Mia figlia e suo marito, di Marina Corradi
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Riprendiamo dal sito della rivista Tempi un articolo di Marina Corradi pubblicato nel numero 25 dell’anno 2012. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line.
Di Marina Corradi vedi su questio stesso sito la pagina Articoli di Marina Corradi.
Il Centro culturale Gli scritti (9/9/2012)
Bresso, 3 giugno. La Messa era appena finita. Benedetto XVI stava lasciando il parco, a fatica - l’auto bianca stretta in mezzo a una gran folla che allungava le braccia a salutarlo. Mia figlia si è tirata su dal prato polveroso, stiracchiandosi, ancora assonnata dall’alzataccia dell’alba. Svagatamente si è guardata attorno, in quella moltitudine; poi, d’improvviso: «Chissà dov’è, mio marito».
Io l’ho guardata interdetta: marito? A quattordici anni? Che cosa sta dicendo, ho mormorato fra me, reprimendo l’antico gesto materno di allungare la mano sulla sua fronte, a sentire se per caso non avesse la febbre. Ma lei, tranquilla, come se quell’idea bizzarra fosse invece la più logica del mondo: «Pensa, se il ragazzo che sposerò è di Milano o dei dintorni, ed è cattolico, magari oggi c’è anche lui qui in mezzo a questo milione». L’ha detto in un modo così pacato e ragionevole che anche io mi sono guardata accanto e alle spalle, nella grande armata di famiglie e ragazzi che quella mattina di buon’ora si era attendata a Bresso.
Beh, non era impossibile, in effetti. E per un istante ho avuto l’assurdo desiderio di mandare un sms a un numero sconosciuto: dove sei? Fatti vedere. Una volta ancora, dai figli mi è venuto un altro sguardo. Perché io sono così avvinghiata al passato, a ciò che è stato e non tornerà, e in questo voltarmi indietro mi immalinconisco, insidiata da un dubbio: che fossero più belli i tempi andati, e il futuro soltanto un diventare più vecchi e più soli. (Questa malinconia è, mi dico spesso, quasi una idolatria).
E invece questa volta mia figlia mi ha voltato la testa, e indicato un oltre - dall’altro lato del tempo. Perché, sì, certo, non sappiamo cosa sarà di noi domattina; e tuttavia è umano e necessario sperare; guardare al tempo non come a una cappa che ci stringe sempre più da vicino, ma a un andare verso, un camminare verso un destino ignoto eppure buono. E chissà poi che quel pensiero di un’adolescente in un mattino di quasi estate non abbia in sé una piccola, gentile profezia.
Potrebbe, magari, aver ragione lei. Forse quello che sposerà è a Bresso oggi con suo padre e sua madre, o tra i ragazzi più grandi. E dunque - vado almanaccando fra me - forse è davvero qui oggi, il padre dei nipoti che già, seppure prima del tempo, agogno; e, ancora estranei fra loro, quanti futuri padri e madri di figli già vivi nella mente di Dio sono qui, stamattina. Mia figlia ora, forse già dimentica di ciò che ha detto, cammina in fretta, affamata, verso casa.
E io invece continuo a guardarmi intorno, contemplando le belle facce dei ragazzi del Parco Nord. Come addolcita; il pensiero per una volta non all’indietro, ma oltre. Pensando che mi devo ricordare di chiedere un giorno a quel ragazzo dov’era, il 3 giugno 2012. E se davvero era qui, sorriderò fra me: il tempo, questo moloch che mi fa da sempre paura, per una volta, nella mattina del Papa a Milano, rovesciato e trasparente.