Fabrice Hadjadj. Video e trascrizione del testo dalla trasmissione "La svolta", in cui racconta la sua conversione
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Riprendiamo sul nostro sito un video su Fabrice Hadjadj con la trascrizione del suo intervento curata dal nostro sito.
Il Centro culturale Gli scritti 13/1/2013)
1/ La svolta. Fabrice Hadjadj
Le parole di Fabrice Hadjadj ne La svolta, storie di conversione al Cristianesimo
Riprendiamo sul nostro sito la trascrizione delle parole di Fabrice Hadjadj, curata da Daniela Forniti, nella puntata a lui dedicata della serie La svolta.
Il Centro culturale Gli scritti (13/1/2013)
Fabrice Hadjadj
«Là presso i fiumi di Babilonia, sedevamo e piangevamo ricordandoci di Sion. Ai salici delle sponde avevamo appeso le nostre cetre. Là ci chiedevano delle canzoni, quelli che ci avevano deportati, dei canti di gioia, quelli che ci opprimevano dicendo: «Cantateci canzoni di Sion!» Come potremmo cantare i canti del Signore in terra straniera? Se ti dimentico, Gerusalemme, si paralizzi la mia destra, resti la mia lingua attaccata al palato se io non mi ricordo di te, se non metto Gerusalemme al disopra d’ogni mia gioia».
Siamo in un luogo speciale, è la Chiesa di Saint-Séverin e questa chiesa ha giocato un ruolo importante nella mia conversione, diverse cose vi sono accadute.
In questa chiesa sono entrato con un mio amico, in una cappella c’era una statua di una Madonna, Nostra Signora del Buon Soccorso, circondata da ex voto. Questi ex voto riportavano dei ringraziamenti per aver passato un esame o per essere stati guariti da qualche male. Io e il mio amico, con il nostro spirito volterriano, trovavamo tutto ciò ridicolo. Anche se un Dio fosse esistito, trovavamo ridicolo che questo Dio si abbassasse a guardare le piccole cose, i piccoli problemi. Dunque ci siamo beffati di questa Madonna, di questi ex voto e di questa pietà popolare.
Poi, una settimana dopo, mia madre mi chiama e mi dice che mio padre è malato e io sento dalla sua voce che ha molta paura; crede che avrà un infarto, che forse morirà, hanno chiamato i soccorsi. I miei genitori abitavano molto lontano da questo quartiere, dunque presi un taxi per raggiungerli. Prima di prendere il taxi, la prima cosa che mi sono ripromesso di fare fu di venire in questa chiesa e di andare a pregare quella stessa Vergine di cui mi ero beffato.
Mi sono messo nei panni delle persone che prima disprezzavo, nella condizione di questa pietà popolare cui si domanda qualcosa per sé. Ho pregato la santa Vergine prima di credere in Dio ed ho avuto la certezza che ero nel posto giusto.
Ho cambiato quartiere, sono andato ad abitare vicino alla Chiesa della Trinità e là ho cominciato a frequentare dei sacerdoti e a confrontarmi con loro. Erano sempre molto aperti, sia per dei buoni motivi, per la loro carità penso, ma anche per dei cattivi motivi perché ero l’ebreo che andava battezzato e dunque le due cose si mischiavano.
Ad un certo punto mi sono detto “Io sono cristiano, mi dichiaro cristiano ed essere cristiano non può significare semplicemente confrontarmi con i sacerdoti, è necessario un contatto diretto con il Cristo, dunque l’Eucarestia”. Il mistero dell’Eucarestia è il Cristo che viene fisicamente a toccarci, che si mette di fronte a noi ed è ciò che io cercavo. Allora mi sono detto “Devo cambiare il mio rapporto con i sacerdoti e devo farmi battezzare”. Il mio scopo era che il sacerdote non fosse più solo un interlocutore, ma che fosse anche un canale per arrivare a Cristo.
Dunque sono andato a Solesmes. Quando sono entrato in questa abbazia, quando ho visto un ufficio monastico e ho visto i monaci entrare nel coro due a due, fare la genuflessione, raggiungere il loro posto, ho avuto l’impressione di una sorta di coreografia, d’incarnazione reale, di contemplazione. Il giorno dopo il mio arrivo mi sono detto che volevo essere battezzato proprio a Solesmes.
Prima di tutto sono di famiglia ebraica e per forza quando sei ebreo il cristianesimo è veramente l’altro, è considerato una sorta di eresia aberrante, figlia del giudaismo e che in più si è reso, questa è la nostra idea, complice dell’Olocausto, della Shoah. Per me era veramente l’avversario, dunque io non sarei mai potuto diventare cristiano.
La seconda cosa è che provengo da una famiglia di cultura francese, repubblicana, laica. Ho imparato a scuola questo spirito laicista che ci faceva prendere in giro la religione, era l’oscurantismo.
La terza cosa era che la mia famiglia era ebrea e anche di sinistra, di estrema sinistra. Mio padre era stato maoista, poi socialista, restando sempre marxista e per me la critica di Marx, ossia la religione “oppio dei popoli”, era qualcosa di evidente.
E poi l’ultimo punto che riguarda me in particolare è che ero, anzi resto ancora anche adesso, un discepolo di Nietzsche. Per me Nietzsche era veramente il grande filosofo e dunque ero dalla parte dell’anticristo, contro il Cristo o dalla parte di Dioniso contro il Cristo. Tutti questi elementi, possiamo dire, cospiravano per non farmi mai abbracciare Gesù.
Nello stesso tempo due cose. Da una parte io ho cercato di essere ateo. Che cosa vuol dire essere ateo? Vuol dire che non bisogna avere un Dio, non bisogna divinizzare nulla, per questo è molto difficile essere ateo. Abbiamo distrutto tutti gli idoli, ma alla fine cosa resta? Bisognerà distruggere l’idolo dell’ateismo stesso, far sì che l’ateismo non diventi un idolo. E dunque, se uno è un ateo onesto con sé stesso, allora si deve mettere in una situazione di disponibilità.
La seconda cosa. Mi sono reso conto rileggendo Nietzsche che c’è per lui il desiderio di dire sì al mondo. Nietzsche dice: «La vostra fede nel paradiso, la vostra fede in Dio è per fuggire questo mondo e dunque per costruirvi un mondo alternativo». Ma si sbagliava. Non a caso san Paolo dice che Gesù è l’Amen, è il sì, in Lui non c’era che sì. E mi sono reso conto che quindi essere cristiano non significava fuggire, ma invece accogliere il reale senza concorrenza tra il Creatore e la creatura. Più vado verso il Creatore, più vado verso la creatura perché è lui che la desidera, è Lui che la vuole.
Subito dopo il mio battesimo c’è stato un cambiamento veramente radicale in me. Questa trasformazione mi ha creato anche una distorsione e una sorta di goffaggine che è tipica dei giovani battezzati, dei giovani convertiti, cioè ero diventato una sorta di Torquemada. Per questo dico che il battesimo è il principio di un percorso e c’è voluto molto tempo per poter recuperare tutto quello che avevo ricevuto prima.
Subito dopo il mio battesimo Nietzsche era diventato l’avversario, il nemico. Oggi non dico più questo, ho riscoperto in un certo senso tutto quello che avevo incontrato prima del mio battesimo, quello che c’era di buono in quella cultura.
Credo che essere cattolici significhi accogliere sempre la realtà nella grazia di Cristo, evangelizzare ogni volta delle nuove parti del proprio cuore in modo da rendersi disponibili ad accogliere le nuove componenti della realtà, in maniera tale che non ci sia più una sola parte del reale che non sia anche cristiana.
Ciò che è comune tra tutti i miei libri è che ho sempre riflettuto su ciò che è sopra di noi, che è una sorta di eccesso, che in un certo senso non possiamo capire facilmente. Ad esempio questo libro che si chiama Mistica della carne parla di sesso e sicuramente il sesso vuol dire che siamo tutti attratti da qualcun altro, anche se ci difendiamo con le più grandi difese morali o pensiamo di avere uno spirito distaccato dalle cose carnali. Poi all’improvviso passa una donna e tutto questo svanisce. E allora cos’è questo mistero? Che succede?
In seguito ho scritto un libro che si chiama La fede dei demoni, che in realtà è un libro più sulla fede che sui demoni. Un libro su questa debolezza della fede. Mostro che possiamo avere una fede demoniaca. I demoni credono che Dio esiste e che il Cristo è il salvatore del mondo. Tutte queste verità cattoliche non gli sfuggono. I demoni non sono degli atei, ma nello stesso tempo rifiutano Dio. I demoni manipolano questa conoscenza, la strumentalizzano e ne sono orgogliosi.
Forse noi non facciamo altrimenti? Che cos’è la vera fede? La vera fede contiene sempre questo mettersi in una condizione di abbandono a qualcosa di superiore, all’influenza della divinità, una sorta di mancanza di possesso. Anche il mio ultimo libro sul paradiso che è uscito in Francia, e che uscirà in Italia, arriva all’estremo di tutto questo e tratta la questione della gioia che è anch’essa qualcosa che ci arriva, che ci attraversa come un fiume inarrestabile.
Georges Bernanos diceva che ci sono due tipi di imbecilli: gli imbecilli ottimisti e quelli pessimisti. Essere ottimisti o pessimisti in merito alla società non sono delle opzioni praticabili per i cristiani. Il principio della nostra speranza non si trova nel tempo ma nell’eternità.
L’epoca in cui viviamo è un’epoca speciale, c’è stato un umanesimo anticristiano, ateo, progressista. A partire dalla Rivoluzione Francese, da questa sorta di fede nei lumi, abbiamo iniziato a credere nel progresso. Credevamo che l’uomo si potesse salvare da solo e invece che cosa succede oggi? Questo progressismo è completamente naufragato.
Perché si è dissolto? Perché da una parte ci siamo resi conto che l’umanesimo ateo, come quello che si è sviluppato sotto l’ideologia comunista, poteva condurre al totalitarismo e alle cose più terribili.
Dall’altra parte siamo nell’epoca di Hiroshima, dunque nella possibilità di una sparizione totale della specie umana, di una sua autodistruzione.
E poi la terza cosa è che noi abbiamo preso coscienza della finitudine della specie umana all’interno di una nuova concezione della natura, la concezione evoluzionista, darwinista. Ci diciamo che il sole un giorno esploderà, ci diciamo che la specie umana può sparire e lasciare il posto ad un’altra specie. Dunque, a questo punto, non crediamo più nella posterità, non crediamo più all’avvenire.
È per questo che oggi viviamo nel breve termine, nel successo rapido. Cosa vuol dire tutto ciò? Vuol dire che se si vuole salvare l’uomo, l’umanesimo, questo non può più avvenire attraverso l’umanesimo o ateo perché tutte queste speranze progressiste si sono inabissate. Se vogliamo salvare l’uomo non possiamo che rivolgerci alle speranze teologiche.
Se noi rifiutiamo questo umanesimo teocentrico come diceva Paolo VI, andiamo verso il post-umano che può prendere differenti forme: un post-umano tecnico, dove si vuole costruire un superuomo, un mutante; o altrimenti un post-umano ecologista dove l’essere umano è finito e per questo bisogna tornare alla natura, una sorta di regressione bestiale in cui se l’uomo sparisce poco importa, ci saranno delle piccole scimmie, perché alla fine era solo un predatore cattivo della natura, questo anche fa parte del post umano; ed infine il terzo nemico, quello religioso, il post-umano fondamentalista che ci dice che la cultura, la politica sono nulla; tutto quello che c’è e che si fa deve partire da Dio, dalla teocrazia e dunque ci dimentichiamo tutte le cose propriamente umane. Queste sono le tre forme di post-umanesimo che abbiamo oggi e penso invece che d’ora in poi possiamo essere ancora umanisti unicamente a partire da una fiducia ristabilita nell’uomo che trae la sua forza dalla fede in Dio, altrimenti è finita.
È vero che spesso mi domandano di parlare del mio battesimo, della mia conversione. Nella mia vita la grazia battesimale si è manifestata particolarmente attraverso il matrimonio. Bisognerebbe che parlassi del sacramento matrimoniale, della mia vita familiare. Spesso mi chiedono come sono diventato cristiano. Concretamente sono diventato cristiano diventando sposo e diventando padre di famiglia.
Questa è una cosa straordinaria per l’Incarnazione. Credo che la mia scrittura, la mia maniera di concepire le cose era, anche dopo il mio battesimo, molto cerebrale, troppo concettuale, troppo astratta. Solo a partire dal momento in cui mi sono sposato, in cui ho avuto dei figli, all’improvviso sono diventato uomo pienamente. Quando si hanno dei figli ci si chiede il perché li facciamo e ora che abbiamo dei figli come li educheremo? E poi qual è la società più favorevole per questa nuova vita a cui stiamo dando inizio? Dunque, tutte queste domande che in me erano sparite, che erano troppo spirituali dopo il mio battesimo si sono riformulate con una coscienza politica, con una coscienza storica e una consapevolezza del mio impegno attraverso il tempo tramite la mia famiglia, la mia donna e i miei figli.
Credo che per far sì che un filosofo sia davvero nel realismo, cioè vivere l’esperienza della realtà, avere una famiglia e dei bambini sia un dono straordinario. Spesso si crede che le due cose siano in competizione, ossia che un buon scrittore, un buon pensatore dovrebbe chiudersi in una torre di avorio e non avere una famiglia; essere una sorta di vestale della letteratura o della filosofia, ma è falso. Le più grandi cose si trovano nell’esperienza e non c’è niente di meglio per farci entrare nella profondità del quotidiano che vivere questa grande avventura del matrimonio e della famiglia.
Scheda proposta nel finale del video
Fabrice Hadjadj, nato a Nanterre nel 1971, è un filosofo e autore drammaturgico francese. Insegna filosofia in un liceo e nel seminario di Toulon.
Appartenente a una famiglia ebrea di origine tunisina, è stato educato in maniera «laica» e senza alcun riferimento religioso. Oggi è un apprezzato pensatore, considerato l’astro nascente della filosofia cattolica in Francia e uno degli uomini di cultura più originali d’Europa.
Ha scritto piéce teatrali sulla vita di san Francesco Saverio e sulla strage degli innocenti.
Apprezzato da Rémi Brague, collabora con il supplemento culturale de Le Figaro.