Il “laico” nel Nuovo Testamento, di Ermenegildo Manicardi
Riprendiamo sul nostro sito la trascrizione, curata da Giulia Balzerani, di una relazione tenuta da mons. Ermenegildo Manicardi il 6/7/2006 nel corso di una settimana di formazione del clero di Roma. Il testo non è stato rivisto dal relatore. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line. Per ulteriori approfondimenti, vedi su questo stesso sito la sezione Sacra Scrittura.
Il Centro culturale Gli scritti (2/12/2012)
[...] Il tema di questo incontro è: Il “laico” nel Nuovo Testamento. Per un biblista è un tema scomodo perché probabilmente da parte del pubblico si scatenano domande inerenti i problemi dell’immediata concretezza. Mentre io debbo parlarvi restando dentro un quadro dove ben altri interverrà dopo di me con temi più attuali, quindi io ho il dovere professionistico di parlarvi di questo tema che ci interessa e che si riduce in parole banali a “Cosa ne facciamo del nostro laicato? Cosa facciamo fare ai nostri laici? Dove spingiamo i nostri laici?” Sono parole dette tutte con affetto, resta il problema.
Come dobbiamo rapportarci, come dobbiamo accoglierli e dove li dobbiamo spingere - non che noi possiamo decidere tutto, ma possiamo dare una cosa o un’altra. Io non devo tanto rispondere in riferimento all’attualità, perché sarei disonesto nella formulazione di questa quattro giorni che sono quattro giorni a livello comunitario. I relatori devono attenersi al tema loro assegnato limitandosi a delle riflessioni specifiche, nel mio caso il Nuovo Testamento. Da uomo che ha sempre studiato il Nuovo Testamento, ho sempre pensato in questo ambito, quindi accetto questa sfida, mi preoccupo meno della bibliografia specifica sul laicato perché se ne occuperanno altri dopo di me. Preferisco con molta fraternità dire le cose che mi sembrano importanti, quelle che direi io anche pastoralmente, solo che a voi devo tracciare un quadro il più possibile generale.
Le premesse quali sono? Ovviamente dico delle cose a voi notissime aggiungendo alcuni elementi. C’è una duplicità nel titolo “Il laico nel Nuovo Testamento”. C’è quel nodo che non è mai completamente risolto, perché il laico cosa vuol dire? Si può intendere in due modi: il laico è colui che appartiene al laòs. Laikòs è un aggettivo che viene da laòs, popolo, colui che appartiene al popolo. Se noi decliniamo questa parola nel NT, noi abbiamo “colui che appartiene al popolo di Dio” (è sottinteso “di Dio”). Dunque se noi ragioniamo a partire dal NT il laico è colui che appartiene al popolo di Dio che Cristo è venuto a radunare, quindi colui che cammina nella “sequela Christi”.
Questo è molto importante, è uno dei due poli e non si deve assolutamente abbandonare, questo è il polo che rende comune il laico a tutti i cristiani, anche religiosi, anche ai ministeri ordinati. È l’elemento comune che deve essere molto sottolineato come il primo elemento indispensabile. L’espressione che è stata usata [prima del mio intervento], molto discussa, sacerdozio comune, sottolinea proprio questo aspetto, viene dal battesimo. È il sacerdozio trasversale, è il principale sacerdozio anche per un certo Joseph Ratzinger, perché anche se lo chiamo Benedetto XVI, mi ricordo che si chiama Joseph Ratzinger. Benedetto XVI si appoggia al massimo del sacerdozio, nonché della giurisdizione.
Il laico però è anche colui - ci spostiamo all’altro polo - che nella polarità sacro-profano è in un certo senso spostato sul versante del profano. Non è una grande definizione ma cerchiamo qualcosa che ci dia da pensare. Tutti i cristiani sono tra sacro e profano perché un intervento chirurgico, per esempio, è particolarmente sacro. Dipende da cosa intendiamo per profano, possiamo fare dei giri dicendo che la vita è sacra, che l’intervento chirurgico è sacro, va pure bene, ma allora, il presbitero, il religioso, il laico, sono tutti dentro al sacro e profano e si tratta di sapere dove sono.
Il laico è più spostato rispetto alle altre funzioni, sul versante del profano. Infatti la cosa che noi chiediamo a lui è di animare le realtà terrene. Se fa il disk jockey non ci meravigliamo, gli chiediamo solo di essere relativamente casto, ci meraviglieremmo di più se un canonico di S. Maria Maggiore facesse il dj. Quindi il personaggio di cui parliamo è messo dentro una polarità sacro-profano (profano lo scelgo apposta, è semplicemente quello che non è sacro), è quello che sta davanti al tempio, e deve animare le realtà del Regno addirittura. “Sale della terra, luce del mondo”, poi torniamo su questo punto, che vale per tutti, ma vale per i laici.
Questa polarità si esprime nell’espressione Christifideles laici, che è un’espressione che nella mia memoria ed intelligenza (non ho fatto una specifica ricerca storica) è legata alla fine degli anni ’80, al sinodo sul laicato, che uscì infatti con questo titolo “Christifideles laici”. Vedete la duplicità nel termine “i credenti in Cristo laici”, che è perfettamente la duplicità di cui avete bisogno. Si esprime il legame con Cristo, Christifideles, fedeli di Cristo, fedeli a Cristo, e, se andiamo sul secondo polo, laici. Si caratterizza il versante della dualità che abbiamo detto prima verso la quale incliniamo. Ovviamente il vostro titolo, non può non avere la duplicità, e come la formula?
Il laico nella Chiesa per il mondo. Naturalmente si vede l’esperienza di questi anni, non nella Chiesa e nel mondo, si cerca di non instaurare una dualità. Il laico è nella Chiesa, si esprime la comunione, per il mondo significa che non ci sono due ambienti, la Chiesa e il mondo, è formulato molto più avvedutamente.
Il terzo elemento lo prenderei dalla Christifideles laici, dove al n.9 - siamo al 30 dicembre 1988 - il papa recepisce in questa esortazione apostolica post-sinodale (un’esortazione apostolica che raccoglie anche la collegialità. È un tipo peculiare di esortazione dove c’è tutta l’apostolicità, ma si tiene anche a dire che raccoglie la collegialità sinodale), si dice che il Concilio Vaticano II ha asserito la piena appartenenza dei fedeli laici alla Chiesa e al suo mistero.
Qui si sottolinea bene il rischio, che c’è sempre, di vedere il laicato come gli utenti della Chiesa. Un linguaggio che oggi è normalissimo sentire usare: “la Chiesa ha detto”, “la Chiesa ha fatto”, spesso riferendosi alla CEI, talvolta al Vaticano, talvolta non si capisce bene a chi. “La Chiesa che posizione ha preso sui PACS?” La posizione della Chiesa è la posizione di tutti! Allora i laici appartengono alla Chiesa.
I laici sono la Chiesa? In questo numero 9 viene citato Pio XII, sono andati più indietro che potevano, i fedeli, e più precisamente i laici, si trovano nella linea più avanzata della vita della Chiesa. Per loro la Chiesa è il principio vitale della società umana (la Chiesa per il mondo) perciò essi devono avere una sempre più chiara consapevolezza, non soltanto di appartenere alla Chiesa, ma di essere la Chiesa, vale a dire la comunità dei fedeli sulla terra, sotto la guida del capo comune, il Papa, e dei vescovi in comunione con lui. Essi sono la Chiesa.
Questo è ancora Pio XII, il cammino va fatto in questa direzione. La citazione di Pio XII mostra, mi sembra di capire, che non è solo dottrina del Concilio, e quindi la rafforza. Il Concilio ha asserito la piena appartenenza dei fedeli laici alla Chiesa e al suo mistero, ma ha asserito anche il carattere peculiare della loro vocazione, che ha il suo specifico nel cercare il Regno di Dio trattando le cose temporali e ordinandole secondo Dio. Questa è la formula tipica, per ora stereotipa, insuperata.
Quindi torno a dire, didatticamente - voi mi perdonerete, ma così il dibattito si può animare anche meglio - il cuore di questo problema laicale, è concepire laici che hanno una piena appartenenza alla Chiesa e al suo mistero e alla sua missione. Questo non si deve scordare mai, si deve insistere sull’appartenenza dei laici alla Chiesa, con l’attenzione che non si risolva in una clericalizzazione. Si deve sottolineare l’indole propria di questi Christifideles laici estremamente appartenenti alla Chiesa come il presbitero, come il vescovo, secondo un’indole particolare.
Questa indole particolare si caratterizza cercando il Regno di Dio, questo è il vangelo, Mt 6, il cuore del discorso della montagna “Cercate prima il regno di Dio e tutto il resto vi sarà dato in aggiunta”. Notate, potete fare la variazione tematica con questo testo e capite perfettamente, non “Cercate prima il Regno di Dio e tutto il resto vi sarà dato in sovrappiù”, questo non è dei laici, è generale, ma per i laici si esplicita “cercare il Regno di Dio trattando le cose temporali ordinandole secondo Dio”. È il modo specifico laicale di “Cercate prima il Regno di Dio e la giustizia di Dio e tutto il resto vi sarà dato in abbondanza” (Mt 6,33).
Per chiarire le idee potete proprio mettere a confronto la frase matteana, con questa, che la contraddice solo apparentemente:“Cercate il Regno di Dio trattando le cose temporali e ordinandole secondo Dio”. Mi sembra che sia una frase perfetta, perché dice che il laico non deve avere paura di trattare le cose temporali, ma lo deve fare anche ordinandole.
Nel trattare il tema “Il laico nel Nuovo Testamento”, devo prendere in considerazione il punto teologico fondamentale, che è quello di capire bene che il laico è definibile solo con una duplicità di elementi. Uno è l’appartenenza a Cristo e alla Chiesa, uno è lo specifico di questa appartenenza a Cristo e alla Chiesa che lo accomuna a tutti gli altri. Lui deve cercare il Regno di Dio trattando le cose temporali e ordinandole secondo Dio.
Questo problema c’è sempre stato, c’è sempre - tra l’altro è il problema dell’inculturazione del Vangelo, è la stessa cosa - il Vangelo che deve diventare vita, deve diventare cultura. Dobbiamo educare i nostri laici in questo modo, il Concilio ci ha portato una grande consapevolezza che i laici sono Chiesa come noi, il tutto sotto il segno grande della chiamata universale alla santità.
Non chiamate diverse, vere chiamate alla santità e ripieghi, consigli per i più bravini e comandamenti per gli altri. Il Concilio ha cambiato con questa rivoluzione copernicana che ha messo prima il popolo di Dio e poi la gerarchia. Il popolo di Dio non vuol dire i laici: invece l’unità, la comunione prima e poi la differenziazione - la gerarchia, i religiosi, i laici. Questo oggi si deve fare moltissimo.
Forse il pericolo è, in un momento in cui sottolineiamo l’ecclesialità, il rischio di essere più deboli nelle indicazioni per quello che riguarda “trattando le cose temporali ordinandole secondo Dio”. Essendoci una polarità voi capite che il rischio è sempre che si prenda un elemento solo, dire: “Basta che faccia le offerte. Faccia la sua vita laicale, sostenga bene la Chiesa, che bisogno c’è che si impicci? Al massimo può far parte del consiglio economico”.
[...]
I rischi sono sempre questi, che ci sia un trattare le cose temporali con un legame molto debole alla Chiesa, un legame personalistico, moralistico, economico, con scarsa consapevolezza dell’essere Christifideles e viceversa, possiamo dire “come sono bravi questi laici che fanno catechismo, aiutano”, ma non hanno risvolto in alcune situazioni e c’è quasi il pericolo di avere due parrocchie. Una parrocchia con bi-tipologia, ci sono laici tutti interni, tutti clero, e altri esterni che sostengono il clero - certamente si tratta di far maturare le persone con oculatezza.
Forse questa diversità è costitutiva della Chiesa, questa doppia tipologia di laicato. Un biblista cosa può dire a questo proposito? Cosa c’è nel Nuovo Testamento? La mia chiacchierata ora rischia di essere quasi troppo spirituale, o di apparire tale. Io ho cercato di pensare come queste tematiche nascono nel Nuovo Testamento.
1/ Laici e laicità in Marco
Il primo punto è “laici e laicità in Marco”, ho preso il vangelo che ho studiato di più. Ovviamente siamo due millenni fa, le concezioni non sono assolutamente identiche alle nostre, quindi dobbiamo fare lo sforzo di vedere che cosa c’è in quella realtà, che venature ha, come si combina con la nostra.
Partiamo dal caso tipico del discepolo che è Simone, che poi un giorno sarà chiamato Pietro. Ecco la vocazione del discepolo è il primo testo, Mc 1,16-18. Vi ricordate che Gesù passando lungo il mare di Galilea, vide due fratelli che rassettavano le reti, poiché erano pescatori.
Questo testo splendido cosa dice? È proprio la vocazione del discepolo, lì si deve stare molto attenti, vedo che ci sono incertezze ancora oggi. È la chiamata del cristiano. Questo è un testo magistrale, importantissimo, lo commento marciano modo. Si potrebbe commentare anche in Matteo, Luca lo descrive in un’altra maniera, Giovanni in un’altra ancora.
Il testo fondativo, la narrazione di Marco, il corpo della narrazione comincia in Mc 1,14:
Dopo che Giovanni fu arrestato, Gesù si recò nella Galilea predicando il vangelo di Dio e diceva: “Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino; convertitevi e credete al vangelo”.
Passando lungo il mare della Galilea, vide Simone e Andrea, fratello di Simone,
Questa vicenda è la realizzazione di quel testo programmatico per Marco, studiatissimo da Marco prima di essere studiatissimo da noi, in cui si dice, e qui saranno tutti i problemi del laicato, “il tempo è compiuto”.
Adesso scherzo, così entriamo però nel tema. Se il tempo è compiuto non è importante ordinare la realtà secondo Dio, trattare le cose temporali. Questi sono i problemi del cristianesimo primitivo, che non ha una visione storica elaborata come la nostra. Se il tempo è compiuto non c’è tanto da preoccuparsi di altro, ma attenzione perché il tempo è compiuto, Dio nella sua realtà potente, si è fatto vicino e presente dentro questa storia, voi vi dovete convertire, dovete cambiare mentalità e credere nel vangelo. E credere in questo annuncio: che Dio è presente dentro alla storia degli uomini. Dovete credere che Dio non è lontano, che è vicino, questa è la scommessa più grande della fede.
È questa la creazione del popolo di Dio secondo Gesù, il popolo di Dio che ha la forma dei discepoli di Cristo, e come caso esemplarissimo, concreto, viene preso questo episodio. Gesù passa, vede due fratelli, li chiama, e cosa abbiamo in questa chiamata, che è la realizzazione del credere al vangelo e convertirsi, cambiare mentalità? Abbiamo un primo elemento che è la scelta assoluta di Cristo. Il laico del quale parliamo, il Christifidelis laicus è scelto da Cristo, come noi, ha una vocazione santa, è questo che lo costituisce, non è l’uomo qualunque al quale è capitata l’avventura o la disavventura di non essere chiamato al sacerdozio e neanche al diaconato!
Dipende da come noi lo concepiamo. Il laico del quale parliamo, non sono “i laici”. Ovviamente il modo nel quale trattiamo il nostro laico sarà importantissimo per il rapporto Chiesa-laicità, perché questa parola è stata usata anche nel senso di: non voglio avere niente a che fare con la fede. Il nostro laico lo dobbiamo guardare come Simone quella mattina, come colui che è costituito dall’essere chiamato da Gesù. In questo hanno qualcosa di sacrale i laici, per quanto laici siano, hanno qualcosa che è l’amore di Cristo per loro, sono costituiti ai nostri occhi da questo ed è anche per questo che li amiamo.
Li amiamo nei loro problemi, nelle loro vicende, nelle loro crescite, nei loro inghippi, ma li amiamo perché Cristo li ha amati, sappiamo che sono ricchi di questa straordinaria ricchezza di partenza, che è l’amore di Cristo.
Il secondo punto, il più mio, ve lo dico con umiltà, perché possiate relativizzare, io in questo racconto ci ho visto sempre la valorizzazione del lavoro degli uomini, pescatori di uomini, che è la valorizzazione di quello che sono. Molti esegeti hanno cercato per l’espressione “pescatori di uomini” di trovare referenti nell’Antico Testamento, ma non ci sono.
Ovvero, c’è anche l’immagine dei pescatori, ma per dire che sono delle carogne. Per minacciare Abacuc e il popolo si dice “Tu tratti gli uomini come pesci del mare” (Ab 1), “i pescatori vi prenderanno lungo le rive dei fiumi”.
Perché Gesù ha usato questa parola? Avrebbe potuto dire: “Vi farò pastori di uomini”, troveremmo centinaia di passi nell’Antico Testamento, in tutte le culture, perché il re è pastore, come il sacerdote è pastore. Per me è una di quelle tipiche, folgoranti metafore di Gesù. “Venite dietro di me, voi siete pescatori”. Benissimo, valorizziamo quello che siamo e alziamo di grado, non pescatori di pesci, ma di uomini.
Si incomincia allora a capire cos’è il laico, il Christifidelis laicus, valorizzazione di ciò che lui è, insieme ad un supplemento di valore. Perché il nostro laico, abbiamo detto un attimo fa cogliendo l’intuizione del Concilio, cerca il Regno “Trattando le cose temporali e ordinandole secondo Dio”.
Deve fare il notaio ordinando il suo lavoro secondo Dio, non solo non rubando, ci mancherebbe altro, deve fare il medico di uomini, questo lo capiamo bene se pensiamo all’attualità (per esempio ai ginecologi). È esattamente questo: “Vieni dietro a me, ti farò pescatore di uomini”, ti farò diventare “medico di uomini”, “avvocato di uomini”.
Insisto dicendo che questo brano secondo me è spesso maltrattato perché poi siccome Simone viene chiamato ad essere Pietro, si pensa che “Vi farò diventare pescatori di uomini” riguardi quel momento nel quale sarà costituito principe degli Apostoli, per usare un’espressione ecclesiastica. Io non penso che sia così, significa “vi farò diventare”, perché non lo siete ancora, è stando con me e camminando con me, che voi diventerete pescatori di uomini.
L’ultimo punto è “lasciate le reti, la barca, lo seguirono”. Convertitevi e credete al Vangelo. È la realizzazione di questo e vedete che c’è l’elemento di distacco e l’elemento di comunione, che segna la nostra vita di presbiteri, ma anche, in un’altra forma, la vita del laico. Anche il laico cristiano è uno che lascia ed entra nella comunione della Chiesa, passa a un livello più alto. I nostri laici devono passare a un livello più alto, altrimenti non si realizza proprio niente del “voi siete sale della terra”. Voi siete una manciata di esseri umani qualunque, con i problemi che hanno, e chi s’è visto s’è visto.
Vi farò diventare pescatori di uomini è un’espressione importantissima che penso dovrebbe sigillare il sentire di ogni credente. Tu sei sposato, hai i tuoi figli, hai le tue grane professionali, tu sei pescatore di uomini. Ci sarebbero meno furbetti del quartiere, come ultimamente sono stati definiti, anche in casa nostra, se ci fosse questa prospettiva nel cuore. Vedete qui c’è una spiritualità laicale, ma spiritualità, non semplicemente argomenti di convenienza, legati alla moralità.
Direi che questo racconto è importantissimo, l’evangelista lo ha ribadito con quello dopo. Dopo Simone e Andrea, troviamo Giacomo e Giovanni e poi in Mc 2,14 troviamo anche il racconto sul pubblicano seduto al banco. Proprio da questi discepoli Gesù sceglierà i Dodici.
Con dei discepoli si possono fare anche i Dodici, i Padri dicevano che è con le buone pecore che si fanno i buoni pastori. Naturalmente è molto importante per ricordarci che non c’è uno iato tra queste realtà. Il laico è vicino al ministero. Ci può essere un passaggio, benissimo, ma non sono due realtà distaccate, c’è una base comune.
E voi sapete che il Concilio Vaticano II ha avuto qui uno dei suoi vertici e anche uno dei suoi fermi, nel senso che ha fatto un’affermazione che è sempre bisognosa di approfondimento. Tra il sacerdozio ministeriale e il sacerdozio comune c’è una differenza non soltanto di grado, ma di essenza, che salva il salto e tiene unito.
Non c’è solo diversità di grado, ma appartengono intimamente l’uno all’altro. Dal vangelo allora che cosa si impara di questi laici messi in cammino? Si impara che il percorso del discepolo è molto difficile. Deve imparare che stare legati a Cristo porta a dei distacchi estremamente impegnativi. Questa è anche spiritualità laicale, non solo dei religiosi.
L’essere discepoli di Cristo comporta dei distacchi progressivi. Non solo quello espresso con: “Lasciate le reti lo seguirono”, ma la scena chiave di Marco si trova nel capitolo 8, quando Gesù sente che Pietro-Simone, (tutti e due, il fedele laico e il ministro ordinato, perché si è caricato ormai di entrambe queste valenze), riconosce in lui il Cristo. Guardate che questa sintesi in Simon Pietro è importantissima, non è che mancassero i personaggi, svela il legame, è bellissimo che lo stesso Simon Pietro sia a capo di tutto. Sarebbe bruttissimo il vangelo se a un certo punto ci fosse Pietro, rappresentante della gerarchia, e Pierino che invece è il rappresentante del laicato. Quello che è così difficoltoso quando lo pensiamo, è invece una ricchezza, una profondità, è la sintesi della vita, il vangelo è veramente bello, non è un librettino di istruzioni banali.
Che cosa succede quando il discepolo riconosce che Gesù è il Cristo? Quando arriva a quel livello il Cristo gli svela che il Figlio dell’uomo dovrà essere rifiutato ecc. E allora Pietro si oppone, sgrida Gesù. È lì che viene ad apprendere che deve distaccarsi dalla sua vita. E questo vale anche per i laici. Lo dico in una maniera brutale, ma che in realtà è molto affettuosa.
Dappertutto c’è bisogno di questa capacità di distaccarsi dalla propria vita, perché altrimenti quando vengono i casi seri salta tutto. E le sfide sono uguali, dal più grande al più piccino. Non ci sono diversi letti per morirci, quelli degli ecclesiastici e quelli dei laici. Quando la vita stringe l’economia torna sempre a quella fedeltà assoluta: “Chi vuol essere mio discepolo rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua”.
Il punto del distacco, e qui dovete stare molto attenti, perché non è il distacco che è cambiato, è la percezione. Il distacco non è il disprezzo del mondo, non è De contemptu mundi, dire “la realtà non vale niente, noi siamo di cenere, moriremo”. Si possono usare anche queste chiavi, sono state usate. Il disprezzo del mondo, dichiarato soprattutto alla maniera dei religiosi, i laici stavano lì in mezzo un po’ dispiaciuti ma non troppo di non essere chiamati dall’altra parte, e dunque di sorbirsi questo mondo sudaticcio e sgradevole, ma il motivo per il quale ci si distacca dal mondo, dalla vita, dal temporale, è la comunione con Cristo.
Vedete che siamo sempre a quella dualità dalla quale siamo partiti ed è quella che dobbiamo avere ben stampata in mente. Lo staccarci dal mondo, cercare il Regno di Dio, trattando le cose temporali. Ma cercare il Regno di Dio. È questa grandissima dinamica estremamente impegnativa.
Il vangelo di Marco ci dice ancora che questo itinerario è non solo necessitato ad avere degli scatti, delle crescite, ma è talmente difficile che ci presenta il naufragio totale di tutti. Gesù muore assolutamente solo, lasciamo stare le questioni di sinossi, ma qui non ci mettete il quarto vangelo, con il discepolo amato [...] e la madre.
Marco ci tiene a far vedere che sono scappati tutti, proprio tutti. E il principale coinvolto, dopo il traditore, del quale neanche parliamo, ma il vangelo ne parla eccome. “Uno dei Dodici fu il traditore”, poi nella scena nella quale Gesù confessa, - Mc 14,62-63 E vedrete il Figlio dell'uomo seduto alla destra della Potenza e venire con le nubi del cielo» - Simone Pietro, e non solo Giuda, fa il rinnegamento. Pietro invece di rinnegare se stesso, prendere la croce e seguire Gesù, rinnega Gesù. Quindi il vangelo chiude drammaticamente con l’idea che nessuno ce l’ha fatta ad essere Christifidelis laicus dietro a Gesù e nessuno ce l’ha fatta ad essere uno dei Dodici dietro a Gesù.
Si capisce che questa situazione viene ricostituita, perché altrimenti non esisterebbe il vangelo, Marco non fa capire se questo succede, ma dice che è possibile quando dice del Risorto un’unica cosa, Mc 16,7:
“Vi precede in Galilea, là lo vedrete”.
La Resurrezione è letta da Marco stupendamente come quella forza che rende possibile essere laici cristiani, e quindi rende anche possibile il ministero. Questo è l’impianto fondamentale, è troppo poco per le nostre preoccupazioni, noi non ci fermiamo qui, adesso scaviamo ancora, ma questo è il primo giro che si tratta di capire bene, è il basamento profondissimo più essenziale, dove vedete che abbiamo ritrovato la dialettica soprattutto dell’appartenere a Cristo, e anche del distaccarsi.
Il distacco non ci deve fare paura, bisogna però che noi entriamo nella dialettica giusta, il distacco tra le cose celesti e quelle terrestri. Basta non fare lo spregio delle terrestri per vantare le celesti. “Cercate le cose di lassù dove è assiso Cristo”, non è fatto per le monache di clausura, è fatto per tutti. È questo dinamismo che ci deve portare verso la società con più chiarezza, con più lucidità.
Noi siamo una presenza specifica dentro la società. Ho detto noi, i nostri laici più di noi, ma i nostri laici sono i laici cristiani, sostenuti da noi. Dico scherzando: indottrinati da noi! Si tratta di indottrinare, giustamente, perché non ce la fanno mica da soli a rifare tutta la teologia. Sono le brave pecore la materia con cui si fanno i bravi pastori. Ma sono i bravi pastori che fanno le pecore con la testa sul collo, capaci di incidere, e non solo di approfittare delle situazioni. Astuti e spirituali. Il nostro capo diceva infatti “semplici come colombe e astuti come serpenti”.
2/ La laicità della sequela del Figlio dell’uomo
Dopo il primo punto, il discepolo, caso tipico di Simone, il secondo punto: la laicità della sequela del Figlio dell’uomo.
Mc 10,32-45 è un brano stupendo, molto importante, perché Gesù ha cominciato allora a insegnare ai suoi discepoli che il Figlio dell’uomo deve molto patire, e dopo aver dato questo insegnamento in tutta una fase del ministero, in Mc 10,32 avete una scena che va trattata con cura.
Avete una predizione che è introdotta così:
erano lungo il cammino.
La grande metafora del cammino, dove Gesù precede e i discepoli seguono:
salendo a Gerusalemme ed era davanti a loro, precedentili Gesù, e loro erano stupiti, meravigliati, quelli che venivano dietro avevano paura.
State attenti adesso a queste parole:
E prendendo di nuovo da parte i Dodici,
- la scena è importantissima, Gesù porta i Dodici in disparte per una predizione, ha già dato un insegnamento a tutti -
«Ecco, noi saliamo a Gerusalemme e il Figlio dell'uomo sarà consegnato ai sommi sacerdoti e agli scribi: lo condanneranno a morte, lo consegneranno ai pagani, lo scherniranno, gli sputeranno addosso, lo flagelleranno e lo uccideranno; ma dopo tre giorni risusciterà» (Mc 10,33-34).
Giovanni e Giacomo vanno a chiedere i primi posti, gli altri dieci si arrabbiano per questo e allora c’è la famosissima presa di posizione di Gesù che dice:
«Voi sapete che coloro che sono ritenuti capi delle nazioni le dominano, e i loro grandi esercitano su di esse il potere. Fra voi però non è così; ma chi vuol essere grande tra voi si farà vostro servitore, e chi vuol essere il primo tra voi sarà il servo di tutti». (Mc 10,42-44)
Queste parole per la laicità sono importantissime, cosa significa “sarà il servo di tutti”? Che andrà a fare il parroco in un paesino sperduto lasciando il capoluogo? E poi c’è la frase sulla quale volevo attirare la vostra attenzione:
“Perché il Figlio dell’uomo non è venuto per essere servito, ma per servire e dare la sua vita in riscatto per molti”.
Vi confesso che ho pensato molto a questo incontro con voi, da quando mi hanno lanciato il tema, perché è un tema difficile. La cosa che mi è stata di più grande compagnia è stata proprio questo testo. Ho pensato “dirò proprio così, che questo testo vede la vita di Gesù nel dare la vita, ma anche nel servire”.
È chiaro che questo è il fondamento del “trattare le cose temporali ordinandole secondo Dio”, perché o noi ne facciamo una declinazione puramente clericale nel senso di “accetta il servizio, accetta questa vocazione al presbiterato, anche se c’è il celibato incorporato”, o diciamo che l’atteggiamento di servizio è quello lì, sempre un po’ civettuolo, di chi ti sta addosso e vuole essere gentile “Passi lei!”, “No prego, passi lei!”, o altrimenti il servizio diventa la chiave della realtà laicale. La chiave della realtà laicale è questa, la vita come servizio.
Trattare le cose temporali ordinandole secondo Dio non è nient’altro che entrare in questa ottica di servizio nella visione spirituale o cristiana, chiamatela come volete, totale. Per la visione spirituale totale basterebbe dare la vita, ma vedete che c’è anche la chiave del servizio, che è una chiave laicale. In questo senso il cristianesimo è profondamente laicale, perché non ha un tempio senza il servizio, non ha il culto senza il servizio.
A questo noi dobbiamo spingere i nostri ragazzi e ancor di più le nostre ragazze, che adesso sono in corsa, rivendicano le quote rosa, benissimo, ma tutto questo va indirizzato verso una spiritualità del servizio che non toglie niente al modo di vivere nelle realtà temporali, ma dà un’intensificazione e apre una prospettiva più alta, pescatori di uomini. Io sono un prete e devo fare il pescatore di uomini perché devo trovare anche altri che facciano i preti, tra l’altro, ma è una cosa che ci riguarda tutti, è una prospettiva bellissima, affascinante. Normalmente i laici, se sono un po’ intelligenti, lo capiscono.
3/ La sacralità della morte di Gesù
Terzo punto: la sacralità della morte di Gesù. La morte di Gesù segna l’eliminazione dell’antico tempio, parliamo sempre di Marco. Se parlassimo di tutti dovremmo considerare altri punti. La morte di Gesù segna la dismissione dell’antico tempio “il velo del tempio si lacerò in due da cima a fondo”. Non è una cosa che si veda dal Golgota questa, ma Mc 15,37 dice:
Ma Gesù, dando un forte grido, spirò.
Il velo del tempio si squarciò in due, dall'alto in basso.
Allora il centurione che gli stava di fronte.
Questa annotazione serve a tornare sul Golgota, l’ascoltatore del testo sta vedendo il Golgota, il Signore spira, riceve un’informazione, in contemporanea il velo del tempio si lacerò in due da cima a fondo poi si torna sul Golgota:
vistolo spirare in quel modo, disse: «Veramente quest'uomo era Figlio di Dio!».
È uno dei punti altissimi del vangelo di Marco, stupendo, lo dovete, per capire bene, mettere in relazione con il battesimo di Gesù e con la Trasfigurazione. Soprattutto con il battesimo. Perché in questi tre casi avete un segno della presenza di Dio. Nel battesimo avete lo squarciarsi dei cieli. Nella Trasfigurazione avete la nuvola, nella morte di Gesù avete il buio. Tutti questi sono segni della presenza di Dio, anche il buio.
La morte di Gesù però porta una scissura. Nell’attuale traduzione CEI si dice “si aprì”, perché così dicono Matteo e Luca. Ma Marco fa una cosa elaborata e dice che al Battesimo Gesù vide i cieli squarciati (σχιζομένους), che non si chiudevano più dunque, che si aprivano per lasciar passare la colomba e poi si chiudono che non succeda che qualcuno abbia delle estasi. Lì invece si dice che si lacerò e lo Spirito in forma di colomba, lo Spirito di Dio viene a posarsi su Gesù, e quindi sarà Gesù il distributore dello Spirito. Questa è la scena.
Al Golgota c’è una diversità rispetto alle prime due. Nelle prime due era Dio che diceva: “Tu sei mio figlio diletto”, “Questo è il mio figlio diletto, ascoltatelo”. Adesso Dio tace. Al posto di Dio il massimo della laicità, il centurione, che aveva guidato il drappello di esecuzione, che era lì di fronte, vedendo che Gesù era morto così, (non vedendo la scissura del velo del tempio, per questo ho fatto prima la rievocazione, “vedendo che così era spirato”, dice l’evangelista, perché non è stato il miracolo della scissura del velo del tempio che ha suscitato la fede, ma la morte di Gesù) dice:
“Quest’uomo era veramente Figlio di Dio”.
E l’uomo più lontano possibile, nella solitudine dei discepoli, fa la confessione di fede esatta, quella che aveva tribolato Pietro e che l’aveva portato alla fine all’abbandono e che sarà ripresa dopo Pasqua, l’evangelista ce la fa vedere in qualche modo anticipata a livello di massima laicità.
Ovviamente io non sto usando la parola laico, non posso tirar fuori cinque passi in cui si parla del laico nel Nuovo Testamento. Qui si deve fare un lavoro esegeticamente più accanito, di secondo livello, più complesso, ma vedete che non stiamo forzando i testi, stiamo cercando di vedere quali sono le nervature profonde che danno senso al parlare di un laico di un certo tipo.
Il nostro laico che non è l’uomo qualunque, è il cristiano che è Chiesa, che appartiene a Cristo, e che ha come specifico che deve trattare le cose temporali ordinandole secondo Dio. Si potrebbe fare una bella meditazione sul centurione sotto la croce come figura di vero laico che tratta le cose del mondo, l’esecuzione capitale di Gesù, secondo Dio: “veramente quest’uomo era figlio di Dio”.
4/ L'amore vale più dei sacrifici
Quarto punto: l’amore vale più dei sacrifici. Questa è una grossa cosa cristiana e una grossa cosa laicale. Se l’amore vale più dei sacrifici, tutta l’apparecchiatura cultuale viene a subire un ridimensionamento. Allora la frase che io ho detto riecheggia molto quella di Osea, ripresa due volte da Matteo, “misericordia voglio e non sacrificio”, c’era già la preparazione nell’Antico Testamento, ma nel vangelo di Marco c’è una rappresentazione molto forte quando ci si trova nel tempio di Gerusalemme. Non per niente Marco ha sottolineato questo episodio del doppio comandamento dell’amore proprio lì.
Mc 12,28-34
Allora si accostò uno degli scribi che li aveva uditi discutere, e, visto come aveva loro ben risposto, gli domandò.
Notate che non è una tentazione, bisogna avere in mente la sinossi, gli altri evangelisti fanno un po’ diversamente. Ma è una domanda seria, non una tentazione:
«Qual è il primo di tutti i comandamenti?».Gesù rispose: «Il primo è: Ascolta, Israele. Il Signore Dio nostro è l'unico Signore; amerai dunque il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta la tua mente e con tutta la tua forza. E il secondo è questo: Amerai il prossimo tuo come te stesso. Non c'è altro comandamento più importante di questi»
Vedete che è la dualità della quale stiamo parlando da un’ora? Quando diciamo appartenenti a Cristo che animano le cose terrene, vedete che il doppio comandamento è esattamente questo? Con la seconda frase si elimina un po’ il primo e il secondo. C’è una dualità da rispettare.
Allora lo scriba gli disse: «Hai detto bene, Maestro, e secondo verità che Egli è unico e non v'è altri all'infuori di lui; 33amarlo con tutto il cuore, con tutta la mente e con tutta la forza e amare il prossimo come se stesso val più di tutti gli olocausti e i sacrifici».
E siamo nel tempio, quindi la frase vuol dire: più di tutto quello che vediamo qui intorno. Allora però il tempio non è eliminato, poiché c’è il primo punto che è amare Dio, e non si può amare Dio senza la liturgia, senza il culto.
Gesù, vedendo che aveva risposto saggiamente, gli disse: «Non sei lontano dal regno di Dio». E nessuno aveva più il coraggio di interrogarlo.
Questa è dunque l’ultima questione di tutta la vita di Gesù. È un brano per Marco importantissimo che ci riporta al nostro tema. Vedete che stiamo trattando laici e laicità nel vangelo di Marco - si tratta di percepire queste dimensioni - allora davvero i discorsi che andiamo facendo oggi non sono semplicemente un dire: “Ma tutta questa società era cristiana, perché ci lasciamo fregare la gente da questa cultura?” Non è solo questo. Noi forse siamo considerati dei personaggi reattivi che cercano di salvare l’impero decadente. Non è che noi abbiamo delle nostalgie! È il messaggio che Cristo ci ha lasciato, che esige questo tipo di attenzione. Non è perché abbiamo paura di diventare di meno.
Noi tradiremmo il disegno cristiano, se non avessimo l’attenzione ad un laicato capace di trattare le cose del mondo (non dei mezzi sacrestani), ma non solo capaci di trattare le cose del mondo (non dei furbetti), ma di “trattare le cose del mondo secondo Dio”. Che non va ridotto a “essere sì presenti nel mondo, ma secondo le direttive che dà il magistero e che io parroco spiego”, perché questa visione è troppo debole e non va. E i laici si ribellerebbero. La frase che ho detto non ha nulla di sbagliato, ma guardando la realtà bisogna capire, che se non me lo dicono i biologi, come faccio a fare la bioetica?
Allora si tratta di avere veramente un laicato che è capace di ordinare secondo Dio, che dice “Caro Vescovo, lei ha visto cosa sta succedendo? Guardi che giocando con il denaro così, succede questo. Guardi che questa legislazione provoca dei guasti”. Allora l’episcopato, i presbiteri, i viceparroci, interverranno, ma secondo me oggi non bisogna avere paura di far capire che il laico cristiano non è colui che è obbediente al prete.
Ci sono alcune formulazioni che non sono felicissime “È colui che realizza le direttive della dottrina sociale della Chiesa in politica”. Va bene, ma bisogna avere una visione più ricca. Perché queste cose creano delle difficoltà. Si potrebbe obiettare: “Ma in Italia contano solo i Vescovi? Dov’è il laicato? Non abbiamo più quelle figure di laicato che in passato esistevano!” Io non ci credo tanto, abbiamo un laicato splendido, diciamo che forse l’episcopato ed il clero si sono mossi di più, può darsi che ci siano degli equilibri diversi. Ma vince chi ha più forza, solo un laicato forte può essere incisivo, quindi dobbiamo incoraggiare i laici e far capire in quale grande conto noi teniamo il loro parere.
Abbiamo bisogno di loro per animare, dobbiamo uscire dall’idea che i migliori dei nostri ecclesiastici con i loro consiglieri, approntano un piano di battaglia che poi i laici mentre continuano le loro cose, cercano di attuare. È una visione dirigenziale. Se ragioniamo così non abbiamo ancora il laico che è lui la Chiesa, non è il sottoscala della Chiesa dove arrivano i carichi dall’alto.
Certamente sono loro che animano e sono al fronte, ma si deve far vedere loro che anche le direttive che vengono che sono unite, comunitarie, che a volte saranno anche discutibili, perché si deve fare unità anche nel discutibile a volte, sono cose che vengono da loro. Voi siete molto giovani e il mio paternalismo qui si scatena, ma questi ragazzotti borgatari o cittadini del centro bisogna appassionarli, far capire che la Chiesa ha bisogno della loro intelligenza, che non pensiamo che la laicità sia un male necessario, che sarebbe bello se tutto fosse un monastero. Noi non siamo così!
La laicità l’abbiamo inventata noi cristiani, perché voi romani, prima che arrivassero i cristiani, rendevate sacrale l’imperatore, considerato un dio. A questo livello si capisce bene che la nostra è una religione laicale.
5/ L'autonomia della realtà secolare
Ultimo punto: l’autonomia della realtà secolare, che è una dimensione religiosa, oserei dire, in quanto autonoma. Forse è una frase un po’ contorta, l’autonomia della realtà secolare ha una dimensione religiosa sua propria. È l’episodio del tributo, e questo è veramente un passo capitale nella formazione del pensiero. Ne do un commento semplicissimo, il passo lo conoscete bene:
È lecito o no dare il tributo a Cesare? Lo dobbiamo dare o no?».
È lecito o no pagare le tasse? Noi che siamo il popolo di Dio, che abbiamo la terra di Dio. Gli zeloti dicevano di no, che i romani vanno eliminati e non farlo era una mancanza di fede, perché Dio ha dato la terra al suo popolo, i romani hanno occupato questa terra, quindi se noi crediamo al dono che Dio ha fatto ad Israele dobbiamo eliminarli.
Gesù cosa dice? Chiede di vedere una moneta. Primo elemento interessante, Gesù non ha monete, anche nell’episodio della tassa del tempio dovrà tirar fuori miracolosamente una moneta dalla bocca del pesce (Mt 17). Gesù presenta un certo distacco, non è inserito nel sistema. Quando gli danno la moneta e chiede di chi è il viso, di chi è l’iscrizione, e quando gli rispondono che è di Cesare, Lui dice di dare a Cesare quel che è di Cesare e a Dio quel che è di Dio.
Mc 12,15-18
Ma egli, conoscendo la loro ipocrisia, disse: «Perché mi tentate? Portatemi un denaro perché io lo veda». Ed essi glielo portarono. Allora disse loro: «Di chi è questa immagine e l'iscrizione?». Gli risposero: «Di Cesare». Gesù disse loro: «Rendete a Cesare ciò che è di Cesare e a Dio ciò che è di Dio». E rimasero ammirati di lui.
Cosa vuol dire la risposta di Gesù? Lui chiede se quella moneta appartiene ad un sistema, è di Cesare. Quindi se si appartiene al sistema di Cesare occorre darla a Cesare. Questa è la formazione laicale: “Come, non fai i soldi? Non trovi un lavoro?”
Questo è spiritualità cristiana, non è incertezza. Solo che Gesù ha aggiunto di dare a Dio quel che è di Dio. Non fate finta che in una cosa che dovete fare, che appartiene alla vostra realtà sia risolta tutta la vostra religiosità. Impegnatevi davvero nella realtà secolare, non scherzate, non adoperate i soldi rifiutandovi di dare il tributo, dovete stare alle regole del gioco!
Questa scena è veramente bellissima. C’è un punto in cui Gesù si rifiuta di trattare l’eredità. Uno va a chiedere aiuto perché suo fratello non vuol dividere l’eredità con lui. Gesù si mostra scocciato, ma per l’atteggiamento, non perché i soldi non interessino, non perché l’economia (o l’impero) non siano importanti.
Abbiamo solo questo brano al riguardo nel vangelo, ma meno male che ce l’abbiamo, perché ci fa vedere l’atteggiamento di Gesù. Non un atteggiamento zelotico, non un atteggiamento falso, con una spiritualità fatta sul nulla e con una vita concreta, economica, culturale, professionale, che corre su altri binari. Quella cosa ritenuta splendida, la religiosità nel privato, la religiosità personale, che non deve avere rilievo pubblico, non deve essere ingombrante, deve essere vissuta con pudore! Non bisogna ostentare la fede.
Gesù non è così sciocco. Non si può stare banalmente nella realtà, c’è l’altro passaggio. La religiosità profonda sta in questo equilibrio, il secolare, il temporale, il laicale, va lasciato tale, noi dobbiamo esserci implicati, anche noi preti. La nostra nota predominante non è nello stare nel mondo, ma anche noi abbiamo questioni di pensioni, di soldi, di giustizia, di pagamenti, di ritocchi al nostro appartamento o alla cella campanaria. Bisogna uscire da quella mentalità per cui noi siamo un po’ speciali, e le tasse (quelle private, non penso alle storie sull’ICI) per noi funzionano diversamente. Alcuni di noi possono essere tentati di commettere piccole scorrettezze perché questo è il clima, possono pensare come se non si dovesse dare a Cesare quel che è di Cesare.
E il laicato ancora di più. Va spinto ad agire correttamente e poi gli va detto che c’è dell’altro. Perché noi parliamo non del laico nel senso di uno che semplicemente non è un prete, ma del Christifidelis laicus, quindi dov’è l’aggancio, la tua comunione con Cristo? La tua sequela di Cristo dov’è? Se tu vuoi passarmi per sequela di Cristo semplicemente la tua vita con le sue ambiguità, io ti dico “Dai a Cesare quel che è di Cesare” e poi ti dico “e a Dio quel che è di Dio”.
Vedete che da quando abbiamo iniziato a parlare, io vi faccio vedere che ci troviamo sempre di fronte a due elementi: ama Dio - ama il prossimo, dà a Cesare - dà a Dio, dappertutto troviamo questo doppio livello: pescatore di uomini - cercatore del Regno.
Questo, se vedo bene, è il basamento della teologia del laico cristiano nel mondo. È poi indispensabile vedere come i cristiani se la sono cavata, vedere fuori dai vangeli, nel resto del Nuovo Testamento, per vedere come hanno digerito questi vari aspetti.
All’inizio ho lanciato anche un sasso “Il tempo è compiuto”. Per il Cristianesimo primitivo esiste anche una polarità. Passa la figura di questo secolo, la nostra salvezza è più vicino adesso di quando siamo giunti alla fede, che non è ancora la consapevolezza di una storia che si sviluppa. Sicuramente Paolo non capirebbe niente se gli parlassimo della salvaguardia del Creato, della custodia dei beni di questo mondo per le nuove generazioni, l’acqua il petrolio e tante altre cose. Nel Cristianesimo primitivo troveremo un elemento apocalittico, teso alla fine, ma cominciamo a trovare la preghiera per il re, si comincia a trovare il problema del confronto con il mondo.
Distanza dal mondo, ma anche atteggiamento pubblico dei credenti. Tematiche che stanno profondamente dentro al nostro tema ma tenendo insieme le due cose. La tematica dell’atteggiamento pubblico, molto importante oggi, la responsabilità di fronte al futuro del mondo, la responsabilità di fronte alla cultura. Responsabilità che il Cristianesimo si è assunto salvando quello che era salvabile dell’impero romano.
Ma al tempo stesso c’è l’altro elemento che è quello della profondità religiosa. Noi viviamo un’epoca nella quale il laicato è stato in qualche modo reso più religioso. Direi che il nostro laicato per alcuni versi è molto più consapevole del laicato anni ’30, c’è una cultura più diffusa, il nostro laicato è più colto nell’accezione culturale mondana, però adesso c’è da fare di più. C’è da far crescere questo aspetto liturgico.
Vi racconto un episodio. Al Capranica sono venuti degli ortodossi del Comitato del Segretariato per l’unità dei cristiani, a dire un Vespro. Hanno fatto dei Vespri bellissimi, i ragazzi si sono alzati in piedi, hanno incensato, cantato in tutte le lingue. Bello, molto religioso, perfettamente a-logico. Facevo notare ai ragazzi che manca l’appello all’elaborazione.
Il lunedì successivo il coro interuniversitario è venuto e ha fatto un concerto di musica d’organo e musica romana, polifonia romana religiosa. È stato illuminante. Dopo ho detto ai ragazzi che qui c’era tutta l’antropologia occidentale che manca di là. Tra la liturgia ortodossa e la nostra, ho visto lo stesso rapporto che c’è tra l’icona e la nostra pittura. Non vorrei essere frainteso, io amo entrambe queste forme di espressione, ma la pittura è piena di antropologia.
Attraverso la liturgia come l’abbiamo oggi, il nostro laicato è molto collegato alla liturgia. Non dappertutto, ci sono anche delle devozioni troppo popolari in alcuni luoghi, ma vedete che abbiamo una macchina di pensiero spirituale molto bella.
La liturgia è una macchina formativa permanente. È anche una catechesi, non solo un’esperienza a-logica, pure molto importante. È questo che si tratta di approfondire, è qui che facciamo l’esperienza di appartenenza al Signore e poi c’è l’altro bacino, la cultura intorno, com’è, dove va, come plasma gli uomini. Credo che cominciamo ad essere abbastanza avveduti ed è proprio su questo che si tratta di insistere.
Il vostro titolo lo dice bene “I laici nella Chiesa per il mondo”. Il biblista si ferma qui. Poi la Bibbia può tornare utile nell’analisi dei problemi della cultura odierna, ma non in maniera fondamentalista. Se si affronta un nuovo problema si guarda cosa si dice la Bibbia, ma non possiamo pensare di risolvere i problemi a colpi di versetti biblici. Dobbiamo invece impadronirci di questa teologia profonda.
6/ La distanza dal mondo
Abbiamo cercato di cogliere che si può lavorare nei vangeli anche per arrivare ad un certo concetto di laico e di laicità della realtà. Operazione delicata perché non siamo guidati dalla terminologia. Non troveremmo la parola laico, e se dovessimo cercare il concetto distillato di laicità dovremmo chiudere il vangelo e concludere che si tratta di una bella invenzione della Rivoluzione francese. Adesso però dobbiamo fare ancora qualche passo avanti. Una seconda grande parte l’ho chiamata la distanza dal mondo.
Primo punto: i cristiani si sono chiamati volentieri gli stranieri. Il cristianesimo primitivo cominciò subito a dire che non c’erano gli stranieri. Per esempio:
Ef 2,19-22
Così dunque voi non siete più stranieri né ospiti, ma siete concittadini dei santi e familiari di Dio, edificati sopra il fondamento degli apostoli e dei profeti, e avendo come pietra angolare lo stesso Cristo Gesù. In lui ogni costruzione cresce ben ordinata per essere tempio santo nel Signore; in lui anche voi insieme con gli altri venite edificati per diventare dimora di Dio per mezzo dello Spirito.
Il Nuovo Testamento ha questa dichiarazione forte, non ci sono, nella casa di Dio, stranieri. Tutti sono concittadini dei santi, familiari di Dio. Questa concezione è molto bella, da un certo punto l’estraneità e la distanza sono superati, è il massimo tasso di comunione possibile.
State attenti però perché viene immediatamente espresso anche un concetto diverso. Il cristiano si considera straniero nel mondo. C’è un gioco e non sempre queste metafore vengono usate correttamente se uno non disciplina il suo pensiero. Proprio l’idea che nella Chiesa la differenza, l’estraneità è scomparsa, porta al tempo stesso ad un concetto così alto al quale consegue l’autocomprensione di sé come stranieri rispetto al mondo. I testi nel Nuovo Testamento non sono tantissimi, ma sufficienti a capire che le cose stanno proprio così. Per esempio nella Lettera ai Filippesi, una sicuramente dettata da Paolo, si dice:
Fil 3,20-21
La nostra patria invece è nei cieli e di là aspettiamo come salvatore il Signore Gesù Cristo, il quale trasfigurerà il nostro misero corpo per conformarlo al suo corpo glorioso, in virtù del potere che ha di sottomettere a sé tutte le cose.
Frase che descrive l’esistenza cristiana, non l’esistenza dei religiosi. Questo è l’elemento della distanza. La distanza che è data dalla maturità spirituale, ma anche teologica, di pensiero dei nostri cristiani. Ed è mia convinzione che non si possa avere un laicato incisivo, forte, con pensieri deboli. La forza del laicato dipende dalla tempra morale, ma anche dalla qualità del pensiero che il laico è capace di elaborare. La convinzione teoretica di cosa sono è molto importante per un uomo.
Quindi la formazione di una robusta autocomprensione cristiana da parte del giovane che sta crescendo, dell’adulto che si apre per qualche felice caso, alla riflessione cristiana, è di assoluta importanza. Uomini piccoli fanno piccole cose, anche se molto volenterosi. Quello che un laico pensa dell’essere cristiano, come declina il suo essere cristiano, è fondamentale. Questa è la teologia del laicato, questa è l’attenzione alla formazione. Suscitare dei pensieri che la gente terrà nel cuore anche quando noi non ci saremo più, perché saremo andati in un’altra parrocchia!
Questo è un punto imprescindibile della fede. La prima esperienza shock che io ho fatto nel lontano 1980, quando insegnavo a ragioneria. Ho sottoposto ai ragazzi un questionario in cui si chiedeva: “Credi all’immortalità dell’anima? Credi alla vita oltre la morte? Credi alla resurrezione della carne?” Gli studenti mi hanno chiesto: “Ma perché ha messo due volte la stessa domanda?”. Lì ho capito che avevamo due dizionari diversi, ed è stato molto utile.
Questo ci dà il livello e infatti alla resurrezione della carne oggi secondo me non ci crede quasi nessuno. Ma questo è un danno enorme, perché come si può credere davvero all’Incarnazione se non si crede alla Resurrezione? Questo mondo deve avere nostalgia nel cuore. Anche i laici devono avvertire questa nostalgia, altrimenti non si riesce a vivere per esempio la castità in un certo modo nonostante le tragedie familiari.
Non è insignificante sapere a che cosa è destinato il nostro corpo, se c’è questa attesa. C’è una distanza dal mondo che è utile. Non bisogna essere scioccati dai fraintendimenti che furono possibili qualche secolo fa. Dipende da che tipo di distanza tu hai dal mondo, perché c’è una distanza che è speranza, che è forza. Allora il problema dell’impegno del laicato nella società, non è solo voglia di riuscire politicamente, perché questa ce l’hanno tutti. Tutti vogliono vincere politicamente.
Il nostro lavoro di formazione è più delicato perché si innesta su questa base più ampia. Ho citato Paolo, ma anche la più difficile da collocare Lettera di Pietro - alcuni dicono che è autentica, scritta dal dottissimo Silvano, perché per essere di Pietro ha il difetto che è scritta nel greco più bello del Nuovo Testamento, ma alla fine si cita Silvano, quindi può essere un lavoro con segretario acculturato. Questa lettera questa idea di straniero ce l’ha fortemente.
1Pt 1,1-2
Pietro, apostolo di Gesù Cristo, ai fedeli dispersi nel Ponto, nella Galazia, nella Cappadòcia, nell'Asia e nella Bitinia, eletti secondo la prescienza di Dio Padre, mediante la santificazione dello Spirito, per obbedire a Gesù Cristo e per essere aspersi del suo sangue: grazia e pace a voi in abbondanza.
Il cristiano residente nel mondo, ma non cittadino del mondo. È la lettera nella quale troviamo il passo che insegna ad essere
1Pt 3,15
pronti sempre a rispondere a chiunque vi domandi ragione della speranza che è in voi
Proprio perché si deve percepire questa distanza. C’è anche la Lettera a Diogneto, ma ora restiamo su questo testo, che vede benissimo l’impatto con il mondo e non lo nega, ma lo vede in termini di distanza. Il passo più importante si trova in 1Pt 2,11-12:
Carissimi, io vi esorto come stranieri e pellegrini ad astenervi dai desideri della carne che fanno guerra all'anima. La vostra condotta tra i pagani sia irreprensibile, perché mentre vi calunniano come malfattori, al vedere le vostre buone opere giungano a glorificare Dio nel giorno del giudizio.
È una citazione di Gesù “Così risplenda la vostra luce davanti agli uomini, perché vedano le vostre opere buone e rendano gloria al vostro Padre che è nei cieli”. (Mt 3,6), attraverso questo concetto molto ricco, molto bello, di straniero, ma non semplicemente straniero, uno che vive nel paese senza appartenere a quel popolo, il gher. Bisogna soccorrere la vedova, l’orfano e lo straniero.
Per straniero non si intende quello che viene da fuori, il gher è quello che non appartiene al popolo, ma vive e cresce con il popolo, è quello che tu devi soccorrere. Adesso lo ribaltiamo, in questi livelli molteplici del Nuovo Testamento, i cristiani primitivi si autocompresero presto come gli stranieri residenti, gli stranieri che vanno a vivere in un posto ma non appartengono a quel popolo.
Questa è la chiave dell’impegno, altrimenti noi insegniamo alla gente semplicemente a concorrere contro gli altri, ad avere ragione su alcune rivendicazioni. Questa percezione di questa distanza è assolutamente essenziale. Questo concetto potrebbe essere declinato in modo sbagliato, inteso con: “Siamo stranieri, quindi cosa ci interessa?”.
Noi siamo degli italiani qualunque che la domenica vanno a messa, pagano l’otto per mille, fanno offerte liberali. No, noi viviamo in questo Paese, condividiamo tutto, paghiamo le tasse sui soldi che abbiamo, ma viviamo in questo Paese con nel cuore una speranza che è un di più di questo impegno.
Questo è facilmente comunicabile anche a quelli che non sono cristiani. Non è pensabile che il cristiano non sia un cittadino correttissimo, giusto. Ed è già una certa testimonianza essere giusti, ma non è ancora la testimonianza cristiana. La testimonianza cristiana è quella per cui, quando dalla giustizia sorge una questione che ci interpella, riusciamo a mettere un surplus. Siamo destinati alla resurrezione ed è per questo che l’aborto ci raccapriccia. C’entra la giustizia, tu puoi dire quello che vuoi, ma elimini un bambino che altrimenti ci sarebbe. Quel bambino nascerebbe e camminerebbe se tu lo lasciassi stare, quindi pensaci bene, ma è anche un disegno eterno, un disegno di resurrezione. Non è detto che sempre si debba dire il punto B, ma per avere forza occorre saper spiegare anche il punto B. Quando ci vuole coraggio a dire di tenere un bambino che potrebbe essere deforme.
Questo è il punto più delicato perché abbiamo anche intorno a noi molti laici che vogliono essere spiritualisti, perché è molto comodo. Si può essere spiritualisti a buon mercato, ci si butta, si vive la religiosità in forme interne, si lascia quasi intatta la dimensione pubblica, rispondendo perfettamente alla richiesta laicista. Chi vuole male alla religione vissuta privatamente? Basta non disturbare, avere un senso del pluralismo! Io penso invece che nella formazione bisogna scaldare il cuore, la mente in senso ampio, perché appunto le circostanze non sono semplici.
L’altro aspetto importante è la visione apocalittica, già Gesù aveva dei tratti apocalittici. Uno è che Gesù ha preannunciato le persecuzioni, lui stesso era perseguitato. Il male travaglia la storia, miete dentro la storia, la cattiveria fa le sue vittime.
In Gesù c’era anche un’altra idea che sembra mettere in difficoltà la presenza del laico nella Chiesa per il mondo: “Il tempo si è fatto breve”, “Il tempo è compiuto”, “Convertitevi, credete al vangelo”. In Gesù c’erano questi elementi di accelerazione del tempo. A voi sarà già venuto in mente Paolo che dice: “Passa la scena di questo mondo”, “Noi viventi andremo incontro al Signore”: non gli viene neanche il sospetto che potrebbe essere morto.
Ho sempre detto ai ragazzi: “Ma secondo voi, se i Tessalonicesi avessero domandato a Paolo se era sicuro di essere vivo per la parousia, che cosa avrebbe risposto?” Sicuramente: “Non lo so”, ma mentre detta non gli viene il sospetto, perché probabilmente è abbastanza giovane. Questi elementi di celerità toccano il Nuovo Testamento.
Perché mi fermo su questi punti? Perché se voi vi mettete a discutere con i laici vi presentano un testo tipico da Testimoni di Geova: bisogna sapersi districare e rendersi conto che la prospettiva del tempo e il rapporto con la società è diverso. Da questi vari elementi il Cristianesimo ha elaborato una linea anche apocalittica, di rivelazione all’improvviso, che ha qualche traccia e che è l’opposto del tranquillo impegno per la società.
Vi ricordate il libro di Umberto Eco “Apocalittici e integrati”, gli integrati nella società e gli apocalittici che sono per un ribaltamento prossimo. Gli apocalittici non hanno molto da dire alla società e alla politica.
Nel Nuovo Testamento questo confluisce nell’Apocalisse di Giovanni di Patmos, e lì la mentalità è quella di chi attende la nuova Gerusalemme. Tutta l’Apocalisse è basata su questa idea. La Nuova Gerusalemme è la Chiesa, ma alla fine la nuova Gerusalemme discenderà dal cielo. Mentre Babilonia, sarà precipitata dal cielo, moriranno i mercanti, moriranno questi imbroglioni, il finto agnello, il dragone, con le due bestie che lo sostengono, il potere politico e il potere religioso, asservito al potere politico.
Bisogna rendersi conto che dentro al Nuovo Testamento ci sono queste tendenze apocalittiche che certo non sono favorevoli ad una tranquilla convivenza in vista della costruzione del bene futuro, e del benessere terreno, la pace, è un altro mondo. Questo mondo dell’apocalittica però sa che il futuro è preparato dal sangue dei martiri. L’apocalittica urla che c’è ingiustizia, i martiri dicono dal basamento dell’altare del trono di Dio: «Fino a quando, Sovrano, tu che sei santo e verace, non farai giustizia e non vendicherai il nostro sangue sopra gli abitanti della terra?».Allora venne data a ciascuno di essi una veste candida e fu detto loro di pazientare ancora un poco, finché fosse completo il numero dei loro compagni di servizio e dei loro fratelli che dovevano essere uccisi come loro.(Ap 6,10-11)
C’è nel Nuovo Testamento una linea che vede lo scontro tra bene e male, terribile, su questi tempi ultimi, attende la caduta di Babilonia, attende la discesa della Sposa dal cielo e finalmente si celebreranno le nozze dell’Agnello. Quando la fidanzata vestita di lino puro verrà e verranno cieli nuovi e terra nuova. Questo c’era già nell’Antico Testamento. Questa è la linea apocalittica, molto sfiduciata nelle forze intrastoriche, scopre meglio che in altri punti la demonicità del potere, del commercio, della ricchezza, della lussuria e presenta il cristiano come il giusto.
Sono linee che c’erano già presso gli Ebrei, c’era l’apocalittica ebraica, poi nasce quella cristiana e continua anche quella ebraica, sono correnti di pensiero trasversali che danno un grande apporto al Nuovo Testamento, che ci sono, quindi in una riflessione come quella che voi volete fare è bene sapere che ci sono per non essere spiazzati. Perché ci sono testi che invitano a un’attenzione, una delicatezza verso la storia, un impegno, e ci sono invece testi che dicono che non conta che il martirio.
Ma questi sono anche due tipi umani che ci sono anche, ben divisi, in parrocchia. I presbiteri sono meglio temperati, quindi sono distribuiti con più sfumature, ma queste due tendenze ci sono anche attualmente.
Il terzo punto del quale vorrei parlare è quello della distanza dal mondo che vedeva Gesù. Prendo le Beatitudini, Mt 5. Le beatitudini in Mt sono interessantissime, non cadete nella trappola di ritenerle spiritualizzate, e di ritenere quelle di Lc veramente forti. Questo è un errore esegetico.
Le Beatitudini sono rivolte ai discepoli e a tutte le folle che sono radunate, e Gesù dice:
«Beati i poveri in spirito,
perché di essi è il regno dei cieli.
Beati gli afflitti,
perché saranno consolati.
Beati i miti,
perché erediteranno la terra.
Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia,
perché saranno saziati.
Beati i misericordiosi,
perché troveranno misericordia.
Beati i puri di cuore,
perché vedranno Dio.
Beati gli operatori di pace,
perché saranno chiamati figli di Dio.
Beati i perseguitati per causa della giustizia,
perché di essi è il regno dei cieli.
(Mt 5,3-11)
Le Beatitudini servono a Gesù a dire che il Regno di Dio è veramente presente. Ci sono categorie di uomini, non si dice se cristiani o non cristiani, non interessa, ci sono i poveri in spirito, coloro che sono tristi, coloro che sono affamati e assetati di giustizia, i puri di cuore, che mostrano che è presente il Regno di Dio. Gesù nelle Beatitudini annuncia che la realtà di Dio è qui in mezzo a noi, fra tutti gli uomini, cristiani o non cristiani che siano, importantissima oggi questa consapevolezza.
In Mt sono le prime parole di Gesù, le ultime saranno: Perché io ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere; ero forestiero e mi avete ospitato, nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, carcerato e siete venuti a trovarmi.(Mt 25,35-36).
Anche lì senza distinzioni tra cristiani e non, si assiste ad una scena stupenda in cui scopriamo dal giudizio universale che era presente il Signore senza che lo sapessimo, i buoni e i cattivi:
Allora i giusti gli risponderanno: Signore, quando mai ti abbiamo veduto affamato e ti abbiamo dato da mangiare, assetato e ti abbiamo dato da bere? Quando ti abbiamo visto forestiero e ti abbiamo ospitato, o nudo e ti abbiamo vestito? E quando ti abbiamo visto ammalato o in carcere e siamo venuti a visitarti? (Mt 25,37-39)
Il vangelo di Matteo è stupendo, con dei punti difficili ma di una profondità incredibile, come questo, che fa vedere che alla fine ci sarà un bilanciamento tra presenza e assenza di Dio, rapporto o non rapporto con Dio nella nostra vita. Non ci sarà chiesto cosa abbiamo pensato di Dio da vivi sulla terra, questa scena fa vedere capovolta che la realtà positiva di Dio è all’opera.
Le Beatitudini non sono degli auguri, sono la dichiarazione che il Regno di Dio è presente e non ha limiti, e dopo vengono i cristiani. Non sono i cristiani che sono la presenza del Regno di Dio, qui cadremmo nell’equivalenza, insostenibile teologicamente, che il Regno di Dio sia la Chiesa. Il Regno di Dio è una cosa molto più vasta “Venga il tuo Regno”, la Chiesa e i cristiani che funzione hanno? C’è la nona beatitudine che è diversa:
Beati voi quando vi insulteranno, vi perseguiteranno e, mentendo, diranno ogni sorta di male contro di voi per causa mia. 12Rallegratevi ed esultate, perché grande è la vostra ricompensa nei cieli. Così infatti hanno perseguitato i profeti prima di voi. (Mt 5,12)
Beati voi, non beati i miti. I cristiani sono profeti di un Regno che è dentro la Chiesa, ma anche fuori. Vi ho già elogiato per il tema proposto, “Laici nella Chiesa per il mondo”, non nella Chiesa e nel mondo. Dalla Chiesa in una dimensione più grande, il Regno è più grande della Chiesa. Dio è Padre anche dei musulmani e noi dobbiamo imparare con molta semplicità questo senza che sparisca la consapevolezza del dono immenso che ci è stato fatto nella vocazione cristiana.
È questo che non siamo ancora abituati a declinare con spontaneità. Una fraternità che conosce la paternità universale di Dio, altrimenti che Dio annunciamo? Il cristiano è in questa visione profondissima un profeta, i nostri laici sono i profeti di questa visione, non i profeti dell’eccezionalità, perché noi chiamiamo profeti quei pastori di anime che hanno alcune intuizioni pastorali che prima non c’erano.
Ai fedeli laici va dato questo senso, non altezzoso, la lettera di Pietro dice di rendere ragione “con mansuetudine”, è la prima cosa che dice. Con delicatezza umana ma con forza di convinzione. “Voi siete il sale della terra”, è una delle più belle frasi di Gesù, siamo sempre nel vangelo di Matteo, è il seguito del brano che stiamo commentando, come l’ha pronunciato Gesù? Voi siete il sale della terra, guai se perdete il sapore!
Non credo che abbia usato questo tono minaccioso. Il senso è invece: “Voi siete il sale della terra, ma che disastro se il sale perde sapore, con che cosa procederemo a salare?”. È un testo stupendo perché contiene la distanza, ma una distanza positiva, una distanza funzionale alla ricchezza. Questo è il punto su cui insistere, la gioia della specificità cristiana.
Quelli che hanno la mia età, tra di voi nessuno, conoscono bene la disputa tra Rahner e von Balthasar, avevano ragione tutti e due, i cristiani anonimi, lo specifico, il caso serio: noi siamo già una generazione dopo, dobbiamo tenere uniti questi due elementi. Una larghezza di visione che non spenga la forza missionaria. Più noi ci consideriamo gli unici salvati più cresce l’ansia missionaria (Testimoni di Geova). Ma in questi termini io non sono sicuro di volerlo, uno slancio missionario cattolico.
Dobbiamo andare avanti con una profondità e il nostro laicato ha bisogno di avere un ingrediente forte di presa, ma lo si può fare bene solo con una visione teologica abbastanza profonda, una inquadratura delle personalità che comporti questa sicurezza di essere profeti di quello che c’è già. Non è contrappositivo, forse non è una frase felicissima, ma voglio dire profeti di qualcosa che Dio ha messo già in opera nella storia. Dove non regaliamo niente, ma diamo a noi stessi e agli altri una consapevolezza di vita, una gioia di vivere.
La nostra missione è passare a mostrare come stanno veramente le cose e a dare un po’ più di gioia, perché se noi diffondiamo speranza o fede di resurrezione, noi diffondiamo più gioia. Noi non portiamo delle cose che altrimenti non ci sarebbero, non ci montiamo la testa, ma un laico che testimonia porta intorno a sé più gioia.
Terzo grande passaggio, diciamo qualcosa sull’atteggiamento pubblico dei credenti. Questa questione saltò fuori anche nell’Antico Testamento, come ci comportiamo con l’autorità? Come ci comportiamo con le strutture politiche? Quello che abbiamo nell’Antico Testamento sono degli spezzoni, nel vangelo non abbiamo nulla, è il ministero di Gesù, sono le preoccupazioni della Galilea nell’anno 30. Tolto il brano sul dare a Cesare quel che è di Cesare non trovate niente sull’atteggiamento pubblico del credente.
Trovate qualcosa in queste lettere del Nuovo Testamento, che non sono una trattazione sistematica, sono spesso delle lettere di occasione dalle quali emergono alcuni lampi dai quali si capisce che questo problema comincia a essere posto. La zona più interessante sono le lettere pastorali. Tutte le lettere di Paolo sono pastorali, ma si è convenuto, nell’‘800 tedesco, di chiamare così quelle dirette ai pastori, Tt, 1Tm e 2Tm. Tito, il pagano, non circonciso, e Timoteo, figlio della Giudea, circonciso. Una lettera di istruzioni a Tito, poi una lettera a Timoteo, poi il testamento personale di Paolo a Timoteo.
Nella lettera a Tito troviamo un pezzettino di affresco romano, un particolare che, se sappiamo valorizzare, è molto interessante:
Tt 3,1-3
Ricorda loro di esser sottomessi ai magistrati e alle autorità, di obbedire, di essere pronti per ogni opera buona; di non parlar male di nessuno, di evitare le contese, di esser mansueti, mostrando ogni dolcezza verso tutti gli uomini. Anche noi un tempo eravamo insensati, disobbedienti, traviati, schiavi di ogni sorta di passioni e di piaceri, vivendo nella malvagità e nell'invidia, degni di odio e odiandoci a vicenda.
Vedete da questo passaggio che c’è la preoccupazione, non dico di formare il cittadino, che sarebbe un po’ troppo, ma ormai la preoccupazione di curare anche l’atteggiamento pubblico del credente. Allora da qui non si può procedere dicendo: “Da qui costruiamo la nostra teologia politica oggi, vediamo cosa dobbiamo fare della presenza dei cattolici italiani nella politica di questo Paese”. Solo uno di poco senno partirebbe da questi testi, da qui si ricava pochissimo, ma si ricava moltissimo dalla guida stessa della parola di Dio.
Viene il giorno in cui quando si arriva alla seconda generazione, quando i discepoli di Paolo cercano di non disperdere l’eredità paolina, scrivendo un testo per i pastori dicono: “E ricordati di ricordare” a te Tito, che sei responsabile della comunità, ricorda ai cristiani che tu curi, di essere sottomessi ai magistrati, alle autorità, di obbedire.
Ben diverso dall’atteggiamento dei Testimoni di Geova, ben diverso dall’atteggiamento di impianto apocalittico (“Ma cosa devo aspettarmi da questo brutto mondo? Ma tu vivi la tua interiorità, pulisci i tuoi sentimenti”). Invece nel Cristianesimo è intervenuto presto quest’altro elemento interessantissimo: ricorda di essere corretto cittadino.
C’è il famoso verbo υποτασσειν, stare sottomessi, quello che scandalizza la gente: “Voi, mogli, state sottomesse ai mariti” Ef 5, che vuol dire: “State nel posto giusto in cui è strutturata la realtà”. State sottomessi non vuol dire siate succubi, ma state nell’ordine giusto, siate nel giusto punto di collocazione. Vedete che il laico nella banca, nell’ospedale, nel Parlamento, nella vita di tutti i giorni, ha bisogno di “essere sottomesso”, cioè di collocarsi nel punto giusto, di partecipare a questo insieme.
Noi siamo accusati, dai cosiddetti laici, di non avere il senso dello Stato, non hanno ragione, ma a volte conviene anche prenderci dei rimproveri che non ci meritiamo del tutto e dire che qualcosa in più su questo tema si potrebbe fare. E in un momento come il nostro lo desiderano anche i Vescovi, perché senza una partecipazione plenaria alla vita politica, alla vita economica, alla ricerca scientifica, al cammino artistico, ma voi pensate di essere ascoltati? Pensate che se non c’è una presenza del laicato che collabora, che è dentro a tutti i livelli alla fine il Cardinale Vicario sarebbe ascoltato? Bisogna cogliere questo.
Essere dentro una realtà è assolutamente necessario. Ricorda loro di esser sottomessi ai magistrati e alle autorità, di obbedire, di essere pronti per ogni opera buona. Ogni opera buona, costruzione di futuro, costruzione di scienza, con strutture di giustizia, approfondimento della convivenza. Queste sono le opere buone, non parlare male di nessuno, evitare le contese.
Il Cristianesimo si è sempre giocato in questo, nel mostrare dolcezza, non i muscoli. Non vuol dire essere molli, invertebrati. Sono parole ricchissime. Nella 1Tim 2,1-7:
Ti raccomando dunque, prima di tutto, che si facciano domande, suppliche, preghiere e ringraziamenti per tutti gli uomini
Notate l’universalismo, io le ho studiate solo da vecchio queste lettere, non ci riuscivo prima, le avevo scambiate per noiose lettere sul ministero: ravviva il carisma che ti è stato dato per l’imposizione delle mani. Queste cose si imparano in seminario, poi uno dice: “Lo so già! Ho capito che devo fare il bravo prete”.
Invece una volta sono stato colpito, sei o sette anni fa, dal fatto che queste lettere mettono insieme l’accanimento terapeutico sul ministero e l’universalismo. Ci ho lavorato per fare un corso dicendo che la formazione del prete come prete, non vuol dire clericalizzazione, implosione interna. Dopo questa intuizione queste lettere mi hanno dato ragione. C’è un’ottima bibliografia recente.
Si facciano preghiere
per i re e per tutti quelli che stanno al potere, perché possiamo trascorrere una vita calma e tranquilla con tutta pietà e dignità.
Vedete che il Cristianesimo si sta già impiantando. Questo autore non vi dirà mai che “il tempo è prossimo alla fine”:
Questa è una cosa bella e gradita al cospetto di Dio, nostro salvatore, il quale vuole che tutti gli uomini siano salvati e arrivino alla conoscenza della verità.
Avete qui la dualità della quale stiamo parlando. Vuole che tutti gli uomini siano salvi e giungano alla conoscenza della verità. Bellissimo programma per il cristiano di oggi. Che non può non desiderare che tutti siano salvi, perché altrimenti va contro Dio, bestemmia. Ma al tempo stesso si deve fare carico che arrivino alla conoscenza della verità:
Uno solo, infatti, è Dio e uno solo il mediatore fra Dio e gli uomini, l'uomo Cristo Gesù, che ha dato se stesso in riscatto per tutti. Questa testimonianza egli l'ha data nei tempi stabiliti, e di essa io sono stato fatto banditore e apostolo - dico la verità, non mentisco -, maestro dei pagani nella fede e nella verità.
Ormai il Cristianesimo è a questi livelli, parliamo di testi del I secolo, vedete che ormai c’è questa consapevolezza espressa con la mentalità di duemila anni fa. Oggi certamente non possiamo accontentarci di questa impostazione, ma vedete che qui abbiamo il pacchetto cromosomico che permette di dire che il Cristianesimo di oggi, non è una struttura che gli astuti ecclesiastici che vogliono ancora contare si sono inventati. Appartiene alla struttura centrale del messaggio questo sviluppo in termini di relazioni.
Abbiamo anche un altro testo, Rm 13,1-7
Ciascuno stia sottomesso alle autorità costituite; poiché non c'è autorità se non da Dio e quelle che esistono sono stabilite da Dio.
Difficile trovare un testo più lontano di questo dall’apocalittica. Fin troppo, ovviamente questo testo in alcune epoche storiche è stato interpretato in modo da rendere un cattivo servizio, perché, quando si dice che se non c’è autorità se non da Dio, è pericoloso. Infatti i teologi discutevano sul tirannicidio. È giusta l’uccisione del tiranno? Naturalmente tutto va messo in una teologia che sappia dare ragione di tutto il Nuovo Testamento.
Quindi chi si oppone all'autorità, si oppone all'ordine stabilito da Dio. E quelli che si oppongono si attireranno addosso la condanna. I governanti infatti non sono da temere quando si fa il bene, ma quando si fa il male. Vuoi non aver da temere l'autorità? Fa' il bene e ne avrai lode, poiché essa è al servizio di Dio per il tuo bene. Ma se fai il male, allora temi, perché non invano essa porta la spada; è infatti al servizio di Dio per la giusta condanna di chi opera il male. Perciò è necessario stare sottomessi, non solo per timore della punizione, ma anche per ragioni di coscienza. Per questo dunque dovete pagare i tributi, perché quelli che sono dediti a questo compito sono funzionari di Dio. Rendete a ciascuno ciò che gli è dovuto: a chi il tributo, il tributo; a chi le tasse le tasse; a chi il timore il timore; a chi il rispetto il rispetto.