Parlare della fede nell'Anno della fede, di Andrea Lonardo

- Scritto da Redazione de Gliscritti: 08 /01 /2013 - 00:25 am | Permalink | Homepage
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Riprendiamo sul nostro sito la trascrizione, curata da Giulia Balzerani, di una relazione tenuta da Andrea Lonardo presso la parrocchia di San Tommaso apostolo il 25/6/2012. Il testo è stato poi rivisto per la pubblicazione, conservando la forma di un discorso orale. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la loro presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line.

Il Centro culturale Gli scritti (8/1/2013)

Indice

1/ La fede cristiana è indispensabile o solo “bellina”?

La domanda che a mio avviso può illuminare l’intero anno della fede è questa: “Ma la fede è veramente necessaria, o se ne può fare a meno?” Poi vedremo che ci sono altre domande, ma questa è fondamentale.

Non ci viene chiesto se la fede è bellina, carina, buonina, gentile, ma se è indispensabile. L’uomo può stare senza la fede? La fede ha un primato nel senso che senza la fede noi siamo meno uomini, manca un elemento che è decisivo della nostra umanità?

Vi leggo una frase di Benedetto XVI che è una di quelle che più mi è piaciuta del magistero degli ultimi anni. Quando il Papa è andato per il suo terzo viaggio in Germania ha posto una domanda nel corso di una liturgia ecumenica con i luterani. Voi sapete che Lutero, questo grande teologo, sicuramente discutibile, ma sicuramente anche uomo di Dio, a un certo punto disse che noi cattolici sbagliavamo perché davamo il primato alle opere, alla carità, alla giustizia, all’aiutare gli altri. Per Lutero la Grazia era più importante: se noi non crediamo che Cristo ci ama ed è morto per noi, non possiamo vivere. Lutero era perseguitato dall’idea di sentire la Grazia di Dio, di come sentire questa grazia, questo amore di Dio per la sua vita. Oggi sembra talvolta che alcuni protestanti non credono più in questo, lo dico esagerando, sembra quasi che in alcuni ambienti protestanti si sia dimenticato il punto di partenza di Lutero, ritenendo che conti invece piuttosto la nostra carità, l’aiuto ai poveri, la lotta per la giustizia e così via.

E il Papa pose in quell’incontro questa domanda semplicissima, alla quale invito anche di voi a rispondere:

“L’uomo ha bisogno di Dio, oppure le cose vanno abbastanza bene anche senza di Lui?”.

La parola che mi ha colpito in questa domanda è proprio questo “abbastanza”. Noi ce la caviamo lo stesso o, se non c’è Dio nelle nostre scelte, nei nostri pensieri, nella nostra vita, noi stiamo male, non riusciamo a capire gli altri, di cosa gli altri hanno bisogno?

È chiaro che la risposta del Papa è che le cose non vanno bene senza Dio: ha continuato spiegando che in realtà il mondo ha mantenuto per un po’ di tempo, nonostante il rifiuto di Dio, alcuni valori cristiani centralissimi, pensiamo ai diritti umani, ma man mano che questi valori si allontanano dalla fede, manca la radice che dà la spinta a vivere bene le cose e l’uomo pian piano diventa debole, non ha più la grinta, la speranza. Quei valori si ottenebrano ed inaridiscono se si toglie loro la radice da cui derivano.

È per questo che Benedetto XVI insiste tanto sul primato di Dio, utilizzando spesso questa espressione: “Bisogna ridare a Dio il suo primato”.

Pensate a come questo primato emerga proprio quando ci si pone in rapporto con i nuovi poveri, in rapporto con l’immigrazione. Tanti dicono che noi dovremmo togliere il crocifisso dalle aule scolastiche perché la sua presenza fa problema ai musulmani, o agli ebrei. In realtà per risolvere alcuni problemi con queste persone noi dovremmo togliere forse le minigonne che le nostre ragazze indossano, o le scollature dei loro abiti. Quello che fa problema a un musulmano non è che noi crediamo, ma che noi non crediamo. Una persona di un’altra religione di recente immigrazione si chiede come sia possibile che noi occidentali non abbiamo la fede: questo li scandalizza. È chiaro che se Dio c’è, abbiamo un’altra prospettiva di vita e quel crocifisso vuole dire che noi abbiamo un riferimento, e la persona immigrata sa benissimo che senza Dio non si può vivere.

2/ Perché la fede è necessaria?

A/ La speranza dinanzi al male ed alla morte

La fede è necessaria innanzitutto perché senza Dio si diventa più tristi. Nella sua enciclica sulla speranza, Spe salvi, il Papa dice che la grande speranza che noi abbiamo porta, in realtà, solamente il nome di Dio - cioè la speranza e la fede sono una sola cosa, perché se Dio non c’è, che senso ha che io faccia nascere un bambino, e speri che questo bambino sia felice? Se questo bambino è destinato a sparire che senso ha tutto questo? Che senso ha che un uomo e una donna si promettano di amarsi per tutta la vita? Se la morte distrugge tutto che cosa significa amarsi “per sempre”? Che senso ha scrivere una poesia, un libro, dipingere un quadro? È tutto inutile…

Tutto è diverso, invece, se c’è una grande speranza, perché la grande speranza, dice Benedetto XVI, sostiene tutte le altre speranze che noi abbiamo. Quello che è fatto in nome di Dio nel bene, non sparirà mai più. A volte nella vita si presentano le notti dello spirito, quando uno non sa bene cosa succederà domani, si trova nell’aridità: e allora dove si prende la forza per andare avanti? Dio non è solo la grande speranza, ma è la grande speranza che ti aiuta ad avere le piccole speranze.

B/ La certezza che la vita è un bene

“Possiamo noi vivere senza Dio?”. Faccio un ulteriore esempio usando una frase che tutti abbiamo sentito dire di sicuro: “Ma posso io imporre la fede a mio figlio? Forse non è bene battezzare un bambino, ancor meno fargli fare la comunione o la cresima, forse non è necessario nemmeno conoscere il Vangelo”. Ma perché una persona può dire questo? Può dirlo solo se pensa che la fede non sia necessaria. Nessuno si chiede se sia lecito imporre il latte a un bambino, perché il cibo è ritenuto necessario.

Uno dei passaggi più belli del discorso sul battesimo che ha fatto il Papa al Convegno diocesano è quello in cui lui, usando questa capacità tipica del cristianesimo intelligente di rovesciare le domande consuete, ha detto:

E l’altra questione che si pone sempre è: «Ma possiamo noi imporre ad un bambino quale religione vuole vivere o no? Non dobbiamo lasciare a quel bambino la scelta?». Queste domande mostrano che non vediamo più nella fede cristiana la vita nuova, la vera vita, ma vediamo una scelta tra altre, anche un peso che non si dovrebbe imporre senza aver avuto l’assenso del soggetto. La realtà è diversa. La vita stessa ci viene data senza che noi possiamo scegliere se vogliamo vivere o no; a nessuno può essere chiesto: «vuoi essere nato o no?». La vita stessa ci viene data necessariamente senza consenso previo, ci viene donata così e non possiamo decidere prima «sì o no, voglio vivere o no». E, in realtà, la vera domanda è: «È giusto donare vita in questo mondo senza avere avuto il consenso – vuoi vivere o no? Si può realmente anticipare la vita, dare la vita senza che il soggetto abbia avuto la possibilità di decidere?». Io direi: è possibile ed è giusto soltanto se, con la vita, possiamo dare anche la garanzia che la vita, con tutti i problemi del mondo, sia buona, che sia bene vivere, che ci sia una garanzia che questa vita sia buona, sia protetta da Dio e che sia un vero dono.”

È grave mettere al mondo un bambino se non sei convinto che la vita è bella. La vera domanda non è perché noi battezziamo un bambino, ma perché lo facciamo nascere! E se il battesimo non è vero, cioè se Dio non è il Padre di quel figlio, non sono più sicuro che sia bene sempre e comunque farlo nascere.

È il dramma di oggi: le persone non fanno nascere i bambini perché non se la sentono di garantire loro che la vita è bella. Solo questa sicurezza fa del far nascere dei bambini un atto d’amore: io non faccio del male a mio figlio. E come faccio io ad avere la garanzia, la sicurezza che la vita è buona, che se anche ti ammali vale la pena di viverla fino in fondo, se anche ti tratteranno male, se ci saranno dei problemi, vale la pena? È la porta della fede, è la fede il punto fondamentale della nascita, della morte, del matrimonio, della costanza, della carità.

C/ L'uomo è fatto per "trasumanare"

Pensate anche alla riflessione umana, filosofica. Mi ha molto colpito un testo che io trovo commovente, di Fabrice Hadjadj, un filosofo francese che si è convertito recentemente e ha parlato al Cortile dei Gentili, nella sede dell’UNESCO, cercando di confrontarsi con il mondo scientista, con un mondo che ha la scienza come unico modello.

In un passaggio ha detto:

C’è chi dice che l’uomo sia emerso sugli altri animali nel corso dell’evoluzione per una sua maggiore capacità d’adattamento all’ambiente.

Perché l’uomo ha conquistato l’universo? Perché dovunque si trovi a vivere, lui si adatta, se si trova al Polo Nord trova il modo di coprirsi, all’Equatore usa i condizionatori. L’uomo è il vertice dell’evoluzione perché è l’essere più adattabile. Ma subito aggiunge:

E nello stesso tempo l’uomo si documenta essere un grave disadattato.

Il dramma dell’uomo è che in realtà non si adatta, l’uomo si annoia, è infelice, non è contento. Se l’uomo fosse adattabile, sarebbe contento. Se voi mettete un gatto in una stanza per una settimana dandogli solo del cibo, vedete che lui sta bene, non ha problemi. Provate a mettere un uomo nelle stesse condizioni, senza fare niente, senza l’amicizia, senza l’amore, senza la fede. Perché l’uomo è un disadattato?

Perché l’uomo ha bisogno di un senso, della fede. Hadjadj prendeva Dante ad esempio: l’Alighieri dice che l’uomo è fatto per trasumanare, perché, per essere uomo, devi sapere cosa c’è al di là dell’uomo. Hadjadj spiegava che mentre una casa ha bisogno di fondamenta, l’uomo ha bisogno di cielo. Qual è il tuo cielo? Dove vuoi arrivare? Qual è il cielo che tu guardi? Verso cui ti rivolgi? Questo è il primato della fede come esigenza dell’uomo. Noi abbiamo questa esigenza di cielo. Che senso ha il passare del tempo, il passare delle mie giornate?

D/ I bambini sono "capaci" di Dio

Mi sto occupando con la Diocesi di questo tema. Un sacerdote mio amico, padre Maurizio, dice che nella catechesi noi trattiamo i bambini come se fossero deficienti. A me è capitato ultimamente, alla fine di una messa, di chiedere ad una bambina di dieci anni, proveniente, è vero, da una famiglia di persone molto colte, che frequentava la quinta elementare: “A te piace Harry Potter?” e lei mi ha risposto: “Certo, io l’ho letto tutto in quarta elementare!”. Questa bambina si era letta tremila pagine in quarta elementare e noi, quando arriva una bambina di quell’età al catechismo e le facciamo colorare i disegnini. Quella è arrivata alla fine di Harry Potter dove lui muore per salvare la sua scuola, offre la sua vita.

I bambini fanno in realtà sempre domande molto serie, sulla creazione, sull’eternità: “Mamma, ma se tu muori, mi amerai ancora?”, “Dov’è il nonno che è morto?”, “Dio chi l’ha creato?”, “Noi veniamo dalla scimmia oppure siamo stati creati da Dio?”. Cosa vuol dire che il bambino, il giovane, l’adulto, hanno bisogno di trasumanare, di vedere la loro vita con gli occhi di Dio?

E/ Di Dio chiedono gli adulti

Una cosa che mi ha sempre colpito nella mia storia, in questo senso di inadeguatezza che tutti noi abbiamo, è percepire nettamente che anche se a volte noi possiamo stare malissimo, ma sappiamo di stare nella volontà di Dio siamo sereni, se invece noi abbiamo problemi piccolissimi, ma non siamo sicuri che la nostra scelta sia la volontà di Dio, noi non stiamo bene. Perché noi abbiamo bisogno di sapere che la nostra vita è nella benedizione di Dio.

Avrete sentito la storia di questa ragazza di ventotto anni, Chiara Corbella Petrillo, che è morta ritardando le cure per far nascere il suo bambino: è il mistero della serenità di una persona che lascia il suo bambino appena nato morendo nella convinzione che Dio c’è nella sua vita. Questo nel dramma è una luce. L’anno della fede dice: “Vogliamo ripartire dalla fede?”. La lettera apostolica con la quale Benedetto XVI ha indetto l’anno della fede si chiama “La porta della fede”, perché la fede è una porta, è un inizio. La porta non è la carità, non è la speranza, ma il nostro rapporto con Dio: questa è la porta, un luogo centrale. Per noi è il luogo per costruire le relazioni con gli altri, è quello che manca a noi e agli altri, è un punto a partire dal quale tutto quanto si costruisce.

3/ La fede nasce da noi o dal Dio che si rivela?

C'è, però, una seconda cosa evidente nella storia degli uomini: essi non sono in grado di rispondere da soli alla loro esigenza di Dio. Storicamente l'uomo prima del cristianesimo non è stato in grado di scoprire il volto di Dio - basti pensare a quante religioni l'umanità ha conosciuto prima e al di fuori del cristianesimo senza mai nemmeno immaginare il mistero di un Dio che si fa carne e che muore per i peccati del mondo.

Infatti, nessuno è mai diventato cristiano prima che Cristo venisse: i grandi pensatori dell'antichità erano liberi ed erano anche credenti in Dio, ma nessuno ha mai nemmeno lontanamente immaginato che Dio potesse farsi bambino e potesse morire per noi.

L'uomo non è stato in grado di scoprire il volto di Dio esattamente perché ciò è impossibile. A nessuno servirebbe un Dio fabbricato dall'uomo. Se Dio è Dio, è Lui, infinitamente più grande di noi, a doversi rivelare.

Solo per avvicinarsi ad intuire qualcosa di questo si pensi all'amore. Noi possiamo avere desiderio dell'amore quanto vogliamo: ma è poi una donna a presentarsi a noi ed a farci innamorare ed a conquistare il nostro cuore: non siamo noi a fabbricare lei! E, sebbene ognuno si immagini prima come debba essere l'amore della sua vita, quando l'amore realmente accade bisogna invece vivere tutta la gioia e la fatica della conoscenza reale dell'altro così come esso è. Ha scritto von Balthasar che l'amore è sempre un “miracolo”. Non posso spiegarlo a partire da me, altrimenti l'altro diventerebbe un mio prodotto: posso solo capirlo come qualcosa che mi sorprende, qualcosa che avviene quando io incontro realmente l'altro.

Così dice la Dei Verbum, parlando della rivelazione divina: «Piacque a Dio rivelare se stesso». La fede è possibile perché a Dio è piaciuto farsi conoscere. “Placuit”, “gli piacque”: questo verbo è fortissimo. Dio non è come lo si immagina in alcune correnti religiose dell'Estremo oriente: un “dio” che non ha personalità, che non ha libertà, un “dio” impersonale che è identico con il tutto o con il niente. No, Dio gioisce, prova “piacere”, è talmente libero da avere il desiderio di manifestarsi agli uomini perché li ama e li vuole ammettere alla comunione con Lui.

Questo è il motivo per cui Egli non intende tanto rivelare agli uomini né dei precetti da realizzare, né delle verità impersonali, bensì vuole rivelare se stesso, il proprio volto. I grandi monoteismi intuiscono questo, ma si fermano sulla soglia: in essi Dio, al massimo, può rivelarci i suoi comandamenti scritti in un libro o può mostraci le sue “spalle” - come si afferma a proposito del profeta Elia -, ma il suo volto noi non possiamo vederlo. La fede cristiana accoglie invece, la pienezza della rivelazione. Ciò che era impossibile all'uomo – vedere Dio – Dio lo ha reso possibile incarnandosi. Poiché l'uomo non poteva salire a Dio, è stato Dio a discendere all'uomo, per il suo desiderio di rivelarci se stesso.

Con Gesù Dio si è fatto vicino, è venuto ad abitare in mezzo a noi. Ne Il piccolo principe di Antoine de Saint-Exupéry si racconta di cosa sia l'amicizia e di come essa possa nascere. È la volpe che si presenta al piccolo principe che cerca degli amici e questo è il dialogo che si svolge fra loro:

"Chi sei?" domandò il piccolo principe, " sei molto carino…"
"Sono una volpe", disse la volpe.
"Vieni a giocare con me", le propose il piccolo principe, “sono così triste”.
“Non posso giocare con te”, disse la volpe, "non sono addomesticata".
"Ah! scusa ", fece il piccolo principe.
Ma dopo un momento di riflessione soggiunse:
"Che cosa vuol dire addomesticare?"
"Non sei di queste parti, tu", disse la volpe" che cosa cerchi?"
"Cerco gli uomini", disse il piccolo principe.
"Che cosa vuol dire addomesticare?"
"Gli uomini" disse la volpe" hanno dei fucili e cacciano. È molto noioso! Allevano anche delle galline. È il loro solo interesse. Tu cerchi le galline?"
"No", disse il piccolo principe. "Cerco degli amici. Che cosa vuol dire addomesticare?"
"È una cosa da molto dimenticata. Vuol dire creare dei legami…"
"Creare dei legami?"
"Certo", disse la volpe. " Tu, fino ad ora per me, non sei che un ragazzino uguale a centomila ragazzini. E non ho bisogno di te. E neppure tu hai bisogno di me. Io non sono per te che una volpe uguale a centomila volpi. Ma se tu mi addomestichi, noi avremo bisogno uno dell'altro. Tu sarai per me unico al mondo, e io sarò per te unica al mondo." [...]

"Che bisogna fare?" domandò il piccolo principe.
"Bisogna essere molto pazienti", rispose la volpe.
"In principio tu ti sederai un po' lontano da me, così, nell'erba. Io ti guarderò con la coda dell'occhio e tu non dirai nulla. Le parole sono una fonte di malintesi. Ma ogni giorno tu potrai sederti un po' più vicino…"

La storia della salvezza può essere paragonata proprio a questo sedersi ogni giorno più vicino tipico dell'amicizia. Dio ci ha voluto abituare alla sua presenza, si è rivelato via via sempre più, manifestandosi ad Abramo, a Mosè, ai profeti, finché ci ha donato se stesso nel dono del suo Figlio, nel dono dell'Incarnazione.

È avvenuto qualcosa di simile a ciò che accade quando due persone si innamorano l'una dell'altra e cominciano ad amarsi: non appena si rivelano il loro amore, iniziano a raccontarsi tutta la loro vita, senza nascondersi nulla. In quel momento cadono le maschere ed ognuno rivela pienamente se stesso. Ognuno si fa conoscere perché ama l'altro e, amandolo, accetta di farsi conoscere. Questo è ciò che Dio ha fatto con l'uomo: si è rivelato, perché ci amava ed, amandoci, ha voluto che noi lo conoscessimo.

In Cristo questa rivelazione ha raggiunto la sua pienezza, perché è stata totale, al punto che non manca più nulla. È ancora la Dei Verbum (DV 2) ad insegnarci due parole importantissime che rivelano la profondità del mistero: Cristo è il mediatore e la pienezza della rivelazione stessa.

Egli è il mediatore, perché sta in mezzo tra noi e Dio e attraverso di Lui noi conosciamo Dio. Il contrario di “mediato” è “immediato”: talvolta l'uomo pensa che sia più vero conoscere Dio senza un mediatore, cioè conoscerlo direttamente da noi stessi. Ma ogni volta che l'uomo ha voluto provare a conoscere Dio da solo, si è fatto un idolo di Dio, lo ha immaginato a sua immagine e somiglianza. Santa Teresa d'Avila diceva che c'è una sola via certa e sicura per conoscere Dio: la carne di Cristo. Chi si piega a conoscere la carne di Cristo troverà Dio, perché senza la mediazione di Gesù è impossibile conoscere il vero volto di Dio.

Ma Cristo non è solo il mediatore! Altre religioni affermano di aver conosciuto un mediatore, ad esempio l'islam sostiene che Maometto è stato il mediatore della rivelazione del Corano. Maometto è sì mediatore, nella visone islamica, ma non è la pienezza della rivelazione: egli, come profeta, viene per indicare il Corano che è la pienezza della rivelazione islamica. Cristo, invece, non viene per indicare qualcosa che sia più grande di se stesso, bensì viene per donarci se stesso: «Chi vede me, vede il Padre».

Lo si vede bene anche dal fatto che Cristo non ha scritto niente: Egli non scrive un qualsivoglia libro, perché qualsiasi cosa Egli scrivesse varrebbe meno di Lui. Egli non scrive perché è Lui stesso la Parola e tutte le parole scritte sono state scritte per preparare la sua venuta.

4/ È importante essere convinti che la fede sia vera e che Gesù sia veramente Figlio di Dio?

Oggi è essenziale un ulteriore aspetto. Siamo come messi continuamente alle strette da sollecitazioni che tendono a convincerci che la rivelazione non è vera, che Gesù non è il Figlio di Dio e che quindi Dio non si è rivelato, che Egli non ha voluto la Chiesa, che esiste una diversa versione della vita di Gesù raccontata dagli apocrifi e che, quindi, non si può sapere cosa è vero e così via.

Ebbene oggi non si può seriamente proporre la fede senza dare anche almeno alcuni elementi per orientarsi in queste questioni, perché ognuno si renda conto, come già ai tempi degli evangelisti, della “solidità” di ciò che i vangeli insegnano e, per contrapposizione, della superficialità pseudo-scientifica con cui vengono proposte visioni diverse.

Benedetto XVI, con grande sapienza, insiste molto nel sottolineare che è fondamentale la questione “chi è Gesù”. Già questo è un primo passo importantissimo: è stato Gesù stesso a chiedere “Ma voi chi dite che io sia?”, segno che la riteneva importantissima. Non basta soffermarsi su singoli racconti, parabole o miracoli o gesti. Alla fine la grande questione è: “Chi è Gesù?”, un rabbino come gli altri o anche meglio degli altri ma pur sempre un rabbino, oppure il Figlio di Dio?

Notate che, di solito, una persona non chiede “Gli altri dicono che io sia il Battista resuscitato, oppure Elia, oppure un profeta, o qualcuno molto vicino a Dio, ma voi chi voi di te che io sia?”

È la questione decisiva per la fede quella dell'identità di Gesù, perché la fede non è il nostro muoverci soggettivo senza nessun riferimento personale a qualcuno che realmente esiste e ci ama, non è il nostro sentimento estemporaneo, ma è la relazione tra me e la realtà di te.

Si potrebbe quasi dire - esagerando un po' - che l'Incarnazione è più importante ancora del kerygma, cioè dell'annunzio di Cristo morto e risorto. Perché se colui che muore e risorge non è il Figlio di Dio fatto uomo, allora la sua resurrezione ha un significato diverso. Anche Lazzaro è morto e resuscitato, ma noi non siamo lazzaristi, bensì cristiani. È solo perché Gesù è il Figlio di Dio che la sua resurrezione è la salvezza del mondo, perché allora Dio è presente in Lui per noi.

Voglio insistere almeno su di un argomento che pone nella giusta luce la questione della divinità di Cristo. Se volete è un approccio globale. Dovunque voi vi avvicinate a Lui, vi accorgete che non parla come un rabbino, come un ebreo del tempo. Quando chiama Dio “Abba”, quando dice “Avete inteso che Dio in Mosè ha detto, ma io vi dico...”, quando racconta nella parabola di tanti profeti inviati finché il padre non inviò il figlio unico che gli era rimasto, quando dice che Dio ha dato a lui il potere di rimettere i peccati, quando parla dei suoi angeli, quando dice che chi ha servito un povero senza saperlo ha servito Lui e nel giorno del giudizio si accorgerà di essere stato in realtà in sua presenza dinanzi al sofferente, quando dice che solo il Figlio conosce il Padre e colui al quale il Figlio lo voglia rivelare, quando, nella parabola cosiddetta del figliol prodigo, è lui - e non solo il padre del racconto, a cenare con i pubblicani, mentre i farisei non vogliono entrare alla festa, e così via. Da qualsiasi punti di vista ci si avvicini a Lui, è evidente che Gesù ingenerava la domanda: “Ma chi è costui che si fa simile a Dio?”

Voglio leggervi un testo illuminante di C.S. Lewis, l'autore de Le cronache di Narnia che tanto ha scritto sul cristianesimo - me lo ha regalato una carissima amica - che illumina questa questione:

Sto cercando di impedire che qualcuno dica del Cristo quella sciocchezza che spesso si sente ripetere: “Sono pronto ad accettare Gesù come un grande maestro di morale, ma non accetto la sua pretesa di essere Dio”. Questa è proprio l’unica cosa che non dobbiamo dire: un uomo che fosse soltanto un uomo e che dicesse le cose che disse Gesù non sarebbe certo un grande maestro di morale, ma un pazzo - allo stesso livello del pazzo che dice di essere un uovo in camicia – oppure sarebbe il Diavolo. Dovete fare la vostra scelta: o quest’uomo era, ed è, il Figlio di Dio, oppure era un matto o qualcosa di peggio. Potete rinchiuderlo come un pazzo, potete sputargli addosso e ucciderlo come un demonio, oppure potete cadere ai suoi piedi e chiamarlo Signore e Dio. Ma non tiriamo fuori nessuna condiscendente assurdità come la definizione di grande uomo, grande maestro. Egli ha escluso la possibilità di questa definizione - e lo ha fatto di proposito (da C.S. Lewis, Scusi... Qual è il suo Dio?, GBU, Roma, 1993, pp. 75-76).

A una persona che ci dicesse che se non la seguiamo noi siamo lontani da Dio, dovremmo rispondere: “Sei pazzo!”. Se un marito dovesse dire alla moglie: “O segui me o sei fuori dalla vita”, vorrebbe dire che lui è “fuori di testa”! Nessun uomo può dire a un altro uomo: “Io sono la tua verità”. Dio è la Verità, la verità di un uomo è dire: “Se vuoi essere felice non ti basta avere me, tu devi avere Dio con te”. Cristo invece dice: “Seguitemi”, “Ascoltatemi”, “Chi accoglie le mie parole ha Dio”, “Chi vede me vede il Padre”.

Lewis mostra con grande saggezza che quest’uomo, Gesù, allora, o è l’Assoluto o è un pazzo, una persona che non merita alcuna attenzione, ma solo disprezzo. Se si rifiuta la fede, bisogna avere il coraggio di dire che Gesù era un pazzo, ma non è ragionevole dire che si rifiuta la fede perché Gesù era solo un maestro come tanti del suo tempo.

I vangeli mostrano benissimo questo. Mi voglio soffermare ancora su di un punto centrale in merito: la questione del motivo della condanna a morte di Gesù. Se noi chiediamo alle persone perché Gesù è stato ucciso, spesso non otteniamo risposte perché molti sono imbevuti di una esegesi scadente e di una teologia desunta da romanzetti banali. Al massimo ci sentiremo dire che Gesù era un rivoluzionario e quindi pericoloso per il potere, perché criticava i sacerdoti, il potere, l'aristocrazia del tempo e così via.

Voi sapete che Pilato che era un romano intelligente, un buon amministratore, anche se certo non era uno stinco di santo, invece, non riteneva affatto Gesù pericoloso. Nei vangeli Pilato afferma chiaramente che quell’uomo non gli creava alcun problema. Lui, rappresentante del potere romano, sapeva bene che quell'uomo non avrebbe creato problemi all'ordine costituito. D'altro canto il sinedrio sapeva bene che il giudaismo era ben radicato nella popolazione, e così erano radicati l'amore al tempio ed ai sacerdoti: Gesù non avrebbe potuto incidere su questo stato di cose, sebbene fosse molto amato.

Essi ne chiedono la morte perché bestemmia, perché “si fa simile a Dio”. È ciò che avvertiva anche San Paolo: Gesù parlava mettendosi al posto di Dio, Egli intaccava il monoteismo. Non violava tanto singole leggi, quanto inseriva piuttosto se stesso come criterio della fedeltà a Dio.

Se fate bene attenzione allo svolgimento dei fatti, la questione del potere non è centrale all'inizio del processo di Gesù - perché per il Cristo si tratta del potere “divino” e non di quello umano! La politica entra piuttosto nel processo di Gesù quando il Sinedrio, siccome non riesce a convincere Pilato che Gesù deve essere ucciso per motivi religiosi, sobilla la folla che inizia ad urlare: “Crocifiggilo”, facendo capire a Pilato che se Gesù non verrà ucciso ci sarà una rivolta.

Il motivo politico subentra così nel processo in un secondo momento: Pilato non è spaventato dal fatto che i seguaci di Gesù possano fare una rivolta, bensì che i nemici di Gesù, la gente istigata dal Sinedrio, possa rivoltarsi se egli non ucciderà Gesù. Il motivo politico viene messo in campo ed usato dal Sinedrio in modo strumentale, per fare pressioni a Pilato. Ma perché il Sinedrio vuole la morte di Gesù? Perché “si è fatto Figlio di Dio”. Pilato, allora, per paura che i nemici di Gesù si ribellino al suo potere, ne decreta l'uccisione per tenere calme le acque.

Come dice Lewis, davanti a questa pretesa di Gesù, o lo tratti da pazzo, o ti inginocchi davanti a lui. Chi mi conosce sa che io amo il gesto dell’inginocchiarsi, lo ritengo uno dei gesti più alti, forse il più alto che l’uomo possa fare. L’uomo non si deve inchinare davanti a nessuno, ma l’uomo che non si inginocchia non è un uomo. L’uomo deve riconoscere che c’è Dio più grande di lui. E dinanzi a Gesù noi ci inginocchiamo, perché lo riconosciamo Figlio di Dio e non un pazzo.

Parlare con franchezza della fede nell’anno della fede, vuol dire allora da un lato ricordare che noi e i nostri figli, l’Italia e i nuovi immigrati, i poveri ed i capitalisti, scienziati ed ignoranti, tutti abbiamo bisogno di Dio. Ma, d’altro canto, vuol dire mostrare che questo bisogno di Dio proprio dell'uomo non è una domanda che non sarà mai saziata, ma anzi può trovare risposta perché Dio si è fatto presente in Cristo. È la realtà della verità della fede.

Quest’uomo era veramente Figlio di Dio, per questo io mi inginocchio e posso dire: “Mio Signore e mio Dio”. Sono le parole semplicissime che dice San Tommaso. Voi sapete che “Signore” - kurios - nell’Antico Testamento greco, è il termine riferito a Jahve, non è una formula di cortesia. Dire “Signore” a Gesù è dirgli: “Tu sei Dio”. Tommaso dice “mio Signore e mio Dio” - anche San Paolo usava questo pronome personale, dicendo: “Io vi annunzio il mio Dio”, “il Dio in cui io ho creduto”.

A quale altra divinità immaginata dall’uomo si potrebbe mettere in mano il peccato più efferato e al contempo il gesto d’amore più sublime? Cristo è l’unico che è vero Dio e vero uomo, e per questo assume veramente tutto ciò che è umano e lo porta a compimento. Noi sappiamo che niente di ciò che è nostro è estraneo a Lui, Lui non rifiuta niente di ciò che ci appartiene. È chiaro che poi lo cambia, lo converte, ma non c’è nulla di noi che abbia paura di toccare, perché ha preso totalmente l’umanità. I Padri della Chiesa affermano che quello che non è stato assunto, non è stato redento.

5/ La fede è la nostra risposta, l'unica giusta, alla rivelazione di Dio

Se la rivelazione è l'evento del Dio che vuole manifestare se stesso per amore, che cosa è allora la fede? Possiamo rispondere semplicemente dicendo che la fede è la risposta a questa rivelazione, è il “sì” carico di gioia e affetto a Dio che viene a noi.

Anche qui ci aiuta la Dei Verbum, che è veramente il documento più importante del Concilio Vaticano II. Se Dio non ci dà dei comandamenti, dei libri, dei dogmi, ma a Lui è piaciuto venire in mezzo a noi, se si è fatto conoscere, ci ha chiesto con questo di essere riamato.

In Dio la verità e l’amore sono una sola cosa. Quando due si vogliono bene ognuno dei due si racconta all’altro e già facendo questo sta chiedendo: “Ma tu mi vuoi bene?”. Spesso diciamo all’altro delle cose non perché vogliamo che lui le sappia, ma perché ci ami. Dio manda suo Figlio perché vuole essere amato.

La Dei Verbum dopo aver detto che la Rivelazione è Dio che viene, perché nel suo Figlio è presente e ci dice chi è, ci dice che vuole diventare nostro amico, ci dice allora come dobbiamo rispondere:

A Dio che rivela è dovuta «l'obbedienza della fede» (Rm 16,26; cfr. Rm 1,5; 2 Cor 10,5-6), con la quale l'uomo gli si abbandona tutt'intero e liberamente prestandogli «il pieno ossequio dell'intelletto e della volontà» (Dei Verbum 5).

Ecco la riposta: Dio che si rivela, che si fa conoscere, vuole essere amato, chiede in risposta se noi lo amiamo. La fede è risposta, non è il primo passo dell’uomo, è una grande menzogna quella che fa partire la fede dalle nostre domande. La fede non è il primo atto: essa nasce dopo che Dio mi ha rivelato se stesso, per cui io non posso non dire: “Sì, io ti credo, io credo”.

Nel CCC si dice in modo molto semplice e vivo:

Con la sua rivelazione, «Dio invisibile nel suo immenso amore parla agli uomini come ad amici e si intrattiene con essi per invitarli ed ammetterli alla comunione con sé».La risposta adeguata a questo invito è la fede (CCC 142).

La fede è la risposta “adeguata”, chi non risponde con la fede è inadeguato alla vita: è come se la sua vita non funzionasse adeguatamente, è come se fosse scollegata rispetto alla realtà. Mi viene in mente un esempio, una situazione che mi è capitato di vedere. Un ragazzo, che era fidanzato da 10 anni con una ragazza che il padre conosceva benissimo, mi raccontò una volta che quando andò da sua padre a dirgli: “Papà mi sposo!” ebbe come risposta rispose: “Ah, e con chi?”. Questa risposta era inadeguata. Quel padre avrebbe dovuto rispondere: “Che gioia! Quando lo avete deciso? Chi lo ha chiesto per primo? Cosa hai provato?”

Pensate ancora ad una figlia che si trova ad aspettare un bambino. Se, quando lo comunica ai genitori, questi rispondono con freddezza, senza chiedere: “Ma da quando lo sia? Ma come ti senti? Ma che gioia!”, la loro risposta è inadeguata! Questo può aiutare a capire che la fede è la risposta adeguata, giusta, bella alla rivelazione d'amore di Dio.

6/ Basta la Bibbia o serve anche il Credo?

Il Papa, nella Lettera Porta fidei, 9 ha ricordato che il Credo è una preghiera con cui pregare ogni giorno ed ha citato Sant’Agostino che dice: “Il simbolo del santo mistero che avete ricevuto tutti insieme e che oggi avete reso uno per uno, sono le parole su cui è costruita con saldezza la fede della madre Chiesa sopra il fondamento stabile che è Cristo Signore … Voi dunque lo avete ricevuto e reso, ma nella mente e nel cuore lo dovete tenere sempre presente, lo dovete ripetere nei vostri letti, ripensarlo nelle piazze e non scordarlo durante i pasti: e anche quando dormite con il corpo, dovete vegliare in esso con il cuore” (Sermo 215,1).

I cristiani dovrebbero così imparare a dire il Credo ogni giorno come preghiera personale, sapendolo a memoria, come preghiera di lode, come atto di affidamento. Io mi alzo la mattina perché? Perché tu hai creato me, hai creato la gente che amo, quella che odio, quella con cui non riesco ad andare d’accordo. E tu Cristo sei venuto a redimere noi. Il Credo viene pregato nella liturgia proprio perché non è una formula astratta, ma perché è una preghiera.

Nel catecumenato antico il Credo si consegnava: se non lo recitavi non venivi battezzato. Così avviene di nuovo nel catecumenato odierno. Ed anche il cammino neocatecumanale lo ha ripreso come una traditio.

Ma perché il Credo è importante? Se ci pensate, il Credo è la sintesi della Bibbia. Noi a volte pensiamo che la Bibbia è semplice mentre il Credo è complicato. In realtà la Bibbia è complicata, ma il Credo la sintetizza, mi dice che la fede cristiana si può dire in pochissime parole. La fede è la chiave di volta semplice per capire la vita.

A volte ci accusano di essere complicati, ma è proprio il contrario. Il Credo solo apparentemente potrebbe essere considerato una sorta di patchwork, uno di quei tessuti composti da pezzi di stoffa diversi per colori e materiali, dove però se tu togli un pezzo e ne metti uno completamente diverso non cambia niente: nel Credo invece, se togliamo un solo pezzetto crolla tutto. Se io ammetto di credere in Dio creatore, ma non credo alla vita eterna dico una cosa senza senso. Dio non può avermi creato perché la mia vita finisca nel nulla, ma perché sia eterna. O, al contrario, alcuni credono alla vita eterna, affermano di ricevere messaggi dai loro parenti defunti, ma non credono in Dio. Ma se Dio non c’è, noi siamo destinati a scomparire. Quelle due affermazioni sono strettamente legate.

Il Credo ci mostra che la fede è semplice, non è semplicistica, ingenua, ma è semplice. Pensate al tdogma della Trinità, che tanto sembra complicato. Invece è semplice: dipende da Gesù che dice che il Padre lo ha mandato e che lui, il Cristo, ci dona lo Spirito Santo. Se Gesù è solo un rabbino la Trinità non esiste, ma se è Dio allora possiamo spiegarlo solo con la Trinità. A questo proposito esiste un testo straordinario di G.K. Chesterton:

Se c’è una questione che gli illuminati e i progressisti hanno l’abitudine di deridere e di mettere in vista come un orribile esempio di aridità dogmatica e di stupido puntiglio settario, è questa questione atanasiana della co-eternità del Divin Figlio. D’altra parte, se c’è una cosa che gli stessi liberali sempre ci mettono innanzi come un tratto di puro e semplice Cristianesimo, immune da contese dottrinali, è la semplice frase: “Dio è Amore”. Eppure, le due affermazioni sono quasi identiche; per lo meno una è quasi un nonsenso senza l’altra. L’aridità del dogma è la sola via logica per arrivare ad affermare la bellezza del sentimento. Poiché, se c’è un essere senza principio, che esisteva prima di tutte le cose, che cosa poteva Egli amare quando non c’era nulla da amare? Se attraverso l’impensabile eternità Egli è solo, che significa dire: “Egli è amore”? La sola giustificazione di tale mistero è la mistica concezione che nella Sua stessa natura c’era qualche cosa di analogo all’autoespressione; qualche cosa che genera, e che contempla quel che ha generato. Senza tale idea, è illogico complicare la estrema essenza della divinità con un’idea come l’amore. Se i moderni realmente abbisognano di una semplice religione di amore, devono cercarla nel Credo atanasiano (G.K. Chesterton, L’uomo eterno, Rubbettino 2008, pp. 281-282).

Il Credo è così la chiave di lettura che ci permette di cogliere la grandezza di tutta quanta la fede.

7/ Le quattro dimensioni della vita di fede

Se voi leggete Porta fidei, vi accorgete che il Papa pone l’accento, per una maturazione della fede, sull’importanza di riscoprire il Catechismo della Chiesa Cattolica ed insieme i documenti del Vaticano II. È importante dire ancora una parola su questo doppio riferimento. Alcuni erroneamente pensano che il CCC non c’entri con il Concilio, ma in realtà è un Catechismo profondamente conciliare.

Se voi leggete le parti generali delle quattro sezioni di cui è composto, vi rendete conto che prima del capitolo sul Credo c’è la Dei Verbum. Prima dei Sacramenti c’è la visione conciliare della liturgia proposta dalla Sacrosanctum Concilium. Prima dei Dieci Comandamenti c’è la visione dell’uomo cristiano della Gaudium et spes. Solo prima della sezione sul Padre Nostro manca il riferimento conciliare perché non c’è stato un documento sulla preghiera. Non abbiamo qui il tempo di approfondire come questo riferimento al Concilio illumini il CCC e la catechesi (cfr. su questo Il Catechismo della Chiesa Cattolica per imparare “la forza e la bellezza della fede”, di Andrea Lonardo).

Così la prospettiva conciliare viene ad illuminare la quadri-partizione, così importante per una maturità di fede, che viene dalla tradizione della Chiesa. Qual è l’importanza di queste quattro parti? Il Papa insiste sul fatto che la fede si compone di quattro dimensioni che sono così correlate che camminano insieme.

La prima è costituita dalla confessione della fede, dal Credo: io non posso essere felice, non posso dirmi cristiano, se non credo nel Padre Creatore, nel Figlio Salvatore, nello Spirito santificatore, nella Chiesa, nella vita eterna. La fede è creduta.

La fede però non è solo creduta, ma celebrata, si incontra nei Sacramenti. I Sacramenti sono, da questo punto di vista, molto più importanti della Bibbia, perché io posso leggere il racconto dell’Eucarestia mille volte, ma non ho ancora il corpo di Cristo. Solamente dinanzi all’Eucarestia io ho Cristo vivo e presente. Voi sapete che il Papa incoraggia anche l’Eucarestia di desiderio, anche chi non può farla è vicinissimo se almeno la desidera. Ma l’Eucarestia è diversa dal leggere la Bibbia. La liturgia ci fa cristiani, ci rende cristiani, non basta che io creda. Nell’iconografia antica la fede è rappresentata da una donna che ha in mano la croce e il calice. Cristo è morto per me, ma lo incontro sull’altare, nel tabernacolo.

La fede non è solo confessata, celebrata, ma vissuta. Il Vangelo ti dà uno sguardo diverso sulla vita. Gesù ha “inventato” un nuovo modo di vivere: il perdono del nemico, il matrimonio indissolubile, il celibato e la verginità. Sono cose che solo Lui ha detto. Il fatto che bisogna amare Dio sopra ogni cosa, amare il prossimo come Lui ha amato noi. C’è una vita nuova che nasce da Cristo.

La quarta parte è costituita dalla preghiera personale. Noi abbiamo veramente bisogno di pregare: se impariamo a pregare la nostra vita cambia. La preghiera ci dà la possibilità di dire le parole giuste che l’altro deve ascoltare. Io l’ho sperimentato nella mia vita personale: la preghiera ti cambia il cuore ed è uno degli elementi decisivi. Pensate ai bambini, come è importante insegnare loro a dire a Gesù: “Cosa vuoi da me?”, “Ti ringrazio”. Pensate a come cambia la vita quando si comincia a pregare anche quando si è soli, quando si intercede o si prega per i propri nemici, quando si legge il Vangelo domandandosi cosa il Signore vuole da noi.

Questo anno della fede non sarebbe passato invano se solo fosse servito a farci rendere conto di dover lavorare su queste quattro dimensioni, perché se riusciamo a farlo, vuol dire che la nostra vita sta camminando verso il Signore.