ma va! > rispose Scrooge < che sciocchezze! >

S'era così ben riscaldato, a furia di correre nella nebbia e nel gelo, questo nipote di Scrooge, che s'era fatto di fuoco: aveva un bel viso rubicondo, gli occhi gli lucevano e gli fumava ancora il fiato.

< Ma come, zio! Natale una sciocchezza! Tu non lo pensi di sicuro. >

< Lo penso eccome! Buon Natale, lieto Natale, ma che motivo hai tu di essere lieto? che diritto? Sei abbastanza povero, mi pare. >

< Che ragione hai tu di essere cupo? Sei abbastanza ricco, mi pare. >

Scrooge, non trovando lì per lì una risposta migliore, tornò al suo < Ma va, sciocchezze! >

< Non essere così irritato, zio >.

< Sfido io a non esserlo. Quando si ha da vivere in un mondo di pazzi come questo. Un Lieto Natale! Al diavolo il Natale con tutta la letizia! Cos’altro è il Natale se non un giorno di scadenze quando non si hanno soldi; un giorno in cui ti trovi più vecchio di un anno e nemmeno di un'ora più ricco; un giorno di chiusura di bilancio che, dopo dodici mesi, ti dà la bella soddisfazione di non trovare una sola partita all'attivo? Se potessi fare a modo mio; tutti gli idioti che vanno in giro con questo "lieto Natale" in bocca, li farei bollire in pentola col loro stesso pudding e poi sotterrare con uno stecco di agrifoglio piantato nel cuore. Te lo dico io! >

< Ma su, Zio! >

< Senti nipote! tu tieniti il tuo Natale a modo tuo, e lascia a me il mio. >

< Il tuo Natale! ma che Natale è il tuo? Non ne fai nulla tu!

< Allora lasciami in pace! Buon pro ti faccia! Te n'ha fatto tanto del bene finora, vero? >

< il fatto è che ho sempre considerato il Natale, ogni volta che è tornato, come un bel giorno, un giorno in cui ci si vuol bene, si fa la carità, si perdona e ci si diverte: il solo giorno del calendario in cui uomini e donne, per mutuo accordo, pare che aprano il loro cuore e pensino alla povera gente come a compagni di viaggio verso la tomba, non come a creature di un'altra specie destinate ad altri viaggi. Quindi zio, benché non me ne sia mai venuto in tasca il becco d'un quattrino, credo che il Natale m'abbia fatto del bene e me ne farà. Sia benedetto dunque il Natale!>

<Sei davvero un oratore coi fiocchi mi sorprende che non ti mandino in Parlamento. >

< zio, su, perché non vieni a cena da noi, domani sera? >

< Neanche morto > grugnì Scrooge.

< Ma zio, io non voglio niente da te, non ti chiedo niente: perché non possiamo essere amici? >

< Ti saluto!> disse Scrooge.

< Mi dispiace con tutto il cuore di trovarti così ostinato. Tra noi non ci sono mai state discussioni, ma ho voluto fare questo tentativo in omaggio al Natale, e il mio spirito natalizio lo serberò sino in fondo. Buon Natale, dunque, zio! >

< Buonasera > disse Scrooge.

< E buon anno per giunta! >

< Buonasera, > disse Scrooge.

Il nipote uscì dalla stanza senza una sola parola di risentimento. Si fermò un momento sulla soglia per fare gli auguri all'impiegato il quale, pur gelato com'era, doveva avere più calore di Scrooge, perché li ricambiò cordialmente.

< Eccone un altro > borbottò Scrooge che l'aveva sentito: < il mio impiegato, con quindici scellini a settimana, più moglie e figli, che parla di buon Natale. Cose da pazzi! >

In quel momento entrarono due gentiluomini di bell'aspetto che ora, col cappello in mano, erano in piedi davanti a Scrooge, nel suo ufficio. Tenendo in mano fogli e quaderni lo salutarono con un inchino.

< Scrooge e Marley's, non è vero? Ho il piacere di parlare con il signor Scrooge o col signor Marley? >

< Il signor Marley > rispose Scrooge < è morto da sette anni. Sette anni fa, questa stessa notte. >

< Non dubitiamo che la sua liberalità trovi nel socio superstite un degno rappresentante > disse il gentiluomo.

< liberalita? > disse Scrooge

< In questa festosa ricorrenza dell'anno, signor Scrooge > disse il gentiluomo impugnando una penna, < è più che mai auspicabile provvedere qualche modesto soccorso per i poveri e i derelitti che tanto soffrono. Ve n'è migliaia che mancano dello stretto necessario, centinaia di migliaia cui fa difetto il minimo benessere, signore. Scegliamo questo periodo dell'anno perché è un momento in cui il Bisogno si fa più acuto, mentre chi è nell'Abbondanza festeggia. Per che somma intende sottoscrivere? >

< Per nulla! > rispose Scrooge.

< Preferisce conservare l'anonimato? >

< Preferisco essere lasciato in pace. E visto che me lo chiedete, signori, ecco la mia risposta. Io non faccio felice neppure me stesso a Natale: non posso certo permettermi il lusso di far felici i fannulloni. Io dò il mio contributo alle prigioni e ai ricoveri di mendicità: costano già abbastanza; e chi si trova in miseria faccia ricorso a quelle.>

< Molti non sono in condizione di farlo > disse il gentiluomo < e molti preferirebbero piuttosto la morte. >

<In tal caso, si accomodino, così diminuirebbe l'eccesso di popolazione. Buonasera, signori! >

Visto che ogni altra insistenza sarebbe stata vana, i due gentiluomini si accomiatarono. Scrooge si rimise al lavoro con l’umore più lieto del solito.

Intanto la nebbia e l'oscurità si erano così infittite che individui armati di torce si aggiravano per le strade, offrendosi di far da guida alle carrozze. A quel punto un bambino, giovane proprietario di un affilato nasetto, rosicchiato e biascicato dal freddo famelico come un osso dai cani, si fermò davanti al buco della serratura di Scrooge per fargli omaggio di un canto di Natale:

Dio ti tenga, o buon signore,

Sano il corpo e allegro il core...

Scrooge afferrò il righello con tanta furia che il cantore scappò atterrito.

Alla fine arrivò l'ora di chiudere l'ufficio.

< Immagino > disse all’impiegato < che domani vorrai tutta la giornata libera, non è vero?>

< Se vi fa comodo, signore. >

< Non mi fa affatto comodo, e non è giusto. Se però io ti trattenessi una mezza corona, scommetto che ti sentiresti trattato ingiustamente, non è così? >

L'impiegato accennò un debole sorriso.

< Eppure, a te non pare che io sia trattato ingiustamente, quando ti pago il salario di una giornata in cambio di niente. >

L'impiegato osservò che ciò accadeva una volta sola all'anno.

< Bella scusa per infilare le mani nelle tasche d'un galantuomo ogni 25 di dicembre! Vada per tutta la giornata, poiché così ha da essere. Ma bada almeno di trovarti qui più presto che puoi l'indomani! >

L'impiegato promise che l'avrebbe fatto e Scrooge se ne uscì grugnendo. Detto fatto, il banco fu chiuso e l'impiegato, con i capi della lunga sciarpa bianca che gli spuntavano da sotto il farsetto se n'andò a fare una ventina di discese sul ghiaccio a Cornhill, al seguito di una brigata di ragazzi, per festeggiare la vigilia di Natale, e poi corse a casa a Camden Town, più in fretta che poté, per giuocare a mosca cieca.

Strofa Prima (parte seconda) Il fantasma di Marley

Scrooge cenò malinconicamente alla solita malinconica osteria e, dopo aver dato una scorsa a tutti i giornali, ed essersi gingillato per il resto della serata col suo libretto dei conti, rincasò per coricarsi.

Abitava le stanze che erano un tempo appartenute al suo defunto socio. Non vi abitava che lui: tutti gli altri locali erano affittati come uffici. La nebbia incombeva spessa davanti al portone scuro della casa.

Ora, è certo che il batacchio della porta, oltre ad essere massiccio, non aveva in sé niente di speciale. Si badi inoltre che Scrooge non aveva dedicato un solo pensiero a Marley. E allora qualcuno mi spieghi, se può, come avvenne che Scrooge, dopo avere infilato la chiave nella toppa, vide nel batacchio, senza che questo subisse la benché minima trasformazione, non più un batacchio, ma il volto di Marley.

Il volto di Marley. Non era immerso nell'ombra fitta, come ogni altra cosa intorno nel cortile, anzi irradiava una luce lugubre, come un'aragosta andata a male in una cantina buia. Fissava Scrooge come Marley era solito fare: con occhiali spettrali, sollevati sopra una fronte spettrale. Mentre Scrooge fissava attentamente il fenomeno, il batacchio tornò ad essere un semplice batacchio.

Scrooge afferrò di nuovo la chiave che aveva lasciato nella toppa, la girò risolutamente, entrò e accese la candela.

Ebbe – è vero – un momento di incertezza prima di chiudere la porta: lanciò prima un'occhiata prudente. La chiuse bene, attraversò l'ingresso e salì le scale con calma. Controllò le stanze una per una, per vedere se era tutto in ordine. Pienamente rassicurato, serrò la porta a doppia mandata, cosa che non era nelle sue abitudini. Al sicuro da ogni sorpresa, si sfilò la cravatta, si infilò la veste da camera, le pantofole e il berretto da notte; e sedette davanti al fuoco a bere la sua tisana.

Mentre poggiava il capo all'indietro sullo schienale della poltrona, gli accadde di posare lo sguardo su un campanello, un campanello fuori uso che pendeva dal soffitto. Con grande stupore, notò che il campanello cominciava a dondolare. E così lieve era sulle prime quel dondolio che quasi non si sentiva suono; ma ben presto squillò forte all'unisono con tutti gli altri campanelli della casa.

La cosa sarà forse durata mezzo minuto, un minuto: ma sembrò un'ora. Tutti i campanelli cessarono insieme come avevano cominciato. Seguì a quel suono un rumore di ferraglia dalle viscere della terra, come se qualcuno trascinasse una pesante catena. L'uscio della cantina si spalancò con gran fracasso; Scrooge poi udì un rumore molto più forte a pianterreno; poi lo udì salire per le scale; poi venire dritto verso la sua porta.

<Sciocchezze! > disse Scrooge. < Non ci voglio credere. >

Però si fece bianco quando, senza fermarsi, uno spettro trapassò la pesante porta e comparve nella stanza, davanti ai suoi occhi. Lo stesso volto, esattamente lo stesso: Marley col suo codino, il solito panciotto, la calzamaglia e gli stivaletti. La catena che trascinava lo stringeva alla cintola. Era lunga e gli s'avvinghiava attorno come una coda, ed era composta di cassette di sicurezza, chiavi, lucchetti, libri mastri, faldoni e pesanti borse con finiture di acciaio. Il suo corpo era così trasparente che, osservandolo e guardandolo attraverso il panciotto, Scrooge poteva distinguere i due bottoni sul retro della giacca. Scrooge aveva sentito dire spesso che Marley era un uomo senza cuore, ma finora non l'aveva mai creduto.

No, in effetti non ci credeva nemmeno ora. era sempre incredulo e si ribellava contro i propri sensi.

< Ebbene! > disse Scrooge, caustico e freddo come sempre. < Che cosa vuoi da me? >

< Molto! > Era la voce di Marley, nessun dubbio.

< Chi sei tu? >

< Domandami chi sono stato. >

< Chi sei stato, allora? Sei un tantino pignolo, per essere un'ombra. >

< In vita, sono stato il tuo socio: Jacob Marley. Ma tu non credi in me > osservò il fantasma.

< No. Potresti essere una mia propria creazione>

A queste parole lo Spettro emise un urlo spaventoso, e scosse la catena con così tetro e rovinoso fracasso, che Scrooge si tenne forte alla sedia per non cadere a terra svenuto. Ma come crebbe il suo terrore, quando lo spettro, si tolse la benda che gli fasciava il capo, quasi sentisse troppo caldo, e la mascella inferiore gli cascò sul petto! (stop musica, mascella)

Scrooge cadde in ginocchio nascondendosi il viso tra le mani.

< Pietà! > esclamò. < Orribile apparizione, perché mi tormenti? >

< Uomo di mente mondana! > rispose lo Spettro, < credi in me o no? >

< Credo, debbo credere. Ma perché mai gli spiriti errano sulla terra e perché vengono da me?>

< E' dovere di ogni uomo > rispose lo Spettro < che lo spirito che è in lui si incammini tra i suoi simili e viaggi in lungo e in largo; se non lo fa in vita, è condannato a farlo dopo morto. È dannato a errare per il mondo, - oh me sciagurato! - a testimoniare di cose che non può condividere, ma che avrebbe potuto condividere sulla terra e volgere in felicità!>

Di nuovo lo Spettro emise un grido, squassò la catena, e si torse le sue mani d'ombra.

< Sei incatenato > osservò Scrooge, tremando. < Perché? >

< Porto la catena che mi sono forgiato in vita > rispose lo Spettro. < L'ho fatta io stesso anello per anello, metro per metro; io l'ho cinta di mia volontà, e di mia volontà la indosso. Ti pare strano il suo modello? >

Scrooge tremava sempre più.

< O vorresti sapere il peso e la lunghezza della pesante spira che tu stesso porti? Sette vigilie di Natale fa era per l'appunto lunga e grave come questa. Ci hai lavorato intorno parecchio da allora. E' una catena pesante, adesso! >

< Jacob, mio vecchio Jacob Marley, parlami ancora. Dimmi qualche parola di conforto, Jacob! >

< Non posso darti alcun conforto Ebenezer Scrooge. Esso proviene da altri luoghi, altri ministri lo recano, altri uomini lo ricevono. A me non è concesso riposo, sosta o indugio in alcun luogo. Il mio spirito non varcò mai la soglia del nostro banco, bada bene! in vita il mio spirito non vagò mai oltre i limiti angusti del nostro stambugio. Ora faticosi viaggi mi attendono! Né riposo, né pace, ma l'incessante tortura del rimorso. >

< Ma tu, Jacob, sei sempre stato un bravo uomo d'affari, > balbettò Scrooge, < Gli affari! > disse lo Spettro < L'umanità avrebbe dovuto essere i miei affari. Ascoltami! La mia ora è quasi trascorsa. Sono qui stasera per avvertirti che hai ancora una possibilità e una speranza di sfuggire a un destino come il mio.  Riceverai la visita di tre Spiriti. >

< Io... io ne farei volentieri a meno.> disse Scrooge

< Senza la loro visita, > disse lo Spettro, < non avresti speranza di evitare il calvario che io percorro. Aspettati il primo per domani, quando la campana avrà battuto l'una. >

< Non potrei riceverli tutti e tre in una volta e farla finita, Jacob? >

< Aspetterai il secondo, la notte seguente alla stessa ora. Il terzo, la notte seguente ancora, quando l'ultimo tocco delle dodici avrà cessato di vibrare. Non aspettarti di rivedermi mai più>

Scrooge percepì dei rumori confusi nell'aria: suoni incoerenti di dolore e di disperazione; sospiri e lamenti di profonda angoscia e di rimorso. (musica) Dopo essere rimasto un attimo in ascolto, lo Spettro si unì al funebre coro, e poi si dileguò nella notte tetra e nera.

Scrooge corse alla finestra, mosso da una curiosità senza speranza, e guardò fuori. L'aria era piena di fantasmi che erravano qua e là senza posa, gemendo. Ciascuno, come lo spettro di Marley, trascinava una catena; alcuni erano incatenati insieme; nessuno era libero. Molti, da vivi, erano stati conoscenze personali di Scrooge. Era stato in stretta familiarità con un vecchio spettro in panciotto bianco, che portava un'enorme cassaforte di ferro attaccata alla caviglia, e che si disperava di non poter soccorrere una povera donna con un bimbo in braccio, che vedeva laggiù, sulla soglia d'una porta. Il supplizio di tutti loro era quello, senz'altro, di voler intervenire a fin di bene nelle faccende umane, ma di averne perduta per sempre la possibilità.

Scrooge chiuse la finestra (fine musica) ed esaminò la porta. Provò a dire: "Sciocchezze!" ma alla prima sillaba si fermò in tronco. E provando un gran bisogno di riposo, si buttò subito a letto senza nemmeno spogliarsi e si addormentò all'istante.

Introduzione alla Strofa seconda - Il primo fantasma

È possibile rinascere quando si è vecchi? È la domanda di Nicodemo a Gesù. Cosa serve per diventare uomini nuovi? Anzitutto bisogna rivisitare il proprio passato. E non da soli. Mentre Marley era un vero e proprio fantasma, cioè lo spettro di un defunto, il personaggio che visita Scrooge è uno spirito, lo Spirito del Natale passato. E non di un passato qualsiasi ma del suo passato, quello di Scrooge. Scrooge viene visitato dal proprio passato. Non entra da solo nel suo passato ma viene accompagnato.

I tre spiriti sono le tre dimensioni del tempo, il passato il presente e il futuro, che convergono nella stessa notte per cambiare il rapporto di Scrooge con loro. Non a caso è la notte di Natale, in cui l’Eterno entra nel tempo. Il tempo collassa, gli orologi impazziscono e tutto diventa presente a Scrooge, che viene accompagnato a considerare il proprio passato il proprio presente e il proprio futuro.

Dunque il primo Spirito è il passato di Scrooge. È un personaggio dolce, che lo tratta bene e gli dice chiaramente: “io sono qui per la tua redenzione”, un uomo deve essere liberato dalle catene che lui stesso si è forgiato.

Lo Spirito trasporta Scrooge nel suo passato e Scrooge viene anzitutto risvegliato da un tocco del fantasma alla bellezza dei sensi e, attraverso questa, alla memoria: “Quella sua stretta gentile, benché lieve e istantanea, aveva risvegliato la sensibilità del vecchio. Ebbe coscienza di migliaia di profumi fluttuanti nell'aria, ognuno legato a migliaia di pensieri, e speranze, e gioie, e preoccupazioni, da gran tempo dimenticate”.

La strofa presenta pochi quadretti: Scrooge bambino abbandonato ma non insensibile, poi poco più grande, disperato ma salvato dall’irruzione della sorellina, che è una visita della grazia. Poi adolescente ma non infelice, nella scena della festa di Natale dal suo vecchio datore di lavoro e infine già adulto e corrotto, nel momento in cui la fidanzata lo abbandona.

Rivedere il passato sconvolge Scrooge, che piange su se stesso, sul proprio dolore, ma gioisce anche di cose belle, di persone amate, e poi piange nel vedere, d’improvviso, la direzione che prende la sua vita, direzione che altri vedevano ma lui no: era cieco. Qualcosa ricomincia a muoversi nel suo intimo prima paralizzato, insensibile al caldo e al freddo. Il primo segno è il rimpianto: comincia a vedere se stesso negli altri e li compatisce. Si rammarica di aver maltrattato il ragazzino, il nipote, e l’impiegato. Lo Spirito accanto a lui lo aiuta a tirare fuori quello che succede dentro, a ridiventare sensibile.

Protesta contro lo Spirito perché non vuole rivedere più il suo passato, perché lo fa soffrire. Ma è necessario: riconoscere la bellezza che c’è stata nella propria vita e gioirne, riconoscere anche la sofferenza e soffrirne, vedere il proprio peccato e pentirsene. Io non sono sempre stato così! Sono stato triste, sono stato felice.

Ci sono gioie e dolori nella sua vita, ma non c’è un determinismo psicologico per cui la sua vita era triste e l’avarizia è una compensazione. Il contrario: è l’avarizia che piano piano rende la sua vita irrimediabilmente triste. Come sottolinea bene il dialogo con la fidanzata che lo lascia, è proprio un problema spirituale. La fidanzata denuncia l’idolo che regna nel suo cuore. Tu non eri così, gli dice, un idolo ti ha reso così, e questo idolo è l’oro. Ma non solo: la fidanzata gli dice che Scrooge ha paura del mondo perché sa che il mondo aborrisce la povertà e lui era povero. Eri povero, ma avevi me, ora per non essere più povero per paura che gli altri ti disprezzassero, hai rinunciato a tutto.

Il vecchio Scrooge è un uomo incapace di gioire e di soffrire, terrorizzato dal disprezzo degli altri e deciso a non soffrire mai più. I soldi sono un mezzo. Ma chi non accetta di soffrire non può nemmeno gioire. L’unica scelta che abbiamo è quella tra la sensibilità e l’insensibilità, tra il cuore di carne e il cuore di pietra.

Strofa Seconda Il primo dei tre Spiriti

Quando Scrooge si svegliò, le campane di una chiesa vicina suonarono i quattro quarti. Decise di restare sveglio finché non fosse passata l'ora. (lunga pausa) Ma l'attesa gli parve così lunga che più di una volta credette di essersi appisolato e di non avere sentito scoccare l'orologio. Alla fine, al suo orecchio teso nell'ascolto, giunse un suono.

< Din, don! >

< Mezzanotte e un quarto > disse Scrooge contando.

< Din, don! >

< Mezzanotte e mezza > disse Scrooge.

< Din, don! >

< Un quarto all’una > disse Scrooge.

< Din, don! >

< L’una precisa e non è successo niente! >

Aveva parlato prima che la campana suonasse l'ora, cosa che ora fece con un rintocco profondo, cupo e malinconico.

Una luce improvvisa balenò nella stanza e le cortine del letto furono scostate. Scrooge, balzando su a sedere, si trovò faccia a faccia con il visitatore ultraterreno che le aveva scostate, vicinissimo quanto io a voi, io che, in ispirito, sono al vostro fianco.

Era una strana figura... una sorta di bimbo, anzi non tanto un bimbo quanto un vecchio visto attraverso una lente soprannaturale che lo faceva apparire distante e ridotto alle proporzioni di un bimbo. Aveva capelli bianchi, fluenti sul collo e sulle spalle; ma non una ruga sul viso, e una pelle freschissima. Portava una tunica bianca immacolata, stretta alla vita da una cintura lucente dagli splendidi riflessi. Teneva in mano un ramoscello verde di agrifoglio e, per un singolare contrasto con quel simbolo invernale, la sua tunica era adorna di fiori d'estate.

< Sei tu lo Spirito di cui m'era stata predetta la venuta? > domandò Scrooge.

< Sì, sono io! >

Era una voce dolce e gentile, stranamente bassa come se, invece d'essere così vicina, venisse di lontano.

< Chi sei e cosa sei? > .

< Sono il fantasma del Natale passato. >

< Di un lontano passato? > chiese Scrooge, osservando la sua minuscola statura.

< No, del tuo passato. >

Scrooge trovò il coraggio di chiedere per che motivo fosse giunto fin lì.

< Per la tua redenzione>

Mentre quelle parole venivano pronunciate, passarono attraverso il muro ed ecco si trovarono in aperta campagna. La città era completamente scomparsa. Il buio e la nebbia s'erano dileguati, era una limpida e fredda giornata d'inverno, e la terra era coperta di neve.

< Buon Dio! > esclamò Scrooge giungendo le mani e guardandosi intorno. < Qui io sono cresciuto; qui sono stato fanciullo! >

Lo Spirito lo guardò con dolcezza e gli domandò: < Riconosci la strada? >.

< Se la riconosco! La potrei percorrere a occhi chiusi. >

E andarono per quella strada. Scrooge riconosceva ogni cancello, ogni albero, ogni palo; quand'ecco apparve in distanza un piccolo villaggio, col ponte, la chiesa, il fiume sinuoso. Videro avanzare al trotto certi cavallini villosi con in groppa dei bimbi che lanciavano richiami ad altri bimbi a bordo di calessi o rustiche carrette guidati da contadini. Tutti questi bambini erano eccitati e gridavano, Scrooge li riconosceva, chiamando ciascuno per nome. Perché si rallegrava tanto nel vederli? perché i suoi freddi occhi luccicavano? perché provò un'insolita dolcezza, udendoli augurarsi Buon Natale? Che importava a Scrooge del Buon Natale? Al diavolo il Buon Natale! Che bene gli aveva mai fatto?

Lasciarono la strada principale e si avvicinarono a un edificio di mattoni rossastri, la porta si aprì davanti a loro rivelando uno stanzone nudo e malinconico, reso ancor più nudo da file di banchi disadorni e di tavoli. Ad uno di questi, accanto a uno stento fuocherello, un bambino tutto solo stava leggendo; e Scrooge sedette su uno di quei banchi e pianse nel rivedere se stesso, misero, dimenticato, come era stato un tempo.

< Vorrei > balbettò, infilandosi le mani in tasca e guardandosi intorno, dopo essersi asciugato gli occhi con la manica, < vorrei... ma è troppo tardi ormai >.

< Che c'è? > domandò lo Spirito.

< Niente… Niente. Ieri sera è venuto un bambino alla mia porta a cantare una canzone di Natale. Vorrei avergli dato qualche cosa, ecco, tutto qui. >

Lo Spettro sorrise pensieroso e alzò la mano dicendo: < Vediamo un altro Natale. > (musica)

A quelle parole subito lo Scrooge di un tempo si fece più grande e la stanza si fece più buia e più sudicia ma lui era lì, di nuovo solo come prima, mentre tutti gli altri ragazzi erano andati a casa a godersi le loro beate vacanze.

Ora non leggeva, ma andava su e giù, disperato. Scrooge guardò lo spettro e poi, scuotendo tristemente il capo, volse lo sguardo ansioso verso la porta. La porta si aprì. Una bambina, molto più piccola di lui, entrò di corsa e gli gettò le braccia al collo baciandolo ripetutamente e chiamandolo: < Caro, caro fratello.>

< Sono venuta per portarti a casa, caro fratello! > disse la bambina battendo le manine e contorcendosi per il gran ridere. < Per portarti a casa, a casa, a casa! >

< A casa, piccola Fan? > domandò il ragazzo.

< Sì! > ribatté la bambina tutta raggiante di gioia. < A casa davvero, a casa, e per sempre. Il babbo ha detto di sì, che potevi tornare, e ora mi ha mandato a prenderti in carrozza. Presto sarai un uomo! e qui dentro non ci tornerai mai più, ma prima staremo insieme per tutto il Natale, e ci divertiremo un mondo!

< Sei una vera donna adesso, piccola Fan! > esclamò il ragazzo.

Lei batté le mani e rise,

< Una creaturina sempre delicata che un soffio avrebbe potuto appassire, > disse lo spettro < ma che gran cuore aveva! >

< Un gran cuore davvero! > ripetè Scrooge.

< Morì dopo essersi sposata > disse il Fantasma < ed ebbe dei figli, credo. >

< Uno solo > rispose Scrooge.

< Già, > disse il Fantasma < tuo nipote! >

Scrooge parve turbato e si limitò a rispondere: < Sì. >

Si erano appena lasciati la scuola alle spalle, e ora si trovavano già per le vie affollate di una città. Lo Spettro si fermò davanti alla porta di un magazzino e domandò a Scrooge se lo conosceva.

< Se lo conosco! > disse Scrooge. < Ho fatto l'apprendista qui dentro! >

Entrarono. Alla vista di un vecchio signore in parrucca che sedeva dietro uno scrittoio, Scrooge, in preda a grande agitazione, gridò:

< Ma è il vecchio Fezziwig! Dio lo benedica, è proprio lui in carne ed ossa! >

Il vecchio Fezziwig posò la penna e guardò l'orologio, che segnava le sette. Si fregò le mani, si aggiustò l'ampio panciotto, rise con tutto se stesso, dalla punta dei piedi fino alla punta dei capelli e poi, con voce pacata, morbida, ricca, grassa, gioviale, esclamò:

< Ehi, laggiù! Ebenezer! Dick! >

Lo Scrooge di un tempo, divenuto giovanotto, entrò svelto in compagnia del collega apprendista.

< È Dick Wilkins, sicuro! > disse Scrooge al Fantasma. < Signore benedetto, eccolo lì. Mi voleva un gran bene quel Dick. Povero Dick! caro, caro! >

< Evviva, ragazzi miei! > gridò Fezziwig. < Per stasera basta lavorare. La vigilia di Natale, Dick. Natale, Ebenezer! > esclamò il vecchio battendo allegramente le mani <presto, sbrighiamoci, su, vola! Fate largo, ragazzi, sgomberate tutto! Su, Dick! Animo, Ebenezer! >

Ed ecco entrare un suonatore di violino col suo libro di spartiti, arrampicarsi sulla monumentale scrivania e mutarla in orchestra, e accordare il suo strumento in maniera da far venire cinquanta mali di stomaco. Ecco la signora Fezziwig, la personificazione del sorriso. Ecco le tre signorine Fezziwig, raggianti e adorabili, seguite da sei corteggiatori a cui spezzavano i cuori. Ecco tutti i giovani e le giovani impiegate dell'azienda. Eccoli tutti, uno dopo l'altro. Ci furono danze e giochi di società, e poi ancora danze, e poi una torta, e poi il ponce, e un gran pezzo di arrosto freddo, e poi un altro gran pezzo di lesso freddo, e poi torte farcite con frutta secca e birra a profusione.

Quando l'orologio batté le undici, la festa familiare si sciolse. Il signore e la signora Fezziwig si schierarono ciascuno a un lato della porta per salutare con una stretta di mano gli invitati che uscivano via via, augurando a ciascuno Buon Natale. Quando tutti furono partiti, meno i due apprendisti, fecero la stessa cosa anche con loro; e così l'allegria delle voci si dileguò e i due ragazzi furono lasciati ai loro letti, sistemati sotto un banco del retrobottega.

Solo allora Scrooge si ricordò dello Spettro e si accorse che questi lo fissava,

< Che c'è? > chiese il Fantasma.

< Niente > rispose Scrooge.

< Eppure > insisté il Fantasma < qualcosa c'è. >

< No > disse Scrooge < no, solo che in questo momento vorrei poter dire una o due parole al mio impiegato! Tutto qui. >

Il suo antico se stesso spense i lumi mentre esprimeva quel desiderio; e Scrooge e lo spettro si trovarono di nuovo insieme all'aria aperta. (musica)

Scrooge rivide di nuovo se stesso.

Era più adulto, ora, un uomo nel fiore della vita. Il suo viso non aveva ancora i lineamenti aspri e duri dell'età matura; ma già mostrava i primi segni delle preoccupazioni e dell'avarizia. Aveva nell'occhio un che di ansioso, di avido, di irrequieto, che rivelava la passione che si andava radicando in lui e il luogo dove sarebbe caduta l'ombra dell'albero che cresceva. Non era solo, ma sedeva accanto a una bella fanciulla vestita a lutto. I suoi occhi pieni di lacrime brillavano alla luce che emanava dallo spettro.

< Non importa... > disse lei con dolcezza < a te importa ben poco, un altro idolo ha preso il mio posto... e se ti potrà rallegrare e consolare in futuro... come avrei cercato di fare io... non ho di che lamentarmi. >

< Quale idolo ha preso il tuo posto? > domandò lui.

< Un idolo d'oro. >

< Ecco come funziona questo mondo ingiusto! > disse lui < Non c'è nulla che aborrisca tanto quanto la povertà; e non c’è nulla che giudichi con maggiore severità quanto la ricerca della ricchezza! >

< Tu hai troppa paura del mondo > ribatté dolcemente la fanciulla. < Io ho visto le tue più nobili aspirazioni cadere ad una ad una fino a farti completamente assorbire dalla tua passione dominante, la brama di denaro. Non è forse vero? >

< E allora? che male c'è se sono divenuto più saggio? Verso di te non sono cambiato affatto. > Lei crollò il capo. < Sono forse cambiato? >

< È antica la nostra promessa. Ce la siamo scambiata quando tutti e due eravamo poveri e contenti della nostra povertà... in attesa di un tempo migliore in cui attraverso il nostro paziente lavoro, avremmo potuto migliorare la nostra condizione. Tu sì che sei cambiato. Allora eri un altro uomo. >

Lei se ne andò e così si separarono.

< Spirito! > disse Scrooge, < non mostrarmi altro! Portami a casa. Perché ti diverti a torturarmi? >

< Ti ho detto che queste sono ombre di cose che furono. > disse lo Spettro. < Non te la devi prendere con me, se sono quello che sono! >

< Portami via di qui! > pregò Scrooge. < Non ce la faccio più! >

Si rivolse allo Spettro e, vedendo che questi lo guardava con un viso nel quale, in qualche strano modo, si confondevano tutti i visi che gli erano apparsi finora, si scagliò contro di lui.

< Lasciami! Portami via. Smetti di perseguitarmi! >

poi ebbe la sensazione di trovarsi nel proprio letto. ebbe appena il tempo di avvoltolarsi nelle coperte, prima di cadere in un sonno profondo.

Introduzione alla Strofa terza - Il secondo fantasma

Lo Spirito del Natale presente conduce Scrooge in giro per la città, a guardare la gente che festeggia e che vive in modo speciale un giorno speciale. Questa era una cosa che Scrooge non sapeva ormai più fare da tanto tempo, perché, come dice Jacob Marley all’inizio, loro due se ne stavano sempre nel loro buco a contare soldi e a pensare ai soldi. E se non fosse stato per l’irruzione del soprannaturale nella sua vita, Scrooge non sarebbe uscito per nulla al mondo dal suo monotono e quotidiano giro casa-ufficio-borsa-casa.

Per Scrooge il tempo è uniforme, tutto uguale, perché è dominato dal suo idolo, il denaro, che uniforma tutto. Per una banconota da 50 euro i giorni sono tutti uguali, non c’è mattina o sera, non c’è la festa e la feria. Così anche l’uomo dominato dall’idolo denaro perché, dice la Scrittura, che chi si fabbrica un idolo diventa esattamente come il suo idolo.

Scrooge deve cambiare il suo rapporto con il presente, e soprattutto, deve imparare dove sta la felicità. Lo Spirito del Natale presente è allegro e festaiolo. Tutto in lui parla di allegria. Ma come dice nella prima strofa, il vecchio Scrooge è un uomo “che non fa felice neppure se stesso, figuriamoci gli altri”. Allora lo Spirito lo porta a vedere gente contenta. Lo porta a vedere delle feste, iniziando dalla casa del suo impiegato dove, nonostante la povertà, si festeggia. Questa è una cosa che Scrooge proprio non può capire. Similmente non capirà la festa a casa del nipote (che noi non ascolteremo) né le altre feste a cui lo Spirito lo condurrà in giro per il mondo. Eppure, piano piano si lascia trasportare e torna bambino (a casa del nipote si mette a giocare).

La famiglia Cratchit è la dimostrazione che il mondo di Scrooge è falso. Quel mondo in cui la felicità dipende da ciò che hai, che disprezza chi è debole (come lui era stato). I Cratchit sono poveri, sfortunati, e felici, perché hanno qualcosa che Scrooge ha perso: l’amore. Nessuno di loro è solo.

Appare uno dei personaggi centrali della storia, il figlio handicappato di Bob Cratchit, il piccolo Tim (Tiny Tim). Al centro della storia c’è questo bambino perché, dice Dickens, lo Spirito del Natale è uno spirito di fanciullezza, perché il suo creatore, cioè Gesù, era un bambino. Tiny Tim è molto amato da suo padre, proprio perché è il più debole della famiglia. Al contempo è anche il più sapiente e il papà racconta una frase che il figlio dice in chiesa, che rimanda direttamente a Gesù: in chiesa il piccolo Tim sperava che la gente lo vedesse, lui storpio, perché così tutti si sarebbero ricordati di Colui che fece camminare gli storpi e vedere i ciechi. Il piccolo Tim interpreta la sua malattia come un rimando diretto a Cristo, e si considera un’icona di colui che fa camminare gli zoppi. Lui è lo storpio. Ma Gesù fa anche vedere i ciechi… E chi è il cieco da guarire? Scrooge, che finalmente apre gli occhi.

Il secondo fantasma lo rimprovera apertamente, Scrooge è costretto a guardare la gioia e il dolore che sono nel mondo. Lo Spirito del Natale presente gli rinfaccia le sue stesse frasi ciniche sulla sovrappopolazione che ora, cominciato a cambiare il cuore, lo feriscono. Scrooge comincia a vedere, finalmente, a percepire la durezza del suo cuore, e a soffrirne. C’è oggi, un’altra vita là fuori, e lui comincia a capire che è possibile vivere altrimenti.

Siamo al secondo passo della sua conversione: si è risvegliata in lui la sensibilità ed è guarita la sua memoria; ora si rende conto dell’assurdità della sua vita e desidera cambiare: è guarita la sua volontà.

Strofa Terza Il secondo dei tre Spiriti

Quando la campana suonò l’una, Scrooge si svegliò. Era ancora nella sua stanza, nessun dubbio, ma l’ambiente aveva subito una mirabile trasformazione. Dalle pareti e dal soffitto pendeva una tale abbondanza di frasche verdeggianti da parere un vero boschetto. Su per il camino saliva ruggendo una vampa poderosa. Ammucchiati per terra, a formare una specie di trono, erano tacchini, oche, cacciagione, lunghe ghirlande di salsicce, torte farcite con frutta secca, castagne calde, e coppe di ponce fumante che annebbiavano la stanza col loro delizioso vapore. Comodamente adagiato su quel giaciglio era un allegro Gigante, magnifico a vedersi, che brandiva con la destra una torcia fiammante, a foggia di cornucopia, e la sollevava in alto, in alto, per gettare la sua luce su Scrooge.

< Avvicinati! > disse lo Spettro < Avvicinati! e impara a conoscermi, uomo! >

Scrooge si avvicinò timidamente e abbassò il capo davanti allo Spirito.

< Io sono il Fantasma di questo Natale, guardami! >

Scrooge reverente obbedì. Lo Spirito indossava una semplice toga verde scuro, o mantello che fosse, orlata di pelliccia bianca, drappeggiata così negligentemente che l'ampio torace sporgeva nudo. Sul capo non portava altro cappello che una ghirlanda d'agrifoglio ornata qua e là da ghiaccioli scintillanti. Lunghi e sciolti i suoi riccioli neri; liberi come il suo viso gioviale, lo sguardo scintillante, aperta la mano, allegra la voce, l'aria spontanea e sorridente.

< Tocca il mio mantello! > gli disse

Scrooge non se lo fece dire due volte e vi si aggrappò. (musica)

Tutto svanì all'istante ed eccoli per le vie della città la mattina di Natale. Di lì a poco le campane chiamarono tutta la brava gente in chiesa e alla cappella, ed eccoli giungere in frotta per le strade con gli abiti della festa e i loro visi più lieti. Proseguirono, invisibili, entro i sobborghi della città e lo Spirito e lo portò difilato a casa dell'impiegato di Scrooge. E giunto sulla soglia, lo Spirito sorrise e si fermò per benedire la dimora di Bob Cratchit con gli spruzzi della sua torcia. (fine musica)

Si alzò allora la signora Cratchit, la moglie di Bob, con indosso un povero abito rivoltato, ma tutto sgargiante di nastri, che costano poco e con sei pence ti fanno fare una gran bella figura.

< Ecco papà che viene, > gridarono i piccoli Cratchit. Ed ecco entrare il piccolo Bob, il padre, con almeno mezzo metro di sciarpa che gli penzolava davanti, con i suoi vestiti lisi fino alla trama e rammendati e spazzolati perché sembrassero di festa, e con Tiny Tim sulle spalle. Povero Tiny Tim! Era costretto a servirsi di una gruccia e le sue gambe erano ingabbiate in un apparecchio di ferro!

< Come s'è comportato il piccolo Tim? > domandò la signora Cratchit, dopo che Bob si fu saziato di abbracciare gli altri figli.

< Come un angelo, > rispose Bob, < e meglio ancora. A furia di starsene tanto tempo a sedere tutto solo, diventa meditativo e non ti immagini che strani pensieri gli vengono. Tornando a casa mi ha detto di avere sperato che la gente lo vedesse in chiesa, perché è storpio e sarebbe stato piacevole per loro, nel giorno di Natale, ricordare Colui che fece camminare gli zoppi e vedere i ciechi. >

Mentre diceva questo, a Bob tremava un poco la voce, e gli tremava ancor di più quando disse che Tiny Tim si andava facendo più sano e più forte.

Intanto i due piccoli Cratchit corsero in cucina a prendere l'oca al forno, ripiena di salvia e cipolla, con la quale tornarono di lì a poco in solenne corteo. I piatti furono serviti e fu detta la preghiera del ringraziamento. Seguì un momento di silenzio profondo, mentre la signora Cratchit, esaminando lentamente la lama del coltello, si preparava a immergerlo nel petto della bestia. Ma quando il colpo fu inferto e dallo squarcio fuoriuscì il tanto atteso fiotto di ripieno, un mormorio di gioia si levò tutt'intorno alla tavola, e lo stesso Tiny Tim, messo su dai due piccoli Cratchit, picchiò sulla tavola col manico del coltello e gridò un suo debole “Evviva”! La povera cena continuò con un pudding, non molto grande per la verità.

Poi Bob propose un brindisi:

< Buon Natale a tutti noi, miei cari. Dio ci benedica! >

E tutta la famiglia ripeté l'augurio.

< Dio ci benedica tutti quanti! > disse, ultimo di tutti, Tiny Tim.

Sedeva sul suo piccolo sgabello accanto al padre. Bob gli teneva la manina scarna come se, volendogli bene e desiderando tenerselo sempre vicino, avesse paura di vederselo portare via.

< Spirito, > disse Scrooge con insolita sollecitudine, < dimmi se Tiny Tim vivrà. >

< Vedo un posto vuoto all'angolo del povero focolare, - rispose lo Spettro - e una gruccia senza proprietario, gelosamente custodita. Se il Futuro non muterà queste ombre, il fanciullo morirà. >

< No, no, No, Spirito gentile! dimmi che sarà risparmiato. >

< Dopo tutto, se deve morire, è meglio che sia così, no? diminuirà la popolazione superflua. >

Scrooge abbassò il capo e fu sopraffatto dal rimorso e dal dolore.

< Uomo, > disse lo Spettro, < se di uomo è il tuo cuore e non di pietra, cessa questo tuo tristo linguaggio, finché non saprai cos'è il superfluo e dov'è. Oseresti tu forse decidere quali uomini debbano vivere, e quali morire? Può darsi che agli occhi del cielo, tu sia più indegno di vivere che non milioni di creature simili al bimbo di quel pover'uomo. Oh Dio! udire l'insetto sulla foglia dichiarare che c'è troppa vita fra i suoi fratelli affamati nella polvere! >

< Al signor Scrooge! > disse Bob; < un brindisi al signor Scrooge, patrono di questa festa! >

< Bel patrono davvero! > esclamò la signora Cratchit facendosi rossa in viso. < Bisogna proprio che sia Natale perché si debba bere alla salute di un uomo così odioso, avaro, duro, come quello Scrooge. E tu lo sai, Robert! nessuno lo sa meglio di te, poverino! >

< Mia cara , > disse Bob con dolcezza, < è Natale… >

< Berrò alla sua salute, ma per amor tuo e perché è Natale, > disse la signora Cratchit, < non per lui. Lunga vita a lui! Buon Natale e Felice Anno Nuovo! Starà certo allegro e felice, non ne dubito!>

Brindarono, e la loro immagine cominciò a dissolversi, mentre apparivano ancor più felici sotto la pioggia di spruzzi luminosi della torcia dello Spettro che si allontanava. Scrooge continuò a fissarli, soprattutto Tiny Tim, fino all'ultimo.

Calava intanto la notte e cadeva fitta la neve: e mentre Scrooge e lo Spirito andavano per le strade, era mirabile lo splendore dei fuochi scoppiettanti nelle cucine, nei tinelli, in ogni sorta di stanze. Ma fu per Scrooge una grande sorpresa udire una risata squillante. E riconobbe la voce del proprio nipote e si trovò in un stanza ben rischiarata, confortevole e luminosa,

< Ah, ah! > rideva cordialmente il nipote di Scrooge. < Ah, ah, ah! Ha detto, che Natale è una sciocchezza, vi giuro! E ci credeva pure! >

< Due volte vergogna per lui, Fred! > disse indignata la moglie.

< È buffo davvero il vecchio > disse il nipote di Scrooge, < questa è la verità> < Io non lo posso soffrire, > disse la moglie

< Oh, io sì invece! > disse il nipote. < Mi dispiace per lui, ma se anche ci provassi, non potrei avercela con lui. La conseguenza dell'antipatia che ha per noi e del rifiuto di festeggiare con noi è, io credo, che si perde dei momenti piacevoli che non gli farebbero male. È certo che si priva di una compagnia più piacevole di quanto possa trovare nei suoi pensieri, sia in quella stamberga umida del suo banco, che nelle stanze del suo appartamento piene di polvere. Ogni anno, gli piaccia o no, voglio offrirgli la stessa opportunità, perché ho pietà di lui. >

Dopo il thè fecero un po' di musica e poi si misero a giocare agli indovinelli; perché fa bene tornare qualche volta bambini, e più che mai a Natale, visto che il suo potente fondatore era lui stesso un bambino. Ci saranno state in tutto una ventina di persone, tra giovani e vecchi, ma tutti giocavano, e così fece Scrooge; il quale, scordandosi, nella foga del gioco, che la sua voce non aveva suono per i loro orecchi, a volte gridava la risposta all'indovinello, e spesso ci azzeccava anche.

Poi tutta la scena si dileguò all'istante, il campanile batté le dodici, Scrooge si guardò intorno cercando lo Spettro, ma non lo vide più. Come l'ultimo rintocco cessò di vibrare, si ricordò della predizione del vecchio Jacob Marley e, alzando lo sguardo, vide un solenne Fantasma, ammantato e incappucciato, che avanzava verso di lui, come nebbia che sfiori la terra.

Introduzione alla Strofa quarta - Il terzo fantasma

Il terzo fantasma, il Natale futuro, è muto. È un personaggio che incute timore e mostra a Scrooge un futuro triste. Scrooge ormai desidera cambiare, essere diverso da come è stato, e si aspetta di scoprire nel proprio futuro che effettivamente il cambiamento c’è stato. Ma il piano dello Spirito è ben altro.

Gli fa incontrare persone che parlano di un morto, gli fa vedere una salma abbandonata in una stanza buia, un cadavere abbandonato e infine lo conduce al cimitero. Scrooge è peggio di un mulo. Nonostante l’evidenza, si ostina a non capire di essere lui il morto del futuro, l’uomo solo. La sua lentezza nel comprendere è estenuante: viene da dire “ma come, non lo capisci che è il tuo futuro?”, “non vedi che sei tu il morto”. Ma non ce la fa, arriva fino a capire che questo può essere il suo futuro, non che questo è il suo futuro. Pensa ancora che tutta la questione sia stata capire che stava vivendo male, mentre questa era solo una parte della faccenda. È ottuso, come ogni uomo di fronte alla propria morte. Gli manca ancora lo spessore tragico della faccenda.

Non è l’unico morto, anche Tiny Tim è morto. Lo Spirito porta Scrooge a vedere la casa di Bob Cratchit dove ormai il piccolo Tiny Tim non c’è più. E Bob ora va più lento, perché era la pupilla dei suoi occhi. Tiny Tim è leggero da portare e fa camminare veloce, come Gesù che dice “il mio carico è leggero”.

Dickens ci sta raccontando cosa succede quando il Natale di Cristo accade nella vita di un uomo. Il Natale è la nascita di un bambino. Nella quarta e penultima strofa c’è una delle poche citazioni bibliche dell’opera. Il figlio maggiore di Bob Cratchit legge un vangelo mentre aspetta il ritorno a casa del papà, ormai senza il piccolo Tim che è morto.

Il ragazzo legge una frase del vangelo di Matteo (18,2-4) o di Marco (9,36), che Dickens riferisce chiaramente a Tiny Tim. Evoca il gesto di Gesù che prende un bambino come modello del discepolo.

«In quel momento i discepoli si avvicinarono a Gesù dicendo: "Chi dunque è più grande nel regno dei cieli?". Allora chiamò a sé un bambino, lo pose in mezzo a loro e disse: “In verità io vi dico: se non vi convertirete e non diventerete come i bambini, non entrerete nel regno dei cieli. Perciò chiunque si farà piccolo come questo bambino, costui è il più grande nel regno dei cieli. E chi accoglierà un solo bambino come questo nel mio nome, accoglie me”».

Perché un bambino è il modello del discepolo di Gesù? Non perché i bambini siano più buoni degli adulti, ma perché un bambino ha un rapporto meno filtrato con la vita, si stupisce, si spaventa, si commuove, si incuriosisce per ciò che si trova davanti.

La gravidanza del nuovo Scrooge è arrivata alla fine, manca il parto. E il parto è doloroso, è scioccante. Il vecchio Scrooge deve ancora finire di morire, e il nuovo deve finire di nascere. L’ultima scena della strofa si svolge al cimitero, dove lo Spirito lo conduce a vedere la tomba dell’uomo morto che aveva visto prima. Scrooge comincia a capire di essere lui il morto, vede il proprio nome sulla tomba e si terrorizza. Finalmente chiede: ma sono libero? Sono ancora libero di cambiare, o sono andato troppo oltre? Si rende conto di essere in realtà già morto e che quello che vede è ciò che giustamente e normalmente lo attende. Tutta la questione si concentra qui: Scrooge in ginocchio implora che gli sia data la possibilità di cambiare, un futuro aperto.

Se non si arriva a capire di non avere alcun diritto di poter cambiare, ma che è una possibilità gratuita, non si assapora la salvezza. Scrooge ormai è convertito e desidera cambiare. Alla fine chiede solo di poter sperare. Qui sta propriamente la salvezza: la possibilità di cambiare. Questo è il perdono. Se fosse solo un rendersi conto del male commesso e del bene omesso sarebbe una tragica condanna, un supplizio tremendo. Ora ciò che Scrooge desidera di più è la possibilità di ricominciare. Ma avere la possibilità di ricominciare non è un diritto, è un regalo, e Scrooge finalmente se ne rende conto e si attacca disperato allo Spirito.

Strofa Quarta L'ultimo degli Spiriti

Lento, grave, silenzioso, il fantasma si avvicinò. Nel vederselo davanti, Scrooge cadde in ginocchio. Un nero paludamento lo avvolgeva tutto, nascondendo alla vista il capo, il volto e ogni altra forma tranne una mano protesa in avanti. Lo Spirito era muto e immobile.

< Sono io in presenza dello Spirito dei Natali Futuri? > chiese Scrooge < Tu mi mostrerai le ombre delle cose non accadute, ma che accadranno nel tempo avanti a noi? E' così, Spirito? >

Per un attimo le pieghe della parte superiore del mantello si contrassero, come se lo Spirito avesse reclinato il capo. Fu questa la sua unica risposta.

< Spettro del Futuro! io ho più paura di te che di ogni altro Spettro mai veduto. Ma poiché so che la tua intenzione è benevola nei miei confronti, e spero di vivere tanto da diventare un uomo diverso da quello che sono stato, sono disposto con animo grato a tenerti compagnia. Non vuoi parlarmi dunque? >

Nessuna risposta. La mano accennava diritto avanti a loro.

< Guidami! > disse Scrooge. < Guidami! La notte declina, e il tempo è prezioso per me, lo sento. Guidami, Spirito! >

Il Fantasma si mosse lento e grave com'era venuto. E Scrooge lo seguì. Erano proprio lì, nel cuore della città: alla Borsa valori, in mezzo ai mercanti che correvano su e giù . Lo Spirito si arrestò accanto a un gruppo di uomini d'affari.

< No > diceva un omaccione grasso con tanto di mostruosa pappagorgia < non ne so molto in proposito, so solo che è morto.  Ieri notte, credo. >

< Che ne ha fatto dei suoi soldi? > domandò un gentiluomo dal viso rubicondo con un'escrescenza pendula sulla punta del naso, che tremolava come i bargigli d'un tacchino.

< Non lo so, > rispose l'uomo dalla pappagorgia, < li avrà lasciati alla sua Ditta. A me, no di sicuro. E' tutto qui quello che so. >

Grandi  risate generali.

< Il funerale sarà una cosa molto modesta. Però io mi offro di andarci, se ci viene qualcuno. Ora che ci penso, mi viene il dubbio di essere stato proprio io il suo amico del cuore, perché ogni volta che ci incontravamo, ci fermavamo sempre a scambiare due parole. Va be', arrivederci, arrivederci! >

Il gruppo si sciolse e si mescolò ad altri gruppi.

Scrooge Indietreggiò in preda al terrore perché la scena era mutata ed ora era vicino a un letto, un letto nudo, senza cortine, sul quale, sotto un lenzuolo sbrindellato, giaceva qualcosa.

La stanza era buia, troppo buia per poterla scrutare attentamente, Un raggio di luce fioca, proveniente dall'esterno, cadeva dritto sul letto: e sul letto, derubato, spogliato, non vegliato, non pianto, trascurato, giaceva il corpo di un uomo. Scrooge diede un'occhiata al Fantasma. La sua mano immobile indicava la testa del morto. Il sudario era così negligentemente avvolto che se Scrooge l'avesse appena sollevato con un dito, ne avrebbe svelato il viso. Ci pensò, capì che sarebbe stato facile, si struggeva anzi dalla voglia di farlo; ma non aveva maggior potere di rimuovere quel velo che di allontanare da sé lo Spettro.

< Spirito! > disse, < questo luogo è spaventoso. Lasciandolo, non dimenticherò la sua lezione, credimi. Ma andiamo via! >

Lo Spirito teneva sempre il dito puntato verso la testa del morto.

< Capisco cosa vuoi, > rispose Scrooge, < e lo farei se potessi. Ma non ne ho la forza, Spirito, non ne ho la forza. >

Di nuovo gli sembrò che lo Spirito lo guardasse.

< Fammi vedere un po’ di tenerezza connessa a questa morte > disse Scrooge all'estremo dell'angoscia, < o il ricordo di questo appartamento buio non finirà di perseguitarmi! >

Il Fantasma distese per un momento la sua veste scura come un'ala davanti a lui e, ritraendola, rivelò la casetta del povero Bob Cratchit, che avevano già visitato: vi trovarono la madre e i figli riuniti intorno al fuoco.

Tranquilli, molto tranquilli. I piccoli Cratchit, un tempo tanto rumorosi, se ne stavano in un angolo, immobili come statue, guardando Peter che era intento a leggere da un libro. Madre e figlie cucivano. Ma erano tutti molto tranquilli!

“Ed Egli prese un bambino e lo pose in mezzo a loro”. Dove aveva udito quelle parole Scrooge? Non le aveva sognate. Forse il ragazzo le stava leggendo ad alta voce, mentre lui e lo Spirito varcavano la soglia. E perché ora non continuava? (…)

< E’ già passata l’ora in cui il babbo torna a casa, > disse Peter chiudendo il libro. < Mi pare, mamma, che da qualche sera in qua il babbo cammini meno svelto del solito. >

Stettero di nuovo in silenzio. Finalmente, con voce ferma e allegra, che le tremò solo per un attimo, la madre disse: < Mi ricordo quando camminava... quando camminava portandosi Tiny Tim sulle spalle... andava svelto davvero. Ma era molto leggero da portare, > continuò, china sul lavoro, < e il babbo gli voleva tanto bene che non gli dava nessun fastidio... per niente. Ah, eccolo che viene! >

Gli corse incontro, e il piccolo Bob, con la sua sciarpa al collo - ne aveva bisogno, poveraccio! - entrò. Il suo thè era pronto sulla mensola del camino, e tutti fecero a gara per servirglielo. Poi i due piccoli Cratchit gli montarono in braccio, e gli posarono le piccole guance sul viso, una di qua e una di là, come per dire: "Dai, babbo, non ci pensare, non essere triste!"

< Allora ci sei andato oggi, Robert? > esclamò la moglie.

< Sì, cara, > rispose Bob. < Mi sarebbe piaciuto che tu fossi potuta venire. Ti avrebbe fatto bene vedere tutto quel verde. Ma avrai occasione di vederlo spesso. Gli ho promesso di andarci tutte le domeniche. Piccolo, piccolo bambino! > singhiozzò Bob < Mio piccolo bambino. > All'improvviso scoppiò in lacrime. Non riuscì a trattenersi. Se ce l'avesse fatta, lui e il suo bambino sarebbero stati molto più lontani di quanto non fossero.

< Spettro > disse Scrooge, < qualcosa mi dice che il momento della nostra separazione è vicino. Lo so senza sapere come. Dimmi, chi era l'uomo che abbiamo visto sul letto di morte? >

Lo Spettro dei Natali lo accompagnò finché giunsero a un cancello di ferro. Prima di entrare, si guardò intorno.

Un cimitero. Giaceva qui, dunque, sottoterra, lo sciagurato di cui ora avrebbe appreso il nome. Un bel posto davvero! Murato tra le case, invaso dalle erbacce nutrite dalla morte e non dalla vita, soffocato dalle troppe sepolture, grasso fino alla nausea. Un bel posto davvero!

Lo Spirito si inoltrò fra le tombe puntandone una col dito. Scrooge vi si accostò tremando. Il Fantasma era sempre esattamente lo stesso, ma Scrooge ebbe paura di intravvedere un significato nuovo nel suo aspetto solenne.

< Prima di accostarmi alla pietra che tu indichi, > disse Scrooge, < rispondi a una sola domanda. Queste, sono le ombre delle cose che saranno o delle cose che potrebbero essere? >

Lo Spettro continuò a indicare la tomba. immobile come sempre. Scrooge avanzò tremando e, seguendo il dito, lesse sulla pietra della tomba negletta il proprio nome: EBENEZER SCROOGE.

< Sono io l'uomo che giaceva sul letto? - gridò cadendo in ginocchio.

Il dito accennò dalla tomba a lui e da lui alla tomba.

< No, Spirito! Oh no, no! >

Il dito era inesorabile.

< Spirito! > gridò aggrappandosi con forza al suo mantello, < ascoltami! Io non sono più lo stesso uomo di prima. Io non sarò più l'uomo che sarei stato senza il tuo intervento. Perché mostrarmi tutto questo, se per me non c'è più speranza? >

Per la prima volta la mano parve tremare.

< Spirito benigno, la tua buona natura intercede per me, e ha pietà di me. Dimmi, che io posso ancora, mutando vita, cambiare queste ombre che mi hai mostrato! >

La mano gentile tremò.

< Io onorerò sempre il Natale nel mio cuore, ne serberò lo spirito tutto l'anno. Vivrò nel Passato, nel Presente e nel Futuro. Tutti e Tre gli Spiriti saranno sempre presenti in me. Non mi scorderò delle loro lezioni. Dimmi, che mi sarà dato cancellare la scritta su questa pietra! >

Nell'angoscia che lo straziava, afferrò la mano spettrale. Questa cercò di divincolarsi dalla stretta: Scrooge, tenace nella sua supplica, la stringeva forte, ma Lo Spirito, più forte di lui, lo respinse.

Scrooge notò una trasformazione nel cappuccio e nel manto del Fantasma, che si rattrappì, crollò e si ridusse a una colonnina del suo letto.

Introduzione alla Strofa quinta - Come andò a finire

Nella quinta strofa, la risurrezione. La libertà di poter ancora decidere il proprio destino. La scoperta di non essere condannato.

Scrooge si risveglia nel suo letto. Il fantasma di Marley gli aveva annunciato la visita di tre fantasmi in tre notti successive. Ma in realtà Scrooge scoprirà che si è svolto tutto in una sola notte. Una notte santa questa per il protagonista, una notte in cui tutto cambia. La storia della salvezza è piena di queste notti in cui Dio e l’uomo si incontrano, notti da raccontare. Pensiamo alla notte in cui Abramo stipula l’alleanza con Dio, alla notte in cui Giacobbe lotta con l’angelo, alla notte in cui Dio fa uscire gli ebrei dall’Egitto, alla notte in cui nasce Gesù e a quella in cui risorge. Una notte santa cambia la storia. Un canto di Natale è il racconto della notte santa che ha cambiato la vita di un uomo.

Il nuovo Scrooge dice: sono un uomo nuovo, vivrò nel passato nel presente nel futuro. Si è riappropriato del tempo, il tempo è suo! La gioia è per lui insolita, non è abituato a vedere il mondo e a gioirne, non sa bene cosa fare. È un uomo vivo ora, capace di avere pietà degli altri, ma soprattutto capace di gioire: camminando per le vie della città nella mattina di Natale «s’accorse che ogni cosa gli poteva far piacere». È un uomo che «ride in fondo al cuore», un uomo buono, un uomo che sa fare festa.

Se dovessimo scegliere un versetto del vangelo come filo rosso che attraversa Un canto di Natale, potremmo prendere proprio quello che Dickens cita nella penultima strofa, nella scena a casa Cratchit: Gesù prende un bambino e dice «In verità io vi dico: se non vi convertirete e non diventerete come i bambini, non entrerete nel regno dei cieli» (Mt 18,3). Convertirsi è diventare bambini. Non perché i bambini siano più buoni degli adulti, ma perché hanno un rapporto più diretto con la vita. E, soprattutto, perché diventare bambino vuol dire rinascere, perché essere bambino vuol dire essere nato da poco. Scrooge è rinato. E, nel paradosso di Dio, diventare bambino coincide col diventare padre, capace di prendersi cura di un altro. Scrooge, si dice alla fine, fu per Tiny Tim come un padre. Ha cominciato cioè ad assomigliare al Padre celeste.

Strofa Quinta La fine della storia

Sì! E quella colonnina di letto era la sua. Suo il letto, sua la stanza. E, cosa più bella e più fortunata di tutte, era suo il Tempo che aveva davanti, suo, per emendarsi!

< Vivrò nel Passato, nel Presente e nel Futuro! > ripeté Scrooge balzando fuori del letto. <Tutti e tre gli Spiriti si adopereranno dentro di me. O Jacob Marley! Sia lodato il Cielo e il giorno di Natale per questo! Lo dico in ginocchio, vecchio Jacob, in ginocchio! >

Le sue mani intanto si accanivano sui suoi vestiti: li rovesciava, se li infilava al contrario, li strappava, li perdeva di vista, li piegava ad ogni tipo di stravaganza.

< Non so più cosa faccio > esclamò ridendo e piangendo allo stesso tempo < Mi sento leggero come una piuma, felice come un angelo, allegro come uno scolaretto. Sono stordito come un ubriaco. Buon Natale a tutti! Buon Anno al mondo intero. Evviva! >

Era entrato saltellando in salotto e ora se ne stava lì, del tutto senza fiato.

< Ecco la porta da dove è entrato il fantasma di Jacob Marley > saltellava intorno al caminetto < Ecco l’angolo dove si è seduto lo Spirito di questo Natale! Da questa finestra ho visto gli Spiriti erranti! E’ tutto esatto, è tutto vero, tutto è accaduto. Ah, ah, ah! >

Davvero per un uomo che da tanti anni era giù di allenamento, quella fu una splendida risata, una risata altisonante: la madre di tutta una serie di magnifiche risate!

< Non so che giorno del mese sia oggi > disse Scrooge < Quanto tempo sono stato tra gli spiriti? Non so nulla, sono come un bimbo. Non m’importa. Meglio essere un bambino! Ehilà! Evviva! >

Fu interrotto, nelle sue effusioni, dalle campane della chiesa che diffondevano nell’aria il più lieto scampanio che avesse mai udito. Che meraviglia! Corse alla finestra, l’aprì, mise fuori la testa. Niente nebbia, nessuna foschia, un freddo limpido, cristallino, allegro; un freddo che insinuava nelle vene voglia di ballare; un sole d’oro, un cielo di paradiso, un’aria dolce e fresca, un allegro scampanio! Oh, meraviglia, meraviglia!

< Che giorno è oggi? > gridò Scrooge a un ragazzo che passava vestito a festa e che forse s’era fermato a guardarlo.

< Cosa? >

< Che giorno è oggi, amico mio >.

< Oggi… ma è Natale. >

< E’ Natale? Allora sono ancora in tempo. Gli Spiriti hanno fatto tutto in una notte, già, loro possono fare tutto quel che vogliono, è naturale. Ehi, amico mio! Sai dov’è la polleria, all’angolo con la prima traversa? >

< Lo so, sì. >

< Un ragazzo intelligente, un ragazzo in gamba. Sai se hanno già venduto quel tacchino strepitoso che ieri stava appeso in vetrina? Non quello piccolo eh, ma quello grosso, enorme? >

< Quale, quello grosso come me? > domandò il ragazzo.

< Ah, che amore di ragazzo. E’ un piacere parlare con lui > disse Scrooge < Sì carissimo!>

< E’ sempre lì appeso > rispose il ragazzo.

< Vai subito a comprarlo >

< Sta scherzando! >

< No, no, > disse Scrooge < dico sul serio. Vai a comprarlo, digli di portarmelo qui, che poi gli do io l'indirizzo per la consegna. Tu, torna con l'uomo della polleria e io ti dò uno scellino. Torna in meno di cinque minuti e ti darò mezza corona! >

Il ragazzo partì come una fucilata. Ci voleva una mano ben ferma sul grilletto per sparare un colpo così fulmineo.

< Lo manderò a Bob Cratchit > borbottò Scrooge, fregandosi le mani e scoppiando a ridere. < Non deve sapere però chi è che glielo manda. E’ grosso il doppio di Tiny Tim. Non esiste scherzo più bello di questo! >

Mentre aspettava lo sguardo gli cadde sul batacchio.

< Gli vorrò bene finché campo! > disse, carezzandolo. < Non ci avevo mai fatto caso prima, che aria simpatica e onesta su quel volto! Che bellissimo batacchio. Oh, ecco il tacchino, Olà! Evviva! Ehi, come va? Buon Natale! >

< Ma non ce la fai a portare questa roba fino a Camden Town > disse Scrooge < Qui ci vuole una carrozza. >

Pagò il tacchino, pagò la carrozzella, diede la mancia al ragazzo, si lasciò andare di nuovo senza fiato sul suo seggiolone e rise, e rise, fino alle lacrime.

Si vestì col meglio che aveva e uscì. A quell’ora la gente si riversava nelle strade. Camminando con le mani dietro la schiena, Scrooge guardava tutti con un sorriso divertito. Aveva un’aria così irresistibilmente simpatica, che tre o quattro tipi ameni lo salutarono “Buon giorno, signore! Buon Natale!” E Scrooge ebbe spesso a dire in seguito che di tutti i suoni giocondi uditi in vita sua quelli erano stati per lui i più giocondi.

Nel pomeriggio si avviò alla casa del nipote. Passò davanti alla porta una dozzina di volte prima di trovare il coraggio di salire e bussare. Ma si fece animo e bussò.

< E’ in casa il tuo padrone? > domandò alla domestica.

< Sì, signore >

< Dov’è, tesoro? >

< E’ in sala da pranzo, signore, con la signora. Venga, si accomodi, prego, le faccio strada. >

< No, grazie, non importa, lui mi conosce, > disse Scrooge con la mano già sulla maniglia della porta. < Mi faccio strada da solo. >

Girò la maniglia delicatamente e fece capolino attraverso l’uscio socchiuso. Marito e moglie stavano osservando la tavola tutta sfarzosamente imbandita, perché... eh sì... questi giovani sposi sono sempre molto meticolosi in certe cose, ed esigono che tutto fili alla perfezione.

< Fred > disse Scrooge.

< Oh povero me! Chi è mai? > esclamò Fred.

< Sono io, lo zio Scrooge. Sono venuto a cena. Posso entrare, Fred? >

Se poteva entrare! Fu un miracolo che non gli staccasse un braccio. Nel giro di cinque minuti Scrooge si trovava come a casa propria. Niente di più cordiale. che serata meravigliosa, che giochi divertenti, che mirabile armonia, che meravigliosa felicità.

Il giorno dopo Scrooge si recò presto in ufficio. Presto sul serio. Voleva arrivarci a tutti costi prima di Bob Cratchit, e rinfacciargli di essere in ritardo! L’orologio suonò le nove. Niente Bob. Le nove e un quarto. Niente Bob. Era in ritardo di ben diciotto minuti e mezzo. Scrooge se ne stava con la porta spalancata per poterlo vedere arrivare e infilarsi nel suo pozzo.

Prima di aprire l’uscio Bob si era tolto il cappello e la famosa sciarpa. In un baleno si trovò sul suo sgabello e si mise a scribacchiare a tutto spiano come per riafferrare le nove che erano fuggite.

< Ehi! > grugni Scrooge < Che diavolo ti piglia di arrivare a quest’ora in ufficio? >

< Mi dispiace molto, signore. Sono in ritardo >.

< Sei in ritardo? Lo vedo che sei in ritardo. Vieni un momento di qua se non ti dispiace. >

< Capita solo una volta all’anno, signore > si scusava Bob uscendo dal suo pozzo. < Non accadrà mai più. Ieri sera ho festeggiato un po' in allegria >

< Bravo, adesso però ti voglio dire una cosa, > disse Scrooge. < Io non sono più disposto a tollerare questa situazione, hai capito? E quindi… e quindi mi dispiace, ma ho deciso... di aumentarti il salario! >

Bob tremò e si accostò un po' di più al righello di legno. Gli passò fulminea per la mente l’idea di darglielo in testa, immobilizzarlo, chiamare gente dalla strada e fargli mettere la camicia di forza.

< Buon Natale, Bob. Un Natale, Bob, molto più lieto di quanti non te ne abbia mai augurati per tanti anni. Ti aumento il salario e ti prometto che farò di tutto per aiutare la tua famiglia che fa tanti sacrifici; oggi stesso discuteremo la tua situazione davanti a una bella coppa natalizia di brulè fumante. Accendi i fuochi, e vai subito a comprare un'altra cesta di carbone, prima di mettere un altro solo puntino su una i. >

In effetti Scrooge mantenne abbondantemente la parola. Fece quanto aveva detto e infinitamente di più. E per Tiny Tim fu come un secondo padre. Divenne un così buon amico, un così buon padrone, un così buon uomo, come se ne davano un tempo nella buona vecchia Londra, o in qualunque altra vecchia buona città, paese o borgo nel buon vecchio mondo. Qualcuno rise del suo cambiamento, ma lui li lasciò ridere e li tenne in poco conto perché sapeva bene che nulla di buono è mai successo a questo mondo senza che qualcuno, sulle prime, non trovi da ridere a sazietà. Anche lui, in fondo al cuore, rideva: e questo gli bastava. Con gli Spiriti non ebbe più nulla a che fare: da quel momento in poi visse secondo il principio di assoluta temperanza. E di lui fu sempre detto che non c’era uomo al mondo che sapesse altrettanto bene festeggiare il Natale. Che altrettanto possa dirsi di noi, di tutti noi! E, come disse Tiny Tim, Dio ci benedica tutti quanti.

Note al testo

[1] Traduzione di Alberto Rossatti, Il Narratore audiolibri, confrontata con quella di Davide Sala, Giunti.