Oltre il triste rogo. La querelle su Giordano Bruno: due articoli di Corrado Augias e Pierluigi Panza
Riprendiamo sul nostro sito, pur non condividendoli integralmente ed al solo scopo di favorire la discussione, due articoli che trattano del pensiero e della vita di Giordano Bruno prima del triste rogo che pose fine alla sua esistenza. Per approfondimenti, vedi la sezione Storia e filosofia.
Il Centro culturale Gli scritti (21/4/2013)
1/ Giordano Bruno, doppiogiochista o martire, di Pierluigi Panza
Riprendiamo dal Corriere della sera del 30/8/2005 un articolo scritto da Pierluigi Panza. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line.
Il Centro culturale Gli scritti (21/4/2013)
Spia e doppiogiochista a caccia di cattedre universitarie per l'Europa o filosofo della natura che pagò con la vita la sua indifferenza alle fedi religiose? Che Giordano Bruno finisca periodicamente sotto processo è iscritto sia nel Dna del suo pensiero, che si muove in quell'«universo delle somiglianze» (Foucault) in cui è implicita la molteplicità delle interpretazioni, sia nel tragico epilogo della sua vita errabonda: arso vivo a Roma in Campo de' Fiori il 17 febbraio 1600 per sentenza della Congregazione del Santo Uffizio sotto papa Clemente VIII.
Questo ha reso oggi l'autore del De vinculis un «nodo» che si ingarbuglia appena si toccano i temi del libero pensiero e del rapporto tra Scienza e Chiesa. Il caso-Bruno, che oggi viene riaperto dalle opposte posizioni di Francesco Agnoli - per il quale la fama di Bruno è «dovuta al fascino della sua morte, più che alla sua produzione culturale» - e Nuccio Ordine - secondo cui «Bruno è un vero libero pensatore sino al sacrificio della vita» - inizia nel 1964, quando Frances A. Yates pubblicò un libro illuminante: Giordano Bruno e la tradizione ermetica. Daallora il filosofo di Nola ha diviso gli intellettuali in schieramenti e moltiplicato la sua diffusione: ne è un esempio la traduzione in cinese che Lea Hiang (con l'Istituto per gli Studi filosofici di Napoli) ha appena concluso della Cabala del Cavallo Pegaseo, o l'uscita, in settembre, della prima edizione giapponese de La Cena de le Ceneri.
Ma mentre Bruno va in giro per il mondo, in Italia continua la controversia. Qui una «libera» lettura della Yates ha dato origine a interpretazioni che hanno fatto di Bruno ora una spia ora un doppiogiochista. È la tesi espressa da John Bossy in Giordano Bruno e il mistero dell' ambasciata (ripresa da Richard Newbury) e ora, diversamente, da Francesco Agnoli, docente a Trento, su Il Foglio del 18 e 25 agosto.
«Processato dai protestanti, prima che dai cattolici, il filosofo-mago fu campione del doppio gioco. La sua fama è dovuta al fascino della sua morte più che alla sua produzione culturale». Vagò per l'Europa - da Oxford a Praga - alla disperata ricerca di una cattedra, sostenendo tesi per opportunismo, usando Calvino, Lutero e la magia come «armi nel suo scontro conla Chiesa».
Salvo, in altri casi, «auspicare che Lutero e i suoi seguaci fossero sterminati come locuste». Questo Bruno, che ha tratto fama più dall'opposizione al cristianesimo che dal suo pensiero, è un tema che era emerso anche in un libro del 2002 di Anna Foa, Giordano Bruno (Mulino), nel quale si mostrava come il filosofo fu riscoperto solo nell' Italia risorgimentale per farne un santo martire del libero pensiero contro l' oscurantismo religioso.
Sono tesi inaccettabili per Nuccio Ordine, curatore dell' edizione italiana Utet delle opere bruniane e cerniera tra l'Italia e l'Istituto Warburg di Londra per gli studi sull' autore. «C'era da aspettarselo - dice -. Dopo un acceso dibattito estivo sui rapporti tra fede e scienza, verità assoluta e relativismo non poteva mancare un riferimento a Bruno. Agnoli ha proposto un fantasioso ritratto del filosofo: pronto a ogni compromesso per ottenere cattedre e potere, che non esita a fare la spia, a passare da un culto all'altro, a tradire i suoi benefattori, a vendere i segreti della magia, a scrivere trattati per "soggiogare il prossimo". Bastava leggere una buona biografia e le opere di Bruno per evitare di rilanciare tanti luoghi comuni privi di ogni fondamento. In un' Europa lacerata dalle guerre di religione e popolata da cortigiani disponibili a ogni servilismo, è raro trovare un pensatore che rinunci a qualsiasi privilegio per esprimere liberamente le sue idee, fino al sacrificio della vita. A Ginevra, a Oxford, a Parigi, il Nolano non esita a scontrarsi con le autorità. E lo fa al duro prezzo della fuga e dell' esilio. Così come l'elogio di Lutero tessuto a Wittenberg è solo apparentemente in contrasto con le posizioni antiprotestanti dello Spaccio. Bruno non "cambia casacca", ma ribadisce la sua indifferenza ai culti: per il nostro filosofo, la religione ha solo una funzione civile. La colpa però non è solo di Agnoli, ma anche dei due o tre cattivi libri di cui si è servito».
Quanto alla Foa, attacca Ordine, «ha sbagliato persino a leggere i frontespizi di due libri di Bruno, che lei dice pubblicati a Venezia e Parigi invece furono editi a Londra». «Millantatorie», insomma. In sostegno di Ordine viene l'epistemologo Giulio Giorello, che con Michele Ciliberto (autore nel 1990 della monografia Giordano Bruno, Laterza), appartiene a quella galassia di studiosi che vedono in Bruno un anticipatore della Scienza moderna.
«Si cerca di sporcare la figura di Bruno con questi pettegolezzi da filosofia vista dal buco della serratura», afferma. «Della sua fine devono rispondere i cattolici, che dopo quattro secoli non hanno fatto autocritica». Tante divergenze si spiegano, tuttavia, anche in ragione di una filosofia a tratti oscura, il cui metodo, pare quello che lo stesso Bruno indica (nello Spaccio della bestia trionfante del 1584 dedicato a Philip Sidney, puritano inglese) esser usato dalla Fortuna: «Io sono una giustizia che non ho da distinguere, non ha da far differenze, cossì ho da ponere tutti in certa equalità, stimar tutti parimente».
2/ Ma Giordano Bruno era una perfida spia?, di Corrado Augias
Riprendiamo dal Repubblica del 28/11/1991 un articolo scritto da Corrado Augias. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line.
Il Centro culturale Gli scritti (21/4/2013)
È possibile che Giordano Bruno sia stato una spia? E che in quanto spia abbia carpito confidenze, raccolto e riferito voci e che quelle voci e confidenze siano diventate strumenti per mandare alla tortura e alla forca altri uomini? John Bossy, professore di storia all'università di York, ha lanciato questa tremenda accusa.
Ricercatore paziente, accanito e forse non imparziale fiutatore di tracce, Bossy è anche maestro di quel metodo storico-narrativo che molto assomiglia a un processo indiziario e facilmente sconfina nel romanzo d' intrigo e di spionaggio. Tutti elementi, intrigo, spionaggio e romanzo, abbondantemente presenti nel suo libro appena pubblicato in Inghilterra: Giordano Bruno and the Embassy Affair (Yale University Press, pagg. 294, sterline 16.95).
La posta in gioco è notevole. Se le accuse fossero definitivamente provate, la figura del grande nolano uscirebbe ridimensionata, forse addirittura compromessa dall' incidente. Perché Giordano Bruno non è solo un filosofo ma uno di quegli uomini che hanno saputo affrontare il martirio per la libertà del pensiero, una vittima dell' oppressione clericale e controriformistica. In una parola: un simbolo. E non è escluso che proprio questo abbia irritato Bossy.
Sono fondati i sospetti e le accuse? I fatti, così come Bossy li racconta, vanno proiettati contro lo sfondo fiammeggiante dell' Inghilterra di Elisabetta I, la regina di Shakespeare, la terribile figlia di Enrico VIII e di Anna Bolena, fondatrice della chiesa anglicana, donna di scettro e di spada. Anche i fatti d' altronde sono terribili, come i loro protagonisti. L' attività spionistica di Bruno si sarebbe svolta durante i due anni e più di sua permanenza a Londra in casa dell'ambasciatore di Francia Michel de Castelnau, signore di Mauvissière.
Siamo all'inizio degli anni Ottanta, Elisabetta regina è al culmine d'un potere insidiato però da sua cugina Maria Stuarda, ex regina di Francia, donna anche lei di grande temperamento. In seconde nozze ha sposato, tanto per dire, l'assassino di suo marito. Da una quindicina d' anni Maria Stuarda è praticamente prigioniera di Elisabetta. L'irrequieta cugina infatti è anche una legittima pretendente al trono, è cattolica e molti buoni inglesi la preferirebbero a Elisabetta per ragioni non solo di fede ma pratiche. Maria, al contrario di Elisabetta, ha un figlio, cioè un erede.
Cocciutaggine e ingenuità
Elisabetta invece vede nei cattolici i suoi nemici e in quanto ai figli non può averne poiché una malformazione della matrice le impedisce la procreazione e lo stesso amplesso. A lei è consentito, come ha scritto uno storico, "la libidine ma non il piacere". Da quindici anni dunque Maria Stuarda passa le sue vuote giornate in un castello sapendo che i cortigiani che s'inchinano al suo passaggio riferiscono ogni sua parola agli sgherri di sir Francis Walsingham, ministro di polizia, l'uomo che con infinita astuzia e pazienza riuscirà alla fine a portarla sul patibolo.
Con un misto di cocciutaggine, alterigia e ingenuità, Maria organizza un complotto dietro l'altro. Arriva a offrire la corona di Scozia e i suoi diritti di successione su quella inglese al re Filippo II di Spagna, se le restituisce la libertà. Due re, Filippo di Spagna e Enrico di Francia, vedrebbero volentieri la Stuardasul trono d' Inghilterra. E' cattolica come loro e soprattutto sembra più duttile rispetto alla sua implacabile cugina. La Controriformaperò ha esaurito i suoi mezzi diplomatici per ridurre Elisabetta alla ragione mentre quelli militari non sono ancora pronti. In Spagna si lavora lentamente e con fatica all'allestimento dell'"Armada" ma, nonostante i tesori delle Indie, in quella corte sfortunata continuano a mancare i soldi. Così Maria Stuarda organizza complotti che, uno dopo l'altro, vengono maciullati con le tenaglie da Walsingham e dai suoi agenti segreti.
Eppure quelli di Maria Stuarda non sono tentativi così insensati. Nella sua appassionata biografia della Stuarda, Stefan Zweig ha scritto che: "Per quasi vent' anni l'esito della lotta tra queste due donne è stato costantemente incerto. Alcune delle congiure organizzate per dare la corona a Maria, con un po' di fortuna e abilità avrebbero potuto costituire concretamente per Elisabetta un pericolo di vita, due o tre volte il colpo l'ha mancata d'un millimetro".
Questo dunque lo sfondo contro il quale dobbiamo vedere la possibile colpa di Giordano Bruno. Castelnau è stato ambasciatore dei re di Francia alla corte d'Inghilterra per quel decennio (1575-1585) che coincide con metà e più della prigionia di Maria. Come il suo collega spagnolo Mendoza, anche Castelnau deve formalmente rispetto e obbedienza alla sovrana regnante, in realtà parteggia per la Stuarda che è tra l'altro una ex regina di Francia nonché cognata del suo sovrano Enrico III.
Il controspionaggio di Walsingham viene esercitato prevalentemente attraverso spie, molte delle quali sono cattolici venduti ovvero agenti che operano tra gli avversari del trono fingendosi cattolici. Tra i collaboratori e il personale di casa Castelnau figurano un segretario che lavora anche come emissario politico dell'ambasciatore. Poi un prete, uno chef di cucina, un impiegato, un maggiordomo, un portiere con sua moglie, vari valletti, un tutore.
Quest'ultimo è un certo Giovanni Florio, italiano, il suo dovere prevalente è di seguire la figlia di Castelnau Catherine-Marie (così chiamata in onore di Caterina dei Medici e Maria Stuarda). In casa c'è anche Giordano Bruno che proprio in quel periodo scrive la Cena de le Ceneri pubblicata nella primavera del 1584.
L'ennesima congiura
Alla fine del 1583 Walsingham scopre l'ennesima congiura papista contro Elisabetta. Un gentiluomo cattolico, Francis Throckmorton, viene arrestato e sotto la tortura rivela lo schema di un'invasione dell'isola da parte dei papisti capitanata dal duca di Guisa, leader cattolico francese. Qui giunto Bossy arguisce dalla concatenazione dei fatti la presenza in casa Castelnau di due spie.
Sono loro, dice, che hanno "fornito le prove per l'arresto di Throckmorton e per il progetto d'invasione cattolica". "Una delle due", prosegue, "era nota fin dal 1840 quando il principe Alexandre Labanoff l'identificò, nella sua edizione delle lettere di Maria, nel segretario di Castelnau". Chi mai poteva essere l' altra?
Della seconda spia sappiamo che firmava i suoi dispacci con lo pseudonimo di Henry Fagot e che è stato lui il reclutatore (come direbbe Le Carré) del segretario di Castelnau. Scavando in quella direzione Bossy ha fermato la sua attenzione su una lettera custodita nella sezione manoscritti del British Museum.
Vale la pena di leggere le annotazioni da lui fatte al riguardo: "Henry Fagot a Elisabetta. Riferisce di una confessione (sacramentale) fattagli da un certo Sibiot, uomo dell'ex ambasciatore Mendoza, a proposito di un progetto d' assassinio della regina. E' firmata: Celuy que connoissez, gardez mon segret car je vous suys fidelle et decouvriray aultres choses. Henry Fagot".
Intanto, precisa Bossy, Sibiot è uno pseudonimo per Pedro de Zubiaur, mercante spagnolo che aveva l'incarico di badare agli affari di Mendoza dopo la partenza di quest' ultimo da Londra. La piccola frase finale in (scorretto) francese dell' epoca dice: "Colui che conoscete, custodite il mio segreto poiché vi sono fedele e scoprirò altre cose". Dalle circostanze del manoscritto, Bossy ricava che la lettera va datata "dopo il gennaio 1584", che, trattandosi di un segreto carpito nel corso di una confessione, bisogna dedurne che Fagot era un prete o agiva come tale.
Che essendo un personaggio coltivato e scrivendo in una lingua così rudimentale, non era sicuramente francese. Che si trattava di un vecchio e fidato informatore, che il suo atteggiamento, fosse o no un vero prete, doveva essere piuttosto disinvolto e che, infine,il suo rango in casa Castelnau doveva essere d'un certo livello.
Considerate le persone presenti in casa dell'ambasciatore francese, ed escluso per tanti motivi Florio, l'altro italiano, resta sulla lista dei possibili sospetti un solo nome: Giordano Bruno. Movente? Politico, contribuire al fallimento di un complotto cattolico-papista in odio alla chiesa di Roma.