Jean-Jacques Rousseau: tra etica e politica. La democrazia italiana regredisce all’idea di democrazia di Rousseau?, di Francesco Occhetta
Riprendiamo dal sito di Francesco Occhetta un suo testo pubblicato il 23/4/2013: esso riprende a sua volta un estratto dell’articolo pubblicato da Occhetta su Civiltà cattolica, Quaderno N°3908 del 20/04/2013 - (Civ. Catt. II 105-208). Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line. Per approfondimenti su Rousseau, vedi su questo stesso sito Da Platone a Tocqueville. Tredici lezioni sui classici del pensiero etico-politico, di Stefano De Luca. Per ulteriori approfondimenti ancora, vedi la sezione Storia e filosofia.
Il Centro culturale Gli scritti (5/5/2013)
Casa natale di
Jean-Jacques Rousseau a Ginevra
Rousseau (Ginevra, 28 giugno 1712), tra gli autori più discussi e studiati nella storia. La sua proposta etica e religiosa (era un teista) hanno influito sulla sua visione della politica e della democrazia.
La sua penna secolarizza, per la prima volta nella storia, la politica e il diritto. Secondo il ginevrino, infatti, non è l’uomo che deve convertirsi ma è la politica che si deve redimere.
Geniale e ossessivo, intuitivo ed esibizionista ci lascia una proposta di democrazia moderna fatta di intuizioni e contraddizioni su cui è utile riflettere per nutrire il nostro sistema democratico
Per Rousseau lo Stato è la via di uscita politica per porre rimedio a quelli che considera i due grandi male sociali: vincere la solitudine per incontrare altri uomini in società e superare la disuguaglianza creata dalla proprietà privata.
La sua antropologia non riconosce un limite: vedere annidato il male nel cuore dell’uomo. Così per il ginevrino il male si trova solo nelle strutture politiche, che devono quindi essere riformate e cambiate.
Ingenuamente anche oggi molti politici sono indotti a pensare che non occorre una conversione morale e una nuova auto-comprensione dell’umano, ma è necessaria la trasformazione delle strutture politiche.
La dimensione religiosa e ancora di più quella spirituale che potrebbero cambiare il cuore dell’uomo, insegnargli a distinguere il bene dal male e a conoscere Dio, per Rousseau devono essere invece legate alla politica che diventa per l’uomo la vera religione.
Sono dunque le strutture politiche che dovrebbero essere «convertite» per espellere il male dalla storia, non gli uomini che le governano. Una chimera? Si e no. Costruire lo Stato per Rousseau diventa per il pensiero del ginevrino un atto religioso che non tocca il cuore del cittadino. Per questo alcuni studiosi sono inclini a ritenere che Rousseau secolarizzi il pensiero teologico introducendo l’idea di democrazia moderna .
Ma attenzione a non riporre troppe speranze nelle strutture ignorando di formare e costruire chi le abita. Su questo punto Rousseau è ingenuo. La democrazia, che si fonda sul contratto sociale, diventa in Rousseau lo strumento di redenzione e liberazione dal male; i cittadini non cedono la loro libertà e i loro diritti a un sovrano come riteneva Hobbes, ma alla collettività che li farà ritrovare insieme a tutti gli altri cittadini.
Così la democrazia è per Rousseau quella forma di Stato in cui il popolo è allo stesso tempo sovrano e suddito. Per realizzare questa intuizione la sovranità deve essere esercitata direttamente dal popolo tramite procedure che garantiscano il principio di l’autodeterminazione dei singoli che devono realizzare il programma definito dall’interesse generale.
L’ambito è teleologico: in origine c’è una situazione buona (lo stato di natura), segue una caduta (la nascita della proprietà), ne consegue che per redimersi l’uomo deve far nascere lo Stato democratico. Della redenzione non ha bisogno l’uomo, perché è buono, ma la politica, perché il male della storia, che si radica nella proprietà, appartiene alla sfera giuridica.
Proprio qui però si radica la seconda contraddizione del suo pensiero: tutti possono esercitare i diritti di tutti; e se questi non sono concordi?
Che cos’è in realtà la «volontà generale» su cui si sono fondate le moderne democrazie? È formalmente la guida dello Stato democratico, quella che il bene comune della collettività e che si distingue dalla volontà di tutti.
La maggioranza va distinta dalla minoranza e la sua volontà coincide tendenzialmente con la volontà generale. Questa è rappresentata della «classe media», non da intendere come la classe borghese, ma quella che in una votazione si determina togliendo le parti estreme.
L’interpretazione di questa scelta ha portato ad applicazioni storiche opposte: il pensiero liberal democratico ha fatto coincidere la volontà della maggioranza con la volontà generale; i totalitarismi e le dittature come quelle di Napoleone e di Marx, hanno ritenuto che la volontà generale venisse intuita da personalità carismatiche.
Nel pensiero di Rousseau è mancato un ponte che collegasse la vita privata dell’uomo, la dimensione, per lui importante, della coscienza e dei buoni sentimenti, con la costruzione della città. È questa l’urgenza di cui hanno bisogno le moderne democrazie per riformarsi.