I cardini della vita buona (1) - La prudenza. Trascrizione di una riflessione di don Fabio Rosini
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Mettiamo a disposizione sul nostro sito la trascrizione della prima riflessione di don Fabio Rosini sulle virtù cardinali - il file audio è stato pubblicato sul sito della Radio vaticana il 26/10/2012. L'autore non ha rivisto la trascrizione. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. Per il file audio, vedi su questo stesso sito I cardini della vita buona (1) - La prudenza. File audio di una riflessione di don Fabio Rosini. Per altri file audio vedi la sezione Audio e video.
Il Centro culturale Gli scritti (11/11/2012)
Virtù cardinali: la parola cardinale viene da cardine, perno. Perché i cardinali si chiamano così? Perché erano i sacerdoti che, a Roma, erano titolari delle chiese “cardine”, delle chiese “perno”. Bisognava eleggere il Papa? Chiaramente non poteva essere tutto il clero a farlo, ma solo i rappresentanti delle chiese più importanti, le chiese cardine. Per questo tutti i cardinali, anche se rappresentano una nazione, sono titolari di una chiesa romana, di una chiesa che viene ritenuta importante.
Le virtù cardinali, che Tommaso chiama anche virtù naturali, come i cardini fanno girare una porta, sono quelle che fanno girare bene la nostra vita. Queste virtù sono quel tipo di “dotazione di bordo” che noi abbiamo e che, con la Grazia, con la Parola di Dio crescono e diventano splendide, ma che normalmente, umanamente, ogni uomo possiede, che può esercitare bene o male, ma ce l’ha. Deve solamente sfruttarle e assecondare questa virtù secondo il bene più alto.
L’origine di questo termine è nell’idea del perno che fa girare per esempio una porta, che fa girare un oggetto. Queste virtù fanno “girare” la vita, fanno andare bene la vita, sono virtù che fanno stare bene, che fanno vivere bene tutte le cose, sono assolutamente necessarie per vivere bene qualunque missione, qualunque realtà, qualunque giornata. Non si può vivere senza queste quattro virtù o, meglio, senza esercitare bene queste quattro virtù, perché vedremo che si può avere una cattiva metodologia nell’approccio con queste virtù.
La prudenza
La prudenza viene comunemente nominata per prima quando si elencano le virtù cardinali, perché è necessaria alle altre tre. È definita auriga virtutum, cocchiere delle virtù, conduce le altre virtù al loro compimento.
Perché davanti a una persona prudente noi diventiamo diffidenti? Come se la prudenza fosse la maschera di un’intenzione diversa? È importante sdoganare le virtù cardinali spiegando bene di cosa si tratta e togliendo le mistificazioni di cui sono state vittime. Una certa mediocrità dall’interno e una certa cattiveria dall’esterno, hanno fatto sì che la prudenza venisse identificata come qualcosa di viscido, di poco presentabile. Noi crediamo che i sinonimi di prudenza siano cautela, circospezione, diplomazia, se non proprio doppiezza, o addirittura dissimulazione, una forma di timidezza e di paura. Da una parte la prudenza somiglia alla viscida abilità di chi vuole subdolamente fare andare le cose a modo suo, d’altra parte sembra la virtù dei deboli, dei paurosi, quindi il prudente sembra il contrario dell’audace, un po’ ipocrita, un po’ fifone, il prudente è quello che segue i consigli della mamma, va piano in macchina, si mette la maglia di lana, non osa. Tutto questo con la prudenza non c’entra niente.
Noi stiamo parlando di una virtù bella dell’uomo, è l’arte di sapersi prendere quello che vale di più. La prudenza ci fa raggiungere gli obiettivi che valgono nella vita. La prudenza buona sarà orientata agli obiettivi più sani e luminosi, la prudenza cattiva a quelli pessimi. Infatti prudente è pure un ladro che riesce nei suoi intenti criminosi, è molto prudente quando fa il ladro, solo che è tutto l’atto che è sbagliato! Anche il serpente è prudente, nella Scrittura è quello che sa raggiungere l’obiettivo, anche se ci vorrebbe del tempo per approfondire la definizione di prudenza riguardo al serpente. In ogni caso si tratta di arrivare allo scopo, quando la prudenza prende la strada buona è fenomenale, meravigliosa, e ci fa vivere molto bene.
Dopo aver visto cosa la prudenza non è, vediamo di definire questa virtù.
“La prudenza è la virtù che dispone la ragione pratica a discernere in ogni circostanza il nostro vero bene e a scegliere i mezzi adeguati per compierlo”. (CCC 1806). La parola greca che noi traduciamo con prudente, vuole dire avveduto, il prudente è uno che ha gli occhi aperti. L’imprudente è uno che cerca il bene dove non c’è, è un po’ cieco, parla quando gli converrebbe stare zitto, non si rende conto di quello che creerà con una parola fuori luogo, oppure sta zitto quando dovrebbe parlare, ride a sproposito, crede a delle cose che sono assolutamente inaccettabili. Eppure è prudente a modo suo, crede che questa sia la strada per stare bene.
Nel vangelo chi è il prudente? Per esempio le cinque vergini sagge (prudenti), perché si sono procurate una quantità di olio equipollente all’importanza dello scopo: c’era un matrimonio, si doveva aspettare e non si sapeva per quanto tempo, meglio prendere tanto olio. Queste sanno valutare l’importanza dell’atto.
Prudente è l’uomo che costruisce la sua casa sulla roccia, cioè non costruisce basandosi solo sui periodi di quiete, ma calcola le possibili crisi che si potranno verificare. Così uno costruisce un matrimonio non in vista di quando tutto va bene, ma di quando le cose diventeranno difficili, allora lo costruisce da prudente.
Prudente è l’amministratore che dà il cibo al momento giusto. Noi dobbiamo allora capire esattamente il significato della parola prudenza. Prudente, viene dal latino prudentem, accusativo di prudens, contratto da providens, perché la v diventa u nella contrazione delle lingue, e vuole dire provvidente, cioè colui che vede prima.
Pro videre, il prudente è colui che guarda ciò che viene dopo, guarda oltre le cose. Insomma, fondamentalmente, la prudenza è quell’attitudine per cui una persona fissa lo sguardo nell’esito degli atti, delle cose. Vediamo una cosa di questo genere in S. Filippo Neri, quando dice: “Preferisco il Paradiso”, e quando è di fronte agli onori che gli vengono offerti li rifiuta perché capisce che quella per lui non è la strada per il Paradiso.
D’altro canto S. Francesco ha un motto: “Tanto è il bene che mi aspetto che ogni pena mi è diletto”. Lui ha capito dove Dio lo vuole portare e sa che passare per una strada di tribolazione può essere buono. Il prudente è colui che valuta le cose sulla base dello scopo, della meta, si chiede nei singoli momenti: “Sì, ma questo dove mi porta?”. Il viaggio, se è fatto in maniera tale che passo per posti meravigliosi, ma andrò a sfracellarmi alla fine, beh, non è che sia un gran viaggio, e a me non importa di tutti questi posti meravigliosi, preferirei evitarli. Se il viaggio è squallido, orribile, ma mi porta nel posto più bello del mondo, facciamolo questo viaggio, chi se ne importa se non è bellissimo. Il prudente è colui che comincia a far girare i propri atti in funzione di ciò che veramente resta nelle sue mani.
Allora don Fabio, puoi dare consigli pratici per far funzionare la virtù della prudenza, per attivarla, visto che, come dicevi, fa parte della nostra “dotazione di bordo”, è una virtù che tutti quanti abbiamo?
Dobbiamo spiegare in modo semplice questa virtù avendo come maestro S. Tommaso che ha parlato delle virtù cardinali in maniera splendida. La prudenza è molto pratica, il suo compito è dirigere, e quindi intima, comanda nelle situazioni pratiche. Chi è che perde la prudenza? Chi non vuole obbedire, chi non vuole adeguare i propri atti e vuole essere spontaneo a tutti i costi. La spontaneità è un bel valore, ma deve essere condizionata al risultato che si vuole ottenere, perché si può essere spontanei a sproposito, quindi in ordine a un fine che già umanamente è il fine del vero bene e poi con il dono della redenzione diventa il fine soprannaturale, arrivare al Paradiso, si occupa delle scelte e dei giusti mezzi da prendere nelle scelte per arrivare lì, per arrivare alla luce.
È indispensabile, innanzitutto per evitare il peccato, per evitare le stupidaggini che possiamo commettere nella nostra vita. Infatti illumina sulle conseguenze, è quella santa domanda per cui di fronte a un atto ci chiediamo: “Ma questo dove mi porta?”, “Adesso faccio questo scatto di rabbia, ma che ci sarà dopo? Il silenzio, la rottura del rapporto. Mi conviene?”. Ecco, lì la prudenza sta funzionando un po’.
Bisogna vedere se, davanti alla prudenza che ordina, tu obbedisci. Ed è indispensabile per crescere nella vita spirituale, per crescere anche nella vita umana, per essere uomini e donne dal tratto alto, nobile. Infatti illumina la meta, quindi evita gli eccessi, sia nel troppo che nel poco, e questo di evitare gli eccessi è molto importante perché non si tratta di vivere con il freno a mano sempre tirato esistenzialmente, ma di non andare verso qualcosa che mi brucia la vita o che me la spegne prima ancora che abbia un suo fuoco, ed è necessaria, indispensabile, per compiere la propria missione.
Cosa tacere, cosa affermare, quando aspettare, quando affrettarsi. Prima cosa che mi devo chiedere è il fine. Otterrò il vero fine? Otterrò il bene per me e per l’altro? Uno parla, dice la verità a una persona, benissimo! Hai detto la verità, nessuno ti può contestare, no? E io invece ti contesto, perché magari hai detto la verità al momento sbagliato, questa persona non ti stava ascoltando, non era in grado di ascoltarti, era esasperata, era troppo stanca, o troppo arrabbiata, era troppo confusa, troppo addolorata per affrontare la verità. Ci sono persone che dicono agli altri cose molto giuste, ma quando queste non hanno ancora la forza per accoglierle, o quando è troppo tardi. E l’altro ti risponde: se me l’avessi detto prima, se avessi avuto più coraggio mi avresti aiutato, ormai è tardi! Dire non solo la verità, ma dirla al momento giusto mira al vero bene, a cosa fare o non fare.
Ma come è fatta la prudenza in sé, di cosa è composta?
Prima di tutto è fatta di memoria, uno deve ricordarsi delle stupidaggini fatte così come delle cose fatte bene, altrimenti uno non ha un bagaglio, ricomincia ogni giorno daccapo. In secondo luogo è fatta di lettura attenta del presente, cioè di questo guardare le cose in modo da capire. È fatta di calma. La fretta e la prudenza non vanno d’accordo, e non perché la prudenza sia quella cosa un po’ da codardi di cui abbiamo parlato all’inizio, ma perché nella fretta, normalmente, non si considerano tutti gli elementi, mentre ci si richiede docilità ad apprendere.
Uno non è prudente se pensa di aver già capito tutto, deve essere pronto ad apprendere qualcosa di nuovo. E ancora, la prudenza richiede sagacità. Uno è sagace quando, in mancanza di altri consigli, si risolve a decidere, e lo fa in modo profondo, in contatto con la parte più profonda di sé, la sagacità è un contatto con la parte più autentica del proprio cuore. E poi la prudenza è fatta di ragione, ovvero di riflessione, di calma. Meglio dormirci sopra, meglio aspettare prima di prendere una decisione, le decisioni prese di impulso non portano quasi mai niente di buono e, se questo avviene, è per caso.
Come abbiamo già detto più volte la prudenza guarda oltre ed è fatta di circospezione, cioè richiede una ispezione dell’ambiente circostante, occorre guardare cosa abbiamo intorno. Perché le cose prese fuori contesto non possono essere lette bene. Ancora la prudenza è fatta di cautela, del considerare che c’è un nemico, che ci sono degli impedimenti, che le cose non sono lineari, che non esiste il moto perpetuo, perché esiste l’attrito, esiste qualcosa che ci impedisce di vivere bene quello che abbiamo pensato di fare, quindi occorre considerare le opposizioni, il prudente non è un idealista hegeliano, che ritiene che le cose siano esattamente come le ha pensate.
Esistono cose che non abbiamo calcolato, nemici interiori ed esteriori e il male che ci si oppone sempre e comunque. Occorrono due competenze, quella personale e quella sociale e non sono in contraddizione, perché il bene è uno solo. E non è vero che quando faccio il vero bene personale posso ledere il bene sociale e viceversa. Queste due cose hanno sempre il punto di luce in cui c’è la connessione. Il sacrificio può essere il più grande bene personale, il momento in cui, per il bene sociale, io mi sacrifico. Come anche il sottrarmi al sacrificio perché penso che il bene sociale non valga quanto la mia dignità di uomo, di persona.
In quel momento mi deve guidare un punto di riferimento che è il paradiso, il vero punto di arrivo. La prudenza deve essere guidata dal buon consiglio, cioè un ascolto pacato, dal buon senso pratico, la memoria dell’ordinarietà. Dobbiamo chiederci: “Ma di solito, le cose come vanno?”. C’è un ordinario, le cose hanno un loro andare che normalmente viene rispettato. Le eccezioni bisogna riconoscerle come tali, ma occorre avere ben presente come le cose vanno ordinariamente, di solito. Prima che io prenda una strada straordinaria devo avere motivi molto forti.
È necessario anche un giudizio perspicace, cioè una visione che “va oltre”, ha valori alti, guarda a cose molto fini. Cos’è il contrario della prudenza? Facile, in primo luogo l’imprudenza, giocarsi l’obiettivo per aver sottovalutato un fatto antecedente e poi la negligenza, sottovalutare l’obiettivo. Una cosa molto importante è quando la prudenza viene scimmiottata, quando mira al solo piacere. Uno crede di star guadagnando chissà cosa, ma in realtà sta andando verso qualcosa di molto labile. E la prudenza è scimmiottata, imbruttita, quando diventa astuzia, che non evita le vie false, l’inganno, per poter raggiungere l’obiettivo. A quel punto non è più prudenza, è astuzia cattiva. Un’altra scimmiottatura della prudenza è l’eccessiva sollecitudine, quando per cose temporali, ma anche per cose spirituali, dobbiamo difendere un po’ troppo le nostre posizioni, c’è qualcosa che non è pacifico, che non parla di strada del paradiso, è troppo aggressivo, non ha quella pacatezza di cui si impastano i miei discorsi quando ho la certezza di dove vado a parare.
Sono tanti i concetti e i consigli pratici che hai elencato, proviamo a ricapitolarli tutti per facilitare la comprensione e ricordarli.
Come si sviluppa la prudenza nei principianti? Riflettendo, considerando i pro e i contro, perseverando nelle cose che si sanno buone. Una volta che hai capito che una cosa è buona, tienitela stretta, non essere disposto a cambiare una acquisizione sana della tua vita. Vigilando contro le scimmiottature, l’astuzia e l’eccessiva sollecitudine.
Preferendo la semplicità alla complicazione. Vivendo giorno per giorno badando al rapporto con Dio e facendosi prendere poco dalle ansie di scopi secondi, riferendosi quindi al fine e cristallizzando i punti che non sono trattabili. Uno diventa radicalmente prudente quando inizia a cristallizzare alcune cose nella propria intelligenza.
Alcune cose non sono beni trattabili, non si mettono in discussione. Alcune cose della vita non si toccano più, abbiamo bisogno di questo tipo di ordine, di questi riferimenti, di questo tempo di preghiera. Queste cose fanno camminare anche gli esperti. Occorre praticare una mortificazione delle distrazioni, ci sono cose che mi distraggono dalle cose più grandi e io le devo mortificare, sono perdite di tempo, e ancora occorre assecondare gli eventi in termini di ispirazione di Dio, cioè il prudente inizia piano piano a conoscere una strada in cui Dio, con costanza parla al suo cuore e torna con una voce che lui sa riconoscere e osservando tutti gli elementi che abbiamo detto. Il prudente è uno che ha imparato a vivere bene, perché chi vive così sta bene, è contento