Il Concilio Vaticano II. Un'introduzione alla Sacrosanctum Concilium, file audio di una relazione di Andrea Lonardo tenuta nella chiesa dei Santi Michele e Magno

- Scritto da Redazione de Gliscritti: 12 /11 /2012 - 22:01 pm | Permalink | Homepage
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Mettiamo a disposizione il file audio della seconda delle quattro relazioni sul Concilio Vaticano II pensate per i catechisti della diocesi di Roma, dal titolo "Un'introduzione alla Sacrosanctum Concilium", tenuta da Andrea Lonardo nella chiesa dei Santi Michele e Magno il 10/11/2012. Per il programma delle relazioni successive, vedi l'Homepage del sito Gli scritti. Per le altre relazioni vai ai link Un'introduzione alla Dei Verbum e Un'introduzione alla Gaudium et spes.

Il Centro culturale Gli scritti (18/11/2012)

Registrazione audio

Download s_michele_magno.mp3.

Riproducendo "s michele magno".



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Ufficio catechistico di Roma
www.ucroma.it
(cfr. anche www.gliscritti.it )

Santi Michele e Magno. Credo perché Cristo è presente nei santi segni: la Sacrosanctum Concilium

Appuntamenti prossimi

Incontri formativi per tutte le prefettura
La diocesi propone a tutti i catechisti della pastorale pre e post-battesimale uno stage di formazione sugli itinerari di catechesi rivolti alle famiglie che battezzano i bambini, a partire dal Sussidio di pastorale battesimale che è disponibile nelle sue prime 3 parti: preparazione al Battesimo e 0-3 anni. Gli stages saranno organizzati dalle prefetture in collaborazione con l’Ufficio catechistico e l’Ufficio liturgico.
La diocesi propone, inoltre, a tutti i catechisti tre incontri di formazione in occasione dell’Anno della fede.
Gli incontri saranno organizzati dalle diverse prefetture ed avranno per tema:
- Credo in Dio Padre creatore onnipotente: parlare oggi della creazione.
- Credo in Gesù Cristo unico Figlio: la rivelazione del volto di Dio ed il Credo.
- Credo nello Spirito Santo che è Signore e dà la vita: le quattro dimensioni dell’esistenza cristiana (fede confessata, celebrata, vissuta e pregata) ed il Catechismo della Chiesa Cattolica.
Tre schede catechetiche sono state preparate e sono già on-line
.

Anno della fede. La catechesi e il Concilio Vaticano II

È on-line il file audio sulla Dei verbum (su www.gliscritti.it )

Sabato 15 dicembre 2012 – ore 9.45-12.00
San Giovanni a Porta Latina: Credo perché l’uomo è stato creato da Dio a sua immagine: la Gaudium et spes.

Sabato 19 gennaio 2013 – ore 9.45-12.00
Palazzo Lateranense (Sala della Conciliazione): Credo perché la Chiesa è sacramento universale di salvezza: la Lumen gentium.

Eventi

Pascal 350 anni dopo
Lunedì 26 novembre 2012 – ore 21.00-22.30
Sant’Andrea al Quirinale.

La Costituzione Sacrosanctum Concilium del Concilio Vaticano II,
4 dicembre 1963

 

Premessa/ Abbiamo dinanzi a noi i banchi del Concilio, ma soprattutto i luoghi del Concilio: la basilica di San Pietro e la sua piazza

1/ La Dei Verbum ed il CCC. Sintesi dell’incontro precedente ed approfondimento

da J. Ratzinger, Il Catechismo della Chiesa cattolica e l’ottimismo dei redenti, in J. Ratzinger - Ch. Schönborn, Breve introduzione al Catechismo della Chiesa Cattolica, Città Nuova, Roma, 1994, p. 20
Il Catechismo non procede [...] in maniera semplicemente deduttiva, perché la storia della fede è una realtà di questo mondo e ha creato la propria esperienza. Il Catechismo parte da essa e quindi ascolta il Signore e la sua Chiesa, trasmettendo la parola così udita nella sua logica intrinseca e nella sua forza interna.

da J. Ratzinger, Il Catechismo della Chiesa cattolica e l’ottimismo dei redenti, in J. Ratzinger - Ch. Schönborn, Breve introduzione al Catechismo della Chiesa Cattolica, Città Nuova, Roma, 1994, pp. 26- 27
Alcuni erano dell’opinione che il Catechismo dovesse svilupparsi in una concezione cristocentrica, altri ritenevano che il cristocentrismo dovesse essere superato dal teocentrismo. Finalmente si offrì alla nostra riflessione il concetto del Regno di Dio come principio unificatore. Dopo una discussione serrata, arrivammo alla convinzione che il Catechismo non doveva rappresentare la fede come un sistema o come un qualcosa da derivare da un unico concetto centrale [...] Dovevamo fare qualcosa di più semplice: predisporre gli elementi essenziali che possono essere considerati come le condizioni per l’ammissione al battesimo, alla vita comunionale dei cristiani. [...] Che cosa fa di un uomo un cristiano? Il catecumenato della Chiesa primitiva ha raccolto gli elementi fondamentali a partire dalla Scrittura: sono la fede, i sacramenti, i comandamenti, il Padre Nostro. In modo corrispondente esisteva la redditio symboli – la consegna della professione di fede e la sua “redditio”, la memorizzazione da parte del battezzando-; l’apprendimento del Padre Nostro, l’insegnamento morale e la catechesi mistagogica, vale a dire l’introduzione alla vita sacramentale. Tutto ciò appare forse un po’ superficiale, ma invece conduce alla profondità dell’essenziale: per essere cristiani, si deve credere; si deve apprendere il modo di vivere cristiano, per così dire lo stile di vita cristiano; si deve essere in grado di pregare da cristiani e si deve infine accedere ai misteri e alla liturgia della Chiesa. Tutti e quattro questi elementi appartengono intimamente l’uno all’altro: l’introduzione alla fede non è la trasmissione di una teoria, quasi che la fede fosse una specie di filosofia, “un platonismo per il popolo”, come è stato affermato in modo sprezzante: la professione di fede è nient’altro che il dispiegarsi della formula battesimale. L’introduzione alla fede é essa mistagogia: introduzione al battesimo, al processo di conversione, in cui non agiamo solo da noi stessi, ma lasciamo che Dio agisca in noi.

da J. Ratzinger, La trasmissione della fede ed il problema delle fonti. Due conferenze sulla crisi della catechesi tenute a Lione ed a Parigi nel 1983 (on-line su www.gliscritti.it )
[La struttura della catechesi] è prodotta degli atti vitali fondamentali della Chiesa, che corrispondono alle dimensioni essenziali dell’esistenza cristiana. Così è sorta nei tempi remoti una struttura catechetica che nella sostanza risale al sorgere della Chiesa, che è, cioè, altrettanto e persino più antica del Canone degli scritti biblici. Lutero ha adoperato questa struttura per i suoi catechismi altrettanto naturalmente quanto l’autore del Catechismus Romanus. Questo è stato possibile perché non si tratta di una sistematica artificiosa, ma semplicemente del compendio del materiale di cui la fede necessariamente fa memoria, e che riflette, insieme, gli elementi vitali della Chiesa: la professione di fede apostolica, i sacramenti, il Decalogo e la Preghiera del Signore.

dalla traccia di catechesi per l’Anno della fede pubblicata dalla diocesi di Roma
Quali sono le dimensioni della vita nello Spirito? L’esperienza della Chiesa ne ha individuate quattro a partire dalla strutturazione del catecumenato della Chiesa antica. La quadripartizione del Catechismo della Chiesa Cattolica rispecchia espressamente questa struttura che conferisce forza e chiarezza alla vita cristiana, rendendo possibile una fede adulta.
A/ A partire dal catecumenato della Chiesa antica, si è sempre consegnato, in primo luogo, il Simbolo della fede, perché lo Spirito rende capace di credere nella Trinità.
B/ Contemporaneamente attraverso la liturgia e la celebrazione dell’anno liturgico coloro che si avvicinavano alla fede potevano fare “esperienza” di Dio nei santi segni in cui Cristo è presente, vivo e operante per opera dello Spirito.
C/ In terzo luogo,  il catecumenato è sempre stato un tempo in cui iniziare a vivere la vita nuova del Vangelo, attraverso la conversione, proprio perché lo Spirito è capace di generare una vita morale rinnovata, restituendo l’uomo a quell’immagine divina che Dio da sempre ha impresso in lui.
D/ In quarto luogo la Chiesa ha sempre, nel catecumenato, consegnato la Preghiera del Signore, il Padre nostro, perché è lo Spirito che rende talmente figli da abilitare l’uomo a dialogare con Dio, non più da servi, bensì da amici.
Queste quattro dimensioni si richiamano vicendevolmente e sono tutte straordinariamente ricche ed importanti.
Una persona che non giungesse mai a radicarsi nella fede della Chiesa, in realtà non avrebbe mai conosciuto il Dio di Gesù Cristo e la sua fede sarebbe sempre debole e approssimativa – ecco il Credo.
Ma l’incontro con il Dio vivo che il Simbolo di fede professa avviene sempre di nuovo nella liturgia e, senza di essi, mai si avrebbe una comunione vera e reale con Lui – ecco la bellezza dei Sacramenti.
D’altro canto se la fede confessata e celebrata non conducesse ad una vita nuova e bella, sarebbe assolutamente inutile e Dio, in fondo, incapace di salvare l’uomo – ecco il ruolo dei Comandamenti che illuminano le scelte dell’uomo.
Ma questa vita nuova sarebbe solo una prassi, se non fosse nutrita dalla bellezza del dialogo d’amore che si instaura nella preghiera fra Dio ed i suoi figli ed, in effetti, dove non inizia una ricca vita interiore, la fede è sempre debole ed infantile - ecco la Preghiera del Signore.

dall’intervento del giovane catechista Tommaso Spinelli al Sinodo dei vescovi sulla nuova evangelizzazione
[Dobbiamo] riscoprire il Catechismo della Chiesa Cattolica: esso unisce la tradizione della Chiesa alle riflessioni elaborate nel Concilio Vaticano Secondo. La conciliarità del Catechismo è troppo ignorata. Penso innanzitutto alla prima parte dedicata al Credo. Il Catechismo ha la sapienza di premettere alla sua spiegazione una sezione ispirata alla Dei Verbum, in cui viene presentata la visione personalistica della rivelazione propria del Concilio, perché a Dio è piaciuto manifestarsi e perché l’uomo crede. Lo stesso avviene per le prime sezioni delle altre parti: prima dei Sacramenti la presentazione del Cristo presente nella liturgia propria della Sacrosanctum Concilium e prima dei Comandamenti l’uomo immagine di Dio della Gaudium et spes. La prima sezione di ogni parte del Catechismo è fondamentale perché l’uomo di oggi senta la fede come qualcosa che lo riguarda da vicino, perché capace di dare risposta alle sue domande più profonde. Non si tratta così semplicemente di riaffermare l’importanza del Catechismo della Chiesa Cattolica, quanto ancor più di mostrare la bellezza della sua impostazione.

2/ La liturgia e la storia della salvezza: ancora una teologia “personalistica”

Sacrosanctum Concilium 2
La liturgia nel mistero della Chiesa

La liturgia infatti, mediante la quale, specialmente nel divino sacrificio dell'eucaristia, «si attua l'opera della nostra redenzione»
(Messale romano, orazione sopra le offerte della domenica IX dopo Pentecoste [nel Messale di Paolo VI, domenica II del Tempo ordinario]), contribuisce in sommo grado a che i fedeli esprimano nella loro vita e manifestino agli altri il mistero di Cristo e la genuina natura della vera Chiesa. Questa ha infatti la caratteristica di essere nello stesso tempo umana e divina, visibile ma dotata di realtà invisibili, fervente nell'azione e dedita alla contemplazione, presente nel mondo e tuttavia pellegrina; tutto questo in modo tale, però, che ciò che in essa è umano sia ordinato e subordinato al divino, il visibile all'invisibile, l'azione alla contemplazione, la realtà presente alla città futura, verso la quale siamo incamminati. In tal modo la liturgia, mentre ogni giorno edifica quelli che sono nella Chiesa per farne un tempio santo nel Signore, un'abitazione di Dio nello Spirito, fino a raggiungere la misura della pienezza di Cristo, nello stesso tempo e in modo mirabile fortifica le loro energie perché possano predicare il Cristo. Così a coloro che sono fuori essa mostra la Chiesa, come vessillo innalzato di fronte alle nazioni, sotto il quale i figli di Dio dispersi possano raccogliersi, finché ci sia un solo ovile e un solo pastore.

da Salvatore Marsili, Presentazione, in B. Neunheuser, S. Marsili, M. Augé, R. Civil, Anàmnesis 1. La liturgia, momento della storia della salvezza, Marietti, Casale Monferrato, 1974, pp. 5-6
Il Vaticano II ha riportato in modo veramente nuovo la Liturgia alla coscienza della Chiesa, riscoprendola come “il termine più alto (culmen) cui tende tutta l’azione della Chiesa e insieme come la sorgente (fons) donde a questa derivano tutte le sue energie” (SC 10).
Con questa affermazione, che supera d’un colpo ogni visione tanto di ordine puramente esterno-rubricale, quanto di valore prevalentemente giuridico-giurisdizionale, la Liturgia viene situata, insieme con Cristo e – com’è chiaro – dipendentemente da lui (Ap 1,8; 22,13), come “l’alfa e l’omega, il principio e la fine” di tutta la vita della Chiesa. Siamo infatti di fronte a un’elevazione della Liturgia al rango di componente essenziale dell’opera di salvezza, e precisamente sulla linea “cristologica”.
Questo significa che una conoscenza vera della Liturgia non si può avere arrestandosi alla pura ricerca scientifica sul piano storico delle origini, delle fonti, dell’evoluzione o dell’involuzione delle formule e dei riti, ma che al contrario è necessario, al fine di una comprensione autentica della Liturgia in se stessa e in riferimento alla sua funzione nella Chiesa, inquadrarla e approfondirla nella sua dimensione “teologica-economica” e cioè nella “teologia del mistero di Cristo”.
La Liturgia infatti dovrà rivelarsi come il momento attuatore della storia della salvezza, creando così il “tempo della Chiesa” ossia l’estensione della salvezza nell’ambito della comunità umana, come l’Incarnazione era stata il momento attuatore della stessa storia di salvezza in Cristo.
Questa unità teologica è stata espressa nel titolo stesso dell’opera: “Anàmnesis”, che in greco sta per il nostro “memoria” e “memoriale”. Anche se questo termine è conosciuto come particolarmente espressivo dell’Eucaristia (Lc 22,19; 1 Cor 11,24-25), non è esclusivo appannaggio di essa, perché in realtà tutta la Liturgia, tanto nel suo aspetto globale, quanto nei suoi momenti particolari di “sacramenti” di “lode”, altro non é che presenza del mistero di Cristo realizzato attraverso la “memoria” di esso oggettiva e concreta.
In verità, considerando che la Liturgia non è opera che parte dall’uomo, ma è il mistero stesso di Cristo posto in azione tra gli uomini per mezzo di segni cultuali, per inverare in essi la realtà salvifica, non sarebbe stato né fuori luogo né difficile far comparire nel titolo la parola “Mistero”, che avrebbe dichiarato in maniera più immediata la linea teologica dell’opera. Ma gli autori hanno preferito perdere questo vantaggio, non per rinnegare - è chiaro – il collegamento intimo esistente tra “Mistero” e “Liturgia”, ma perché intendevano, ponendo in primo piano l’Anàmnesis, accentuare subito il fatto importantissimo che la Liturgia è presenza reale del mistero di Cristo, prima di tutto perché ne è il “memoriale”. Si otteneva così un duplice scopo: Non s’intaccava la linea teologica che scopre nella Liturgia la continuazione della storia della salvezza realizzata in Cristo, e, nello stesso tempo, la si completava, sia perché si annunciava il “modo” in cui il mistero continua, sia perché si insinuava il “soggetto” agente della celebrazione liturgica, e cioè la Chiesa. A essa infatti è stata fatta la “tradizione del mistero del NT”, affinché lo “annunzi in se stessa facendone la memoria” (1 Cor 11,24-26).

3/ Per ritus et preces (attraverso i riti e le preghiere): la celeber actio, la celebrazione

Sacrosanctum Concilium 48
Partecipazione attiva dei fedeli alla messa

Perciò la Chiesa si preoccupa vivamente che i fedeli non assistano come estranei o muti spettatori a questo mistero di fede, ma che, comprendendolo bene nei suoi riti e nelle sue preghiere, partecipino all'azione sacra consapevolmente, piamente e attivamente; siano formati dalla parola di Dio; si nutrano alla mensa del corpo del Signore; rendano grazie a Dio; offrendo la vittima senza macchia, non soltanto per le mani del sacerdote, ma insieme con lui, imparino ad offrire se stessi, e di giorno in giorno, per la mediazione di Cristo, siano perfezionati nell'unità con Dio e tra di loro [38], di modo che Dio sia finalmente tutto in tutti.

da Andrea Grillo, I sacarmenti dell’IC (su www.gliscritti.it )
La liturgia comincia sempre dal tatto, non dall’intelletto. Comincia non dalla volontà, ma dal tatto. Si celebra anzitutto con le mani, con i piedi. Dire che qualcuno celebra “con i piedi” non è negativo: vuol dire invece la coscienza che il movimento appartiene alla celebrazione! La celebrazione è anzitutto un modo corporeo del rapporto con Dio, Padre Figlio e Spirito Santo
.
La liturgia è descritta, non caso, dal corpo. Riguarda appunto l’acqua, l’olio, il pane, il vino, ecc. che toccano ogni soggetto anzitutto nel corpo.
Certamente l’uomo non è mai solo corpo, poiché è anche profondità della volontà, profondità dell’intelletto. Ma la liturgia tocca l’intelletto tramite il corpo! Il nostro problema è che abbiamo ridotto l’iniziazione cristiana al suo significato corretto, ortodosso, profondo, ma restringendola alla dimensione mentale. Questa invece non basta e non è mai bastata. Sopratutto nel nostro mondo non basta più. A volte, anche oggi, ci ostiniamo a dare senso alle prassi liturgiche spiegandole mentalmente. No, prima di tutto bisogna farle vivere dall’interno e poi la spiegazione verrà da sé!
Nessuno ha mai spiegato ai bambini che cosa vuol dire che quando c’è un compleanno la torta con le candeline ha un suo rito delicato. Nessuno ha mai scritto una teologia della torta con le candeline, ma nessuno perde il rapporto corporeo con quell’atto. C’è una competenza corporea delle distanze dei tempi fra un anno e l’altro, del modo di soffiare sulla candelina, del come si accende e del come si spengono, del come si aprono i regali. Quella sequenza - pur senza una teologia codificata - è accuratissima. Questo non significa chiaramente che intendiamo ridurre la Messa ad una festa di compleanno, ma ci ricorda che la logica simbolica dei riti è esattamente la stessa.
Il problema è che la tradizione teologica quasi ci costringe a tenere basso il livello corporeo ed a alzare troppo il livello mentale. Questo, invece, uccide la nostra liturgia perché con la testa tutto puoi fare meno che celebrare. Occorre che tu accetti di avere un corpo bisognoso di fare esperienza e di esprimersi.
[...]
La liturgia si muove secondo una logica in cui prevale la molteplicità di linguaggi diversi piuttosto che un linguaggio profondo. L’esperienza liturgica è una esperienza in cui l’acqua, l’olio, la parola, la musica, il movimento ti dicono una cosa. Non è che queste cose stanno sullo sfondo ed è solo con la parola che una persona fa l’esperienza.
Nella liturgia ci siano tanti linguaggi che ci riguardano e la maggior parte di questi non sono verbali, sono linguaggi non verbali.
Sono linguaggi del colore, del profumo, dello spazio del tempo, del suono. Non si possono tradurre in concetti, ma ci parlano. Noi pretenderemmo di tradurre tutto in concetti. Ma tradurre tutto in concetti non è liturgia: diventerebbe un libro, un trattato, una lettera, non sarebbe più liturgia. La liturgia è qualcosa di più originario di più elementare, di più primitivo che però è più fondamentale di tutte le tradizioni concettuali di cui pure restiamo bisognosi.
Non mi illudo di convincere voi, di convincere me che possiamo vivere senza concetti, guai! Ma i concetti non sono tutto, sono mediazioni fondamentali per vivere una vita molto più complicata e ricca di un concetto, fosse pure il concetto di Trinità, di Incarnazione, di Mistero pasquale.
[...]
Noi siamo vittime di una storia complessa in cui il cristiano ha sempre vissuto in modo ricco i loro riti, ma, a causa delle spiegazioni che sono state date dei riti, pian piano ci si è accontentati di riti essenziali. Siamo stati tutti educati in una certa maniera, attraverso una tradizione medievale e moderna a ricercare l’essenziale di una Messa, a dire quale siano le parole che effettivamente determina la consacrazione, quale sia la qualifica di chi le pronuncia, quando il pane e vino siano effettivamente il pane e il vino. Quando c’è il pane e il vino, quando si pronunciano quelle parole, quando chi le pronuncia è un prete o un vescovo, allora quella è una Messa. Ma questo è il surrogato di una Messa! È la Messa che può esserci al limite in un campo di concentramento, oppure su di un aereo che sta per cadere.
Normalmente invece quegli elementi, che sono certamente essenziali, sono però in un contesto molto più ricco di parole, di gesti, di movimenti a cui noi teoricamente rinunciamo quando ragioniamo in quel modo essenzialista. Capite che, in questo modo, noi ci siamo messi in testa che i riti siano la loro essenza. Non è così.
I riti ci costringono ad uscire dalla logica del minimo necessario. Quando si celebra un rito bisogna stare su una logica del massimo gratuito. Bisogna sprecare tempo, spazio, parole. Non si tratta di dire il minimo necessario, altrimenti quello non è più un rito, ma è un atto amministrativo
». [...]
«
In questo la lezione migliore l’ho ricevuta dai miei figli. Io ho due bambini, otto anni Margherita, sei anni Giovanni, pregano da qualche anno. Io quando ho cominciato a concepire che potessero essere iniziati all’atto di preghiera della sera ho insegnato loro una piccola forma introduttiva: Padre Nostro e Ave Maria, e una formula di conclusione. Per una settimana la cosa ha retto più o meno. Apro una parentesi, io facilmente frequento luoghi anche monastici e a volte i mie figli sono con me, conoscono Camaldoli, conoscono Santa Giustina, hanno orecchiato vari stili di preghiera. Dopo dieci giorni mia figlia mi dice: “Perché non cantiamo qualcosa?” È strano che una bambina al padre che fa il liturgista gli dia una sollecitazione come questa, il che vedete è una istanza corporea, canora, che è un altro registro, perché un conto è recitare le preghiere, un conto è cantarle.
Tutte le grandi preghiere il meglio di se lo danno quando le canti. Poi possiamo anche solo recitarle, ma dovremmo essere iniziati a conoscerle per il di più, poi possiamo anche restare al meno. Allora che il pregare sia anche atto del corpo, atto del canto, atto dell’orientamento, atto dell’atteggiamento
».

dal Catechismo della Chiesa Cattolica
1145
Una celebrazione sacramentale è intessuta di segni e di simboli. Secondo la pedagogia divina della salvezza, il loro significato si radica nell'opera della creazione e nella cultura umana, si precisa negli eventi materiali dell'Antica Alleanza e si rivela pienamente nella persona e nell'opera di Cristo.
1146
Segni del mondo degli uomini. Nella vita umana segni e simboli occupano un posto importante. In quanto essere corporale e spirituale insieme, l'uomo esprime e percepisce le realtà spirituali attraverso segni e simboli materiali. In quanto essere sociale, l'uomo ha bisogno di segni e di simboli per comunicare con gli altri per mezzo del linguaggio, di gesti, di azioni. La stessa cosa avviene nella sua relazione con Dio.
1147
Dio parla all'uomo attraverso la creazione visibile. L'universo materiale si presenta all'intelligenza dell'uomo perché vi legga le tracce del suo Creatore. La luce e la notte, il vento e il fuoco, l'acqua e la terra, l'albero e i frutti parlano di Dio, simboleggiano ad un tempo la sua grandezza e la sua vicinanza.
1148
In quanto creature, queste realtà sensibili possono diventare il luogo in cui si manifesta l'azione di Dio che santifica gli uomini, e l'azione degli uomini che rendono a Dio il loro culto. Ugualmente avviene per i segni e i simboli della vita sociale degli uomini: lavare e ungere, spezzare il pane e condividere il calice possono esprimere la presenza santificante di Dio e la gratitudine dell'uomo verso il suo Creatore.
1149
Le grandi religioni dell'umanità testimoniano, spesso in modo impressionante, tale senso cosmico e simbolico dei riti religiosi. La liturgia della Chiesa presuppone, integra e santifica elementi della creazione e della cultura umana conferendo loro la dignità di segni della grazia, della nuova creazione in Gesù Cristo.

da J. Ratzinger, Il dialogo delle religioni ed il rapporto tra ebrei e cristiani, in La Chiesa, Israele e le religioni del mondo, Edizioni San Paolo, Cinisello Balsamo, 2000, pp.72-73
Karl Barth ha operato una distinzione nel cristianesimo tra religione e fede. Ha avuto torto a voler separare del tutto queste due realtà, considerando positivamente la fede e negativamente la religione
. La fede senza la religione è irreale, essa implica la religione, e la fede cristiana deve, per sua natura, vivere come religione. Ma ha avuto ragione ad affermare che anche fra i cristiani la religione può corrompersi e trasformarsi in superstizione, ad affermare, cioè, che la religione concreta, in cui la fede viene vissuta, deve essere continuamente purificata a partire dalla verità che si manifesta nella fede e che, d'altra parte, nel dialogo fa nuovamente riconoscere il proprio mistero e la propria infinitezza.

-nota catechetica: perché San Pio X ha voluto l’eucarestia per i bambini dall’età di ragione (l’“esperienza” di Dio)

4/ Nei quali Cristo è il sacerdote: Lui è presente nei santi segni (il sacramento signum efficax gratiae, riscoperto in tutta la sua attualità)

Sacrosanctum Concilium 7
Cristo è presente nella liturgia

Per realizzare un'opera così grande, Cristo è sempre presente nella sua Chiesa, e in modo speciale nelle azioni liturgiche. È presente nel sacrificio della messa, sia nella persona del ministro
, essendo egli stesso che, «offertosi una volta sulla croce, offre ancora se stesso tramite il ministero dei sacerdoti», sia soprattutto sotto le specie eucaristiche. È presente con la sua virtù nei sacramenti, al punto che quando uno battezza è Cristo stesso che battezza. È presente nella sua parola, giacché è lui che parla quando nella Chiesa si legge la sacra Scrittura. È presente infine quando la Chiesa prega e loda, lui che ha promesso:
«Dove sono due o tre riuniti nel mio nome, là sono io, in mezzo a loro»
(Mt 18,20).
Effettivamente per il compimento di quest'opera così grande, con la quale viene resa a Dio una gloria perfetta e gli uomini vengono santificati, Cristo associa sempre a sé la Chiesa, sua sposa amatissima, la quale l'invoca come suo Signore e per mezzo di lui rende il culto all'eterno Padre. Giustamente perciò la liturgia è considerata come l'esercizio della funzione sacerdotale di Gesù Cristo. In essa, la santificazione dell'uomo è significata per mezzo di segni sensibili e realizzata in modo proprio a ciascuno di essi; in essa il culto pubblico integrale è esercitato dal corpo mistico di Gesù Cristo, cioè dal capo e dalle sue membra. Perciò ogni celebrazione liturgica, in quanto opera di Cristo sacerdote e del suo corpo, che è la Chiesa, è azione sacra per eccellenza, e nessun'altra azione della Chiesa ne uguaglia l'efficacia allo stesso titolo e allo stesso grado.

da Salvatore Marsili, La liturgia, momento storico della salvezza, in B. Neunheuser, S. Marsili, M. Augé, R. Civil, Anàmnesis 1. La liturgia, momento della storia della salvezza, Marietti, Casale Monferrato, 1974, pp. 91-92
Il tempo della Chiesa è continuazione del tempo di Cristo, non per ragione di semplice successione temporale, ossia perché viene “dopo” Cristo. La linea di continuazione che legherà il tempo della Chiesa al tempo di Cristo è costituita dalla Liturgia.
Il discorso liturgico vero e proprio del concilio Vaticano II comincia, infatti, solo con l’art. 6 di SC (N.d.R. SC = Sacrosanctum Concilium). Dopo aver tracciato in sintesi i momenti di attuazione completa in Cristo, la SC richiama la “missione di Cristo”. Questa non arresta la “missione eterna” dell’amore del Padre, concretizzatasi in Cristo, anzi la riprende e la continua, con la differenza che, dopo l’avvenimento di salvezza realizzatosi in Cristo, la “missione” dell’amore del Padre non consisterà più in un annunzio, come era quello che aveva preceduto l’attuazione della parola in Cristo: era, infatti, un annunzio di cose ancora non reali nel mondo, ma solo future.
L’annunzio non può certamente mancare dopo Cristo; ma esso sarà d’ora in poi un vangelo (= lieto annunzio di avvenimento presente); dovrà infatti proclamare che la “Parola” si era compiuta “facendosi carne” ed era entrata nel mondo “prendendo dimora in mezzo a noi” (Gv 1,14). Questa “dimora della Parola in mezzo agli uomini” si realizzava su due piani contemporaneamente: come avvenimento della “realtà” della salvezza nell’uomo Gesù, e come presentazione “sacramentale” di essa.
Cristo, che giustamente sant’Agostino chiama “nome sacramentale”, non è infatti solo “presenza salvifica” di Dio, ma è anche il suo “sacramento” (Col 1,27; 4,3; Ef 3,4) in quanto “segno” visibile e “immagine” (Col 1,15) di una salvezza fino allora restata nascosta e invisibile (Ef 3,9; Col 1,26). È appunto su questo piano “sacramentale” che la “Parola fatta carne” potrà diventare realtà salvifica per tutti gli uomini, sempre e ogni volta che questi, avvicinati a Cristo dall’annuncio dell’avvenimento di salvezza (fede), cercheranno di inserirsi in essa, attuandone in se stessi l’avvenimento (Liturgia).
In questa linea si muove la SC 6, quando scrive:
“Come Cristo fu mandato dal Padre, così egli mandò gli Apostoli, perché annunziassero… che il Figlio di Dio ci aveva liberati… e perché attuassero, per mezzo del sacrificio e dei sacramenti – su cui gira tutta la Liturgia - quella stessa opera di salvezza che annunziavano”.
Qui abbiamo espressa non solo la intima relazione che passa tra Scrittura e Liturgia, ma la Liturgia chiaramente appare come momento della Rivelazione – storia della salvezza, in quanto attuazione del mistero di Cristo, oggetto di tutta la rivelazione. Questa attuazione riguarda tanto il mistero di Cristo in se stesso – realizzazione nel tempo – quanto il suo annunzio. Oggi cioè la Liturgia è anch’essa – come Cristo stesso – un avvenimento di salvezza, nel quale continua a trovare compimento quell’annunzio che nel tempo antico prometteva la realtà di Cristo.
In questo senso e per questa sua posizione di “sintesi” e di “compimento ultimo”, la Liturgia è quella che ultimamente costituisce il tempo della Chiesa. Questa infatti si viene edificando nel mondo a mano a mano che negli uomini s’inserisce vitalmente il mistero di Cristo, cosa che si raggiunge con l’annunzio, come elemento predispondente, e con l’attuazione del mistero, attraverso l’azione sacramentale della Liturgia.
La SC 7 – concludendo – può quindi affermare che la Liturgia è l’esercizio dell’ufficio sacerdotale di Cristo, esercizio che
a) implica la santificazione degli uomini e insieme il perfetto culto di Dio, e
b) si esplica in un regime di segni.
Come si vede, nella Liturgia viene messa al primo posto “la santificazione degli uomini”, perché solo con la santità l’uomo può rendere culto a Dio. Non bisogna infatti confondere il “culto” con le sue esteriori “espressioni”. Queste sono tali (“espressioni”) e sono valide solo quando appunto “esprimono” uno stato di reale e totale adesione a Dio. Questo non può ottenersi dall’uomo sul piano umano, ma solo quando l’ontologica unità esistente in Cristo tra l’uomo e Dio, viene comunicata all’uomo: a questo provvede appunto la Liturgia con i suoi “sacramenti”. Per essi infatti il mistero di Cristo diventa una realtà che investe tutti gli uomini.

da un articolo di Andrea Lonardo su www.gliscritti.it
Così, nel secolo III, si esprimeva Origene d’Alessandria: “A che ti serve, infatti, che il Cristo sia venuto un tempo nella carne, se non è venuto anche nella tua carne? Preghiamo che la sua venuta sia per noi quotidiana e che possiamo dire: – Non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me (Gal 2,20)” (In Luc. hom. 22, 3).
In termini analoghi si è espresso, nel secolo XVII, il mistico tedesco Angelus Silesius: “Mille volte nascesse Cristo a Betlemme, / ma non in te, sei perduto in eterno!” (Il Pellegrino cherubico I, 61).

da Luigi Pirandello, Colloquii con i personaggi
Quando tu stavi seduta laggiù in quel tuo cantuccio, io dicevo: “Se Ella da lontano mi pensa, io sono vivo per lei”. E questo mi sosteneva, mi confortava. Ora che tu sei morta, io non dico che non sei più viva per me; tu sei viva, viva com'eri, con la stessa realtà che per tanti anni t'ho data da lontano, pensandoti, senza vedere il tuo corpo, e viva per sempre sarai finché io sarò vivo; ma vedi? è questo, è questo, che io, ora, non sono più vivo, e non sarò vivo per te mai più! Perché tu non puoi più pensarmi com'io ti penso, tu non puoi più sentirmi com'io ti sento!

da La teologia della liturgia, Conferenza tenutasi nel monastero di Fontgombault dell’allora Cardinale Joseph Ratzinger, svoltasi presso l’Abbazia benedettina di “Notre Dame de Fontgombault”, in Francia, 22-24 luglio 2001
Teologia della liturgia - questo significa che Dio agisce per mezzo del Cristo nella liturgia e che noi non possiamo agire che per mezzo Suo e con Lui. Da noi stessi non possiamo costruire la nostra via verso Dio. Questa via non è percorribile, eccetto il caso che Dio stesso si faccia la via. E una volta per sempre: le vie dell’uomo che non pervengono accanto a Dio sono delle non-vie.
Teologia della liturgia significa inoltre che nella liturgia il Logos stesso ci parla e non solo parla: viene con il Suo corpo, la Sua anima, la Sua carne, il Suo sangue, la Sua divinità, la Sua umanità per unirci a Lui, per fare di noi "un solo corpo". Nella liturgia cristiana tutta la storia della salvezza, anzi tutta la storia della ricerca umana di Dio, è presente, viene assunta e portata al suo compimento. La liturgia cristiana è una liturgia cosmica - abbraccia la creazione intera che attende con impazienza la rivelazione dei figli di Dio (Rm 8, 19).

dall’Omelia di Benedetto XVI per la Messa del Crisma del Giovedì Santo 13 aprile 2006
Cari fratelli... il Giovedì Santo è il giorno in cui il Signore diede ai Dodici il compito sacerdotale di celebrare, nel pane e nel vino, il sacramento del suo corpo e del suo sangue fino al suo ritorno. Al posto dell'agnello pasquale e di tutti i sacrifici dell'Antica Alleanza subentra il dono del suo corpo e del suo sangue, il dono di se stesso. Così il nuovo culto si fonda nel fatto che, prima di tutto, Dio fa un dono a noi, e noi, colmati da questo dono, diventiamo suoi: la creazione torna al Creatore. Così anche il sacerdozio è diventato una cosa nuova: non è più questione di discendenza, ma è un trovarsi nel mistero di Gesù Cristo. Egli è sempre Colui che dona e ci attira in alto verso di sé. Soltanto Lui può dire: «Questo è il mio corpo - questo è il mio sangue». Il mistero del sacerdozio della Chiesa sta nel fatto che noi, miseri esseri umani, in virtù del sacramento possiamo parlare con il suo io: in persona Christi. Egli vuole esercitare il suo sacerdozio per nostro tramite. Questo mistero commovente, che in ogni celebrazione del sacramento ci tocca di nuovo, noi lo ricordiamo in modo particolare nel Giovedì Santo. Perché il quotidiano non sciupi ciò che è grande e misterioso, abbiamo bisogno di un simile ricordo specifico, abbiamo bisogno del ritorno a quell'ora in cui egli ha posto le sue mani su di noi e ci ha fatti partecipi di questo mistero.

da Joseph Ratzinger, Natura del sacerdozio, in La Chiesa. Una comunità sempre in cammino, Ed. Paoline, Cinisello Balsamo, 1991, pagg.75-93
Il punto di partenza [dei nuovi problemi sulla natura del sacerdozio] è dato da un’osservazione di carattere lessicale: la futura Chiesa, per denominare i ministeri che in essa si andavano formando, non si servì di un vocabolario sacro, ma attinse a una terminologia profana. Essa non lascia scorgere alcun tipo di continuità tra questi suoi ministeri e il sacerdozio della legge mosaica; inoltre, per lungo tempo questi ministeri restano poco definiti, assai vari nelle designazioni e forme in cui li incontriamo, e solo verso la fine del I secolo si cristallizza una forma ben definita, che peraltro ammette ancora delle oscillazioni. Soprattutto non è dato individuare un compito cultuale di questi ministeri: in nessun luogo essi vengono posti espressamente in connessione con la celebrazione eucaristica; come loro contenuto appare in primo luogo l’annuncio del vangelo, poi il servizio della carità tra i cristiani e funzioni comunitarie a prevalente carattere pratico. Tutto ciò desta l’impressione che i ministeri fossero considerati non come sacri ma semplicemente come funzionali, e quindi amministrati esclusivamente a fini specifici. In epoca postconciliare venne del tutto spontaneo ricollegare a queste osservazioni la teoria del cristianesimo come desacralizzazione del mondo, che si rifaceva alla tesi di Barth e Bonhoeffer sull’opposizione tra fede e religione e quindi sul carattere areligioso del cristianesimo. La lettera agli Ebrei sottolinea con forza che Gesù soffrì fuori delle porte della città esortandoci ad andare verso di lui (Eb 13,12-13). Questa circostanza divenne un simbolo: la croce ha squarciato il velo del tempio, il nuovo altare si erge in mezzo al mondo; il nuovo sacrificio non è un fatto cultuale, bensì una morte totalmente profana. La croce appare così come un’interpretazione nuova e rivoluzionaria di ciò che unicamente può ancora considerarsi culto: solo l’amore quotidiano in mezzo alla profanità del mondo è, secondo questa teoria, la liturgia rispondente a questa origine.
Queste argomentazioni, risultanti dalla fusione della moderna teologia protestante con talune osservazioni esegetiche, a un esame più attento si rivelano come l’esito delle scelte ermeneutiche fondamentali fatte nella Riforma del XVI secolo. Il punto centrale di tali scelte era una lettura della Bibbia basata sulla contrapposizione dialettica di legge e promessa, sacerdote e profeta, culto e promessa. Le categorie reciprocamente correlate di legge-sacerdote-culto furono considerate come l’aspetto negativo della storia della salvezza: la legge porterebbe l’uomo all’autogiustificazione; il culto risulterebbe dall’errore che, ponendo l’uomo in una sorta di rapporto di parità con Dio, gli consentirebbe di stabilire, mediante la corresponsione di determinate offerte, un rapporto giuridico tra sé e Dio; il sacerdozio è allora per così dire l’espressione istituzionale e lo strumento stabile di questo scambievole rapporto con la Divinità. L’essenza del vangelo, come apparirebbe in modo assai chiaro soprattutto nelle grandi lettere di san Paolo, sarebbe perciò il superamento di questo apparato di distruttiva autogiustificazione dell’uomo: il nuovo rapporto con Dio poggia totalmente su promessa e grazia; esso si esprime nella figura del profeta, che di conseguenza viene costruita in stretta opposizione a culto e sacerdozio. Il cattolicesimo appariva a Lutero come la sacrilega restaurazione di culto, sacrificio, sacerdozio e legge e dunque come la negazione della grazia, come il distacco dal vangelo, come un regresso da Cristo a Mosè [...] Da sé, con le sole forze della ragione, della conoscenza e della volontà essi [i sacerdoti] non possono fare nulla di ciò che in quanto apostoli sono tenuti a fare. Come potrebbero dire: “Ti rimetto i tuoi peccati”? Come potrebbero dire: “Questo è il mio corpo”? Come potrebbero imporre le mani e dire: “Ricevi lo Spirito Santo”? Nulla di quanto è costitutivo dell’azione apostolica è prodotto della capacità personale. Ma proprio in questa totale assenza di proprietà è fondata la loro comunione con Gesù, il quale, a sua volta, è interamente dal Padre, solo per lui e in lui, e non sussisterebbe affatto, se non fosse un permanente derivare e riconsegnarsi al Padre. Il “nulla” per quanto attiene al proprio li coinvolge nella comunione di missione con Cristo. Questo servizio nel quale noi siamo interamente dati all’altro, questo dare ciò che non proviene da noi, nel linguaggio della Chiesa si chiama sacramento. Quando definiamo l’ordinazione sacerdotale un sacramento intendiamo precisamente questo: qui non vengono ostentate le proprie forze e capacità; qui non viene insediato un funzionario particolarmente abile, che trova l’impiego di suo gusto o semplicemente perché ci può guadagnare il pane; non si tratta di un lavoro con il quale, grazie alle proprie competenze, ci si assicura il sostentamento, per poi progredire nella carriera. Sacramento vuol dire: io do ciò che io stesso non posso dare; faccio qualcosa che non dipende da me; sono in una missione e sono divenuto portatore di ciò che l’altro mi ha trasmesso. Perciò nessuno può dichiararsi prete da sé; così come nessuna comunità può chiamare qualcuno di sua propria iniziativa a questo compito. Solo dal sacramento si può ricevere ciò che è di Dio, entrando nella missione che mi fa messaggero e strumento dell’altro.
Questo legame al Signore, per cui a un uomo è dato di fare ciò che non lui stesso, ma solo il Signore può fare, equivale alla struttura sacramentale. In questo senso la qualificazione sacramentale del nuovo stile di missione derivante da Cristo risale fino al nucleo centrale del messaggio biblico, vi appartiene. Al tempo stesso è divenuto evidente che qui si tratta di un ufficio totalmente nuovo, che non può essere derivato dall’Antico Testamento, ma è spiegabile unicamente sul piano cristologico. Il ministero sacramentale della Chiesa non fa che esprimere la novità di Gesù Cristo e mantenerla attuale nel corso della storia.
Il ministero dei presbiteri e dei vescovi è, secondo la sua natura spirituale, identico a quello degli apostoli. Questa identificazione, con la quale viene formulato il principio della successione apostolica, Luca l’ha precisata ulteriormente con un’altra scelta terminologica: limitando la nozione di apostolo ai Dodici, egli distingue l’unicità dell’origine dalla continuità della successione. In questo senso, il ministero dei presbiteri e dei vescovi è qualcosa di diverso dall’apostolato dei Dodici. I presbiteri-vescovi sono successori ma non apostoli essi stessi. Alla struttura della Rivelazione e della Chiesa appartiene così il “semel” e il “semper”. La potestà, fondata cristologicamente, di conciliare, di pascere, di insegnare prosegue immutata nei successori, ma questi sono successori in senso corretto solo quando “sono assidui nell’ascoltare l’insegnamento degli apostoli” (At 2,42).
Dice Jean Colson: “La funzione dei “Kohanim” (ιερεις) è essenzialmente quella di mantenere il popolo consapevole del suo carattere sacerdotale e far sì che esso viva come tale per glorificare Dio con tutta la sua esistenza”. Non si può non riconoscere la somiglianza con la formulazione paolina... a proposito del compito dell’apostolo come ministro di Gesù Cristo; solo che ora, a seguito della rottura dei confini d’Israele compiuta sulla croce di Cristo, il carattere missionario e dinamico di questa missione emerge molto più chiaramente: lo scopo ultimo di tutta la liturgia neotestamentaria e di tutti i ministeri sacerdotali è di fare del mondo il tempio e l’oblazione per Dio, vale a dire di far sì che il mondo intero entri a far parte del corpo di Cristo affinché Dio sia tutto in tutti (cfr. 1Cor 15,28).

5/ Il “noi” della liturgia: il “sacerdozio comune” dei fedeli

Sacrosanctum Concilium 14
Necessità di promuovere l'educazione liturgica e la partecipazione attiva

È ardente desiderio della madre Chiesa che tutti i fedeli vengano formati a quella piena, consapevole e attiva partecipazione alle celebrazioni liturgiche, che è richiesta dalla natura stessa della liturgia e alla quale il popolo cristiano, «stirpe eletta, sacerdozio regale, nazione santa, popolo acquistato» (1 Pt 2,9; cfr 2,4-5), ha diritto e dovere in forza del battesimo. A tale piena e attiva partecipazione di tutto il popolo va dedicata una specialissima cura nel quadro della riforma e della promozione della liturgia. Essa infatti è la prima e indispensabile fonte dalla quale i fedeli possono attingere il genuino spirito cristiano, e perciò i pastori d'anime in tutta la loro attività pastorale devono sforzarsi di ottenerla attraverso un'adeguata formazione.

Sacrosanctum Concilium 30
Partecipazione attiva dei fedeli

Per promuovere la partecipazione attiva, si curino le acclamazioni dei fedeli, le risposte, il canto dei salmi, le antifone, i canti, nonché le azioni e i gesti e l'atteggiamento del corpo. Si osservi anche, a tempo debito, un sacro silenzio.

dall’omelia di Benedetto XVI nella Veglia Pasquale nella Notte Santa del 15 aprile 2006
Penso che ciò che avviene nel Battesimo si chiarisca per noi più facilmente, se guardiamo alla parte finale della piccola autobiografia spirituale, che san Paolo ci ha donato nella sua Lettera ai Galati. Essa si conclude con le parole che contengono anche il nucleo di questa biografia: "Non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me" (Gal 2, 20). Vivo, ma non sono più io. L'io stesso, la essenziale identità dell'uomo – di quest'uomo, Paolo – è stata cambiata. Egli esiste ancora e non esiste più. Ha attraversato un "non" e si trova continuamente in questo "non": Io, ma "non" più io. Paolo con queste parole non descrive una qualche esperienza mistica, che forse poteva essergli stata donata e che, semmai, potrebbe interessare noi dal punto di vista storico. No, questa frase è l'espressione di ciò che è avvenuto nel Battesimo. Il mio proprio io mi viene tolto e viene inserito in un nuovo soggetto più grande. Allora il mio io c'è di nuovo, ma appunto trasformato, dissodato, aperto mediante l'inserimento nell'altro, nel quale acquista il suo nuovo spazio di esistenza.

da Romano Guardini, Lo spirito della liturgia, Brescia 1980, p. 37
La liturgia non dice io, bensì noi […]. La liturgia non è opera del singolo, bensì della totalità dei fedeli. Questa totalità non risulta soltanto dalla somma delle persone che si trovano in chiesa in un determinato momento, e non è neppure l’«assemblea» riunita. Essa si dilata oltre i limiti di uno spazio determinato e abbraccia tutti i credenti della terra intera. E travalica anche i limiti del tempo, in quanto la comunità che prega sulla terra si sente una cosa sola anche con i beati, che vivono nell’eternità.

da Jospeh Ratzinger, La festa della fede, Jaca Book, Milano, 1990, pp. 98-99
Una delle parole-guida della riforma liturgica conciliare è stata a ragione la "partecipatio actuosa", la fattiva partecipazione alla liturgia di tutto il "popolo di Dio". Questo concetto ha tuttavia subito dopo il Concilio una fatale restrizione. Sorse l'impressione che si avesse una partecipazione fattiva soltanto dove ci fosse un'attività esteriore verificabile
: discorsi, canti, prediche, assistenza liturgica. Gli articoli 28 e 30 della Costituzione Liturgica, che definiscono la partecipazione fattiva, possono aver prestato il fianco a siffatte restrizioni, basando la partecipazione stessa, in larga misura, su azioni esteriori. Comunque, anche il silenzio è ricordato come "partecipatio actuosa". Riallacciandosi a questo ci si deve chiedere: come mai dev'essere solo il discorrere e non anche l'ascoltare, il percepire con i sensi e con lo spirito, una compartecipazione spirituale attiva? Non v'è nulla di attivo nel percepire, nel captare, nel commuoversi? Non c'è qui oltre tutto un impicciolimento dell'uomo, che viene ridotto alla pura espressione orale, benché noi oggi tutti sappiamo che quanto v'è in noi di razionalmente cosciente ed emerge alla superficie è soltanto l'estremità di un iceberg nei confronti di ciò che l'uomo è nel suo complesso? Saremo ancora più concreti: ci sono ormai non pochi uomini che riescono a cantare più "col cuore" che "con la bocca", ma ai quali il canto di coloro cui è dato cantare anche con la bocca può veramente far cantare il cuore, in modo che essi cantano per così dire anche in quelli stessi e l'ascolto riconoscente come l'esecuzione dei cantori diventano insieme un'unica lode a Dio. Si deve necessariamente costringere alcuni a cantare là dove essi non possono e zittire così a loro e agli altri il cuore? Ciò non dice proprio nulla contro il canto di tutto il popolo credente, che ha nella chiesa una sua funzione inalterata, ma dice tutto contro un'esclusività che non può essere giustificata né dalla tradizione né dalle circostanze.

-nota catechetica: cosa è la partecipazione attiva dei bambini

6/ La liturgia culmen et fons

Sacrosanctum Concilium 9-10
La liturgia non esaurisce l'azione della Chiesa

9. La sacra liturgia non esaurisce tutta l'azione della Chiesa. Infatti, prima che gli uomini possano accostarsi alla liturgia, bisogna che siano chiamati alla fede e alla conversione: «Come potrebbero invocare colui nel quale non hanno creduto? E come potrebbero credere in colui che non hanno udito? E come lo potrebbero udire senza chi predichi? E come predicherebbero senza essere stati mandati?» (Rm 10,14-15). Per questo motivo la Chiesa annunzia il messaggio della salvezza a coloro che ancora non credono, affinché tutti gli uomini conoscano l'unico vero Dio e il suo inviato, Gesù Cristo, e cambino la loro condotta facendo penitenza [24]. Ai credenti poi essa ha sempre il dovere di predicare la fede e la penitenza; deve inoltre disporli ai sacramenti, insegnar loro ad osservare tutto ciò che Cristo ha comandato [25], ed incitarli a tutte le opere di carità, di pietà e di apostolato, per manifestare attraverso queste opere che i seguaci di Cristo, pur non essendo di questo mondo, sono tuttavia la luce del mondo e rendono gloria al Padre dinanzi agli uomini.

... ma ne è il culmine e la fonte
10. Nondimeno la liturgia è il culmine verso cui tende l'azione della Chiesa e, al tempo stesso, la fonte da cui promana tutta la sua energia. Il lavoro apostolico, infatti, è ordinato a che tutti, diventati figli di Dio mediante la fede e il battesimo, si riuniscano in assemblea, lodino Dio nella Chiesa, prendano parte al sacrificio e alla mensa del Signore. A sua volta, la liturgia spinge i fedeli, nutriti dei «sacramenti pasquali», a vivere «in perfetta unione» [26]; prega affinché «esprimano nella vita quanto hanno ricevuto mediante la fede» [27]; la rinnovazione poi dell'alleanza di Dio con gli uomini nell'eucaristia introduce i fedeli nella pressante carità di Cristo e li infiamma con essa. Dalla liturgia, dunque, e particolarmente dall'eucaristia, deriva in noi, come da sorgente, la grazia, e si ottiene con la massima efficacia quella santificazione degli uomini nel Cristo e quella glorificazione di Dio, alla quale tendono, come a loro fine, tutte le altre attività della Chiesa.

dall’Esortazione apostolica Evangelii nuntiandi, di Paolo VI
47. Peraltro non si insisterà mai abbastanza sul fatto che l'evangelizzazione non si esaurisce nella predicazione e nell'insegnamento di una dottrina. Essa deve raggiungere la vita: la vita naturale alla quale dà un senso nuovo, grazie alle prospettive evangeliche che le apre; e la vita soprannaturale, che non è la negazione, ma la purificazione e la elevazione della vita naturale. Questa vita soprannaturale trova la sua espressione vivente nei sette Sacramenti e nella loro mirabile irradiazione di grazia e di santità.
L'evangelizzazione dispiega così tutta la sua ricchezza quando realizza il legame più intimo e, meglio ancora, una intercomunicazione ininterrotta, tra la Parola e i Sacramenti. In un certo senso, è un equivoco l'opporre, come si fa talvolta, l'evangelizzazione e la sacramentalizzazione. È vero che un certo modo di conferire i Sacramenti, senza un solido sostegno della catechesi circa questi medesimi Sacramenti e di una catechesi globale, finirebbe per privarli in gran parte della loro efficacia. Il compito dell'evangelizzazione è precisamente quello di educare nella fede in modo tale che essa conduca ciascun cristiano a vivere i Sacramenti come veri Sacramenti della fede, e non a riceverli passivamente, o a subirli.

da Battesimo dei bambini e fede dei genitori, di Louis-Marie Chauvet, in Louis-Marie Chauvet, L’umanità dei sacramenti, Edizioni Qiqajon. Comunità di Bose, Magnano, 2010, pp. 275-295
Molti genitori, all'uscita dalla celebrazione, dicono al prete: "Grazie, padre, è stato bello". C’è fondato motivo di ritenere che in molti casi questa reazione esprima più che una semplice soddisfazione per la bellezza formale della celebrazione: è avvenuto qualcosa nel cuore dei partecipanti.

7/ L’eucarestia

Sacrosanctum Concilium
La messa e il mistero pasquale

47. Il nostro Salvatore nell'ultima cena, la notte in cui fu tradito, istituì il sacrificio eucaristico del suo corpo e del suo sangue, onde perpetuare nei secoli fino al suo ritorno il sacrificio della croce, e per affidare così alla sua diletta sposa, la Chiesa, il memoriale della sua morte e della sua resurrezione: sacramento di amore, segno di unità, vincolo di carità, convito pasquale, nel quale si riceve Cristo, l'anima viene ricolma di grazia e ci è dato il pegno della gloria futura.

Partecipazione attiva dei fedeli alla messa
48. Perciò la Chiesa si preoccupa vivamente che i fedeli non assistano come estranei o muti spettatori a questo mistero di fede, ma che, comprendendolo bene nei suoi riti e nelle sue preghiere, partecipino all'azione sacra consapevolmente, piamente e attivamente; siano formati dalla parola di Dio; si nutrano alla mensa del corpo del Signore; rendano grazie a Dio; offrendo la vittima senza macchia, non soltanto per le mani del sacerdote, ma insieme con lui, imparino ad offrire se stessi, e di giorno in giorno, per la mediazione di Cristo, siano perfezionati nell'unità con Dio e tra di loro, di modo che Dio sia finalmente tutto in tutti.

49. Affinché poi il sacrificio della messa raggiunga la sua piena efficacia pastorale anche nella forma rituale, il sacro Concilio, in vista delle messe celebrate con partecipazione di popolo, specialmente la domenica e i giorni di precetto, stabilisce quanto segue:

Revisione dell'ordinario della messa
50. L'ordinamento rituale della messa sia riveduto in modo che apparisca più chiaramente la natura specifica delle singole parti e la loro mutua connessione, e sia resa più facile la partecipazione pia e attiva dei fedeli.

Per questo i riti, conservata fedelmente la loro sostanza, siano semplificati; si sopprimano quegli elementi che, col passare dei secoli, furono duplicati o aggiunti senza grande utilità; alcuni elementi invece, che col tempo andarono perduti, siano ristabiliti, secondo la tradizione dei Padri, nella misura che sembrerà opportuna o necessaria.

Una più grande ricchezza biblica
51. Affinché la mensa della parola di Dio sia preparata ai fedeli con maggiore abbondanza, vengano aperti più largamente i tesori della Bibbia in modo che, in un determinato numero di anni, si legga al popolo la maggior parte della sacra Scrittura.

L'omelia
52. Si raccomanda vivamente l'omelia, che è parte dell'azione liturgica. In essa nel corso dell'anno liturgico vengano presentati i misteri della fede e le norme della vita cristiana, attingendoli dal testo sacro. Nelle messe della domenica e dei giorni festivi con partecipazione di popolo non si ometta l'omelia se non per grave motivo.

La «preghiera dei fedeli»
53. Dopo il Vangelo e l'omelia, specialmente la domenica e le feste di precetto, sia ripristinata la «orazione comune» detta anche «dei fedeli», in modo che, con la partecipazione del popolo, si facciano speciali preghiere per la santa Chiesa, per coloro che ci governano, per coloro che si trovano in varie necessità, per tutti gli uomini e per la salvezza di tutto il mondo.

Lingua nazionale e latino nella messa
54. Nelle messe celebrate con partecipazione di popolo si possa concedere una congrua parte alla lingua nazionale, specialmente nelle letture e nella «orazione comune» e, secondo le condizioni dei vari luoghi, anche nelle parti spettanti al popolo, a norma dell'art. 36 di questa costituzione. Si abbia cura però che i fedeli sappiano recitare e cantare insieme, anche in lingua latina, le parti dell'ordinario della messa che spettano ad essi. Se poi in qualche luogo sembrasse opportuno un uso più ampio della lingua nazionale nella messa, si osservi quanto prescrive l'art. 40 di questa costituzione.

Unità della messa
56. Le due parti che costituiscono in certo modo la messa, cioè la liturgia della parola e la liturgia eucaristica, sono congiunte tra di loro così strettamente da formare un solo atto di culto. Perciò il sacro Concilio esorta caldamente i pastori d'anime ad istruire con cura i fedeli nella catechesi, perché partecipino a tutta la messa, specialmente la domenica e le feste di precetto.

-nota catechetica: di per sé si apre alle lingue nazionali, senza dimenticare il latino... sarà poi il cammino successivo a chiarire

-nota catechetica: il valore della preghiera eucaristica

-non si parla dell’altare rivolto al popolo

da A. Nocent, Liturgia semper reformanda, Qiqajon, 1993, p. 12
Mai la liturgia romana ha conosciuto una tale ricchezza di letture bibliche.

8/ L’anno liturgico

Sacrosanctum Concilium 102
Il senso dell'anno liturgico

La santa madre Chiesa considera suo dovere celebrare l'opera salvifica del suo sposo divino mediante una commemorazione sacra, in giorni determinati nel corso dell'anno. Ogni settimana, nel giorno a cui ha dato il nome di domenica, fa memoria della risurrezione del Signore, che essa celebra anche una volta all'anno, unitamente alla sua beata passione, con la grande solennità di Pasqua. Nel corso dell'anno poi, distribuisce tutto il mistero di Cristo dall'Incarnazione e dalla Natività fino all'Ascensione, al giorno di Pentecoste e all'attesa della beata speranza e del ritorno del Signore. Ricordando in tal modo i misteri della redenzione, essa apre ai fedeli le ricchezze delle azioni salvifiche e dei meriti del suo Signore, le rende come presenti a tutti i tempi e permette ai fedeli di venirne a contatto e di essere ripieni della grazia della salvezza.

Per l'inizio dell'anno liturgico. La corona che plasma il tempo, di Inos Biffi da L’Osservatore Romano del 24/11/2010
L'anno liturgico è tra le più originali e preziose creazioni della Chiesa
, "un poema - come diceva il cardinale Ildefonso Schuster di tutta la liturgia - al quale veramente hanno posto mano e cielo e terra".
Esso è la trama dei misteri di Gesù nell'ordito del tempo
. Così, lungo il corso di ogni anno, la Chiesa rievoca gli eventi della sua nascita, della sua morte e della sua risurrezione, così che il susseguirsi dei giorni sia tutto improntato e sostenuto dalla memoria di lui. Una memoria d'altronde che, se fa volgere lo sguardo a quando quegli eventi si sono compiuti, subito fa tendere lo sguardo sul Presente, cioè sul Cristo vivente, che sovrasta e include in se stesso tutta la storia.

da R. Cantalamessa, I misteri di Cristo nella vita della Chiesa, Ancora, Milano, 1991, pp. 5-13
«La sua nascita, la sua crescita, i suoi miracoli, la sua passione e la sua risurrezione non accaddero soltanto in quel tempo, ma operano anche oggi in noi».
(Origene, In Lucam Hom. VII, 7)
«Tutto quello che è accaduto nella croce di Cristo, nella sepoltura, nella risurrezione al terzo giorno, nell'ascensione al cielo, nella sessione alla destra del Padre, è accaduto in modo tale che in queste cose venisse raffigurata misticamente, non solo con le parole ma anche con i fatti, la vita cristiana che si svolge quaggiù».
(S. Agostino, Enchiridion, 53)
La parola «misteri» ha avuto, nella tradizione cristiana, due accezioni fondamentali: una storica e una sacramentale. Nell'accezione storica, misteri sono gli eventi stessi, prima prefigurati nell'Antico Testamento e poi realizzati da Cristo nel Nuovo, in quanto sono carichi di un significato salvifico che trascende lo spazio e il tempo.
Indicano dunque il fatto, più il significato del fatto. «Discese dal cielo per la nostra salvezza», «morì per i nostri peccati», «risorse per la nostra giustificazione»
: queste frasi ed altre analoghe - formate da un verbo che indica l'evento e da un complemento che indica il significato dell' evento - entrarono ben presto a far parte dei simboli di fede. Esse designano quello che si intende, anche in questo libro [R. Cantalamessa, I misteri di Cristo nella vita della Chiesa, Ancora, Milano, 1991], per «misteri della vita di Cristo».
Nell'accezione sacramentale, la parola «misteri» (mysteria) indica invece i riti sacri o i segni, attraverso i quali quegli avvenimenti storici vengono rappresentati
e attualizzati nella liturgia della Chiesa.
La spiritualità ortodossa ha privilegiato questa seconda accezione
, sviluppando una spiritualità misterica tutta incentrata sui sacramenti (battesimo, cresima ed eucaristia), come si può vedere leggendo la splendida sintesi di Nicola Cabasilas, del medioevo bizantino, intitolata «La vita in Cristo».
La spiritualità latina ha sviluppato, di preferenza, l'altra linea, quella «storica»
, creando addirittura, a questo riguardo, un nuovo genere letterario, quello della «meditazione dei misteri di Cristo». (I «misteri di Cristo» sono una cosa diversa dai «misteri del cristianesimo», che indicano, come nell'opera famosa dello Scheeben, le verità di fede e i dogmi della Chiesa).
Si tratta, evidentemente, di accentuazioni diverse e complementari, perché è chiaro che il mistero cristiano, completo e integrale, comprende l'una e l'altra cosa insieme
. Esso, anzi, non si ferma neppure a questi due livelli, perché, accanto al livello storico degli eventi salvifici e a quello sacramentale della ripetizione mistica, comporta anche il livello morale o esistenziale dell'imitazione pratica, a cui tutto deve tendere.
Le feste liturgiche, dette anch'esse, talvolta, «misteri» (sacramenta) rappresentano già una sintesi di queste diverse prospettive
. Da una parte, infatti, con la loro ricorrenza anniversaria, esse richiamano alla mente l'evento che commemorano; dall'altra, con i riti che comportano, rendono presenti e operanti, nei segni, quegli stessi eventi. [...]
Il genere tradizionale della meditazione dei misteri di Cristo, dopo il suo apogeo medioevale, è andato declinando sempre più
, a causa di diversi fattori negativi e in particolare della piega troppo devozionistica da essa assunta, che la isolava dal resto della teologia, impedendole di rinnovarsi.
In tempi recenti, sono intervenuti dei fattori nuovi che hanno riavvicinato la teologia e l'esegesi alla prospettiva dei misteri
, rendendo possibile una ripresa, su basi rinnovate, di questo venerando filone della letteratura spirituale cristiana. Accenno velocemente ai più significativi di tali fattori, che sono anche quelli dai quali mi sono lasciato io stesso guidare.
In seguito all'incontro con la cultura ellenistica, la trattazione su Cristo si era orientata sempre più in senso ontologico, interessandosi quasi solo del fondamento della salvezza, cioè della costituzione della persona del Salvatore, vero uomo e vero Dio. Con la riscoperta moderna della dimensione storica, la teologia è tornata a interessarsi non solo del fondamento, ma anche dello svolgimento della salvezza. Ne è scaturita quella che si chiama la «cristologia narrativa», cioè una cristologia che segue da vicino l'evolversi della salvezza e della rivelazione nella vita di Gesù. Di colpo, gli avvenimenti concreti della storia di Cristo riacquistano un'importanza fondamentale.
Contemporaneamente, la maggiore valorizzazione dell'umanità del Salvatore, il riconoscimento di una sua crescita in consapevolezza e accettazione della sua missione
, fanno sì che avvenimenti come il battesimo nel Giordano, la trasfigurazione, il Getsemani, non siano più visti come semplici manifestazioni successive di una realtà e santità già presenti in Cristo fin dall'inizio e che il passar del tempo non può né accrescere né diminuire, ma siano visti invece come avvenimenti reali, come tappe fondamentali della storia della salvezza, nelle quali qualcosa di nuovo avviene, e non solo «per noi», per la nostra edificazione, ma anche per lo stesso Gesù.
Un altro fattore è la riscoperta recente dell'importanza del Gesù storico, che per un certo tempo era stato lasciato in disparte, per privilegiare il cosiddetto Cristo della fede. Questo nuovo interesse ha messo in luce che vi sono, nella vita terrena di Gesù, dei nuclei fondamentali accertabili anche storicamente e che non siamo, perciò, condannati a non poter dire nulla di fondato sulle vicende e i fatti che hanno contrassegnato la vita terrena di Cristo.
Naturalmente, tutto questo non giustifica che si torni a insistere troppo sui dettagli della vita di Gesù
, sui suoi sentimenti, i suoi stati d'animo, nel tentativo di diventare quasi suoi contemporanei e spettatori oculari degli avvenimenti. (Cosa, questa, che ha rappresentato talvolta, in passato, l'elemento più caduco della meditazione dei misteri).
Nell'accostarci ai misteri di Cristo non possiamo fare leva tanto sulla carne, o sulla lettera, quanto sullo Spirito
, perché è nel Signore risorto, nel Kyrios vivente secondo lo Spirito, che noi possiamo entrare in un contatto vivo con i suoi misteri. Diversamente, questi resterebbero inesorabilmente fatti «passati», pure memorie da celebrare - direbbe Agostino - «a modo di anniversario, non di mistero» (cf. S. Agostino, Ep. 55, 1,2; CSEL 34, 1, p. 170). Se abbiamo conosciuto Cristo secondo la carne - diceva san Paolo -, ora non lo conosciamo più così (2 Cor 5, 16). «Contemporanei» di Cristo, presenti ai suoi misteri, non si diventa grazie alla storia, e tanto meno grazie alla immaginazione, ma solo grazie alla fede.
Anche l'altro elemento fondamentale della meditazione dei misteri di Cristo, che consiste nella loro applicazione alla Chiesa, ha trovato delle conferme sorprendenti nell'esegesi e nella teologia più recenti
. Il metodo della «storia delle forme» ha messo in luce che il Nuovo Testamento è nato nella Chiesa e per la Chiesa, che questa ne rappresenta, per così dire, il «Sitz im Leben». I racconti neotestamentari sono perciò, nella loro stessa origine, «ecclesiali», cioè destinati all'edificazione della fede della Chiesa, messi per iscritto per rispondere ai suoi bisogni, per fornirle indicazioni e modelli. Come dire che l'applicazione dei misteri di Cristo alla vita della Chiesa non è qualcosa di arbitrario o di aggiunto, ma, in certo senso, qualcosa di costitutivo.
La meditazione dei misteri, con la preoccupazione «edificante» che l'ha sempre caratterizzata, potrebbe, dunque, tornare ad essere uno strumento ideale per accostarsi fruttuosamente alla Scrittura e alla persona di Cristo
, nel momento in cui si comincia ad avvertire da più parti l'insufficienza di un approccio esclusivamente storico-critico alla Bibbia. La dimensione edificante, infatti, non può essere mai separata del tutto da quella scientifica, quando si tratta della Parola di Dio. «Dal punto di vista cristiano - è stato scritto -, tutto, proprio tutto, deve essere edificante e quel genere di rappresentazione scientifica che non finisce per edificare è, proprio per questo, anticristiano» (S. Kierkegaard, La malattia mortale, pref., in Opere, a cura di C. Fabro, Firenze 1972, p. 621).
Un altro fattore, legato al precedente, che incoraggia, in questa applicazione dei misteri di Cristo alla Chiesa, è la rivalutazione in atto, anche da parte di taluni eminenti esegeti, della cosiddetta lettura spirituale della Bibbia
. La lettura spirituale insegna a leggere l'Antico Testamento in riferimento al Nuovo e il Nuovo Testamento in riferimento alla Chiesa (cf. H. de Lubac, Storia e Spirito, Roma 1971, pp. 303 ss.). Tale lettura è già avviata da san Paolo, quando dice che noi siamo stati crocifissi con Cristo, sepolti con lui, risorti con lui, ascesi con lui al cielo; oppure che noi dobbiamo morire con Cristo, compiere in noi ciò che manca alla sua passione, risorgere con lui, cercare le cose di lassù dove lui è assiso...
Ciò che è avvenuto una volta nel Capo, deve avvenire ogni giorno nelle membra
. Se l'Antico Testamento era figura, o tipo, del Nuovo, anche il Nuovo è figura e tipo della Chiesa, nel senso non più di profezia o di abbozzo, ma di norma e modello, di realizzazione, appunto, «tipica» da imitare. I Padri hanno raccolto e sviluppato questo punto di vista, nel contesto della dottrina del corpo mistico.
Un ultimo criterio, dal quale ho cercato di lasciarmi guidare [...], è quello che i Padri esprimevano con l'equazione «Ecclesia vel anima», la Chiesa ovvero l'anima
. Con esso si intende affermare che tutto quello che nella Scrittura si dice universalmente della Chiesa, si deve applicare anche personalmente a ogni singolo credente.
Interiorizzazione e attualizzazione vanno di pari passo. La parola di Dio deve diventare vera «ora» e «per me». Senza questa prospettiva, la meditazione dei misteri di Cristo non avrebbe quella straordinaria incidenza sulla vita e la crescita interiore del cristiano che è stata sempre la sua caratteristica.
Ecco un esempio di questa applicazione, in chiave personale e morale, dei misteri della vita di Cristo, tratto da sant'Agostino: «Cristo ha patito; moriamo al peccato. Cristo è risuscitato; viviamo per Dio. Cristo è passato da questo mondo al Padre; non si attacchi qui il nostro cuore, ma lo segua nelle cose di lassù. Il nostro Capo fu appeso sul legno; crocifiggiamo la concupiscenza della carne. Giacque nel sepolcro; sepolti con lui dimentichiamo le cose passate. Siede in cielo; trasferiamo i nostri desideri alle cose supreme. Dovrà venire come giudice; non lasciamoci aggiogare con gli infedeli. Egli risusciterà anche i corpi dei morti; al corpo destinato a mutare procuriamo meriti, mutando mentalità» (Sermo 229/D, l; PLS 2, 724).
Lo scopo finale della meditazione dei misteri, come appare da questo testo, è dunque il cambiamento di mentalità, cioè la conversione dell'uomo e la sua progressiva trasformazione in Cristo. Essere per Cristo - come diceva la beata Elisabetta della Trinità - «quasi un 'umanità aggiunta, nella quale egli possa rinnovare tutto il suo mistero».
Questi che ho elencati brevemente sono alcuni fattori o criteri oggettivi che giustificano, oggi, una ripresa del genere tradizionale della meditazione dei misteri di Cristo. Ma è chiaro che da soli essi non bastano a rinnovare davvero tale genere, a rinnovarlo spiritualmente, oltre che teologicamente. Questo lo può fare solo lo Spirito Santo. Io amo dire che lo Spirito Santo non fa cose nuove, ma fa nuove le cose. E una delle cose che egli può fare «nuova», è proprio la meditazione dei misteri di Cristo. L'unzione dello Spirito è più necessaria ancora che una sana esegesi e teologia, per accostarsi a Cristo. Solo lui ci può permettere di fare nostra quella bella frase di sant' Ambrogio: «Tu, o Cristo, ti mostri a me a faccia a faccia. Io ti incontro nei tuoi misteri!» (Apol. David, 58; PL 14, 875).
La lista dei misteri della vita di Gesù è stata sempre assai elastica. Va da quella sobria ed essenziale del Simbolo apostolico che menziona nascita, passione, morte, risurrezione e ascensione, alle liste medioevali che giungono fino a comprendere, talvolta, oltre quaranta misteri diversi
. Quelli presi in esame in questa raccolta sono gli stessi che la Chiesa celebra nelle sue principali festività liturgiche: Natale, con l'Annunciazione e la Presentazione di Gesù al Tempio, Battesimo di Cristo, istituzione dell'Eucaristia, Pasqua e Pentecoste. Un fatto alquanto nuovo e inusitato è l'inserimento, in questa serie, del mistero della predicazione di Gesù e, più ancora, del mistero della Pentecoste. Di questo, però, a suo luogo si spiegherà la ragione.
Una parola infine sullo scopo pratico e i destinatari di questo libro. Nel medioevo, la meditazione dei misteri di Cristo era orientata quasi esclusivamente alla devozione privata. Ora, come si è accennato, essa sta tornando a essere orientata anche alla catechesi, alla teologia, alla predicazione e, in genere, all'edificazione e all'approfondimento della fede, proprio come era all'inizio, quando le narrazioni evangeliche presero «forma» nella Chiesa, e all'epoca dei Padri, quando non esisteva ancora una distinzione così marcata tra teologia, esegesi e spiritualità. [...]

-nota catechetica: anche il Catechismo della Chiesa Cattolica (CCC 512 ss.) suggerisce un’impostazione della catechesi sul Cristo a partire dai “misteri”

9/ Sacramenti e sacramentali

-Battesimo: per la prima volta il Rito per il Battesimo dei bambini

-reistituzione del catecumenato

-riforma di tutti i sacramenti (ad esempio, termine “unzione degli infermi”)

-nota catechetica: la benedizione

10/ Musica, arte e bellezza

da Francesco d'Assisi, Prima lettera ai custodi: FF 241
2 Vi prego, più che se riguardasse me stesso, che, quando vi sembrerà conveniente e utile, supplichiate umilmente i chierici che debbano venerare sopra ogni cosa il santissimo corpo e sangue del Signore nostro Gesù Cristo e i santi nomi e le parole di lui scritte che consacrano il corpo.
3 I calici, i corporali, gli ornamenti dell’altare e tutto ciò che serve al sacrificio, debbano averli di materia preziosa.
4 E se in qualche luogo il santissimo corpo del Signore fosse collocato in modo troppo miserevole, secondo il comando della Chiesa venga da loro posto e custodito in un luogo prezioso, e sia portato con grande venerazione e amministrato agli altri con discrezione.

da Francesco d'Assisi, Testamento: FF 113-114
E questi e tutti gli altri [sacerdoti] voglio temere, amare e onorare come miei signori.
9 E non voglio considerare in loro il peccato, poiché in essi io discerno il Figlio di Dio e sono miei signori.

10 E faccio questo perché, dello stesso altissimo Figlio di Dio nient’altro vedo corporalmente, in questo mondo, se non il santissimo corpo e il santissimo sangue suo, che essi ricevono ed essi soli amministrano agli altri.
11 E voglio che questi santissimi misteri sopra tutte le altre cose siano onorati, venerati e collocati in luoghi preziosi.
12 E i santissimi nomi e le parole di lui scritte, dovunque le troverò in luoghi indecenti, voglio raccoglierle, e prego che siano raccolte e collocate in luogo decoroso.

da San Francesco d’Assisi, LETTERA A TUTTI I CHIERICI SULLA RIVERENZA DEL CORPO DEL SIGNORE, Prima recensione
[207/a] (1) Facciamo attenzione, noi tutti chierici, al grande peccato e all’ignoranza che certuni hanno riguardo al santissimo corpo e sangue del Signore nostro Gesù Cristo e ai santissimi nomi e alle sue parole scritte che santificano il corpo.
(2) Sappiamo che non ci può essere il corpo se prima non è santificato dalla parola.
(3) Niente infatti possediamo e vediamo corporalmente in questo mondo dello stesso Altissimo, se non il corpo e il sangue, i nomi e le parole mediante le quali siamo stati creati e redenti “da morte a vita” (1Gv 3,14).
[208/a]    (4) Tutti coloro, poi, che amministrano così santi misteri, considerino tra sé, soprattutto chi li amministra illecitamente, quanto siano miserandi i calici, i corporali e le tovaglie sulle quali si compie il sacrificio del corpo e del sangue di lui. (5) E da molti viene collocato e lasciato in luoghi indecorosi, viene trasportato senza nessun onore e ricevuto senza le dovute disposizioni e amministrato agli altri senza discrezione.

da François Boespflug [domenicano facoltà di Strasburgo] (in un’intervista rilasciata a Daniele Zappalà, su Avvenire del 4 dicembre 2008), rispondendo alla domanda da dove nascesse l’amore della chiesa per l’architettura e le immagini:
«Non ho mai creduto alla teoria del bisogno, fondata su un'opposizione fra autorità e fedeli. Ovvero, a un bisogno d'immagini rivendicato dal popolo dei fedeli e al quale le autorità ecclesiastiche dovettero cedere. Di fatto, sono numerosi gli esempi di grandi vescovi teologi che ebbero il gusto delle immagini. Credo molto più a ciò che definirei il dinamismo espressivo delle forti intuizioni. Una religione vissuta in modo intenso da una civiltà deve essere espressa. E dopo le parole, il cristianesimo ha conquistato in modo logico altri registri espressivi, dalle arti plastiche al teatro, dalla musica alla letteratura. Hanno poi influito fattori più specifici, come la riflessione su certi passaggi evangelici, in particolare di Giovanni, in cui Gesù impiega il verbo "vedere"».

-nota catechetica: gli edifici cristiani esistono prima di Costantino

-Agli inizi del III secolo – 100 anni prima di Costantino - è documentato il possesso di cimiteri e la costruzione di chiese, anche se più piccole (cfr. Callisto, allora diacono, venne incaricato da papa Zefirino – siamo negli anni 189-222 - della custodia delle catacombe oggi dette di S. Callisto, Elenchos IX, 12, 14).
-
Nel cimitero di S. Callisto vennero arrestati papa Sisto II con i quattro diaconi e successivamente S. Lorenzo.
-Nel 262
, dopo le persecuzioni di Decio e Valeriano, ci fu l’editto di Gallieno, chiamato dagli storici anche “editto di restituzione”, proprio perché Gallieno stabilì che fossero restituite le proprietà ai cristiani, segno che ovviamente dovevano averle.
-Abbiamo anche una famosa attestazione architettonica di queste prime chiese costruite dai cristiani prima dell’editto di Costantino nella chiesa di Dura Europos, nell’odierna Siria. La città di Dura Europos fu abbandonata nel 256, a motivo dell’arrivo dei Persi Sassanidi e, quindi, tutti i suoi monumenti superstiti sono precedenti a quella data.
-L’esistenza di chiese e non solo di domus ecclesiae è attestata letterariamente prima di Costantino.
Ne parla Eusebio di Cesarea che racconta come l’imperatore Aureliano (270-275), quando il vescovo scismatico Paolo di Antiochia fu dichiarato deposto, assegnò la chiesa che era sede del vescovo antiocheno a Domno, vescovo cattolico (Storia ecclesiastica, VII, 30, 19).
-Anche i documenti africani relativi alla persecuzioni di Diocleziano attestano che ad Abthugni (oggi in Tunisia) e Cirta (nell’antica Numidia, oggi in Algeria) c’erano già, prima del 303, delle basilicae cristiane.
-Nella stessa Roma - riferisce Ottato di Milevi - quando vi arrivò dall’Africa Vittore, primo vescovo scismatico donatista inviato a Roma tra il 314 ed il 320, quest’ultimo non aveva nessuna basilica nella quale riunire i fedeli, mentre la chiesa cattolica ne aveva ben quaranta (De schismate donatistarum o Contra Parmenianum Donatistam, II, 4, tradotto in italiano con il titolo La vera chiesa, Città nuova)!
-Nell’opera di Lattanzio Come muoiono i persecutori, XII, 1-5, si afferma addirittura che, al momento dello scatenarsi della persecuzione di Diocleziano nel 303, esisteva già da tempo una chiesa che era visibile dal palazzo imperiale di Nicomedia, oggi İzmit in Turchia, segno che la presenza di questi edifici cristiani era un fatto ormai normale.
Così scrive Lattanzio: I principi [Diocleziano e Galerio] intanto osservavano quello che succedeva (la chiesa infatti appariva in alto rispetto al palazzo) e non facevano altro che discutere se era meglio darle fuoco. Prevalse il parere di Diocleziano, che temeva che un grande incendio potesse bruciare pure una parte della città, dato che tutt’intorno [alla chiesa] c'erano molte case grosse. Allora arrivarono i Pretoriani in formazione da combattimento; furono mandati in tutti i punti [dell'edificio], e con asce e altri arnesi di ferro rasero al suolo in poche ore quel tempio così rinomato.

11/ La liturgia delle ore

Sacrosanctum Concilium 83-84
L'ufficio divino opera di Cristo e della Chiesa

83. Cristo Gesù, il sommo sacerdote della nuova ed eterna alleanza, prendendo la natura umana, ha introdotto in questo esilio terrestre quell'inno che viene eternamente cantato nelle dimore celesti Egli unisce a sé tutta l'umanità e se l'associa nell'elevare questo divino canto di lode. Cristo continua ad esercitare questa funzione sacerdotale per mezzo della sua Chiesa, che loda il Signore incessantemente e intercede per la salvezza del mondo non solo con la celebrazione dell'eucaristia, ma anche in altri modi, specialmente recitando l'ufficio divino.
84. Il divino ufficio, secondo la tradizione cristiana, è strutturato in modo da santificare tutto il corso del giorno e della notte per mezzo della lode divina. Quando poi a celebrare debitamente quel mirabile canto di lode sono i sacerdoti o altri a ciò deputati per istituzione della Chiesa, o anche i fedeli che pregano insieme col sacerdote secondo le forme approvate, allora è veramente la voce della sposa che parla allo sposo, anzi è la preghiera che Cristo unito al suo corpo eleva al Padre.
85. Tutti coloro pertanto che recitano questa preghiera adempiono da una parte l'obbligo proprio della Chiesa, e dall'altra partecipano al sommo onore della Sposa di Cristo perché, lodando il Signore, stanno davanti al trono di Dio in nome della madre Chiesa.

da L. Alonso Schökel, I salmi, Marietti, pp. 1-2
Avviene come quando un bambino incomincia a pronunciare coscientemente le prime parole; papà, mamma. Le ha pronunciate prima sua madre, sono scese nel suo intimo, fino a incontrarsi con un istinto che le stava aspettando, che quasi le riconosce, e le fa rimbalzare di nuovo fuori. In bocca alla madre erano un abbassarsi per insegnare, in bocca al figlio sono una invocazione, che distingue e unisce.
Si ripete il movimento con parole nuove e con le loro coniugazioni; e con frasi che si smontano e vengono ricomposte. Ora non basta più l'istinto segreto: il bimbo deve rendersi conto della situazione, ascoltare in essa le parole del padre, dei conoscenti; così impara progressivamente la loro lingua.
Quanto è difficile capire il bambino! (infante = senza parola). Di che cosa si lamenta, dove gli fa male, che cosa chiede? Che senso ha il suo sorriso, il suo pianto? Stare bene e stare male sono dati troppo generici e vaghi, anche per la madre. Ma quando il bambino impara il linguaggio materno può farsi capire. Può già chiedere e narrare, può domandare molto e rispondere un po’, può comunicare e comunicarsi. E quando resta solo, impara a parlare con se stesso e la sua fantasia si inoltra nel linguaggio percettibile.
“Come un uomo corregge il figlio, così il Signore Dio corregge te...” (Dt 8, 5). Parte essenziale di questa correzione ed educazione del popolo consiste nell'insegnargli a parlare per capirsi con Dio. Non manca all'uomo un certo istinto che risponde confusamente a Dio; con esso arriva ad emettere lamenti inarticolati da infante. Dio stesso gli insegna il linguaggio perché possa spiegarsi con Dio: perché sappia lamentarsi in modo articolato, dire dove gli fa male e di che cosa ha bisogno, perché sappia dar ragione del suo sorriso e della sua gioia, perché possa unirsi ai suoi fratelli in un canto all'unisono, perché sappia, a tu per tu con Dio, effondere in parole lo sfogo del suo cuore.
Un giorno il figlio maggiore aiuterà gli altri figli ad imparare la lingua.
“Israele è il mio figlio primogenito...” (Es 4,22) Israele come popolo ascoltò la parola di Dio, che parlava per bocca dei profeti, e dovette imparare a rispondere. Fu un apprendistato lento, durato tutta la sua vita: dovette passare attraverso diverse situazioni per imparare in esse, dalla mano di Dio, le parole giuste con le quali lamentarsi, chiedere o ringraziare. Dio insegnò a Israele il suo linguaggio nella concretezza della vita, non in astratto: quando Israele prega, le parole gli escono dall'intimo, non ripete a memoria una lezione. Per questo la sua risposta suona con tanta vitalità. [...]
“Tutte queste cose... sono state scritte per ammonimento nostro, di noi per i quali è arrivata la fine dei tempi” (l Cor 10,11). Benché non lo sapessero, secondo il piano di Dio, essi stavano vivendo e scrivendo per noi. Vivendo per darci un esempio ed una lezione, scrivendo per prepararci un linguaggio. Come se tutta la loro vita e storia fosse stata una sacra rappresentazione: per essi vita, dolore e gioia nella carne viva; per noi rappresentazione, presenza e rivelazione. Come se scrivessero il repertorio di preghiere per la posterità, provandolo in se stessi perché non fosse né suonasse come una cosa falsa.

da Benedetto XVI, Discorso in occasione di un concerto dei Domspatzen, in Lodate Dio con arte, Venezia 2010, p. 33
Se la Chiesa deve trasformare, migliorare, umanizzare il mondo, come può far ciò e rinunciare nel contempo alla bellezza, che è tutt’uno con l’amore ed è con esso la vera consolazione, il massimo accostamento possibile al mondo della Risurrezione? La Chiesa deve essere ambiziosa; dev’essere una casa del bello, deve guidare la lotta per la «spiritualizzazione», senza la quale il mondo diventa il «primo girone dell’inferno»
. Si cerchi pure ciò che è adatto alla liturgia e alla partecipazione dei fedeli, ma si faccia di tutto perché ciò che è adatto sia anche bello e degno della più importante azione ecclesiale. […] Cantare è quasi un volare, un sollevarsi verso Dio, un anticipare in qualche modo il canto dell’eternità.

dal discorso di Benedetto XVI tenuto il 12 settembre 2008 presso il Collège des Bernardins di Parigi
In Benedetto, per la preghiera e per il canto dei monaci vale come regola determinante la parola del Salmo: Coram angelis psallam Tibi, Domine - davanti agliAngelivoglio cantare a Te, Signore (cfr. 138, 1). Qui si esprime la consapevolezza di cantare nella preghiera comunitaria in presenza di tutta la corte celeste e di essere quindi esposti al criterio supremo: di pregare e di cantare in maniera da potersi unire alla musica degli Spiriti sublimi, che erano considerati gli autori dell'armonia del cosmo, della musica delle sfere.
Partendo da ciò, si può capire la serietà di una meditazione di san Bernardo di Chiaravalle, che usa una parola di tradizione platonica trasmessa da Agostino per giudicare il canto brutto dei monaci, che ovviamente per lui non era affatto un piccolo incidente, in fondo secondario. Egli qualifica la confusione di un canto mal eseguito come un precipitare nella "zona della dissimilitudine" - nella regio dissimilitudinis.
Agostino aveva preso questa parola dalla filosofia platonica per caratterizzare il suo stato interiore prima della conversione (cfr. Confess. vii, 10.16): l'uomo, che è creato a somiglianza di Dio, precipita in conseguenza del suo abbandono di Dio nella "zona della dissimilitudine" - in una lontananza da Dio nella quale non Lo rispecchia più e così diventa dissimile non solo da Dio, ma anche da se stesso, dal vero essere uomo.
È certamente drastico se Bernardo, per qualificare i canti mal eseguiti dei monaci, usa questa parola, che indica la caduta dell'uomo lontano da se stesso. Ma dimostra anche come egli prenda la cosa sul serio. Dimostra che la cultura del canto è anche cultura dell'essere e che i monaci con il loro pregare e cantare devono corrispondere alla grandezza della Parola loro affidata, alla sua esigenza di vera bellezza.
Da questa esigenza intrinseca del parlare con Dio e del cantarLo con le parole donate da Lui stesso è nata la grande musica occidentale. Non si trattava di una "creatività" privata, in cui l'individuo erige un monumento a se stesso, prendendo come criterio essenzialmente la rappresentazione del proprio io.Si trattava piuttosto di riconoscere attentamente con gli "orecchi del cuore" le leggi intrinseche della musica della stessa creazione, le forme essenziali della musica immesse dal Creatore nel suo mondo e nell'uomo, e trovare così la musica degna di Dio, che allora al contempo è anche veramente degna dell'uomo e fa risuonare in modo puro la sua dignità.

12/ Esemplificazioni iconografiche

Vecchietta, Credo nello Spirito Santo (da Il rapporto fra la fede nello Spirito Santo ed i sacramenti del battesimo e dell’eucarestia nel Battistero di Siena. Breve nota di A.L.)

Nel Battistero di San Giovanni a Siena l'articolo Credo nello Spirito Santo è rappresentato attraverso l'immagine della colomba che discende sull'altare per la consacrazione dell'Eucarestia e l'articolo Credo la Chiesa è rappresentato attraverso la figura di un pontefice che sorge dal corpo di San Pietro che gli porge le due chiavi e battezza un fedele, rendendolo figlio di Dio e membro della Santa Chiesa.
Così spiega in dettaglio Roberto Mastacchi, il massimo esperto italiano dell'iconografia del Credo[1]:
«[
L'articolo del Credo qui raffigurato] è l'ottavo che, mediante l'Apostolo Bartolomeo, professa: «Credo nello Spirito Santo». Alla sinistra il Profeta Aggeo con un testo (Ag 2,6) che preannuncia l'effusione dello Spirito Santo. La scena è occupata dalla colomba, simbolo dello Spirito Santo, che discende in un fascio di luce sull'ostia elevata sull'altare. Sulla parete anteriore dell'altare un paliotto con al centro l'immagine dell'Agnello con lo stendardo della Risurrezione e sul davanti un elegante pavimento. È interessante notare che la stessa immagine (pur con ovvie varianti) della colomba che scende sull'altare con l'Eucaristia è presente in uno degli stalli intarsiati del Coro della Cappella del Palazzo Pubblico. L'articolo del Credo Niceno-Costantinopolitano è appunto: «Et in Spiritum Sanctum, Dominum et Vivificantem, et cetera, qui locutus est per Prophetas».
Questa raffigurazione è forse la più originale di tutto il ciclo, in quanto connette, mediante il "filo rosso" dello Spirito Santo, il Battesimo all'Eucaristia, entrambi opera della potenza rinnovatrice, trasformante e vivificante dello Spirito nella vita del credente.
La scena si trova al di sopra del fonte battesimale e l'attenzione è focalizzata pertanto sui "Santi misteri"; l'affresco, inoltre, si trova di fronte all' altare vero su cui si celebrava l'Eucaristia, collocato sotto la scena della Crocifissione.
Il 9° articolo «Credo la Santa Chiesa Cattolica, la Comunione dei Santi» occupa la prima vela della terza campata. L'Apostolo Matteo e il Profeta Sofonia (Sof 2,15) si presentano accoppiati a questo articolo di fede. La scena è piuttosto complessa e
presenta al centro la figura di un pontefice, irradiato dall'alto, che con la mano destra si rende strumento della potenza dello Spirito per un catecumeno nudo che riceve il Battesimo, proprio a fianco del consueto personaggio che professa: "Credo". Il papa è come appoggiato su Pietro semidisteso, col quale mediante le mani si scambiano le chiavi. Pietro appare pertanto davvero la "pietra" sulla quale Cristo ha edificato la Chiesa, in modo quasi "fisico" e la Chiesa è presentata innanzitutto quale amministratrice dei Sacramenti, attraverso il ministero apostolico».
Fu il Vecchietta ad affrescare l'intero ciclo del
Credo nel Battistero, sulle 12 vele, che rappresentano i 12 articoli del Simbolo degli apostoli. Il suo nome di battesimo era Lorenzo di Pietro: a lui fu commissionato l'intero ciclo di affreschi il 7 febbraio 1450. Portò avanti il suo lavoro tra il 1450 ed il 1453, aiutato da altri artisti fra i quali Agostino di Marsiglia. Il Battistero fu ricavato sotto il Duomo di Siena e, anticamente, esisteva una botola che si apriva davanti all'altare del Duomo per mostrare il collegamento che esiste idealmente fra i due edifici.
Mastacchi così conclude, sottolineando che anche nell'articolo Credo nella remissione dei peccati il Vecchietta ha inserito la tematica sacramentale rappresentando la Confessione di un fedele che viene assolto dai peccati[2]:
«Non vi è dubbio che il Vecchietta, affrescando il Battistero, abbia voluto porre un accento tutto particolare sull'amministrazione dei Sacramenti e mostrare la intima connessione fra il Sacramento della Rinascita e quello dell'Eucaristia, nonché quello della Riconciliazione, ed evidenziare la Chiesa quale "Sacramento universale di Salvezza", come diremmo oggi alla luce del Concilio Vaticano II. In questa linea appare chiaro il ruolo assolutamente centrale del ministero apostolico, qui reso in modo evidente».

Il Vecchietta aveva precedentemente già dipinto gli articoli del
Credo sia nella cosiddetta Arliquiera, un armadio reliquiario che è custodito nella Pinacoteca di Siena e che apparteneva alla Sagrestia Vecchia dell'Ospedale di Santa Maria della Scala, sia in affresco proprio nella Sagrestia Vecchia stessa dell'Ospedale. In Siena gli articoli del Credo sono rappresentati anche ad intarsio nel coro ligneo della Cappella del Palazzo Pubblico.

Raffaello, La fede (da Fede, speranza, carità: le tre virtù teologali nell’opera di Raffaello Sanzio ai Musei Vaticani, di Andrea Lonardo)
Al centro della rappresentazione della fede sta la virtù stessa, sempre in figura femminile, che tiene in mano l'Ostia ed il Calice del Corpo e Sangue di Cristo. Si sottolinea così che la fede è fede nella presenza del Cristo vivente oggi nei Sacramenti della Chiesa
. Il Signore non appartiene al passato, non è semplicemente il Gesù dei Vangeli, ma è anche il Cristo vivente che oggi si dona a noi nell'Eucarestia ed amandoci ci salva.
I due putti-angeli ai lati recano, invece, cartigli con abbreviazioni che rimandano all'Incarnazione. La verità e la bontà dell'Eucarestia derivano dall'evento storico della venuta del Figlio di Dio in mezzo a noi
: egli è colui che si è fatto carne. Il putto di destra reca l'iscrizione in latino in abbreviazione JHS, cioè Jesus hominum Salvator, mentre il putto di sinistra reca sul cartiglio l'abbreviazione in greco CPX: entrambe rinviano ai titoli di Gesù Cristo, Salvatore degli uomini.