Fede, speranza, carità: le tre virtù teologali nell’opera di Raffaello Sanzio ai Musei Vaticani, di Andrea Lonardo
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Il Centro culturale Gli scritti (10/10/2012)
Nota storico-artistica
Le tre tavole sono dipinte con tempera grassa. Databili intorno al 1507, sono gli scomparti della predella della Pala Baglioni, commissionata nel 1506 da Atalanta Baglioni per la cappella di famiglia in San Francesco al Parto a Perugia. La tavola centrale con la Deposizione è attualmente alla Galleria Borghese di Roma mentre la cimasa con il Padre Eterno benedicente tra angeli si trova a Perugia nella Galleria Nazionale dell’Umbria. La predella, portata a Parigi nel 1797, ritornò a Roma nel 1816 e fu esposta in Pinacoteca dal 1820.
L’opera fu voluta da Atalanta Baglioni per commemorare la prematura scomparsa del figlio Grifonetto, ucciso nel corso della faida familiare con gli Oddi per il controllo della signoria di Perugia.
L’iconografia della carità
Raffaello, riprendendo la tradizione iconografica elaboratasi nei secoli, rappresenta la carità come una donna carica di figli. La carità è cioè feconda, ama la vita e la serve. E la vita la cerca, assetata.
La carità non è così semplicemente la cura di coloro che debbono essere recuperati perché si sono persi, ma è innanzitutto amore per la vita stessa, amore per i bambini che nascono, amore per chi si sposa e celebra le nozze, amore per l’educazione. È amore che previene e genera e non solo amore che recupera.
Ai lati della carità due putti la rappresentano ulteriormente. A sinistra uno regge un fuoco. La carità è fuoco che riscalda. Non è algida, frigida e distaccata, bensì è passione che muove. Secondo la tradizione morale cristiana la bontà non consiste nell’assenza delle passioni, bensì nell’essere mossi dalle passioni buone.
A destra un altro putto versa un copioso grappolo d’uva, segno dell’abbondanza che la carità offre.
Essa lo dona, senza trattenere nulla. Non esiste amore che non comporti il dono di sé.
L’iconografia della fede
Al centro della rappresentazione della fede sta la virtù stessa, sempre in figura femminile, che tiene in mano l'Ostia ed il Calice del Corpo e Sangue di Cristo. Si sottolinea così che la fede è fede nella presenza del Cristo vivente oggi nei Sacramenti della Chiesa. Il Signore non appartiene al passato, non è semplicemente il Gesù dei Vangeli, ma è anche il Cristo vivente che oggi si dona a noi nell'Eucarestia ed amandoci ci salva.
I due putti-angeli ai lati recano, invece, cartigli con abbreviazioni che rimandano all'Incarnazione. La verità e la bontà dell'Eucarestia derivano dall'evento storico della venuta del Figlio di Dio in mezzo a noi: egli è colui che si è fatto carne. Il putto di destra reca l'iscrizione in latino in abbreviazione JHS, cioè Jesus hominum Salvator, mentre il putto di sinistra reca sul cartiglio l'abbreviazione in greco CPX: entrambe rinviano ai titoli di Gesù Cristo, Salvatore degli uomini.
L’iconografia della speranza
Come di consueto la speranza è rappresentata come una donna in preghiera. Essa spera, essa attende. Non si limita a vedere il presente, con il suo carico di fatica, ma ha lo sguardo levato in alto. La speranza conosce la provvidenza divina che tutto conduce al bene di coloro che Dio ama.
La speranza invita a vincere la tentazione del “pensiero corto” che subito vuole risultati e, non ottenendoli, si abbatte e scoraggia. Essa sa che le vie di Dio portano, anche se talvolta tortuosamente, alla meta che il disegno divino ben conosce.
I due putti ai lati, questa volta con ali angeliche, suggeriscono la serenità ed una ferma tranquillità. Poiché tutto è nelle mani buone di Dio, allora l’uomo può impegnarsi con tutto se stesso nell’opera che il Signore gli ha affidato, perché «in sua voluntade è nostra pace» e se si vive cercando di realizzare la volontà di Dio e la sua vocazione, il centuplo quaggiù non mancherà insieme a persecuzioni ed alla vita eterna.