Cesare deve morire, dei fratelli Taviani. Breve nota di Andrea Lonardo
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Il Centro culturale Gli scritti (25/9/2012)
«Se si potesse strappare lo spirito di Cesare senza squarciare il petto suo!». Recita la battuta di Bruto dal Giulio Cesare di W. Shakespeare e non riesce più a continuare. È un carcerato di Rebibbia che nella pellicola dei fratelli Taviani Cesare deve morire sta provando la sua parte insieme ai compagni di prigionia.
Quelle parole gli ricordano un amico malvivente accusato di essere un quaqquaraqua. Gli ricordano che sarebbe stato bello cambiare l'animo di una persona senza doverla eliminare. Attraverso quelle parole di Shakespeare egli diviene capace di rileggere la propria vita e di comprenderne il dramma. È il Bruto del Giulio Cesare di Shakespeare che egli deve interpretare che gli fa capire il proprio animo ed i delitti che ha commesso.
È straordinario Cesare deve morire. Rivela il potere dei classici. Essi non parlano narcisisticamente del loro autore. I classici parlano di noi e ci leggono. E Shakespeare risuona anche nel cuore di un carcerato che non parla in italiano, ma solo in dialetto. Quell'opera tocca il cuore di chi è detenuto, come nessun'altra parola moderna è in grado di fare.
Un altro detenuto, anch'egli attore del dramma, recita la battuta che chiude il film: «Da quando ho conosciuto l'arte, questa cella è divenuta una prigione». Shakespeare ha reso ormai evidente che era possibile vivere in maniera diversa.